La Cetrería es no solamente un sistema diferenciado de caza, sino el arte que ha llevado al hombre a la más profunda ylibre alianza con el animal. Por ello hermano halconero, cuando una vez más, ave al puño, al amanecer, salgas a la caza de esa pieza que siempre parece la primera y en verdad puede ser la última, piensa que en tu emoción palpitan y perviven cien mil años de poderosos cazadores.
(Félix Rodríguez De La Fuente )
L’antica arte di cacciare con gli uccelli e di addestrarli a tale scopo, che negli ultimi decenni sta conoscendo una rinascita, si presenta ancora oggi agli occhi dell’uomo come una sfida. La ricerca continua di quel delicato equilibrio che si instaura tra il falco e il suo falconiere è circondata da un fascino particolare, che spinge l’uomo a mettersi alla prova tutte le volte che, lanciato il falco dal pugno, lo osserva prendere quota, indipendente e solitario, libero di decidere se ritornare al pugno del suo compagno, coronando il tacito patto con l’uomo, o se abbracciare invece la libertà. L’alleanza uomo-falco mette alla prova l’impegno dell’uomo, che deve garantire gli spazi ed il tempo necessari al corretto esercizio della falconeria. L’errore umano rompe l’idillio e per evitarlo il falconiere dovrà curare giornalmente quel delicato, emotivo ed esclusivo equilibrio con il rapace, che rappresenta il cuore di quest’arte. Ma quali sono le sue origini, e quali le ragioni di una recente rinascita dell’interesse per la Falconeria ?
Definire una data che sia un faro o una delimitazione, il prima e il dopo in un periodo, è riconosciuta come una fatica improba, in particolar modo in materia di costumi, anche quando ad impegnarsi è uno storico. L’affermazione di una rinascita della falconeria in tempi odierni non può poggiare su sensibilità individuali o speranzose previsioni, ma su dati certi che vanno rintracciati in due scienze “esatte”: statistica ed economia.
La prima evidenzia dal 1960 in poi una crescita graduale, ma consistente, del numero dei falconieri in tutta Europa; la seconda, l’irrobustimento dell’offerta nel mercato dei rapaci riprodotti in cattività.
Negli ultimi anni anche l’esposizione mediatica di questa antica arte è diventata sempre più intensa, quasi a dimostrare la ricerca da parte della stessa di nuovi spazi, di un nuovo equilibrio in un curioso intreccio di passato e futuro.
La ricerca di un nuovo ruolo, stimolante negli interrogativi che pone, deve però confrontarsi con la situazione contemporanea.
Non può esser conflittuale, ad esempio, rispetto a valori preminenti, come la salvaguardia dell’ambiente e delle specie in pericolo di estinzione. Un relitto della cultura medievale si è spiaggiato sulle rive del nostro tempo, e non tutto può esser recuperato, non tutto può esser riproposto.
La tutela delle specie di rapaci protetti è stata posta negli ultimi anni al centro dell’attenzione da parte della Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU), che non ha mostrato particolari simpatie verso le federazioni di falconieri.
L’impiego dei falchi per il bird contol : favorevoli o contrari?
La LIPU ha sollevato infatti una polemica in merito all’impiego dei falchi nelle aree aeroportuali, finalizzato ad allontanare altre specie di volatili, potenzialmente pericolosi per gli aerei nelle fasi di decollo e di atterraggio. Il dibattito è testimoniato da uno scambio di lettere aperte tra il Responsabile Ecologia Urbana della LIPU, Marco Dinetti, ed un rappresentante dell’ AIF (Associazione Italiana per la Falconeria ), Giovanni Goj.
Gli spunti dialettici si articolano dall’esigenza primaria di tutela delle specie coinvolte (siano essi volatili arrostiti nelle turbine dei jet o falchi costretti in cattività) ad una dettagliata spiegazione tecnica sull’efficacia deterrente del falco quale mezzo di controllo e del suo impatto ambientale: nullo. Inoltre la voce protezionista di tale dibattito, si preoccupa di chiarire l’ineluttabilità dell’attrazione fatale fra specie migratorie o svernanti e le aree aeroportuali. Sullo sfondo, e poco menzionato, il problema della sicurezza in fasi di decollo e atterraggio, e l’interesse, o il disinteresse, per la vita umana.
Il primo giugno del 2003 un aereo da turismo privato, un Lear-jet 45, era precipitato poco dopo il decollo nei pressi dello scalo milanese di Linate, provocando la morte dei due piloti a bordo. L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo aveva subito promosso un’inchiesta per accertare le cause dell’incidente, imputabili, a quanto sembra, alla presenza di uccelli considerati nocivi o pericolosi (pest specimen) nella zona. L’ ipotesi che si possa essere trattato di un caso di Bird Strike (impatto con volatili) è confermata dal ritrovamento, nei pressi della pista dei resti carbonizzati di alcuni uccelli.
Nel gennaio 2009, un Airbus A 320 è stato costretto ad un ammaraggio nel fiume Hudson poco dopo il decollo dall’aeroporto La Guardia di New York, per la collisione con uno stormo che ha danneggiato entrambi i motori dell’aereo.
