Considerazioni sul modo di caccia del falco di Harris in confronto all’astore

Premesso che, per ragioni anatomiche, il volo del falco di Harris è comunque più lento di quello dell’astore, almeno in linea

Premesso che, mentre tutti i falconieri con astore fanno partire il falco dal pugno con cane in ferma sul selvatico, la stragrande maggioranza dei falconieri con l’Harris lasciano il falco libero di posizionarsi sugli alberi in attesa del frullo, quindi per il falco la partenza dal pugno è innaturale

Premesso che nell’Harris la paura del cane (salvo rare eccezioni, e solo con “quel” cane) è un tratto altamente congenito

astoreAttacco tipico dell’astore:

Il falco, al frullo, segue pancia a terra il selvatico ( a 1-2 metri dal suolo), per poi agganciarlo al volo da dietro e da sotto, con una rotazione del corpo di quasi 180°.

Tale attacco ottiene un triplice effetto :

1)      “tiene in aria” il selvatico, che, sentendosi minacciato da dietro e da sotto, rinuncia a posarsi anche se stremato

2)      favorisce le prese “al volo”

3)      ottiene voli più lunghi

 falco di harris

Attacco tipico del falco di Harris

Il falco, al frullo,si mette in quota (a 5-10 metri dal suolo) dietro al selvatico; ne risultano due possibilità:

a)      il falco aggancia a terra il selvatico stremato (che cerca riparo sul terreno) con una lunga picchiata obliqua

b)      il falco raggiunge sempre in quota il selvatico, che, minacciato dall’alto, si butta immediatamente a terra; a questo punto il falco, sorpassata la preda, la

schiaccia a terra dopo avvitamento e volè

Tale attacco ottiene un triplice effetto:

1)      “porta a terra” il selvatico prematuramente

2)      sfavorisce le prese “al volo”

3)       ottiene voli più corti

A mio parere, la conoscenza dell’etologia del rapace dovrebbe portare a giudizi più obbiettivi in sede di competizioni di falconeria.

Engel Simonelli

Telemetria o radio scanning

Da qualche tempo si nota un continuo ma progressivo cambiamento nell’uso delle apparecchiature da radiotracking da parte dei falconieri italiani. Sempre di più sono, infatti, coloro che scelgono di usare come ricevitore uno scanner portatile piuttosto che il classico radio ricevitore. Poiché molte persone ultimamente mi hanno contattato per conoscere il mio parere su queste apparecchiature, ho deciso di scrivere quel poco che so e renderlo pubblico attraverso quest’articoletto.

Intanto vediamo che cosa è uno scanner radio.

COS’ E’ UNO SCANNER

Lo scanner è un normale radio ricevitore,Radio Scanner così detto perché in grado di ricevere un’ampia banda di frequenze radio. Posto che un Herz  (Hz) è l’unità di misura delle onde radio e che KHz= migliaia di Herz, MHz= milioni di Herz e GHz= miliardi di Herz, mentre un normale ricevitore radio riceve su una singola frequenza (per es. 216 MHz) magari dividendola in 100 canali da 10 KHz ciascuno, invece uno scanner radio è in grado di ricevere molte bande di frequenza per es. da 1MHz a 1000 MHz e anche esso è in grado di suddividere ogni MHz ricevuto in canali (10 o 100 ecc.).

Gli scanner si suddividono poi in tre categorie: a) Da tavolo b) Digitali e c) Portatili. Per la falconeria sono usati solo quelli portatili (quelli da tavolo sono troppo ingombranti e quelli digitali sono delle piccole schede da usare su computer portatili, ma comunque scomodi da usare sul campo in una battuta di falconeria, premesso che anche gli scanner da tavolo o quelli portatili sono interfacciabili con i computer).

 

Fig. 1. Scanner Icom IC-R10 portatile. Notare l’antenna omnidirezionale in dotazione.

 

VANTAGGI DEGLI SCANNER

Vediamo adesso perché tanti falconieri preferiscono usare lo scanner portatile piuttosto che un comune ricevitore da falconeria. Se lo fanno ci saranno dei motivi e cioè:

1)      Gli scanner sono più economici dei classici ricevitori in quanto il loro prezzo non supera mai il milione. Anzi il modello attualmente migliore costa attualmente poco più di 700.000 lire (cui si dovranno aggiungere altre 100.000 lire circa per l’antenna Yagi direzionale), mentre per un comune ricevitore da falconeria si deve affrontare una spesa circa doppia (1,5 milioni).

2)      Gli scanner sono più piccoli e maneggevoli. I modelli portatili, infatti, sono poco più grandi di un telefonino (vedi Fig.1) e dunque leggeri e tascabilissimi grazie alle nuove tecnologie elettroniche con cui sono costruiti

3)      Trattandosi di apparecchiature digitali è possibile anche collegare gli scanner portatili ad un computer (fisso o portatile) e attraverso un apposito software d’interfaccia è possibile avere sia un controllo remoto del radio ricevitore sia un’automatizzazione nella raccolta dei dati. Di quest’applicazione comunque ne parlerò meglio dopo.

4)      Gli scanner hanno le stesse funzionalità dei classici ricevitori: 10-25-50-100 o fino a 1000 canali, attenuatore, jack per cuffie, schermo illuminato, indicatore di batterie scariche, batterie ricaricabili, indicatore d’intensità del segnale, memoria ecc. Anzi per alcuni modelli si può tranquillamente dire che hanno anche delle funzioni aggiuntive (grazie al fatto che trattasi di apparecchi di elevato livello elettronico) che li rendono anche migliori di molti ricevitori classici oggi in commercio usati dai falconieri.

5)      Quest’ultimo motivo c’entra poco con la falconeria ma è comunque valido: proprio perché gli scanner sono in grado di ricevere un’ampia gamma di onde radio, essi possono essere usati anche per ascoltare (o vedere nel caso degli scanner portatili dotati di schermo a colori a cristalli liquidi) anche altre bande per es. radio, televisione ecc. rendendosi quindi utili anche in altre circostanze.

Fig.2 Da sinistra: antenna Yagi direzionale, antennino omnidirezionale in dotazione con lo scanner, scanner portatile con cuffiette. In alto: ricevitore classico. Notare la facilità di attacco della Yagi allo scanner e le ridotte dimensioni di esso a confronto con il ricevitore portatile.

 

Fig.3

Fig.3 Schermata di selezione del ricevitore nel programma d’interfaccia VisualRadio per          Windows.

 

SVANTAGGI DEGLI SCANNER

 

Gli scanner però hanno anche degli svantaggi rispetto ai ricevitori classici. Tali svantaggi devono essere tenuti in considerazione e solo da un loro equilibrato giudizio dipenderà la nostra scelta. Diciamo che dei due svantaggi che presentano quello grave è uno solo perché l’altro è facilmente risolvibile:

1)      Delicatezza: si tratta, infatti, di apparecchi elettronici abbastanza delicati anche perché non sono stati costruiti per un uso sul campo (come quello che si fa in falconeria) per cui non sono impermeabili, resistono poco agli urti e le batterie ricaricabili durano poche ore. Ma come dicevo prima questi problemi sono facilmente risolvibili, per esempio, dotando il proprio scanner di un foderino che lo protegga dagli urti e dalla pioggia e portandosi appresso anche un secondo set di batterie non ricaricabili di emergenza (di solito quattro stilo che dunque occupano poco spazio e sono leggere)

2)      Questo secondo svantaggio invece è il peggiore e praticamente è l’unico svantaggio vero degli scanner (perché il primo è risolvibile). Infatti, questi apparecchi, proprio perché in grado di ricevere un’ampia banda di frequenze, hanno anche una ridotta sensibilità rispetto ai comuni ricevitori radio. Che cosa vuol dire? Se il mio ricevitore radio (Mariner M57 della Biotrack) ha una sensibilità di 1 μV (=microVolt , il Volt è l’unità di misura della potenza di un’onda radio) e il mio scanner (Icom IC-R10) ha una sensibilità di 2,5 μV, secondo voi chi è più sensibile? In altre parole chi è in grado di percepire meglio a maggiore distanza il debole segnale di un trasmettitore? La risposta è che il ricevitore classico essendo sensibile a segnali fino a 1 microvolt riesce a percepire anche le onde più deboli mentre lo scanner che ha una sensibilità 2,5 volte minore percepisce solo segnali radio che hanno una forza superiore ai 2,5 microvolts. E visto che la potenza del segnale generato da un microtrasmettitore montato su un falco cala all’aumentare della distanza (ma è influenzata negativamente anche dagli ostacoli che si frappongono) da ciò si deduce che il ricevitore classico assicura una maggiore efficacia nel sentire e seguire il segnale radio di un falco che si è allontanato. Purtroppo questo problema non è risolvibile, poiché è una caratteristica intrinseca degli scanner stessi il cui quarzo deve essere in grado di ricevere una grande varietà di segnali radio perdendo dunque in sensibilità.

