FAQ: Domande ricorrenti sulla Falconeria

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1) E’ meglio comprare un rapace già addestrato?

R: Ad alcuni neofiti può balenare in testa di comprare un rapace già addestrato poichè in questo modo tutto il lavoro sarà semplificato, ma questo in genere non è vero. Nella pratica è sconsigliabile l’acquisto di rapaci già addestrati da parte dei neofiti per vari motivi:

1) Non si apprenderà nulla sull’addestramento;
2) Se non si ha una decente preparazione si rischia anche di “rovinare” il rapace dal punto di vista dell’addestramento;

3) Se non si possiede la giusta preparazione tecnica non si otterranno risultati anche se il rapace è già addestrato o comunque le sue performances saranno ben inferiori a quelle che il rapace aveva col precedente falconiere.

2) I rapaci riconoscono le persone?

R: Questa è una domanda piuttosto difficoltosa. La capacità di un rapace di distinguere le persone dipende:

1) dal tempo che esso ha passato con lo stesso falconiere

2) dal tipo di allevamento che ha ricevuto

3) dal suo imprinting

4) dalla specie di appartenenza

5) dalla variabilità individuale.

In genere i falchi che hanno passato più di un anno “intenso” con lo stesso falconiere imparano a riconoscerlo e dunque si comportano diversamente (per es. aggressivamente) con le altre persone, almeno all’inizio. Il discorso della variabilità individuale può spiegare bene quello che succede con i gufi: 2 gufi reali africani che ho avuto (fratello e sorella, ma nati in anni diversi), allevati allo stesso modo, si sono comportati in maniera diametralmente opposta quando sono stati ceduti ad altri allevatori, la femmina è diventata aggressiva ed intrattabile per almeno un mese, prima che si ri-abituasse al nuovo padrone; il maschio invece si è comportato docilmente sin dall’inizio con l’altro suo nuovo padrone.

3) Quanto vive un rapace?

R: La vita dei rapaci in cattività è più lunga dei rapaci selvatici, che sono soggetti ad una maggiore pressione selettiva. La vita dei rapaci è poi proporzionale alla massa corporea. Tenendo conto che un Canarino che pesa 20 gr può vivere fino a 20 anni in cattività, teoricamente un rapace potrebbe tranquillamente superare i 30 o più anni. Conosco falconieri che hanno Pellegrini di 18 anni, Gufi reali di 14 anni, e altri rapaci di oltre 20 anni di età. Maggiori approfondimenti

4)  Quando acquistare il rapace?

R: Il periodo migliore per l’acquisto di un rapace è la primavera, poichè in tale periodo si ha la riproduzione dei rapaci in cattività. In genere è sempre meglio contattare gli allevatori già in Febbraio per prenotare, almeno sulla parola il rapace. Il momento in genere in cui si può entrare in possesso del rapace scelto invece parte da Maggio ma solitamente si arriva a Giugno, poichè il rapace prima di essere venduto deve avere un documento CITES che spesso tarda ad arrivare.

5) Quanto costa un rapace?

R: Il costo dei rapaci è in genere piuttosto elevato ma comunque può variare molto in funzione della specie, ma anche del sesso, del trasporto e della sottospecie. In genere i rapaci notturni (Strigiformi) sono più economici dei rapaci diurni (Falconiformi): si parte dalle 150-300 euro per un Barbagianni per arrivare alle 400-500 per un Gufo reale tra i notturni, mentre nei diurni si va dalle 200-350 euro per un Gheppio comune alle 1200-1400 per una femmina di Harris o Pellegrino. Maggiori dettagli sui prezzi.

6) Cosa mangiano i rapaci?

R: In natura tutti i rapaci sono carnivori, e hanno delle diete specializzate, ce ne sono alcuni che si nutrono quasi esclusivamente di uccelli (Pellegrino), altri che si nutrono quasi esclusivamente di insetti (Assiolo) o di Rettili (Biancone) o di pesci (Falco pescatore, Aquile di mare). In cattività dunque la dieta deve essere adeguata alla specie di rapace che si sta allevando. Un cibo che possono mangiare tutti i rapaci, abbastanza generico, ma NON sufficiente è la quaglia. Maggiori dettagli sull’alimentazione dei rapaci in cattività.

