Ricordo che faceva un caldo insopportabile: ad oggi per nessuna ragione al mondo volerei il falco alle tre del pomeriggio in pieno settembre quando la temperatura rasenta i quaranta gradi, ma allora, nel 1992, avevo molti anni in meno, e l’ansia di volare Sonia, la mia femmina di baharì, superava l’inclemenza del tempo.
Inoltre avevo molta fiducia in questo splendido falco di una sola muta, che a dire il vero, non aveva mai cacciato niente che non fosse uscito dalla mia borsa, ma aveva la peculiarità di poter volare a qualsiasi ora del giorno ed in qualsiasi ambiente, posizionandosi sempre sopra la mia testa non appena iniziavo a logorare.
Quel giorno era il primo di una nuova tappa del mio percorso di falconiere, fino a quel momento incentrata sulla caccia al coniglio ed alla lepre con l’astore.
Sentì che era giunto il momento di dedicarmi alla caccia col falcone, e non limitandomi solamente alla cattura di piccioni di rilascio, come avevo fatto fino a quel momento, motivato forse dal fatto di non aver avuto l’ambiente adatto o non aver cacciato abbastanza da poterci provare sul serio.
Sonia era leggermente più bassa del suo solito peso. Non le avevo ancora tolto il cappuccio quando una brigata di pernici, che essa vide perfettamente, si alzò in volo a cento metri di distanza da dove ci trovavamo noi. Non ci fece minimamente caso, ed iniziò il suo volo a circa trecento metri alla mia destra agganciando una termica che per poco non me la faceva perdere.
Ma la pellegrina era molto disciplinata e appena iniziai a girare il logoro, Sonia uscì dalla termica come un razzo e in pochi secondi si posizionò sopra la mia testa, in attesa del suo piccione.
Appena prima di aprire la borsa per servirglirelo, mi tornò in mente la brigata di pernici rosse e, senza particolare speranza, iniziai a correre verso la zona dove le avevo viste scendere. Iniziarono a scappare pernici in ogni direzione e Sonia non fece il minimo gesto di picchiare su di esse. Una pernice ebbe la malaugurata idea di passare in volo sopra alcune stoppie e, senza aspettarmelo, vidi che il falco piegava le ali e si lanciava in picchiata, impattando sulla pernice che cadde fulminata a cinquanta metri da me; in quel momento Sonia fece un ricciolo e si posò dolcemente sulla preda. Non ci potevo credere, iniziai a gridare e saltare: la nostra prima pernice!
Feci fare alla mia brookei talmente tanto buon gozzo che quasi faceva fatica a respirare, la presi su e mi diressi a tutta velocità verso l’auto, perché non vedevo l’ora di chiamare il mio caro amico Fernando Izquierdo per raccontargli l’accaduto; lui, mai molto espansivo nell’esprimere emozioni, ascoltò pazientemente la mia storia ed al termine mi disse: “Molto bene, domani fanne un’altra”. In quel momento della stagione, Fernando, come ogni buon maestro falconiere, aveva già quattrocento pernici cacciate, ma tralasciando questo, decise di darmi un’opportunità.
Fu in quel momento che sbocciò la mia grande passione, la caccia alle pernici rosse con falchi di alto volo. Da quel momento in avanti non ho trascorso neanche un solo giorno di caccia senza insediare le pernici. Rileggendo i miei diari, la memoria mi riporta alla mente più di un migliaio di catture veramente belle e speciali, ma non dimenticherò mai quella prima pernice che involandosi diede origine a quello che sarebbe stato il mio futuro come falconiere.
Attraverso questa piccola, personale ed accattivante introduzione, cercherò di raccontare la mia modesta esperienza in questa tipologia di caccia, nella quale convergono diversi fattori. Il falconiere gioca un ruolo fondamentale perchè deve studiare l’attacco minuziosamente, soprattutto quando si tratta di volare un giovane. E’necessario preparare bene la strategia di attacco per poter avere l’opportunità di insediare una pernice.
Verso i primi giorni di ottobre le pernici sono un po’ più facili da fare ed il falco le può insediare un po’più facilmente. Non bisogna fare più di un paio di rilasci, perché altrimenti si corre il rischio che il falco ci si abitui, dato che si tratta di un volo troppo più semplice di quello che incontreranno sul campo.