SCANNER O RICEVITORE CLASSICO?

Allora è questa la domanda finale che ci poniamo: conviene comprare uno scanner che ci dà i vantaggi sopraelencati oppure un ricevitore classico da falconeria che è più sensibile anche se costa di più e non ci da gli stessi vantaggi dello scanner?

Le risposte sono due: a) Comprarli entrambi  b) Scegliere in funzione del rapace si sta usando.

Ma vediamo le due strategie singolarmente:

a)      Nel primo caso mi sembra un’ottima idea possederli entrambi. Useremo lo scanner abbinato ad una piccola Yagi portatile (pieghevole a tre elementi) da tenere entrambi addosso sfruttando così la portabilità di questa apparecchiatura; ma terremo sempre in macchina il ricevitore classico da falconeria con la sua bella Yagi a 5 elementi che ci garantirà la migliore ricezione del segnale nei casi estremi. Appena il falco si allontana possiamo già ricevere il segnale sullo scanner (che comunque, in media, abbinato ad una buona trasmittente copre distanze nell’ordine di una decina di km) che abbiamo addosso, e , se la situazione si fa critica, torniamo in macchina (anche perché se il rapace si è allontanato troppo non possiamo seguirlo a piedi) e accendiamo il ricevitore più potente (che deve anche avere un’antenna idonea, appunto una grossa Yagi a 5 o più elementi). Ma lo scanner è utile anche quando, da soli, stiamo tracciando un falco dalla macchina, poiché le sue piccole dimensioni e le piccole dimensioni anche dell’antenna ci permettono di maneggiarlo comodamente anche all’interno dell’abitacolo dell’auto; e inoltre potremo fare uso anche dell’antennino omnidirezionale (che cioè riceve da tutte le direzioni) in dotazione con lo scanner, nelle fasi in cui stiamo cercando il segnale e una volta trovatolo agganciare la Yagi e cercarne la direzione.

In conclusione questa soluzione vede l’uso dello scanner come una radio estremamente portatile da usare in quei casi in cui non è richiesta una forte sensibilità.

b)      La seconda soluzione alla domanda posta è di scegliere tra i due in base al rapace che si sta usando. Se un falconiere va a caccia con uno sparviere, non avrà sicuramente bisogno di una radio potente e sensibile come il ricevitore classico e potrà benissimo fare uso dello scanner poiché lo sparviere (come l’astore, l’Harris o il gheppio comune o americano o tutti gli strigiformi) normalmente non tende ad allontanarsi di molto dal punto di perdita a maggior ragione per il fatto che si tratta di una specie arboricola. Stesso discorso vale anche per il gheppio americano o per un barbagianni ecc. Forse l’unica eccezione è costituita dall’astore visto che esso può spostarsi in un grande bosco anche per diversi km e inoltre trovandoci in zona boscosa sicuramente un ricevitore più sensibile darà una migliore mano di aiuto. Per l’Harris invece non dovrebbero aversi grossi problemi. La maggioranza dei falconieri le vola senza radio proprio perché trattasi di rapaci difficili da perdere e se si allontanano non lo fanno per molti km, ma è sempre meglio taggarle (cioè dotarle di microtrasmittente) e per i motivi suddetti si può tranquillamente usare uno scanner come ricevitore.

Ovviamente se state facendo volare un pellegrino o un ibrido, lo scanner non vi dà la sicurezza di un ricevitore specifico perché i Falchi sono rapaci che in poche ore riescono a percorrere decine di km (tempo fa recuperai a Bologna un lanario perso due gg prima a Firenze) per questo sarà comodo portarne uno nel gilet per seguire il rapace appena si allontana ma se la situazione si fa critica dovete avere con voi (in macchina) un ricevitore specifico che vi garantirà maggiori performance di sensibilità e quindi maggiori possibilità di trovare anche un debole segnale a decine di km di distanza.

L’ANTENNA

Al prezzo base dello scanner bisognerà aggiungere anche un centinaio di mila lire (di solito anche meno) per acquistare una Yagi idonea. Come abbiamo detto prima uno dei vantaggi degli scanner è la loro ridotta dimensione e quindi la loro trasportabilità. Per questo sarebbe un controsenso abbinarvi una grossa Yagi. Quando comprate uno scanner questo sarà dotato di casa di un antennino omnidirezionale che vi sarà molto comodo nelle fasi di ricerca del segnale ma che non permette di tracciare la direzione di provenienza del segnale. Ecco perché avrete bisogno di acquistare una piccola Yagi. Normalmente si possono far costruire da personale esperto ma se non conoscete nessuno potete contattare la Biotrack inglese che offre questo servizio o mandatemi un e-mail e vi metterò in contatto io con un buon costruttore di antenne. In ogni caso bisogna sapere che l’antenna che dovrete procurarvi dovrà essere specifica per la frequenza che state usando nelle vostre trasmittenti altrimenti perderete ulteriormente in sensibilità. Dunque se avete una trasmittente da 216 MHz dovrete farvi costruire una piccola Yagi a 3 elementi pieghevoli per i 216 MHz.

GLI SCANNER ED IL COMPUTER

Come vi avevo accennato all’inizio, uno dei vantaggi degli scanner è la loro completa interfacciabilità con i computer. Premetto che anche un classico ricevitore radio da falconeria può essere collegato ad un computer attraverso la porta audio, ma tale operazione vi servirà solo a memorizzare il “beep” e da ciò potrete ricavare solo pochi dati.

Fig. 4 e 5 Alcune schermate del programma VisualRadio per Windows.

Non vi sto a spiegare nei dettagli questa tecnica, anche perché varia in funzione del computer che state usando, dello scanner, del software e di altra componentistica più o meno importante. Mi limiterò a fare un breve esempio per mostrare quello che si può fare con lo scanner ed il computer: mettiamo che avete perso il vostro Astore nel bosco dietro casa, lo cercate per tutto il giorno ma arrivati alla sera dovete fermare le ricerche a causa del buio, riprenderete l’indomani mattina. Mentre voi dormite, però, il vostro scanner collegato al computer farà alcuni lavoretti per voi: memorizzerà tutti i segnali che riceve e la loro intensità (ma non la direzione di provenienza a meno che non sia connesso con un compasso che muove automaticamente la Yagi in sintonia con il software) e può avvertirvi con un segnale acustico quando il segnale si fa molto forte. Se poi avete la possibilità di usare anche un compasso sintonizzato con il computer che ruoti la Yagi periodicamente o, meglio ancora, due (in modo da poter effettuare una triangolazione automatica) il software sarà in grado di riportare automaticamente (anche su mappa) tutti gli spostamenti dell’Astore durante la nottata. L’indomani mattina riprendete le ricerche, ma non avete molto tempo perché dovete andare a lavorare e poniamo che non riusciate ancora a catturare l’astore, perché per es. è riuscito a nutrirsi nelle mattinate ed ha il gozzo pieno. Dal luogo di lavoro con un altro computer potete comunicare via modem con il computer cui è agganciato lo scanner e ricevere il segnale radio per rendervi conto dei movimenti dell’animale.

Altro esempio di applicazione dell’interfaccia tra computer portatile e scanner si ha con l’aiuto della tecnologia GPS: infatti posizionando il GPS (anch’esso interfacciato al computer) sopra la vostra Yagi potrete visualizzare su mappa la vostra posizione e contemporaneamente anche la direzione verso cui è puntata l’antenna con l’andamento dell’intensità del segnale che vi aiuterà a rendervi meglio conto della posizione spaziale del rapace perso. Questi sono solo alcuni esempi di applicazione dei computer al radiotracking dei rapaci da falconeria, anche se mi rendo ben conto che probabilmente non vi capiterà mai di dovere ricorrere a questi marchingegni per ritrovare un rapace che si è allontanato, soprattutto se prenderete sin dall’inizio alcune fondamentali precauzioni.

Imping, sostituire una penna rotta

Per poter sopravvivere nell’ambiente naturale, gli uccelli devono trovarsi sempre in perfette condizioni . Naturalmente il piumaggio riveste un ruolo di primaria importanza anche se per molteplici cause possono subire un danneggiamento parziale o totale. Traumi o incidenti sono i rischi maggiori, tra questi più frequentemente: collisione con tralicci, ferite da arma da fuoco ma anche patologie derivanti una sosta non ottimale in voliere durante i ricoveri presso centri di recupero . Il danno, anche parziale, alle timoniere o ancor peggio alle remiganti può compromettere seriamente le normali capacità di volo con conseguenze che possono portare a rischi letali. Una piccola breccia creata dalla rottura di una sola remigante può progressivamente danneggiare il piumaggio nella sua integrità rendendo più vulnerabile il soggetto. Ecco perché alcuni veterinari esperti, sfruttando una metodologia che fonda le sue radici nei remoti fasti medioevali (in cui la falconeria era assai in voga) hanno sviluppato ed aggiornato le tecniche dell’imping o trapianto di penne. Questa tecnica di rimpianto di alcune penne permette di migliorare le situazioni cliniche di alcuni soggetti abbreviando le degenze presso i centri di recupero.