La notizia del primo incidente ha sollevato il dibattito a cui si è accennato sopra tra la LIPU e la federazione dei falconieri italiani. La LIPU ha indicato quali mezzi utili all’allontanamento dei volatili dagli scali aeroportuali l’impiego di cani e dei dissuasori acustici a terra, destinati a riprodurre le vocalizzazioni dei rapaci in caccia o il grido d’allarme delle specie da allontanare. Questi metodi alternativi all’esercizio della Falconeria, più gravosa dal punto di vista economico, e la necessità di proteggere i rapaci dal fenomeno del contrabbando, vogliono escludere in modo definitivo e univoco l’utilizzo di quest’arte per l’allontanamento dei volatili nocivi.
La risposta del Falconiere ha riconosciuto in via indiretta la consistenza dell’impegno economico per l’esercizio del bird contol (l’allontanamento volatili a mezzo falchi) rispetto agli altri metodi indicati dalla LIPU, ma ha altresì chiarito come l’impiego dei cani a terra -“esseri che si muovono in due dimensioni contro animali che ne sfruttano tre” -sia inutile per un allontanamento definitivo in tempi brevi, e come l’utilizzo dei “dissuasori acustici” perda rapidamente efficacia, spegnendosi nella totale indifferenza delle specie destinate all’allontanamento: l’avifauna spaventata si posa semplicemente più lontano, continuando comunque a stazionare nelle aree sensibili o nelle vicinanze dell’aeroporto.
L’esperienza di alcune grandi aree urbane europee, in relazione a storni e piccioni, ha visto infatti riproporsi il disagio dei cittadini nei giorni successivi all’introduzione di questa tecnica di “bonifica”.
Le statistiche presentate da alcuni scali internazionali che impiegano falconi già da lungo tempo evidenziano la bontà della soluzione: si tratta di un metodo naturale ed efficace, che non contempla l’abbattimento della preda ed è quindi anche rispettoso delle risorse dell’avifauna presente sul territorio. Un’altra voce, quella del JFK di New York, illustra invece un impiego per cosìdire critico della Falconeria: determinate condizioni, grandi baie marine con grandi uccelli pelagici, impediscono che l’unica risposta per una bonifica del territorio sia appunto il bird contol . Gli albatri ed altre specie simili per grandezza, o di maggior peso, come i pellicani, non vengono abitualmente cacciate dai falchi in natura, poiché teoricamente impossibili da abbattere. In questi casi specifici è immediato pensare che, se è inutile la stoccata di un falcone, è risibile l’utilizzo di un dissuasore acustico.
La carta d’identità del rapace
La cosiddetta carta d’identità del rapace, è un documento CITES che contiene tutti i dati dell’animale (specie, sesso, numero dell’anello di riconoscimento, dati dell’allevatore, timbro dell’ufficio che lo ha rilasciato) ed è richiesta dal Corpo Forestale dello Stato ai fini della dichiarazione obbligatoria di detenzione del rapace in questione, e ai fini della vigilanza sul territorio, quindi ad ogni incontro col falconiere. I falchi impiegati oggi nell’esercizio della Falconeria, infatti, provengono esclusivamente da centri di riproduzione, che ne garantiscono la nascita in cattività da almeno due generazioni (F2). Al momento dell’acquisto il rapace deve presentarsi dotato di un anello di riconoscimento inamovibile, posto sul tarso, e accompagnato dalla suddetta carta di identità del rapace. Grazie ai numerosi controlli ed alle misure di sicurezza in atto negli ultimi decenni, il fenomeno del contrabbando di rapaci è stato notevolmente arginato.
La Convenzione CITES
Di fondamentale importanza, e garanzia indiscutibile contro il commercio illegale di specie di rapaci, è stata la Convenzione sul Commercio Internazionale di Specie di Fauna e Flora Selvatiche Minacciate di Estinzione, in sigla CITES (Convention on International Trade of Endangered Species of Wild Fauna and Flora), firmata a Washington il 03 marzo 1973 ed entrata in vigore in Italia nel 1980. Il testo della Convenzione, applicata attualmente da più di 160 Paesi, riconosce diversi gradi di protezione a più di 30.000 specie di animali e piante, regolamentando, e ove necessario vietando, il loro commercio, siano essi esemplari vivi o si tratti di parti e prodotti derivati (come ad esempio i giubbotti in pelle o le piante secche). Le specie, o sottospecie, di animali e piante inserite nel programma CITES, che fa parte a sua volta del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), sono elencate in tre Appendici, secondo la differente intensità di tutela: l’Appendice I contiene l’elenco delle specie in grave pericolo di estinzione, per le quali vige divieto assoluto di commercio; l’Appendice II offre una lista delle specie il cui commercio è regolamentato per evitare sfruttamenti incompatibili con la loro sopravvivenza; l’Appendice III presenta un elenco delle specie protette dai singoli Stati, che ne regolamentano l’esportazione dai propri territori.
Varie specie di falconidi e accipitridi, tra cui il Pellegrino, il Falcone di Barberia e l’Aquila di mare, fanno parte dell’Appendice I e possono pertanto essere commercializzati solamente se nati in cattività.