La cosa migliore è trovare una brigata di pernici in un luogo nel quale la rimessa sia sufficientemente lontana, e possibilmente, posizionandosi in un luogo riparato, in modo da consentirci di avvicinarci senza problemi. Col sole, sono solite mettersi all’ombra delle piante di retama e dei cipressi, perché le fa sentire più tranquille.
Dobbiamo arrivare ad attaccare la brigata quando il nostro falco si trova sulla loro verticale e alcuni metri avanti a noi. Per quanto possibile, dovremmo fare in modo di evitare che la brigata si muova di pedina. Questo infatti attira l’attenzione dei falchi giovani, che scendono provando a catturarle a terra, ma perdendo qualsiasi opportunità di cattura. Se le pernici si involano, ne deriverà comunque una lezione positiva.
Se partono lontane, prima che ci si sia potuti avvicinare, il falco imparerà a tenersi più alto per poter controllare un maggiore raggio di campo. Se le pernici si involano quando il falco è un po’ spostato e non le raggiunge per questo motivo, il giorno successivo sarà più centrato. Se nel tentativo di attaccare si troverà con un ciuffo di penne tra le zampe, stai pur tranquillo che in breve tempo imparerà a stoccarle. Saranno poi la caccia e il passare dei giorni a renderlo un falco maestro in questi lanci. Non esiste altra possibilità se non quella di imparare e poter così migliorare la propria capacità di sopravvivenza.
In precedenza ho parlato di quanto abusare dei rilasci, secondo il mio parere, sia controproducente, ma consiglio di tenere, nella prima stagione di caccia del nostro falco, una pernice nella borsa e servirgliela quando lo merita. Scegliere il momento giusto per servirgliela non è mai facile e molte volte questa è la caratteristica che fa la differenza tra avere un falco normale ed uno veramente valido. A tal proposito dopo molte stagioni di caccia mi sono convinto di una regola: faccio rilasci solo quando il falco ha volato ad una buona altezza, è stato ben centrato ed infine ha stoccato la preda seppure non sia riuscito a catturarla. Dopodichè attendo che il falco si posizioni nuovamente e gli servo il rilascio nel punto della rimessa della pernice, in modo molto naturale, affinché il falco non si accorga dello scambio.
Durante il primo anno, ogni volta che il falco cattura, sono solito dare buon gozzo abbondante, facendogli fare digiuno il giorno successivo.
Credo che questo dia ai falchi una sicurezza ed una fiducia straordinaria: il giorno di caccia seguente salgono molto motivati, desiderosi di un altro festino di carne calda.
Un altro punto da tenere presente in questa tipologia di caccia nella quale il falconiere è tanto importante quanto il falco, è il posizionamento dell’attacco, dato che da esso dipende il risultato finale. Prima di mandare il nostro falco su di un attacco impossibile, dobbiamo visualizzare tutti i tipi di variabile possibili: vento, rimesse, arbusti, etc. Una volta verificato che il volo è fattibile, possiamo lanciare il nostro rapace.
Quei lanci nei quali le possibilità di cattura sono molto basse, possono causarne la demotivazione, soprattutto in questa fase nella quale deve proprio trovare la massima motivazione ad attaccare.
A volte questo è complicato da mettere in pratica, dato che abbiamo sempre meno pernici sui nostri terreni, motivo per il quale il falconiere può sentirsi anche stanco e demotivato dovendo cercare una brigata di pernici anche per diverse ore. Comunque, è necessario studiare bene il lancio, perché se non lo si pianifica bene fin dall’inizio, rischia di concludersi in un fallimento.
Un dibattito che coinvolge moltissimi falconieri riguarda la specie, il sesso ed il peso del falco idoneo a questo tipo di caccia. Io personalmente ho cacciato con terzuoli di poco più di 500 grammi e con femmine che superavano i 900, ma per cacciare in modo costante, prediligo falchi di almeno 550gr di peso di caccia. Ci sono persone che sono in disaccordo con questa teoria ma ho avuto modo di valutare in tutti questi anni che le pernici nel mese di Dicembre sono molto forti e dure e , se non ricevono una bella stoccata, non impattano con forza sufficiente al suolo. Noi abbiamo notato che questa è la modalità con cui si ottiene la morte della maggior parte delle pernici, motivo per il quale ricopre una certa importanza anche la differente struttura del suolo: sassi, maggese,…
Probabilmente la mia grande scoperta per la caccia alle pernici sono stati gli ibridi ed in modo particolare i girpellegrini. Quando ho volato con i terzuoli, tutti, come dice un altro mio caro amico, mi sono sembrati i “primi della classe”, soprattutto nella rapidità nel montare.