Materiali e metodi Per effettuare al meglio quest’operazione che necessita di grande esperienza e perizia non è tuttavia richiesto materiale ed attrezzature molto particolari. · penne di un donatore, della stessa specie, dello stesso sesso (in alcuni casi il dimorfismo sessuale non permette l’uso di materiale di sessi diversi) e dello stesso peso. Per favorire il reperimento di questi donatori i centri di recupero formano una “banca penne” che facilita il reperimento del materiale migliore per i trapianti. · Cartoncino per separare durante l’operazione la penna operata dal resto del piumaggio, evitando rischi di imbrattamento con resine · Resine epossidiche o adesivo cianoacrilato · Pin o “infibulo” da inserire all’interno del rachide della penna da sostituire ed in quella del donatore. Oggi la tendenza più evoluta (Metodol. Persson) porta all’utilizzo del rachide di una terza penna che ripulita dalle barbule offre grazie alla componente cheratinica, insostituibili caratteristiche di flessibilità e resistenza. Andando a curiosare nel passato scopriamo che in tempi remoti erano usati come infibuli dei sottili fili di ferro ed invece delle resine adesive si usava il limone o una soluzione d’acqua salata che favoriva la formazione di ruggine e quindi solidarizzava la penna trapiantata. Oggi quest’operazione che può essere fatta a seconda dei casi con o senza anestesia, viene eseguita su uccelli di medie – grandi dimensioni (dai gufi e poiane sino alle aquile, ai nibbi e persino ad alcuni ardeidi).

L’operazione richiede grande attenzione nella scelta di tutto il materiale ed anche nella scelta del donatore; inoltre risulta più facile nelle timoniere mentre il trapianto delle remiganti risulta più complesso perché bisogna garantire la giusta angolatura per poter assicurare al “paziente” ottimali condizioni per il volo. L’inserimento dell’infibulo, che può essere anche un piccolo stecchino in bambù o in materiale plastico… è una parte importante dell’operazione, poiché deve essere perfettamente inguainato nei rachidi favorendo il contatto delle due penne (donatore e ricevente) . Al termine dell’operazione su ogni singola penna è opportuno verificare che i margini dei monconi delle due penne siano a contatto l’uno con l’altro perché solo così potremo avere la certezza che il lavoro garantisca buone probabilità di riuscita. Oggi questa tecnica, adottata per secoli dai falconieri è stata ripresa con efficacia dai pochi veterinari dei centri di recupero e permette di ottenere un risultato straordinario: liberare in breve tempo animali che se dovessero aspettare il normale ricambio delle penne (muta) sarebbero costretti a lunghe degenze in voliera.

Luca Cavallari

IMPORTANTE: Sebbene l’imping possa apparire un’operazione non complicata, può essere fatta solo da persone competenti ed abilitate

Falconeria in Sardegna

pernice sardaSono una persona molto curiosa ed oltre ai cani, fucili ed i selvatici cerco di interessarmi a tutto ciò che riguarda la caccia, la pesca e l’ambiente in genere. Quindi anche le leggi vigenti in materia non sono esenti dalla mia attenzione e spero anche dalla vostra. Quindi vorrei rinfrescarvi un attimo le idee. Come certamente saprete la legge regionale che disciplina l’attività venatoria in Sardegna è la L. R. 23/98, questa però deve far riferimento ad una legge quadro nazionale: L. N. 157/92.

Quanti di voi sono a conoscenza che tale legge disciplina anche la caccia col Falco e con l’Arco?

La legge nazionale prevede l’uso del falco come mezzo per l’attività  venatoria, come si può riscontrare esattamente nell’art. 13 secondo comma. La legge prevede inoltre che l’uso del rapace da preda sia permesso solamente a coloro che sono in possesso di regolare porto d’arma per uso caccia.

Veniamo però al dunque! L’art. 21, se non erro, stabilisce che spetti alle singole regioni decretare le norme per la detenzione e l’uso del falco. Noi in Sardegna non solo non abbiamo un regolamento al riguardo, ma del falco come strumento venatorio neanche se ne parla nella legge regionale!

Penso sia dovere della Regione prendere in considerazione la questione anche perché non è sua facoltà abolire una forma di caccia ma semplicemente regolamentarla!

Non venite ora a dirmi che a nessuno interessa tale attività venatoria perché così facendo si ricade nuovamente nella solita guerra tra discipline che equivale né più né meno ad una guerra tra poveri! Secondo me la caccia col falco oltre che nobile ed estremamente affascinante potrebbe trasformare molti sparatori in falconieri che molto probabilmente ammazzerebbero meno selvaggina ma certamente si appagherebbero maggiormente! Chi scrive è uno che ha sempre avuto un occhio di riguardo per tale disciplina ma per ovvi motivi non l’ha mai potuta sperimentare di persona. Penso comunque di non essere il solo. In Italia sono varie le scuole di falconeria, perché non se ne può istituire una anche in terra Sarda?

Non so se quanto ho scritto vada a genio a tutti, ma ciò non toglie che la legge nazionale lo prevede e visto che quando si tratta di divieti siamo subito pronti a recepire le novità, non vedo perché ciò non sia possibile anche per i permessi.

Terrei a sottolineare inoltre che la falconeria oltre ad essere una forma di caccia di rilevante interesse sarebbe di grandissima utilità negli aeroporti che come tutti sanno molto spesso hanno il problema degli uccelli che rischiano di finire dentro le turbine dei velivoli. Vi posso assicurare che un paio di Pellegrini ben addestrati sono in grado di disperdere in pochi minuti anche la più ostinata nube di storni. Sicuramente questo l’avrete visto almeno in televisione, no?

Sono fermamente convinto che la falconeria non crei alcun problema di tipo ambientale visto che si basa non sulla quantità del carniere, ma sulla qualità e l’intensità della cacciata stessa. È un qualcosa per appassionati specialisti. Per rendere l’idea vi faccio un esempio. È meglio prendere dieci pernici con un “bastardo” o due sotto la ferma magistrale di un Pointer? Secondo a chi ponete la domanda vi darà come buona la prima, ma un purista non esiterà a scegliere la seconda. Che di puristi ve ne siano 1% o lo 0,5% non lo posso sapere, ma perché proibire un qualcosa solo perché non richiesta dalla maggioranza? Qui la democrazia basata sull’alta percentuale può facilmente diventare una sorta di razzismo per le minoranze; la differenza è molto sottile in questo caso.

Spero sinceramente che chi di dovere colga al volo la mia provocazione e metta in essere quanto la legge nazionale prevede e si adoperi poi per decretare una serie di norme atte a permettere finalmente L’ars venandi cum avibus (L’arte della caccia con gli uccelli) come la definiva il grande Federico II nel suo trattato sulla falconeria.

Sarebbe il caso di bandire definitivamente il proibizionismo fine a se stesso! Pare che il decadimento della falconeria sia dovuto proprio alla progressiva diffusione delle armi da fuoco perché sicuramente più precise, permettevano infatti carnieri indubbiamente più grandi. Se ciò è vero un ritorno alla falconeria sarebbe un doppio passo avanti sia dal punto della cultura venatoria che da quello ambientalista. Ci sarebbero forse dei carnieri non eccessivamente pieni di selvaggina, colmi però di emozioni, se non superiori, indubbiamente diverse da quelle a cui siamo abituati. Sarebbe un modo alternativo per entrare a contatto con la natura, addirittura più arcaico della doppietta, che vede nel falco un collegamento ancor più forte con la natura in quanto esso stesso animale. Guardando la natura attraverso gli occhi di un Pellegrino, di un Lanario o di un Astore, riusciremo forse a vederla sotto un’ottica diversa e magari a comprendere delle cose che da un’altra angolazione ci erano sfuggite.

Il ritorno al passato non è sempre un passo indietro, che ne dite?

Caratteristiche e razze dei cani usati per la Falconeria

Tutti i cani da caccia, nelle loro mansioni, sono bravi ma ce ne sono alcuni che sono più bravi a modo loro. Si tratta di una bravura istintiva connessa alla morfologia, al carattere e all’addestramento ricevuto. Tutti assolvono al proprio compito che è quello di aiutare l’uomo in ogni tipo di caccia, ivi compresa quella col falcone.