Contrabbando e bracconaggio negli anni ’70 e ’80
La rigida posizione della LIPU riguardo alla necessità di una maggior tutela dei rapaci è
comprensibile, in quanto non immemore dei danni provocati in passato all’avifauna. Gli anni ’70 e ’80 sono stati anni particolarmente critici, in cui si è assistito all’espandersi del fenomeno del contrabbando e al decimarsi della popolazione silvestre, fortemente indebolita dagli effetti provocati dall’uso degli anticrittogamici in agricoltura. I furti delle uova dai nidi e la cattura di nidiacei destinati al mercato illegale hanno inciso sulla popolazione silvestre e sulla disponibilità di uccelli da preda, già numericamente contenuti. Inoltre, trovandosi al ve
rtice della catena alimentare, i rapaci risentono di tutti gli effetti provocati dall’utilizzo di anticrittogamici, che, congiuntamente all’inquinamento ambientale e all’uso del DDT, oggi fortunatamente vietato in molti Paesi, hanno ripercussioni preoccupanti sul ciclo di vita e di riproduzione. Lo spessore del guscio delle uova si assottiglia provocandone la rottura durante la cova e diminuisce la fecondità dell’animale.
A questi problemi si sono aggiunti il bracconaggio e alcune usanze bizzarre, come la pratica
apotropaica che vede riproporsi ogni anno l’abbattimento di decine e decine di Falchi pecchiaioli, durante il transito migratorio sul versante calabrese dello stretto di Messina.
Le prime forme di tutela dei rapaci
Innanzi a tutte queste problematiche,
il Falconiere sembra porsi in chiave antitetica, in primo luogo
in quanto possessore di una specie protetta -e verrebbe da interrogarsi se sottratta alla vita selvatica,in secondo luogo perché forse cacciatore, e quindi destinato ad incidere sulle risorse venatorie del suo territorio. La realtà può essere profondamente diversa.
Storicamente, una fra le prime forme di salvaguardia di specie animali in ambito europeo è da rintracciare nel basso medioevo. I dati giuridici offerti dalle fonti di quel periodo sono
incontrovertibili: i falchi non potevano essere cacciati, e quindi uccisi per la sussistenza alimentare; non potevano essere sottratti dal nido da persone non qualificate; potevano essere impiegati per l’esercizio della caccia solo da alcune categorie di persone, secondo una specifica gerarchia. La tutela offerta era naturalmente figlia del periodo storico: le pene inflitte a chi avesse prelevato dal nido o rubato un falco variavano dall’aver mozzate le mani all’aver cavati gli occhi, fino a venir costretti ad alimentare il rapace con la propria carne; chi avesse invece osato uccidere l’animale rischiava il carcere a vita, come in Francia, o la pena di morte, come in molti altri Paesi. Ai recidivi spettava la forca. Tradizionalmente quindi falconeria e protezione delle specie rapaci sono intimamente connesse, ed è utile notare che sino a che tale tradizione si è mantenuta integra, i falchi sono vissuti sostanzialmente indisturbati nei loro territori.
Il Medioevo: epoca d’oro della Falconeria
Nel periodo che va dall’anno Mille al Quattrocento, la Falconeria , oltre ad offrire il suo aspetto squisitamente venatorio, diventa protagonista in ambito culturale, letterario, politico e di costume e si presenta anche come pratica magica legata alla simbologia del falco e del cavaliere. E’ proprio in questo periodo storico del nostro continente che viene scritto il primo trattato scientifico di ornitologia esistente, il Liber
de arte venandi cum avibus, “L’arte di cacciare con gli uccelli”, dell’imperatore e re di Sicilia Federico II di Hohenstaufen, ed è durante il Medioevo che vengono scritte pagine di letteratura indimenticabili con chiari riferimenti alla caccia col falcone (scene di falconeria sono descritte in opere di Dante, Boccaccio, Brunetto Latini, nel Poema del Mío Cid,nella Celestina di Fernando de Rojas…). La pratica di quest’arte venatoria, e la conseguente presenza dei rapaci a corte è una costante nella vita di dame e cavalieri; ai falchi spetta inoltre un ruolo politico non indifferente (i falchi intervengono nella stipula di trattati, fanno parte della dote negli sposalizi regali, etc.).
Simbologia e pratiche magiche
Il falco (come gli altri rapaci utilizzati nelle cacce al volo, soprattutto astori e sparvieri) è dotato di un organismo perfetto: la sua linea è agilmente compatta, dispone di un organismo concepito dalla natura per la lotta e l’assalto, quasi proiezione dell’ardimento dell’uomo che, restando a cavallo, lancia la propria arma vivente nello spazio del cielo che rimane interdetto alle sue orme terrene: è un animale alto ed aggressivo, simbolo dell’indomabile fierezza del nobile, e, insieme, della sua virilità.