Il primo ibrido col quale sono andato a caccia risale al 1997, e fu veramente facile prepararlo e metterlo a caccia, tanto che già nel mese di Novembre contava quasi 80 catture. Inizialmente pensai che fosse la qualità di un singolo esemplare e di aver beccato un terno al lotto. Riesco a malapena a ricordare i lanci falliti da questo falco, nonostante gli abbia presentato voli difficili per un giovane, ma era sempre ben posizionato, all’altezza giusta e molto efficace nello stoccare. Non era disposto a lasciar scappare niente. Le poche volte che la pernice riusciva ad evitare la picchiata, faceva sfoggio di una delle migliori qualità di questi ibridi: l’inseguimento. E seppure non mi faccia impazzire catturare in questo modo, non posso fare altro che ammirare questo incredibile atleta, che è capace di attaccarsi alla coda della pernice, raggiungere piena velocità e riuscire ad agganciarla.
Tra i compagni di viaggio di questa modalità di caccia tanto buona e aggiuntiva, ho l’obbligo di menzionare quello che considero il mio falco migliore, Zidane, un terzuolo ibrido di girifalco silver X pellegrino. Ha tre mute, con un peso di volo che supera gli 830gr. Nel descrivere il procedimento di addestramento di questo falco, molto falconieri troveranno diversi punti in comune con i propri rapaci. Zidane è stato allevato da Alfonso Arisò, e fin dall’inizio i suoi progressi furono spettacolari. Ricordo che il 19 di Luglio gli feci il suo terzo piccione ad un’altezza superiore ai 150 metri, dopo che volava da solo 9 giorni, e sembrava già un falco esperto, centrato ed attento. Mi sembrava ovvio destinarlo alle pernici, ma eravamo a Luglio e fino ad Ottobre mancavano due mesi e non avevo altra soluzione se non continuare con i piccioni viaggiatori, con l’intento di non farglieli prendere. E qui commisi un grande errore, perché visto che il falco era molto forte e determinato, faceva inseguimenti di chilometri, catturando la maggior parte delle volte.
Inizialmente non me ne preoccupai e decisi di lasciar perdere i piccioni, ma era troppo tardi poiché, appena tolto il cappuccio, il falco saliva come un razzo raggiungendo quota in attesa del piccione. Se non lo servivo, saliva ancora un po’, finché non ne avvistava uno, cosa piuttosto facile nella zona in cui lo addestravo. Non c’era altro rimedio che prendere l’auto ed andare a prenderlo, con la sua preda catturata. Come se non bastasse, mangiava con un’avidità e rapidità sorprendenti. Se tardavamo più di 15 minuti ad arrivare, lo trovavamo con un gozzo esagerato, risultato del suo bottino.
Tutto questo fece me lo fece scadere molto per la falconeria. Per dare un dato, nel suo primo anno catturò 86 piccioni selvatici e solo 10 pernici. Durante la sua seconda muta 70 piccioni e 8 pernici. Questo significa che durante le sue due prime stagioni ho dovuto inseguirlo per ben 156 volte. Una follia, nella quale ero sempre accompagnato dal mio caro amico falconiere Miguel Cuesta, il quale, se ci ripenso, non so come abbia fatto a sopportare tante avventure per campanili, tetti, corti, piazze, fattorie, etc etc.
Quando ero sul punto di gettare la spugna, mi riproposi di dare a Zidane ed a me stesso un’ultima possibilità. Visto che a Toledo, zona dove caccio, è praticamente impossibile volare senza incontrare un piccione, decisi di farlo alle ultime ore della giornata, quando i columbidi fanno molta poca attività, dato che la maggior parte di essi è già nei dormitori. E funzionò. Lo ricompensai facendolo mangiare a volontà su ogni pernice catturata e non volandolo il giorno seguente, cosa che alcuni falconieri chiamano “fare le terze”.