Il cane da caccia infatti non caccia per se stesso ma per compiacere l’uomo e questo, non dimentichiamolo, possiamo definirlo altruismo.
Per il tipo di caccia col falco d’alto volo alcuni sono più adatti di altri, vuoi per la taglia, per il colore, per il temperamento e per altre caratteristiche.
Poiché chi va a caccia col falcone riserva l’attenzione maggiore al falco, il cane, al momento del via, deve saper fare tutto a memoria.

Un buon cane non deve fare il riporto né rincorrere al frullo, deve fare una ferma sicura e una guidata prudente, essere ubbidiente ai comandi, stare sempre lontano dal falco, almeno a 2 metri, e camminare sempre alla destra del falconiere se tiene il falco in pugno sulla sinistra. Con andatura sostenuta e mai irruente cercherà il selvatico. Trovatolo, la sua postura in ferma deve essere appariscente, scultorea, sicura e alquanto lunga per dare modo al falconiere di scapucciare il falco, lanciarlo e fargli prendere quota.

Al cane è permessa la guidata se il selvatico pedona in avanti ma lo deve fare con la massima attenzione per non sfrullare. Lo sfrullo mentre il falco non è ben posizionato in altezza, è la peggiore cosa che possa capitare a un falconiere, tutta la sua preparazione viene vanificata. Per un cacciatore col fucile lo sfrullo non è un gran danno; se il cane non è molto lontano riesce sempre ad abbattere il selvatico e comunque il fucile può essere ricaricato. Il falco no.

Tra la caccia col falco e quella col fucile, le regole sono molto diverse. La prima e non va mai dimenticata, è che il falco di norma ha la possibilità di fare solo due voli, al massimo tre e lontani uno dall’altro circa un’ora.  Si può dunque capire che non è ammessa una ferma in bianco oppure uno sfrullo; il cane deve essere il più attento e ubbidiente possibile e con quelle determinate capacità venatorie indiscutibili. Non si richiede che svolga un enorme lavoro ma quel poco lo deve svolgere bene ed in modo sicuro.

Il cane che stuzzica maggiormente la vista del pellegrino in volo è senz’altro quello dal mantello bianco. Accertato questo particolare possiamo ora cercare di individuare quali siano i cani più adatti in falconeria senza voler penalizzare nessuno anche perché ogni cane è adatto ad un certo tipo di caccia e a un determinato territorio.

Il Pointer, il cosidetto “signore del vento” per i suoi 60/70 km. all’ora, è a parer mio troppo veloce. Con una simile velocità non può avere una cerca minuziosa, lascia sempre indietro qualcosa. Dopo mezz’ora che corre si eccita e nell’impeto della corsa sfrulla specialmente quando i selvatici sono leggeri e smaliziati, tipo le starne, banco di prova per i cani. Essere irruente è negativo ed avere una passione smodata lo é altrettanto. Il Pointer possiede tutte queste caratteristiche non proprio ideali per la falconeria e una sola positiva: il mantello con molto bianco.

Il Bracco italiano invece è calmo, minuzioso, sicuro nella ferma, fa la guidata in modo accorto, non sfrulla quasi mai e difficilmente ferma in bianco. E’ quindi ottimo per falconeria, sopratutto se ha il mantello arancio con bianco, così da essere facilmente individuabile dal falco alto in volo. Non corre in modo impetuso, al contrario, ha un tratto forse troppo lento. Per questo e per la taglia alquanto grande viene usato poco in falconeria anche se assolve bene il suo compito.

Il Breton Epagneul, credo sia giusto definirlo piccolo, grande cane poiché, pur essendo di taglia piccola è attivissimo e veloce. Qualche volta sfrulla a causa del suo galoppo saltellato e la ferma non è molto sicura ed è troppo attivo per stare in compagnia dei falchi. E’ poco usato nell’alto volo.

Lo Spinone italiano – bianco-arancio – di carattere calmo, ottimo per la caccia alle anatre col falco. Non ha paura né dell’acqua né di entrare nei rovi. Minuzioso nella cerca, ha una ferma sicura e non ricorre facilmente al frullo. E’ relativamente veloce, rispetta i falchi e intuisce facilmente ciò che l’uomo vuole da lui. Come il Bracco, sa più cose sul selvatico di quanto vuol far credere. E’ anche prudente nella guidata; in conclusione va bene a caccia col pellegrino.

Il Setter inglese è il soggetto più usato in falconeria per le sue qualità e per la sua bellezza. E’ un cane forte e ubbidiente, sta sempre al fianco del falco del falconiere. La sua andatura è un galoppo veloce ed elastico.Quando è in cerca tiene alta la testa, basta una piccola filata, una piccola traccia e subito realizza una ferma scultorea, perfetta e sicura. Non sfrulla quasi mai, la guidata è prudente, l’allungo mai eccessivo. E’ capace di aggirare il selvatico per bloccargli la fuga nel vicino cespuglio. Ha sempre la situazione sotto controllo e in ogni occasione sa cosa deve fare. Riesce a bloccare il fagiano o la starna e aspettare così l’arrivo del falco che riconosce e rispetta. Non ha il complesso dell’obbedienza e, cosa rara nei cani da caccia, intuisce ben presto che è il falco a catturare il selvatico. Con lui il falco si trova molto bene, sarà per la sua andatura o altri motivi difficili da individuare, ma pare proprio che l’intesa fra i due sia di vecchia data.

Il Setter irlandese e il Gordon, pur avendo le buone caratteristiche dell’inglese, hanno lo svantaggio di essere poco visibili dall’alto per la colorazione scura del mantello.
Un cane, il Setter, che con l’addestramento prima e la passione innata poi, diventa un ottimo, anzi il miglior cane per la falconeria d’alto volo.

 

Amedeo Arpa

Addestramento di harris e astori alla fionda

falco di harrisPuò sembrare strano e anche poco serio utilizzare la fionda da bigattini per addestrare un falco, ma secondo me è un metodo da tenere in considerazione.

Ho incominciato ad usare questo metodo circa 5 anni fa quando la provincia mi affidò un nibbio da reintrodurre. Infatti, come molti sanno, il nibbio è un falco estremamente volatore ed è agilissimo.

Quando lo liberavo lui incominciava a salire ad ali ferme e non si posava quasi mai, allora incominciai a lanciargli prima a mano poi in seguito con la fionda dei pezzettini di carne e lui per poterli prendere era costretto ed effettuare delle manovre incredibili e di conseguenza a muovere le ali. Dopo qualche giorno di questo training aveva acquisito una tale abilità nel legare al volo che i suoi successi erano quasi del cento per cento.

Dall’anno scorso ho voluto applicare questa tecnica ad un maschio di  falco di harris, e devo dire che adesso ha acquisito anche lui una buona tecnica, ovviamente non in attesa in volo come il nibbio ma partendo da un posatoio.

E’ sempre un grosso problema muscolare bene i falchi da basso volo, infatti oltre a volarli al pugno ripetutamente o chiamarli al logoro, non esistono altri sistemi come per l’alto volo, ed è comunque fondamentale come per l’alto volo la forma fisica per la caccia.

Con questo sistema invece si può far muscolare bene il falco abituandolo inoltre a legare al volo. Oltre a questi vantaggi, il falco, si abitua anche a sostare su posatoi alti, cosa importantissima per la caccia, infatti sembra incredibile ma all’inizio dell’addestramento partiva da posatoi medio alti (alberi di pochi metri) adesso invece tende ad andare sulle cime più alte che gli favoriscono la visuale e le picchiate.

E’ molto importante lanciare i pezzettini non direttamente sotto il falco in attesa perché lanciandosi in picchiata verticale,senza pompare con le ali, secondo me acquisisce meno velocità rispetto ad una picchiata obliqua pompando al massimo.. Cambiare comunque angolazione ad ogni tiro è consigliabile per evitare che si abitui alle traiettorie. E’ altresì importante che ci sia erba alta sotto perché, qualora sbagliasse la presa non si abitui ad aspettare che il cibo cada a terra, infatti se al disotto ci fosse erba bassa lui vedrebbe il cibo dove cade.

Un’altra regola fondamentale da rispettare è di non stancare troppo il falco, con questo tipo di addestramento il falco tende ad affaticarsi in fretta, di conseguenza quando incomincia a tenere il becco aperto bisogna interrompere l’esercizio. Ho notato infatti che se è stanco guarda il pezzettino cadere e dopo con calma scende a cercarlo a piedi.

Penso che tale tecnica possa essere provata anche con altri tipi di falchi e non solo da basso volo. Applicata ai falconi, penso, potrebbe essere valida per abituarli a tenere a monte. Questa stagione proverò e vi saprò dire.