(Trombetti Budriesi 2000: XXXVI)
Questo uccello “di natura selvaggia, che prova somma repulsione per l’uomo” (2000: XXXV) è lo status symbol del nobile medievale. A lui sono attribuite le qualità del cavaliere (coraggio, nobiltà) e su di lui, essere alato, proiettate le ambizioni terrene dell’uomo, prima fra tutte il potere. Il suo corpo, arma da caccia completa, i suoi voli, con quelle picchiate così perfette e precise sulla preda, diventano il simbolo della perfezione, della forza, del coraggio, e anche della nobiltà, della bellezza. La sua figura è circondata da fascino e mistero, storie e leggende si intrecciano attorno a questo essere considerato quasi sovrannaturale e immortalato in meravigliose rappresentazioni iconografiche. Filtri e pozioni diventano abituali nella cura delle malattie del falco e la recita di incantesimi o scongiuri in latino accompagna tutto il periodo dell’allevamento. Citiamo a questo proposito alcune ricette mediche ed alcuni incantesimi suggeriti da Dancus Rex e Magister Guillelmus tratti dal Trattato del Governo delle Malattie e Guarigioni de’ Falconi, Astori e Sparvieri di un volgarizzatore anonimo del secolo XIV.
La seguente ricetta, o forse sarebbe più corretto dire pozione magica, di Maestro Gullielmo, falconiere di Ruggiero II di Sicilia, suggerisce di curare la gotta del falco somministrandogli un pasto a base di cenere di pipistrello precedentemente bruciato, mescolata a della carne di lucertola: (…)
Anco a questo male fae questa medicina: prende lo barbastrello ed ardilo a ciò che ne faci polvere, e quella polvere con carne dilacerte li dae a mangiare infine a tre die; poscia li dona a mangiare carne di becco infine che sie grasso, e fie guarito.
(Magister Guillelmus, cit. in Innamorati 1965: I, 107)
Dancus Rex e Magister Guillelmus suggeriscono di pronunciare il seguente incantesimo durante la muta dei falchi:
Quando l’uccello mette la penna, dei dire questo verso: Volatilia tua sub pedibus tuis . (1965: I, 103)
Il De Arte venandi cum avibus di Federico II
La tradizione nella stesura dei trattati di Falconeria lasciava grande spazio alla medicina falconaria; pagine come quelle citate fanno parte dei maggiori trattati dell’epoca. L’imperatore Federico II di Svevia, grande appassionato di falconeria e abile falconiere egli stesso -passione forse ereditata dal nonno Barbarossa -ben conosceva i trattati degli scrittori più noti ed autorevoli, l’arabo Moamin ed il persiano Ghatrif. Aveva promosso egli stesso la traduzione dei loro testi di falconeria, collaborando con i traduttori di corte alla stesura della versione latina;li aveva studiati con attenzione e fatto tesoro dei loro insegnamenti. Non soddisfatto di quanto appreso dedicò molto del suo tempo ad uno studio personale ed ancor più approfondito dell’arte della falconeria, mettendo in pratica personalmente nuove tecniche di addestramento, cercando di perfezionare quelle già conosciute e osservando attentamente i propri falconi durante le battute di caccia. La sua spiccata curiosità per il mondo naturale, la sete di conoscenza (si autodefinì “vir inquisitor sapientiae et amator”) ed il suo grande spirito d’osservazione lo spinsero in seguito a comporre egli stesso un trattato di falconeria. L’intento era quello di scrivere un libro incentrato sull’addestramento e sulla caccia col falcone, tralasciando la parte medica, già esaustivamente trattata negli scritti del periodo. Il risultato sorprendente è un vero e proprio trattato di ornitologia, redatto con profondo rigore scientifico: più di 500 anni prima di Linneo, Federico II fu il primo ad introdurre l’uso della nomenclatura binomia per designare le diverse specie di uccelli, e ad utilizzare il terzo nome per l’indicazione della sottospecie: il “falco lanarius” o “falco lanerius” di Federico corrisponde a quello che oggi chiamiamo lanario (Falco biarmicus); la distinzioneche l’imperatore opera tra il “falco gentilis peregrinus” e il “falco gentilis absolute” corrisponde all’attuale distinzione tra il pellegrino del nord (Falco peregrinus peregrinus) e la sottospecie indigena dell’Europa centrale (Falco peregrinus germanicus), cfr. Trombetti Budriesi 2000: XCVI-XCVII; 1124-1132.
L’innovazione del trattato non si limita a questo; l’“imperatore-intellettuale”, con il suo “atteggiamento moderno, polemico e propulsivo” (Innamorati 1965: I, 5) è forse anche il primo a permettersi di contraddire la classificazione aristotelica degli animali in acquatici e terrestri, preferendo suddividerli, “sulla base dell’esperienza, ed assumendo, in certo senso, la terminologia del linguaggio parlato, in acquatici, terrestri ed intermedi, fornendo, di tutti, esempi e classificandoli per generi differenti e per specie differenti (all’interno) dei generi” (Federico II di Svevia, cit. in Trombetti Budriesi 2000: 18).