Zidane capì immediatamente che era più fruttuoso e comodo restare con me che fare inseguimenti sui piccioni. Alla sua terza muta catturò 98 pernici e 5 piccioni. Posso dire che l’efficacia di questo falco in alcune stagioni raggiunse il 90%, catturando in luoghi inimmaginabili, con stoccate contundenti e risolutive. Arrivò a tanta maestria con le pernici rosse, che quando non le poteva attaccare perché la brigata non era dove l’avevamo divisa, le andava a trovare nella loro nuova posizione e veniva a cercarci perché gliele alzassimo. Veramente un maestro. Non so quanto tempo vivrà ancora, ma avendo già 13 anni non credo che potremo avere ancora molte stagioni di caccia da goderci sul campo. Fino ad ora non ha avuto un calo fisico drastico. Ho letto alcuni articoli americani che raccontano di ibridi volati fino ai 18 anni. E penso proprio che Zidane possa fare altrettanto. Suo padre, un girfalco Silver, morì a 23 anni, a casa del mio amico Fernando Izquierdo, dopo aver procreato una progenie di più di 300 pulli.
Nella caccia alla pernice sono molti i pellegrini validi, ma Sonia e Metrìn sono quelli che mi sono rimasti più impressi. Sonia, una femmina di Brookey con un peso di caccia di 800gr e Metrìn, un terzuolo di scozzese e pealei di 650gr di peso di caccia. Sonia fu il mio terzo falco e me lo regalò il mio amico, falconiere e maestro Miguel Cuesta. Trascorsi con lei 8 anni e la sua migliore qualità era quella di essere un falco molto efficace e sicuro. Usciva sempre trionfante, indipendentemente dall’orario, il luogo o il tempo atmosferico. La caratterizzava la facilità con la quale insediava le pernici. Coloro che l’hanno vista volare saranno d’accordo con me. Ma lei in pratica era così. In 8 anni l’ho vista raramente legare una preda. Registrò un tabellino di quasi 300 pernici, catturandole praticamente in qualsiasi luogo o situazione. Morì affogata dentro un pozzo inseguendo una pernice. Per un falconiere la morte di un falco è un momento doloroso e traumatico. E infatti per me fu cosi. Metrin, il terzuolo di pellegrino, è un falco dal grande stile e dotato di una tale aggressività che diventa divertente anche tenerlo al logoro, ma una volta che esce sulla preda, tutto si dimentica e passa come una cosa semplice e naturale. Raggiunge una buona altezza, si centra perfettamente e riesce a fare ciò che altri non riescono, essendo capace di picchiare al momento giusto. Picchia e picchia fino ad uccidere la pernice, perché questo è il ruolo del falco da caccia, ne va della sua vita. Voglio che questo sia ben chiaro perché ci sono alcune correnti di pensiero che sostengono che non è così. Per questi falconieri conta solamente l’altezza, ma salire fino a 700m non serve a niente se poi non si sa scendere in picchiata. Alla fine riusciranno a catturare solo piccioni di rilascio.
Non dimentichiamo che la falconeria è la caccia di una preda selvatica nel suo ambiente naturale e per il bene della vera falconeria non dobbiamo mai scostarci da questa definizione. Sono a favore di ogni innovazione tecnologica che possa aiutarci a migliorare l’addestramento dei falchi, ma sempre con l’obiettivo della caccia naturale. I consimili selvatici non possono permettersi un apprendimento eterno e alla stessa stregua noi non dobbiamo intestardirci in addestramenti infiniti.
Un’altra questione da considerare è che, per molto tempo, si è voluto enfatizzare il fatto che la difficoltà e complessità della pernice varino di zona in zona. Innanzitutto se per difficoltà si intende che la pernice fa molti più voli o che procede più di pedina, io lo vedrei come un vantaggio ed un incentivo per il nostro falco, poiché con questo tipo di pernici si può solo migliorare e raggiungere obiettivi migliori rispetto a quelli perseguibili nei luoghi dotati di pochi spazi per pedinare, pieni di rimesse o di zone idonee al volo del falco.
Ho cacciato pernici in molti luoghi del territorio nazionale e quello che ho imparato è che ci sono terreni nei quali occorre preparare il volo da molto più lontano. Questa caratteristica si riscontra in quei luoghi nei quali la pernice ha una grande pressione da parte dei cacciatori in forma vagante e quindi si invola difficilmente. Al contrario, queste stesse pernici, compiono volti molto lunghi, facendo fare un notevole sforzo ai nostri falchi. Invece nelle zone nelle quali non sono soggette a questo tipo di pressione venatoria, le pernici si involano molto più spesso e questo permette di lanciare da distanze molto più ravvicinate. A tal proposito ritengo che le pernici siano tanto più difficili quanto corti sono i loro voli, poiché sgusciano e sfuggono ai nostri falchi. Per questo sono preferibili, potendo scegliere, pernici che fanno voli lunghi.