Saluti a tutti

Paolo Caprioglio

QUI DUBAI, E’ ITALIANO L’UOMO CHE CURA I FALCHI DEL SULTANO

Il falco vola alto in cerca della preda da catturare con un colpo di artiglio, mentre il suo falconiere lo attende trepidante. Potrebbe essere una scena tratta dal basso medio evo italiano, mentre invece è un momento quotidiano della vita sportiva di Dubai. Qui la caccia con il falco ha più tifosi e appassionati della nazionale di calcio e tra loro c’è l’intera famiglia reale. Una passione vera e sanguigna, condivisa dallo Sceicco H.H. Hamdan Bin Rashid Al Maktoum a tal punto da fargli aprire un ospedale pubblico gratuito per i rapaci: il Dubai Falcon Hospital.

E’ un efficiente nosocomio dotato delle più moderne attrezzature che tra le molte perle ne annovera una veramente speciale per noi di Qui Italia: il direttore sanitario. E’ il Dottor Antonio Di Somma quarantasettenne veterinario di Napoli che, lasciata la clinica di proprietà, ha affrontato una avventura che definire inusuale è poco.

“Ho trovato questo lavoro su internet, in una mailing list per falconieri e mi sono subito lanciato. – come un falco ci verrebbe da dire – Ho deciso senza tentennamenti e pensare che il giorno della mia partenza è coinciso con quello dell’attacco americano all’Afghanistan. Ora sono pienamente soddisfatto della mia scelta, mi trovo bene e i rapporti sono ottimi”.

Lo incontriamo nell’ospedale mentre sta visitando un falco insieme ad un altro veterinario italiano specializzando, la Dottoressa Garlinzoni.

La pulizia e le dotazioni mediche farebbero invidia a più di qualche struttura italiana dedicata agli esseri umani. In ambienti dove l’aria è perennemente condizionata a temperatura stabile, una dietro l’altra si susseguono, infatti, una sala operatoria, una di radiologia, tre di terapia intensiva, dodici di degenza (di cui quattro in sabbia e otto con superficie solida) e una per la muta. Senza dimenticare, poi, il gabinetto di microbiologia molecolare, un intero reparto di quarantena e le tante grandi gabbie d’accoglienza all’aperto, dove la sabbia viene cambiata una volta l’anno. Ma non basta, sta per essere realizzata una speciale camera di muta all’aperto, la prima al mondo dotata di vetri che facciano passare la luce ma non il caldo, con aria condizionata regolata da sensori termici; il tutto per un solo falco.

“L’importante sono le performance del falco, per assurdo la cura delle malattie va in secondo piano – ci dice sorridendo Di Somma – è come avere a che fare con dei centometristi, le cui prestazioni vengono misurate con il cronometro. Molte volte la cosa più difficile non è comprendere i problemi del rapace ma fare accettare al falconiere professionista che l’addestramento è sbagliato. Per dialogare con loro abbiamo imparato delle parole arabe, ma abbiamo il traduttore per le “situazioni difficili”.

Già, perché se il falconiere parla, magari in arabo, il rapace invece sta zitto e allora come si fa a comprendere le eventuali magagne? “ In primis c’è l’esperienza (il famoso occhio clinico ndr) qui effettuiamo visite a circa 780 falchi l’anno a queste poi vanno sommate quelle di controllo, che vengono svolte ogni 10 giorni durante la stagione di caccia (settembre/gennaio). Poi ci sono le analisi cliniche.

Molte sono le endoscopie per diagnosi di aspergillosi (un fungo pericoloso che porta alla morte il volatile), quelle per la chlamidiosi (malattia provocata da un batterio delle vie respiratorie); non mancano inoltre le indagini parassitarie nell’intestino e quelle funginee. Per finire, c’è il controllo del peso, della pianta dei piedi e ovviamente delle piume. Il checkup completo prevede l’analisi del sangue e le lastre toraciche”.

Altro che sistema sanitario italiano, viene da pensare. Non sempre, comunque, bisogna scoprire patologie occulte, alcune volte vanno affrontati anche casi d’urgenza. “Di interventi chirurgici ne facevo molti di più in Italia, per fortuna. Spesso mi trovo a risolvere problemi d’ala e in questo caso procedo alla sostituzione”. Sostituzione? “Se un’ala si rompe ne innestiamo una nuova, conservata da una muta precedente. E’ come un trapianto di capelli, dura due ore e richiede una anestesia gassosa. E’ un lavoro che svolge con competenza il mio tecnico di chirurgia Hamed, che opera con l’ausilio di altri tre tecnici aggiunti”.

Premesso che un falco può costare da 120 mila lire fino ad oltre 70 milioni e che una volta lanciato può accadere che nel tornare sbagli falconiere, come si fa a riconoscerlo? “La tecnologia ci aiuta molto, ogni falco ha un microchip impiantato nel petto con una iniezione che lo rende distinguibile al passaggio di una apparecchiatura di rilevazione”.

In breve, si tratta di una specie di ferro da stiro dotato di un led alfanumerico capace di legge i numeri di serie trasmessi dal microchip, che poi vanno confrontati con quelli di una banca dati mondiale.

Il Dottor Antonio di Somma non solo è un affermato professionista, ma è anche un appassionato falconiere al quale carpire i segreti di questo antico sport. “Precisiamo: è un’arte che ha radici millenarie, praticata da 2000 anni prima di Cristo. Una pietra miliare in proposito è il libro di Federico Secondo di Svevia “De arte venandi cum avibus”. Il falco per prima cosa deve essere ammansito e poi abituato alla presenza del falconiere, non lo si addomestica e non è possibile insegnargli la “dominanza” del capo branco. E’ un animale solitario, si basa tutto sullo stimolo della fame e con lui l’unica leva è il mangiare. Al falco vanno fatte piccole cortesie, gli va dato un boccone minuto e poi gli va tolta la preda. Ma attenzione, il rapace deve sempre rimanere “selvatico”, poiché se avviene l’imprinting può divenire molto pericoloso perché, in questo caso, perde il rispetto riconoscendo l’uomo come un simile e non mantenendo la distanza di sicurezza”.

Insomma non è semplice addestralo, l’unica cosa da fare ci sembra mettergli il cappuccio sulla testa per tenerlo tranquillo, un piccolo trucco che funziona dato che è un rapace diurno. Ma anche questa “semplice” operazione ci appare assai difficoltosa. Non resta che osservare la padronanza dello staff del Dottor Di Somma nel maneggiare i volatili; un lavoro che fluisce tranquillo ma che, curiosamente, viene improvvisamente interrotto dall’arrivo di tre criceti e di un cagnolino. C’è un po’ di eccitazione, tutti si avvicinano e scrutano con curiosità i nuovi arrivati; il primario sorride e ci dice: “E’ sempre così, qui gli animali domestici non sono diffusi e quando ci vengono portati in ospedale avviene lo stesso che in Italia accadrebbe all’arrivo di un coccodrillo in astanteria. Ma non c’è problema nel curarli.” Che dire? Paese che vai, usanze che trovi.

Itinerario di caccia col falco: Andalusia

di: Engel Simonelli

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FALCONERIA  IN ANDALUSIA

Cnv0046In Spagna esistono diverse riserve dedicate esclusivamente alla caccia con il falco ( e talvolta con i galgos-levrieri spagnoli). La caratteristica di questi “cotos de caza”, a parte la bellezza del territorio, è che la selvaggina (in genere abbondante, dato che i fucili non vi entrano) è rigorosamente autoctona e nata in luogo.

Occorrono ovviamente falchi ben muscolati e smaliziati: le loro prede sanno sfruttare il terreno al massimo, quindi le catture non saranno mai abbondanti come nelle riserve italiane coi fagianacci “pronta caccia”. Ma una pernice rossa o una lepre catturate qui, vi faranno automaticamente qualificare come un vero falconiere cacciatore.

Quest’anno abbiamo testato una nuova riserva di caccia adatta ai falconieri; si tratta di un’antica tenuta nobiliare estesa per 14.000 ettari a sud-est di Siviglia (che dista circa 30 km).Cnv0047.jpg (471648 byte)

E’ in parte gestita da un falconiere francese, Mr. Emmanuel Maugasc, che risiede da trent’anni in Spagna; la casa di caccia, estremamente confortevole, fornisce stanze riscaldate con servizi privati,

servizio di pulizia, falconiere recintate, prima colazione.

Il territorio è molto vario: campi aperti per l’alto volo, uliveti antichi ,ficaie d’india (tane di numerosissimi conigli) e boschi di conifere per il basso volo, pozze d’acqua per la caccia alle anatre.

Selvaggina:

LepreComuneconiglio
Lepri         ++++Conigli      ++++
pernicerossaanatra
Pernici rosse  ++++Anatre        +++

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Tutta la selvaggina è rigorosamente autoctona e nata sul posto; non aspettatevi cacciate facili ! i selvatici sanno perfettamente come ripararsi e dove fuggire, d’altra parte questa è caccia vera, grandi emozioni in un ambiente naturale incontaminato.