Il Liber de arte venandi cum avibus è un’opera di grandissima importanza non solo storica, ma anche tecnica: i sei libri nei quali si divide contengono innumerevoli indicazioni, consigli e descrizioni delle tecniche di allevamento, addestramento e caccia col rapace, offerte con una chiarezza ed un’accuratezza nei dettagli tale da poter essere considerato attuale dopo quasi otto secoli dalla sua composizione. Dopo aver letto le descrizioni delle attrezzature necessarie all’allevamento e all’addestramento dei rapaci (posatoi, tornetti, filagna, lunga, guantone, logoro, etc.) ed averne compreso la funzione, qualsiasi aspirante falconiere dei giorni nostri potrebbe cimentarsi nella costruzione di pertiche, blocchi (posatoi per il falco), carnieri medioevali (borsa in cui il falconiere ripone le carni da dare al falco e altri oggetti) o geti(lacci di cuoio legati alle zampe del falco, che permettono di trattenere l’animale sul pugno del falconiere o di gettarlo contro la preda) non meno funzionali di quelli confezionati nell’era industriale.
Non si deve dimenticare che Federico II, oltre ad introdurre e diffondere l’arte della falconeria in Italia, fece proprio l’uso orientale del cappuccio durante il periodo di addestramento per tranquillizzare il falco, rendendo questa fase di approccio con l’animale meno crudele: tradizionalmente si usava infatti “cigliare”, o, come suggerisce l’imperatore “bloire” il falco.
L’operazione consisteva nel cucire le palpebre dell’animale per poi allentare gradualmente la chiusura della sutura con l’avanzare del livello di addestramento. Come precisa Trombetti Budriesi, nell’introduzione al De Arte venandi cum avibus , il falco è un animale che “prova somma repulsione per l’uomo” e che “necessita pertanto di un lungo processo di acculturazione”. Nel secondo libro del trattato, Federico II spiega che la funzione della cigliatura è quella di evitare che il rapace, identificando l’uomo, per cui prova avversione e terrore, diventi irrequieto, e, cercando di fuggire, si ferisca perché legato. L’imperatore lascia intendere più volte che è necessario prendere con cautela la decisione di allentare la cigliatura, valutando con estrema attenzione il livello di addestramento del rapace, perché la natura selvaggia del falco riemerge con facilità e con altrettanta facilità la sua proverbiale “indomabile fierezza” potrebbe spingerlo a spiccare il volo verso la libertà.
“Si evince quindi che il rapporto uomo-falco si basa su un equilibrio estremamente fragile, difficilissimo da raggiungere ed altrettanto difficile da mantenere. L’ultima parola spetta sempre a lui, il signore dei cieli, che può decidere di ritornare al pugno del suo falconiere o di rendersi inafferrabile alle intenzioni terrene dell’uomo. E all’uomo non resta che affidarsi al proprio ingegno, alla propria sensibilità per addestrare il rapace al punto da farlo volare libero in cerca della preda, per poi liberamente tornare a posarsi sulla sua mano; è con la sola superiorità dello spirito, non con la forza, che si può domare l’indomabile, ed è questo che rende l’arte di cacciare con gli uccelli più nobile e più degna,“nobilior et dignior”, degli altri tipi di caccia.”
Letteratura e Falconeria
Il falco affascinò o quanto meno attirò l’attenzione di studiosi e letterati, scrittori e poeti, che immortalarono scene di caccia col falcone o semplicemente ricordarono l’esistenza di quest’arte antichissima, chiamata falconeria, all’interno delle loro opere. Come abbiamo già accennato, quella del falco era una presenza costante, immancabile nella società medioevale, nella vita del nobile di corte, per il quale il falco rappresentava uno dei beni più preziosi, in quanto simbolo del potere e della ricchezza. Fotografando scene di vita medioevale, ecco quindi che poeti, letterati, scrittori decidono di immortalare anche questi esseri alati, che già presentano in se stessi un che di eterno; nelle corti si recitano le note “cacce in rima”, composizioni poetiche e musicali metricamente affini al madrigale, in cui è per lo più scritta o rappresentata una scena di caccia.
Folgore da San Gemignano, nella sua “corona” di sonetti detta “dei mesi” ed in quella “dei giorni della settimana” associa la presenza dei rapaci a momenti di “diletto” ed “allegrezza”: “Di settembre vi do diletti tanti/ falconi, astori, smerletti, sparvieri/ lunghe, gherbegli, geti con carnieri/ brachette con sonagli,pasto e guanti (…)” (cit. in Innamorati 1965: I, 122).
Boccaccio fa’ del falcone (alter ego del nobile medioevale) un personaggio di due novelle del Decameron, la nona della quinta giornata e la nona della settima giornata. Nella prima (V-9) il nobile falcone viene immolato quale ultima e unica ricchezza rimasta a Federigo degli Alberghi e offerto in pasto a monna Giovanna, ignara di mangiarsi proprio il rapace che era andata a chiedere in dono per il figlio malato. Nella seconda (VII-9) lo sparviero del nobile, vecchio ed impotente Nicostrato viene barbaramente ucciso sotto i suoi occhi dalla moglie Lidia, decisa a beffarsi della sua impotenza, dando allo stesso tempo una prova d’amore all’amante Pirro, il servitore di Nicostrato. Il sacrificio dei due rapaci è fortemente legato alla simbologia dell’animale, “attributo altamente significativo del proprio status sociale” (Trombetti Budriesi 2000: XXXV), segno di potere, nobiltà, forza, virilità. Durante tutto il Medioevo il falco diviene stabilmente e pregnantemente emblema di nobiltà d’animo, e araldica.
