Alcuni anni or sono, nei tempi in cui la mia amata Carmen ancora solcava i cieli, ero solito liberala nei campi, allorché giuntovi mi preparavo a pranzare. Nei bei pomeriggi d’inverno, sovente condivido i miei pasteggi nei campi, coi compari falconieri, e la pratica di liberare la “falcaâ€� era in quel tempo ormai consuetudine; consuetudine era anche, una volta finito il sollazzo, al primo colpo di fischietto, vederla ripiombare sulla mia testa da chissà quale landa o bagno di fortuna, alta, fortemente in ala e pronta per la caccia. Accadde in uno di questi bucolici pomeriggi, che al consueto richiamo ne constatai un insolita assenza. Chi è avvezzo a questo genere di cose, sa che mille possono esser le dinamiche di queste diserzioni e nel principio non me ne curai.
Ma da li a poco, tanta libertà mi preoccupo e nel cercarla tra le frequenze della radio feci solo in tempo ad udirne gli ultimi due bip, che subito la radio smise di ritmare, diffondendo solo quello sgradevole fruscio che ne indica la sparizione. Invano la cercai nell’ultima direzione che la mia ricevente m’indico e solo quando tornai a casa, ormai sconfitto dalla ricerca, ricevetti una telefonata; aveva certo un tono di rimprovero la donna che mi chiese spiegazioni, mi chiamava dal comando di polizia urbana di un paese poco lontano dai campi, dove qualcuno mi conosceva di fama, mi chiese se avessi perso un falco, e al mio assentire mi comunico un indirizzo prima di chiudere in fretta stizzita… Lei era stizzita?!?!…
Comunque, presto raggiunsi il punto indicato, feci appena in tempo a parcheggiare che la scena che mi si presento era la seguente: un nuvolo di piccole canaglie che urlava e batteva contro un malandato motocarro nel tentativo di incoraggiare qualcosa a muoversi, dentro intravedevo un sagoma nera sbattere contro i vetri cercando di liberarsi da quell’insidia, un po’ appartato un vecchio coi pollici nella cintura, il bacino protratto in avanti e le spalle dietro che ostentava in volto una smorfia di soddisfazione, impegnato ad intrattenere i genitori dei monelli e nel frattempo altri giovanotti allungavano i propri cellulari per fotografare la malcapitata.
Che fare? La prima cosa è salutare quando non si è casa propria, poi dimostrare grande professionalità , scartando le domanda sciocche e dirigendosi presto al rugginoso veicolo, dribblare i discoli infernali ed in velocità ficcare una mano dentro a caso sperando che mentre il falco ci affondi gli artigli, le dita ne trovino i gedi. Così fu!!
Era salva, malconcia la mia Carmen, ma salva. Dopo fu un susseguirsi di domande banali alle quali, ripreso il colore della salute, risposi destramente; Intanto mi chiedevo perché non prendere a calci le vecchi terga dell’uomo che l’aveva catturata, perché essere gentile con costui che alla domanda di cosa fosse successo, testualmente mi rispose: “…ca ci nu me futtu iu cu la piju ci sape a ddru cazzu sen’da à e!!â€�.. traduco per i poco avvezzi alla lingua: “… che se non fosse stato per me che mi sono tuffato per prenderla, chissà dove se ne sarebbe andata!!â€�. Come puoi rispondere ad una persona del genere, se non facendo appello a tutta la pazienza che hai, e ringraziandolo e pregandolo in futuro, qualora avesse avuto la fortuna di rivederla, di non farle piö tale riguardo, che tanto lei conosceva la via di casa.
Morale della storia: quando accade che l’ignaro t’incontra il falco, è di per se un grandissimo successo il solo sapere che al rapace non gli sia stata fatta la cortesia di passarlo a miglior vita, anche se inconsapevolmente liberandolo gli ha solo ritardato la morte, è già un successo aver avuto un altro giorno di speranza di ritrovarlo vivo. Non c’è limite alla cattiveria di chi vedendo i falchi veste gli abiti del boia giustiziere che vede ancora il nocivo nel rapace.
Matteo.