Emmanuel, con la sua pluridecennale esperienza (è stato uno dei primi falconieri in Spagna, compagno di volo del grande De la Fuente) e i guardiacaccia vi consiglieranno le zone e le strategie più adatte.

Le lepri e i conigli si cacciano allo schizzo con il falco al pugno, o posizionato sulle querce, a seguire; benché siano velocissime (sono piccole, pesano 3 kg. al massimo) non hanno molti nascondigli, e se il falco ha fiato, sono un’ottima chance.

Aspettatevi comunque inseguimenti fino a 500 mt!

Cnv0018.jpg (84006 byte)Le pernici rosse non vanno cercate con il cane (qui è inutile) ma con gli occhi o al più un binocolo. Una volta individuate, si mette in quota il falco d’alto volo, e si vanno ad alzare a piedi o in macchina. I falconieri spagnoli le cacciano anche con il basso volo (astore o Harris, preferibilmente maschi): se non vengono catturate di prima, seguono il volo, e le catturano al secondo involo, che è sempre più fiacco. Comunque sono dei proiettili viventi, che schizzano a 2 metri dal suolo mettendo a dura prova il coraggio del falcone che deve stoccare cosi’ vicino a terra.

Il torrente di confine della riserva ospita numerose gallinelle d’acqua, e talvolta anatre di passo. L’incontro con l’occhione (preda ambita dagli arabi!) è possibile.

Un pericolo per i falchi è costituito dall’aquila del Bonelli, presente nella zona. Numerosissime le allodole, che i falconieri locali cacciano con lo smeriglio o il gheppio americano.Per rendere l’idea, in una giornata di caccia, potete alzare 10 lepri e 10 brigate di pernici.

VIAGGIO

1)      Con la vostra macchina:sono 2000 Km (due giorni vi viaggio) ; se ve la sentite……

2)      In macchina: Genova – Barcellona traghetto +altri 1000 Km : meno stancante, con la notte in traghetto

3)      In aereo: Milano- Siviglia o Malaga, poi auto a noleggio ; attenzione! Le compagnie aeree non permettono più di due animali in cabina, nel trasportino standard (informarsi prima!)

TURISMO

Per gli accompagnatori, sono a un’ora di macchina le città di Siviglia, Cordova, e con poco più si arriva a Malaga e Granada; le bellezze architettoniche di queste città andaluse meritano una visita.

Per informazioni:

Engel Simonelli        tel.  02-94961835

Cell   3333535018    oppure direttamente

Emmanuel Maugasc  tel.0034-952584680

Fax.0034-952593620

Cell.0034609002482     (parla correntemente francese, spagnolo, inglese)

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Falconeria e medioevo

Rappresentazione di falconieri medievali

Come tutti ben sappiamo, la Falconeria non nasce nel Medioevo, ma ben prima. Tuttavia in questo periodo (per alcuni cupo e oscuro e per altri in rivalutazione e pieno di nuovi slanci per il mondo che sarebbe venuto), la Falconeria raggiunge un ottimo livello di diffusione in tutta l’Europa. Successivamente, nel Rinascimento, quest’Arte giungerà alla sua massima espressione, per poi declinare drammaticamente con l’avvento della polvere da sparo.

Ma qual è il ruolo della Falconeria medievale?

Molto difficile immaginarlo con la nostra esperienza di uomini del Duemila.

Nel Medioevo, il Falco era un cosiddetto status symbol, e praticamente nessun nobile era sfornito di uno di questi animali. Gli uccelli non venivano riprodotti ed allevati in cattività. Si trattava infatti di haggard, ovvero animali catturati in natura ed addestrati successivamente. Tali animali avevano qualcosa di estremamente differente dai nostri: nascevano liberi. La loro indole era plasmata dalle difficoltà della vita e dalla necessità di sopravvivere e il loro volo era “tramandato” di generazione in generazione, non solo in modo strettamente biologico, ma anche con una vena “culturale”, ovvero una modalità di trasmissione delle cose apprese, attraverso l’imitazione (frequentissima tra gli animali). Di conseguenza il falco possedeva sì una base istintiva che ne “regolava” il volo, ma vi era tutto il bagaglio “culturale” e frutto dell’esperienza, fatta allo stato selvatico, che veniva tramandato attraverso l’esempio di caccia fornito dai genitori.

Oggi le cose stanno un po’ diversamente, i Falchi sono tutti nati in cattività, e ciò che li porta a volare è fondamentalmente l’istinto. Il Falconiere è a terra, vincolato ad essa, e deve individuare stratagemmi e tecniche atte a stimolare un corretto volo del Falco. Con un buon addestramento, anche un animale nato in cattività potrebbe (anche grazie alla propria esperienza e quella del Falconiere), raggiungere livelli prossimi a quelli di un selvatico.

Tornando al Medioevo, parlare di Falchi era come parlare oggi di automobili, di lusso e non. L’imperatore aveva l’Aquila reale, e poi via via, scalando, venivano i principi, e tutti i vassalli e il clero, ciascuno con un proprio animale adatto al suo ceto sociale.

In realtà, per il clero ci furono alcune limitazioni all’uso dei falconi in alcune epoche. Questi vincoli furono per esempio sanciti nel concilio di Agda nel 506 d.C. e furono poi confermati nei concili di Epaon nel 517 d.C. e di Macon nel 585 d.C.

In pieno periodo di crociate nella Terra Santa, bisogna ricordare come, per esempio, anche gli ordini monastico-cavallereschi (Templari, Ospitalieri, Teutonici) non potessero di fatto praticare alcun tipo di caccia avendo preso i quattro voti fondamentali (povertà, obbedienza, castità e prontezza alle armi).

Abbiamo parlato di Crociate, ed è proprio tramite queste invasioni-conquiste-difese dei territori della cristianità (il commento dipende dai punti di vista di ciascuno di noi), che tra l’Occidente e l’Oriente si verifica un intenso scambio culturale che apporterà numerose modifiche nel modo di pensare, nei commerci, nei rapporti tra i due popoli.

Con l’incontro-scontro con i turchi (ricordiamoci che le Crociate furono combattute contro le popolazioni arabe guidate dalle popolazioni turche dei selgiuchidi e degli “ortochidi”), si verifica anche lo scambio delle tecniche tra quelle che sono le due direttrici della Falconeria, una che passa per l’Asia e l’Arabia, e l’altra che giunge fino in Europa.

Grandissimo vantaggio che introducono gli arabi è quello dell’utilizzo del cappuccio, mentre in Europa era prassi comune la tecnica della ciliatura, ovvero la legatura delle palpebre dell’animale, effettuata in modo tale che queste potessero essere chiuse o più o meno aperte. Dopo questo addestramento, la ciliatura non veniva più effettuata e l’utilizzo del cappuccio non era più necessario.

Per quanto riguarda il ruolo politico, la Falconeria fu fondamentale in molte occasioni in cui venivano stipulati trattati, accordi ed altre importanti decisioni. Poteva anche essere utilizzata come dote di nozze durante gli sposalizi regali.

Dame e signori del Tardo Medioevo

Alcuni nobili e alcuni regnanti arriveranno addirittura a vietare la cattura di questi uccelli, forse più per un fine egoistico e d’orgoglio, che non protezionistico. Le pene cui si era sottoposti in caso di abbattimento o cattura di un Falco senza autorizzazione, erano veramente severe e commisurate alla mentalità medievale.

Perché il Falco e la Falconeria sono entrate a far così parte della cultura dell’uomo? Come mai i falconi hanno assistito alle dispute umane, dalle desolate distese della Mongolia, fino alle Crociate e alle guerre in Europa? Cos’è che questi animali provocavano e provocano nell’animo umano?

Questa è una domanda cui difficilmente si può rispondere.

Il Falco è visto come un essere quasi sovrannaturale. In lui si intuisce a colpo d’occhio una “cattiveria” e “freddezza” dei lineamenti della testa, della sua forma, degli artigli. Questa aggressività viene inoltre associata alla sua natura di predatore, alla sua picchiata e al suo modo perfetto di volare e di abbattere prede talvolta molto più grosse di lui.

Ma forse, come è sempre stato negli uomini, il Falco è un essere volante, e tutto ciò che è in aria ha sempre affascinato l’animo umano. Quindi, il volo, il “coraggio” (se così si può dire per i falchi), l’abilità, la fisionomia, hanno portato questo animale a entrare nella mente dell’uomo, a diventare l’esempio della cavalleria e della nobiltà.

Quest’influenza sulle attività umane è innegabile, sia dal punto di vista sociale che politico.

FEDERICO__IILa figura alata dei rapaci è riuscita a tramutarsi in un’immensità di simbologie, stemmi e racconti.