Il falco è presente anche in alcuni canti della Divina Commedia. Dante mostra di conoscere la falconeria e le tecniche di addestramento del rapace, citando il volo del falcone in alcuni passi dell’Inferno ed inserendolo all’interno di similitudini memorabili, come quella di queste terzine:
Come ‘l falcon ch’è stato assai su l’ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,
discende lasso onde si move isnello,
per cento rote,e da lunge si pone
dal suo maestro,disdegnoso e fello;
così ne puose al fondo Gerïone
al piè al piè de la stagliata rocca,
e, discarcate le nostre persone,
si dileguò come da corda cocca.
(Inf. XVII: 127-136)
Gli scrittori italiani non sono i soli ad inserire riferimenti venatori nelle loro opere; la fortuna letteraria del falco non conosce frontiera.
Kriemhilde sogna di addomesticare un falco (stiamo parlando della saga dei Nibelunghi); i dieci re invitati da Re Artù alle nozze tra Erek e Enide (nell’ Erek di Hartmann von Aue) si presentano a cavallo col loro falco in pugno.
E chi non ricorda le lacrime del Cid Campeador , Rodrigo Díaz de Vivar, in partenza per l’esilio? L’incipit del primo grande poema epico spagnolo canta il dolore di un uomo che per prima cosa si ricorda di essere falconiere: lo sguardo di Rodrigo, rivolto alle voliere vuote, ai posatoi abbandonati, tradisce il legame che lo lega ai suoi falchi:
De los ojos tan fuertemientre llorando,
tornaba la cabeça i estábalos catando.
Vio puertas abiertas e uços sin cañados,
alcándaras vazias sin pielles e sin mantos
(5) e sin falcones e sin adtores mudados.
Sospiró mio Çid, ca mucho habié grandes cuidados.
(ed. Lázaro & Tusón 1988: 33)
I rapaci a corte: la gerarchia sociale
In tutte le corti europee falchi, falchetti, smerigli ed altri rapaci attiravano l’attenzione di cavalieri, principi, baroni, re e regine; il dono di un falcone era una tecnica di corteggiamento molto apprezzata dalle dame di palazzo, basti pensare che i falchi, come già accennato, venivano offerti come dote di nozze negli sposalizi regali. Ogni gradino della scala sociale aveva come simbolo del proprio rango un rapace: l’aquila reale era riservata all’imperatore; il girfalco era prerogativa del re; il falcone gentile spettava al principe; il pellegrino femmina ai duchi e ai conti; il terzuolo di pellegrino (il pellegrino maschio, di dimensioni di 1/3 inferiori a quelle della femmina) al barone; il falco sacro al cavaliere; il lanario al nobile di campagna; lo smeriglio alla dama; il lodolaio ai paggi. Ai piccoli proprietari terrieri era destinato l’astore femmina, l’astore maschio era assegnato ai poveri, la femmina di sparviere ai preti ed il moschetto (lo sparviere maschio) ai chierici di rango inferiore.
Diplomazia e politica: il ruolo del falcone
Carico della sua simbologia il falcone svolgeva un ruolo politico di prim’ordine: una delegazione di falconieri era presente durante la stipula di importanti trattati e in più di un’occasione si rivelò fondamentale per una soluzione pacifica di controversie tra regnanti. L’esempio più eclatante del valore che non solo i popoli d’Occidente ma anche quelli d’Oriente attribuivano al falco e all’arte della falconeria è senza dubbio la tregua chiesta ed ottenuta, in piena crociata, durante la battaglia di Tolemaide, dal monarca francese Filippo Augusto: il suo girfalco preferito era andato a posarsi all’interno del baluardo nemico e per permettergli di recuperarlo i fedeli della mezzaluna accettarono di sospendere lo scontro. Il riscatto pagato sarebbe bastato per liberare più di cinquecento prigionieri cristiani.
Tre secoli più tardi, reduci anch’essi dalle crociate, i Cavalieri di San Giovanni invieranno in dono un falcone a Carlo V re di Spagna, quale ringraziamento per aver concesso all’Ordine, rimasto senza sede dopo la disfatta di Rodi, l’isola di Malta, Gozo e la base di Tripoli.
L’impiego strategico del falcone nei rapporti diplomatici si è dimostrato così efficace da essere riproposto ai giorninostri: solo qualche decennio fa il celebre falconiere e naturalista Félix Rodríguez de la Fuente saliva a bordo di un aereo in compagnia di due falchi pellegrini, dono della corona di Spagna al monarca saudita Saud Ibn Abdul-Aziz.
Uno sguardo alle origini: dal II Millennio a. C. alle Crociate
L’incontro-scontro tra Oriente e Occidente nel periodo delle crociate modificò inevitabilmente i rapporti tra le due culture, favorendo gli scambi ed arricchendo le conoscenze di entrambi gli schieramenti. Questo periodo storico significò l’incontro tra i due grandi filoni della Falconeria, quello orientale e quello nordico: sebbene gli studiosi concordino nel situare le origini di quest’arte in Asia, intorno al II millennio a.C., i primi contatti dei popoli europei con la falconeria si devono probabilmente alle invasioni barbariche. Le tribù dei popoli germanici praticavano infatti una sorta di rudimentale basso volo (tipo di caccia esercitata in zone boschive ed effettuata storicamente con l’impiego di astori e sparvieri, grandi inseguitori, capaci di rincorrere la preda fra i rami degli alberi riuscendo a raggiungerla e bloccarla con estrema rapidità), tecnica che ben si conciliava con le caratteristiche geologiche delle terre da loro abitate.