Uno dei grandi alleati del quale noi cacciatori falconieri di pernici con l’alto volo possiamo avvalerci, è il cane. Devo riconoscere che inizialmente non tenevo molto in conto il loro aiuto, non attribuendogli la stessa importanza che giorno dopo giorno sono arrivato a riconoscergli oggi.
Quando hai un cane, ti sembra impossibile andare a caccia senza di lui, perché ti trovi in situazioni nelle quali sarebbe impossibile alzare una pernice senza il suo aiuto, potendole passare di fianco e, nascosta in un arbusto, non vederla neanche. A tal proposito ho aneddoti vissuti col mio caro amico Miguel, battendo arbusti da una parte e dall’altra, poi smettere, chiamare il falco al logoro, incappucciarlo, fare due metri e sentire il frullo inconfondibile delle pernici. Sembra impossibile. Praticamente ci manca poco e le abbiamo calpestate! Può capitare, se vai a caccia senza il cane.
Per quanto riguarda la razza del cane, ho passato anni cacciando con il Setter Inglese, e qualche anno con un grande alzatore come lo Springer Spaniel Inglese. Ma comunque esistono molte altre razze che sono di grande aiuto e possono aumentare la praticità dei lanci.
Resto sempre molto perplesso nel vedere falconieri che hanno buoni falchi e non riescono a catturare pernici con regolarità. Ho osservato molti di questi falconieri e nella maggior parte dei casi il problema non è radicato nel falco ma nel fatto che si sottovalutano le pernici. Esistono questioni tecniche in questi voli che dobbiamo seguire: ad esempio volare i falchi su coppie di pernici prima che su grandi brigate. Questo perché è più semplice e veloce per in nostro rapace scegliere e selezionare una tra due pernici che tra una decina di esse.
Quei millesimi di secondo che il nostro compagno alato perde, sono cruciali per un lancio proficuo. Inoltre ho falchi dell’anno che si fanno delle remore nel picchiare su brigate molto copiose e altri che picchiano dopo un secondo da quando si sono involate, con la conseguenza di un attacco poco proficuo.
Con i falchi maestri in questa specialità, si può cacciare senza dividere le pernici, ma occorre essere abbastanza certi che la brigata non si trovi in una zona troppo vasta.
Devono essere falchi che restano a lungo in ala, senza mollare. Ho avuto falchi pellegrini con queste qualità. Se si ha un solo falco gli si può dedicare molto più tempo e potenziare il fatto che giorno dopo giorno acquisisca sempre maggiori capacità.
In questo caso la strategia del falconiere conta un po’meno, dato che non possiamo prevedere il punto nel quale incontreremo la brigata.
Il nostro cane in questa situazione sarà il nostro migliore aiuto, la nostra guida; dobbiamo avere fiducia in lui ed attendere i suoi segnali.
Ho conosciuto alcuni falconieri che volano i propri falchi quasi esclusivamente in questo modo e posso dire di provare una grande ammirazione per la difficoltà che questa tecnica rappresenta. Il mio amico nonché grande falconiere Jesus Palencia, quando abbiamo avuto modo di volare insieme in Vallodolid, mi ha dilettato con voli lunghissimi e di grande stile. Davvero un bravo falconiere!
Mi capita di fare chiacchiere o scambiare pareri informali con altri falconieri, nei quali si valuta e discute la convenienza di catturare una pernice che sia stata mancata al primo volo. Sono in molti a sostenere che non si debba mai e poi mai insediare una pernice che sia stata sbagliata al primo volo ma ci sono anche quelli che pensano completamente il contrario. Può darsi che entrambi abbiano in parte ragione, ma come per ogni presa di posizione, l’estremismo non è mai una cosa buona.
Credo infatti che valutando pochissimi parametri e molto concisi, dobbiamo considerare in pochissimi minuti i danni o i benefici che possiamo dare ai nostri falchi in base alle scelte che faremo. E’ovvio che se stiamo volando un falco giovane ed abbiamo bisogno che si incattivisca sulle pernici, potremo essere un po’meno esigenti e, se anche non riuscisse a fare un secondo volo spettacolare arrivando a grandi altezze, ma comunque si mettesse in posizione corretta e attento a noi ed al cane, potrebbe essere utile servirgli una pernice facile; gli farà solo che un gran bene.