è difficile riuscire ad immaginare cosa significasse nel XIII secolo la parola Falconeria. Si trattava di qualcosa estremamente radicato nella cultura di allora. Molto spesso, anzi, sempre, questa forte influenza è trascurata a livello scolastico e tra le persone in generale. L’unico accenno che, in alcuni licei, ancora si fa, è relativo a poche righe sul De Arte venandi cum avibus di Federico II di Svevia in alcuni testi di letteratura italiana.

Oggi la parola Falconeria è in alcuni casi addirittura sconosciuta. Certi chiedono persino “che cos’è. E’ incredibile osservare il “declino” che, in alcuni paesi, quest’Arte ha tristemente subito. Gradualmente è cambiata la mentalità, l’uomo ha scoperto nuovi simboli e occupazioni, nuovi passatempi e, pian piano, gli orgogliosi falconi sono stati sempre più messi da parte.

Addirittura, proprio nel nostro secolo, è successo qualcosa di assolutamente inconcepibile ed opposto a ciò che si verificava in epoca medievale. I Falchi sono stati difatti perseguitati volontariamente o involontariamente. Essi sono stati considerati “nocivi” in base a criteri assolutamente infondati e falsi, che erano e sono imperniati sull’ignoranza di alcune persone. Ancora oggi una vecchia tradizione venatoria è propensa a considerarli “animali nocivi” perché sottraggono e spaventano la selvaggina. Capirete benissimo che il termine “nocivo” è quanto di più complicato esista da definire. Nocivo a chi? Per chi? La questione è piuttosto relativa.

Oltre a questo, involontariamente, i rapaci hanno dovuto subire il massacro che ha comportato il DDT, pericolosissima molecola che comportava seri danni epatici e riproduttivi (come l’assottigliamento del guscio delle uova).

Ancora oggi, sullo stretto di Messina, ogni anno si deve porre molta attenzione ad una bizzarra tradizione che porta all’abbattimento dei Falchi pecchiaioli che lì transitano durante il periodo migratorio.

Come si sia arrivato a tanto non si sa. Il Falco, la simbologia del potere e del coraggio, si è tramutato in pochi secoli in un animale come altri e, per alcuni anni, in un animale addirittura in pericolo d’estinzione. Forse una mancanza di cultura, associata all’allontanamento dell’uomo dalla natura, ha portato a cambiare il modo di vedere questi stupendi animali.

Certo è che la Falconeria, per fortuna, è comunque riuscita a salvarsi. Sicuramente non raggiungerà mai più i livelli e le influenze del passato, e questo è normale, perché le cose cambiano, alcune altre prendono il sopravvento su quelle passate e tutto è giusto e naturale.

Oggi i Falchi, anche se in minor numero, continuano a volare. Probabilmente il vero ruolo dei Falconieri del 2000 è proprio quello di conservare questa tradizione che è nata nella notte dei tempi, mantenere elevato il rispetto per la Falconeria che, al giorno d’oggi, rischia d’essere messa a repentaglio. La Falconeria come fine a sé stessa e per il piacere del Falconiere, come anche scuola per importanti valori, e non come spettacolo e negazione di quella signorilità e simbologia cavalleresca di cui tanto era carica un tempo.

La Falconeria va conservata, ampliata e diffusa, correttamente e con i giusti e sani principi che caratterizzano la falconeria con la F maiuscola.

Vedete… Il rapporto tra uomo e falco è qualcosa di indescrivibile. Adesso mi viene in mente un paragone, magari un po’ azzardato. L’uomo e il falco sono come due nemici in una delle tante battaglie medievali. Prendete le crociate e i due schieramenti, franco e turco. Tra loro c’erano tensioni, battaglie, conquiste, capitolazioni di castelli e fortezze… Ma spesso ci si rendeva conto che il motivo della battaglia era in fondo lo stesso da ambo le parti. In quelle terre si conobbero uomini che si odiavano e che, contemporaneamente, si rispettavano. In alcuni casi tutto questo divenne anche una solida alleanza.

Per esempio quando Zengi va ad assediare Damasco nel 1139, i damaschini resistono con vigore sotto il comando dell’anziano visir, il capitano Unur (Aynard nella sua forma francesizzata). Unur fa appello ai Franchi per la difesa della città. L’ambasciatore Usama viene inviato da re Folque e, tra loro, nascerà una solida ed importante alleanza che verrà poi danneggiata dagli stessi Franchi che arrivarono con la seconda crociata e dettero retta alla Mélisende, moglie dell’ormai deceduto re Foulque.

Si racconta quindi che Usama fece visita a re Foulque a San Giovanni d’Acri, il baluardo cristiano nelle terre d’Oriente. Qui si fermarono ad osservare un grande falco con tredici penne timoniere, di proprietà di un genovese che lo aveva addestrato per la caccia alle gru. Re Folque regalò questo falco ad Usama. Era un mezzo per confermare la loro alleanza, mezzo che oggi può apparire strano, ma che allora era di fondamentale valore.

Di conseguenza, uomo e falco sono due nemici, due caratteri troppo differenti per comprendersi fino in fondo. Tra l’uomo ed il falco c’è rispetto, anche se, a differenza dei cavalieri medievali, questo rispetto è manifestato solamente da parte dell’uomo. Il falco fa il suo interesse, è un animale molto “orgoglioso”, senza sentimenti o attaccamento al suo “padrone” (se di padrone si può parlare). Eppure è proprio per questo motivo che noi lo ammiriamo e continuiamo ad addestrarlo.

Forse è proprio questa diversità e questa voglia di conoscere che porta l’uomo e il falco ad avere un legame che dura da più millenni.

Probabilmente questo legame durerà ancora a lungo. Ma la cosa dipende solo dai Falconieri. Siamo come un’enorme collana distesa nel tempo, di cui noi non siamo che un anello che dovrebbe pensare a consentire il legame degli anelli che verranno dopo di noi. Tutto questo perché la Falconeria continui a volare nei cieli futuri.

 

Bibliografia essenziale

A. Arpa, Trattato di Falconeria.

René Grousset, La Storia delle Crociate, edizioni Piemme.

Federico II scienziato e padre della Falconeria in Italia

PARLARE DI FEDERICO II (1194-1250) in un sito di Falconeria mi sembra doveroso: si tratta infatti dell’autore di un celeberrimo trattato sulla caccia con gli uccelli rapaci, il De arte venandi cum avibus, giunto fino a noi in due redazioni differenti (una di due libri e una di sei), certamente il punto più alto mai raggiunto da questo genere di letteratura.

Il paradosso, però, è solo apparente: lo stesso Federico II, nel proemio alla sua monumentale opera, dichiara senza mezzi termini che l’arte della falconeria “è subordinata alla scienza naturale, poiché fa conoscere le nature degli uccelli” (P. I 6) [La traduzione italiana è fatta sul testo latino edito in Trombetti Budriesi 2000].

La caccia, nel Medioevo, è uno dei territori principali, se non il principale, dove l’uomo può incontrare l’animale, incontrare nel senso di conoscere, e rispettare. La falconeria, in particolare, col suo contatto continuo e delicato, quasi intimo, con animali selvaggi come i rapaci, è per l’uomo medievale esercizio incessante dello sguardo sulla natura, luogo di conoscenza solidamente empirica sulla fauna.

Non a caso l’imperatore introduce i libri dedicati alla falconeria vera e propria – cattura e preparazione dei falchi, addestramento e caccia con il Girfalco, il Falco sacro e il Pellegrino – con un intero libro dedicato agli uccelli in generale, dove si parlerà “delle classificazioni generali degli uccelli, dei diversi spostamenti che compiono per procurarsi il cibo, dei differenti alimenti che consumano, delle migrazioni che fanno verso luoghi vicini e lontani, a causa del caldo o del freddo delle stagioni, della loro riproduzione, dei diversi organi e della loro utilità, della natura del piumaggio, del modo di volare, della capacità di attacco e difesa che hanno, della muta del piumaggio” (I 1).

Lo sguardo di Federico è quello dell’osservatore attento e scrupoloso che non ha niente da invidiare ai moderni ornitologi. Ecco come in pochi tratti descrive le caratteristiche fondamentali dell’aspetto dell’Airone guardabuoi (Bubulcus ibis) nel periodo riproduttivo: “E ci sono uccelli che mutano il colore del piumaggio al tempo dell’accoppiamento, e mutano aspetto in più parti del loro corpo, come gli airones bisi [il latino bisus corrisponde all’italiano bigio, oppure, meglio, al francese beige], le penne e le piume dei quali, durante il tempo dell’accoppiamento, si ricoprono come di un colorazione polverosa e beige, […], [e] al tempo dell’accoppiamento il loro becco e le loro zampe tengono a diventare rossi” (I 220).