Il reperto più antico che attesta l’esercizio dell’arte della falconeria è un bassorilievo rinvenuto tra le rovine della città mesopotamica di Khorsabad, raffigurante un uomo con un falco in pugno e datato intorno al 1400 a .C.
Resti iconografici a tema falconario sono stati scoperti anche in Turchia ed in Cilicia: un bassorilievo recuperato nelle rovine di Bogazkab rappresenta un falconiere con un rapace sul pugno destro, intento a sorreggere la lunga con la mano sinistra ( 1300 a .C.); una stele ittita datata intorno al XIII sec. a.C. riproduce la figura dello scriba Tarhunpiya bambino, che prende in mano i geti di un falcone posato sul suo blocco.
Altri reperti archeologici provengono dall’arte assira e da quella greca. Intorno al VI sec. d.C. viene trovato nella cosiddetta “Villa del Falconiere” di Argos, nel Peloponneso, un mosaico raffigurante, con dovizia di dettagli, scene di caccia col falcone. E’ forse questa la prima testimonianza dell’esercizio di quest’arte in Europa.
La prima metà del secolo VIII, segnata in Oriente dal califfato abbasside di Baghdad, rappresenta “l’età d’oro della caccia al volo nel mondo islamico” (Trombetti Budriesi 2000: XXII). E’ durante questo periodo che si realizza la stesura dei due primi e più significativi trattati di falconeria in lingua araba, punto di riferimento per gli studiosi di cinegetica orientali e ispirazione degli scrittori occidentali nei secoli successivi. Il primo è il trattato di falconeria di al-Ghitrif ibn Qodama al-Ghassani, conosciuto in Occidente come Ghatrif. Gran falconiere del decimo califfo ommayade di Damasco, Hicham ibn ‘Abd el-Malik (724-743), e del primo califfo abbasside, elaborò la sua opera tra il 783 e il 785. L’altra opera di considerevole importanza è il Kitab al-mutawakkili (Trattato di Falconeria) del famoso medico Abou Zayd Hounayn ibn Ishaq al-‘Ibadi, conosciuto come il Moamin . La versione più fedele del trattato “è contenuta nel Kitab al-djawarih ( Trattato sugli uccelli che cacciano al volo ) dovuto ad al-Hadjdjadi ibn Khaythama, compilato durante il califfato di Haroun al-Rachid (786-809)” (Trombetti Budriesi 2000: XXIII).
Nel 1116 viene realizzato quello che si considera il più antico ricamo arabo che si conosca in tutto il mondo: un manto regale con medaglioni ricamati in seta ed oro recanti varie raffigurazioni, tra cui cavalieri e falconieri che portano in pugno il loro rapace pronto alla caccia. Il tessuto, proveniente dalle manifatture arabo-ispane di Almería e conservato attualmente nella sacrestia della Cattedrale di Fermo, è stato utilizzato per farne un paramento sacro ed è noto come la “Casula di S. Tommaso Becket”. Fu proprio il santo martire inglese, secondo antiche fonti, a donarlo al vescovo di Fermo, Presbitero, suo amico e compagno di studi all’Università di Bologna.
L’incontro tra le due tradizioni, quella orientale e quella occidentale durante il periodo delle crociate produrrà una evoluzione tra le tecniche di caccia e di addestramento. Nella falconeria occidentale vi sarà l’introduzione del cappuccio, scomparirà gradualmente la cigliatura, saranno perfezionate le tecniche di caccia, in funzione delle differenti prede, e si sostanzierà un travaso di esperienze. Questo scambio sarà reso patrimonio stabile da Federico II.
L’imperatore si preoccupò di riunire i migliori maestri dell’arte, provenissero anche dalla Terra Santa o dall’oriente, presso la sua corte, proponendo un’esperienza culturale senza alcun possibile paragone nei periodi storici successivi. Un centro di ricerca multietnico, professionale, produttivo di stimoli e spunti scientifici sviluppati nel De arte venandi cum avibus.
Nell’ arco di tempo attraversato dalle crociate, ampio in verità, si codifica e si impone la differenziazione gerarchica delle differenti specie di rapaci.
L’aneddoto dell’imperatore Federico II (novella XC del Novellino ), costretto a giustiziare il suo falco preferito, un girfalco, perché “avea morto lo suo signore”, un’aquila, è esemplificativo dell’impossibilità a perdonare il tradimento del vassallo più alto in rango (il girfalco), verso l’imperatore (l’aquila). Non è casuale la scelta del giustiziere, il boia, per la decapitazione del girfalco.
L’incontro delle due tradizioni non comporterà la loro fusione. Permarranno differenze metodologiche notevoli, come l’utilizzo frequente delle albanelle nella falconeria mediorientale, che non saranno assimilate.