Invece occorre fare il perfetto contrario con i falchi già fatti e formati.
In questo caso dobbiamo essere molto rigorosi, onde evitare di essere ingannati dai nostri compagni alati. Una delle mie migliori femmine di pellegrino, dopo aver messo molte pernici in carniere, si abituò, a partire dalla sua quinta muta, a picchiare e invece di stoccare con forza per abbatterle, colpiva in modo molto leggero, con l’intenzione di far perdere loro la testa e farle rifugiare in rimessa. In quel momento rimontava in modo spettacolare sulle pernici nascoste e attendeva in aria per vedere cosa facessero finché non arrivavo, ed aspettava che io le alzassi.
Alcune volte le sarebbe bastato scendere per inseguirle semplicemente. Sicuramente se fossi caduto molte volte nel suo tranello, il falco si sarebbe rovinato e, col tempo, non avrebbe mai più fatto una picchiata sulle pernici al primo volo.
L’altro dilemma che si presente ai falconieri è che, talvolta, non siamo in grado di dare una risposta logica del motivo per cui alcuni falchi artigliano la pernice con percentuali più alte e altri invece inseguono in modo più regolare. Credo che il motivo sia legato alla dimensione della mano ed all’altezza alla quale essi volano. A 400mt di altezza ed alla velocità di 300km/h in picchiata, con una pernice che vola a 2mt scarsi dal suolo, sono sicuro che la legata diventa un’impresa pressoché impossibile. Al contrario, colpire anche lievemente la pernice implica una perdita di equilibrio tale da farla cadere a terra in modo fulminante, impattare al suolo e morire sicuramente, soprattutto se urta contro una pietra.
Se stiamo volando un terzuolo, questo è l’unico metodo valido per riuscire a fare una pernice. Legare in volo una pernice non è così facile come sembra e sono molti i lanci che sono falliti, ritrovandosi tra le mani un ciuffo di penne, e lo sanno bene i nostri falchi, che molte volte non hanno alternative, soprattutto in terreni di montagna e arbustivi, laddove stoccare significa spesso non riuscire più a ritrovare il punto nel quale è caduta la pernice.
Uno dei fattori che hanno più importanza nella pianificazione e nell’esecuzione di un lancio sulla pernice, è il vento. Per poco che sia, determina in modo straordinario l’esito del volo. Seppure si tratti di un’ovvietà e i falconieri ne siano consapevoli, in caso di vento dobbiamo sempre servire il falco col vento alle spalle, fattore che a volte non è per niente facile, soprattutto quando ci muoviamo da soli e non abbiamo nessun compagno che si muova a piedi, ma ci dobbiamo provare , per dare una direzione decisa alla brigata di pernici ed evitare che compiano uno scarto laterale. Un buon trucco è quello di iniziare a fare rumore una cinquantina di metri prima di arrivare alla brigata, perché in questo modo solitamente non si involano becco al vento. Se al contrario non saremo in grado di farle involare col vento alle spalle, il lancio che ne risulterà sarà veramente molto difficile e solo un falco maestro avrà qualche speranza, dato che la picchiata del rapace controvento risulta molto lenta e lo fa arrivare sulla pernice senza forza.
Voglio solamente augurare il più grande in bocca al lupo a coloro che decidono di intraprendere la caccia alla pernice e mi auguro che l’esperienza maturata in vent’anni di questo ininterrotto tipo di caccia riportata in queste pagine possa essere loro di stimolo, sostegno ed aiuto. Sono convinto che altri falconieri dalla forma e stile migliori dei miei e anche con differenti opinioni e visioni della tipologia di lancio, possano farlo ugualmente se non addirittura meglio di me, ma il mio desiderio non è altro che quello di dare un contributo nella promozione e diffusione della falconeria spagnola ovviamente come arte cinegetica.
Testo di Luis Mozo
Fotografie di Alejandro Oria e Luis Mozo
Si ringrazia per la traduzione: Iacopo Stefanini
Riproduzione Riservata – Articolo pubblicato sulla rivista di falconeria “La Alcandara” edita dalla AECCA e pubblicato su www.falconeria.org, con il permesso della AECCA Copyright 2015