La notazione sul mutamento della colorazione di becco e zampe dell’Airone guardabuoi implica una grande esperienza e precisione. La descrizione del becco del Cormorano è un altro esempio appropriato per sottolineare le capacità di osservatore dell’imperatore: “Il genere dei cormorani ha un becco atto a facilitarli nella pesca. Infatti, hanno un becco alquanto lungo e arrotondato, curvo all’estremità, più appuntito di quello del pellicano, dotato di denti sopra e sotto; una membrana aderisce alla parte inferiore del becco, come nei pellicani, ma, in proporzione, non tanto grande come quella” (I 144).

La descrizione dell’aspetto degli uccelli chiamati mergi ci permette subito di identificare questa specie con gli svassi – in particolare molto probabilmente con lo Svasso maggiore (Podiceps cristatus): “Altri hanno piume sollevate sopra il capo, a destra e a sinistra, e, oltre a ciò, [hanno] piume pendenti da un lato e dall’altro della gola verso il collo, come certi svassi” (I 133).

L’imperatore coglie subito l’essenziale e, in tempi in cui non esistevano binocoli o cannocchiali, risaltano in maniera formidabile l’esperienza
e la confidenza col mondo degli uccelli. Senza queste caratteristiche l’imperatore avrebbe difficilmente potuto isolare tra le gru, e identificare, la Damigella di Numidia (Anthropoides virgo), lasciandone una descrizione degna di figurare in una moderna guida ornitologica (Paulus e van den Abeele 2000): “Altre [gru] sono più piccole, di color cenere sul dorso, hanno occhi rossi, le penne sulla nuca lunghe come gli aironi, sulla testa non sono di color rosso né sono prive di penne, ma hanno delle piume bianche alle ginocchia, sul petto sono nere e hanno delle piume sottili come peli, hanno voce rauca, nel resto del piumaggio invero e nella forma delle membra differiscono poco dalle [gru] maggiori” (IV 12).

federico_II_SveviaLo spirito di osservazione di Federico non si rivolge solo all’aspetto degli uccelli, la sua attenzione si indirizza anche ai principali comportamenti caratteristici di alcune specie. Nel caso degli svassi già citati, l’imperatore mostra di conoscere l’attività notturna di questi uccelli – “di notte escono e volano” per procurarsi il cibo (I 18) -, ne descrive il modo repentino di fuggire “immergendosi interamente sott’acqua” (I 284) – caratteristica questa, poco apprezzata dai cacciatori, tanto che nella zona del Lago Trasimeno il nome attribuito allo svasso è votaborzétte: le borzette svuotate sono naturalmente quelle che contengono la polvere da sparo utilizzata invano contro l’imprendibile uccello – e ne segnala la propensione all’erratismo locale (I 56).

L’imperatore si avvicina con altrettanta curiosità e amorosa pazienza alle stranezze e apparenti mostruosità della natura. Quando gli portano in dono una nidiata di un uccello chiamato praenus (forse si tratta della pispola, Anthus pratensis) si accorge che tra i pulcini ve ne è uno, orribile e deforme, che nell’aspetto quasi non somiglia nemmeno ad un uccello: bocca grande, privo di penne e molti lunghi peli sparsi sul capo che gli scendono sugli occhi e sul becco. Decide allora cum diligenti custodia, accuratamente, di nutrire di persona questi nidiacei, incuriosito da quel singolare pulcino. Risulterà naturalmente che si tratta di un giovane Cuculo. L’esperimento si trasforma subito in una lezione di metodo: ex quo, da questa esperienza – dichiara l’imperatore – si può ricavare, e dunque dimostrare, che il Cuculo non fa il nido ma depone le uova nei nidi altrui (I 93) (Paulus, van den Abeele 2000).

La voglia di conoscere di Federico II si spinge anche oltre, andando a indagare alcuni luoghi comuni estremamente diffusi nel Medioevo. Uno di questi, trasmesso dai bestiari, affermava che gli avvoltoi rintracciassero le carogne di cui si nutrono attraverso l’olfatto. Federico II decide di verificare questa notizia. Per prima cosa ordina che alcuni avvoltoi siano ciliati, cioè siano loro cucite le palpebre secondo il metodo usato dai falconieri per addestrare i loro rapaci. Così, momentaneamente accecati, ma con l’olfatto integro, come sottolinea correttamente Federico, alcuni individui vengono posti davanti a della carne, il risultato è che questi uccelli non riescono a sentirne l’odore e di conseguenza non riescono a nutrirsi, dunque ne deriva che questo genere di uccelli non si procura il cibo grazie all’odorato. Inoltre l’imperatore cerca la conferma del carattere charognard degli avvoltoi ponendo di fronte ad alcuni individui affamati un pollo vivo, e constatando che né lo catturano né lo uccidono (I 41).

Un’altra credenza diffusa nel Medioevo voleva che un tipo di oche dette bernecle – di colore bianco e nero, forse identificabili con l’Oca facciabianca, Branta leucopsis (Paulus, van den Abeele 2000) – nascessero, nel profondo nord, da vermi generati dalla putrefazione del legno delle navi naufragate. L’imperatore cercò a lungo (diuturnus inquisivimus) di trovare una conferma a queste voci, fino al punto di mandare degli inviati nelle plaghe settentrionali per farsi riportare alcuni pezzi di quel legno. Il legno che gli fu portato, però, aveva attaccato solo delle conchiglie “che i
n nessuna parte somigliavano nell’aspetto ad un’uccello”. La conclusione dell’imperatore sono perentorie “per ciò non crediamo a questa opinione, a meno che non avremo a questo riguardo una prova più convincente”. D’altronde, aggiunge Federico stesso, quasi a mitigare le sue stesse asserzioni, la credenza della nascita delle bernecle dal legno marcio è dovuta, probabilmente, al fatto che tali uccelli vivono in terre lontanissime, e non potendo gli uomini osservare direttamente i loro costumi, propongono le più disparate ipotesi (I 99).

L’onnivora curiosità dell’imperatore non può ignorare infine la struttura dei corpi di quelle perfette, aeree creature che sono gli uccelli; infatti, a lui possono essere attribuite varie scoperte: la struttura dei muscoli del volo, la differente struttura dello stomaco tra uccelli carnivori e granivori, l’assenza della vescica biliare in alcuni uccelli, la descrizione della trachea della gru, piuttosto particolare nell’ambito degli uccelli (Paulus e van den Abeele 2000). L’interesse per l’anatomia aviare, tradisce una volta di più, la volontà di Federico di indagare fino in fondo e spiegare – ma è soprattutto uno spiegarsi – le cause di certi comportamenti e attitudini. Il suono profondo, quasi di tromba, emesso dalla gru, viene chiarito grazie alla particolare struttura della trachea di questo uccello che forma una cassa di risonanza capace di amplificare il suono; la descrizione di quest’organo è precisa come in un moderno manuale di veterinaria (I 208).

Basta poi dare una veloce scorsa a come la materia del primo capitolo sia suddivisa meticolosamente, e siano presentate attività e caratteristiche fisiche degli uccelli, fornite ogni volta di uno o più esempi concreti (solo al colore del piumaggio sono dedicati otto paragrafi: I 119-126), per rendersi conto dell’attenzione dedicata nel De arte venandi ad ogni aspetto, fisico e comportamentistico, degli uccelli.

Le osservazioni di Federico II, pur nella loro eccellenza, non sono le uniche attestazioni ornitologiche medievali: le sculture magnifiche e levigate delle chiese romaniche, i riferimenti sparsi nella poesia e nella prosa – dove compare persino lo scricciolo (bederesc in provenzale) – certe bellissime miniature che ornano i messali., alluminati di uccelli di ogni sorta, spesso rappresentati con mirabile precisione, parlano dell’interesse del Medioevo per gli uccelli, presenze consuete e familiari come forse mai più in seguito.

Bibliografia

Paulus A., van den Abeele B. (2000), Frédéric II de Hohenstaufen, “L’art de chasser avec les oiseaux”. Le traité de fauconnerie “De arte venandi cum avibus”, traduit, introduit et annoté par Anne Paulus et Baudouin Van den Abeele, Nogent-le-Roi, J. Laget, 2000, pp.564 con figg. e tavv. n.t. e f.t. (Bibliotheca cynegetica, 1)
Trombetti Budriesi A.L. (2000), Federico II di Svevia, De arte venandi cum avibus. L’arte di cacciare con gli uccelli, Edizione e traduzione italiana del ms. lat. 717 della Biblioteca Universitaria di Bologna collazionato con il ms. Pal. Lat. 1071 della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi, Roma-Bari, Laterza, 2000 (Collana di Fonti e Studi, 10)
Tratto da: http://www.ebnitalia.it