Il Quattrocento, secolo del Magnifico
La migliore interpretazione dell’arte della falconeria, durante il Quattrocento è legata alla figura di Lorenzo il Magnifico. Grande nelle sue passioni, accorto politico, oggetto delle attenzioni non proprio benevole degli altri signori dell’epoca, ha legato la sua figura alle grandi partite di caccia quattrocentesche, lasciando testimonianza di questo suo interesse in un lungo ed impaziente carteggio intrattenuto con i nobili del tempo. Citiamo ad esempio una lettera indirizzata al duca Ercole D’Este, il 9 gennaio 1482, in cui Lorenzo de’ Medici chiede con urgenza due falchi “boni da aironi”. Il magnifico è anche inconsapevole argomento epistolare fra Angelo Poliziano e Clarice Orsini, per la sua predilezione nei confronti di un pellegrino, pronto al richiamo del logoro.
Il signore di Firenze non costituisce un’eccezione nel panorama della penisola, il clima culturale e storico è l’humus che nutrirà le grandi cacce del Cinquecento, ma è senza dubbio il più composto, il più solenne, e di maggior rilievo.
Le grandi cacce signorili del Cinquecento
In questo periodo si raggiunge “il vertice della grandiosità spettacolare”, citando Innamorati, poiché confluiscono elementi di mondanità tipici delle feste a corte, e un gusto scenografico per i luoghi e le strategie di caccia che mai più si ripeterà. E’ una dimostrazione di sfarzo, di ricchezza, ed un esercizio di gusto e sensibilità individuale, che trova coinvolti tutti i maggiori personaggi del periodo. Leone X, gli Este, i Gonzaga, che gareggiano per rendere tali cacce indimenticabili e oggetto di pettegolezzo e invidia nelle altri corti europee.
L’avvento delle armi da fuoco e il declino della Falconeria
Il declino della falconeria è direttamente collegato all’avvento e alla diffusione delle armi da fuoco, che costituiscono nella caccia un mezzo più rapido e sicuro per assicurarsi risorse alimentari; quali concause, possiamo menzionare la maggior estensione dei coltivi, l’accresciuta pressione demografica, e la diminuzione della selvaggina. Fattori tecnici connessi ad uno culturale: in tutte le corti europee si costituiscono centri importanti di allevamento e di addestramento, le cui fondamenta erano potenti ed esclusive scuole di allevatori. Questi ultimi, costituiti in casta, difendevano con tutti i mezzi a loro disposizione i privilegi acquisiti, trasformando l’addestramento in un prolungato e indefinito approccio di formazione per il falco, nel tentativo, riuscito, di rendersi indispensabili. Queste considerazioni riportate nell’antologia di Giuliano Innamorati, lasciano intuire come la rivoluzione delle armi da fuoco, abbia segnato il declino della tradizione falconeria, sclerotica, e incapace di reinterpretarsi per sopravvivere. La comparsa di moschetti e pistole nel sec. XVI, unitamente agli altri fattori, causerà una lenta asfissia e l’arte della falconeria perderà il suo splendore, per poi venir riscoperta secoli più tardi.
L’impronta del falconiere
Le polemiche e le accuse, fra le associazioni ambientaliste e le associazioni di falconeria sono ancora lontane dalla conclusione, ed una prospettiva “terza”, il più possibile imparziale su tanta contesa, valuta positivamente la strada sin qui percorsa. I falconieri non possono più essere tacciati di contrabbando, il documento CITES, applicato, lo rende impossibile. Da ciò tutti hanno tratto vantaggio: depredare nidi costituiva una condotta deprecabile, oltre che pericolosissima per le specie coinvolte. Oggi i centri di riproduzione soddisfano la domanda del mercato, composto da soggetti che non si improvvisano esperti, ed esemplari vincitori di competizioni assicurano linee di sangue molto apprezzate.
Il concetto di falconeria, nei suoi millenni di storia, ha naturalmente subito delle modificazioni. Al giorno d’oggi i falconieri che praticano l’arte venatoria sono un numero esiguo rispetto al numero totale. Per i falconieri disinteressati all’attività venatoria, l’esercizio al logoro, o al pugno, è il simulacro della caccia con il loro compagno e se si obietta come “contra naturam” questa condotta, essendo i rapaci animali predatori che cacciano per istinto, vale la pena ricordare che la consuetudine fra falco e uomo in Europa ha solo 1600 anni, ed è continua la ricerca di equilibri e interazioni migliori, ma le esperienze pregresse, rispetto ad un’ipotetica perfezione, devono pur esser compiute. Il falconiere incappuccia il suo falco, ed è contento dell’espressione del volo del suo pellegrino, o del suo lanario, o di entrambi, se privilegiato. La giornata è conclusa, il carniere scarso, o vuoto. Non si può addebitare loro la dispersione nell’ambiente di tonnellate di piombo, i pallini esplosi. L’impronta del falconiere, se espressa in queste modalità, è sull’ambiente circostante leggera, e rispettosa della selezione naturale nel prelievo venatorio.
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© IsabellaOss Pinter 2009
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