7) Quanto spazio ci vuole?

R: Lo spazio richiesto per tenere i rapaci in cattività dipende sia dalla specie in questione e sia dal tipo di attività che si vuole praticare (Allevamento, addestramento, riproduzione).

8) Quanto tempo richiedono?

R: Anche in questo caso il preventivo di tempo che un rapace in cattività richiede dipende dalla sua specie di appartenenza e da quello che vogliamo fare con lui. Se vogliamo addestrarlo sicuramente verrà richiesto molto più tempo che non per un allevamento semplice, soprattutto se lo si vuole poi portare a caccia.

9) Quale specie comprare?

R: La corretta scelta della specie del vostro primo rapace è già una quasi garanzia di successo. Scegliendo la specie sbagliata si rischia moltissimo. I fattori che influenzano la scelta sono numerosissimi. Il consiglio che mi sento di suggerire è di acquistare un animale adatto ad un principiante ad esempio il falco di harris, animale docile, robusto adattissimo a tutti gli scopi. Il secodo suggerimento è quello di acquistare il rapace in base alle prede che vuoi insidiare.

10) I rapaci ritrovano la strada per tornare a casa se si perdono?

R: No, i rapaci non riescono a ritrovare la strada per tornare a casa se si perdono, anche se qualche volta può succedere (ed è successo) con le Poiane di Harris. I rapaci non hanno un sistema di navigazione preciso ed efficiente come quello dei Piccioni e non hanno questo istinto di “homing”.

12) E’ legale tenere un rapace?

R: Dipende dalla provenienza del rapace. In Italia oggi è consentito detenere in cattività per allevamento, riproduzione o addestramento solo rapaci nati in cattività. La cattura dei rapaci è assolutamente vietata. Si incorre in rischi legali anche se si soccorre un rapace ferito o ammalato e lo si tiene nella propria casa: in questi casi è sempre bene consegnarlo agli appositi centri di recupero della fauna selvatica (Lipu, Wwf, Forestale ecc.)

13)  I rapaci possono stare da soli?

R: I rapaci sono diversi dai pappagalli, essi non cercano in genere una interazione sociale, poichè in natura sono solitamente animali solitari a parte il periodo riproduttivo in cui invece stanno in coppia. In genere però non è corretto tenere un rapace da solo in una voliera, e bisogna sempre optare tra: addestramento o riproduzione in cattività.

14) Dove si tengono i rapaci?

R: I rapaci possono essere tenuti in voliere da riproduzione o singole, in appositi locali per rapaci addestrati (Falconiere) oppure anche in casa.

15)  I rapaci soffrono il caldo/freddo?

R: I rapaci sono sensibili ai fattori climatici così come tutti gli altri animali domestici. La loro sensibilità dipende soprattutto dalla massa e dalla sottospecie: i piccoli rapaci (Gheppi, Smerigli, Assioli per esempio) sono estremamente sensibili al freddo così come i rapaci di sottospecie meridionali, i rapaci di sottospecie nordiche o di specie adattate al freddo invece sono sensibili al caldo (per es. i Gufi delle nevi).

16) Si può tenere un rapace in casa? E in giardino?

R: Usando le adeguate tecniche di alloggiamento è possibile tenere un rapace anche in casa o in giardino. Tutto dipende dalla dimensione, qualità e caratteristiche della voliera usata e dal modo in cui viene organizzato l’alloggiamento in casa.

17) Si può fare falconeria senza avere il porto d’armi?

R: La risposta a questa domanda è molto difficile, è comunque un “no”. L’attuale legge sulla caccia riconosce i rapaci come dei mezzi atti alla caccia per cui voi potete comprarli, allevarli, riprodurli ma non portarli a volare liberi al di fuori del periodo di caccia per cui serve il porto d’armi e la licenza di caccia. L’unico punto a vostro favore è solo quello che il rapace deve essere considerato come un animale domestico, alla stregua di un cane, e dunque come è possibile portare un cane a passeggio in un prato, così deve essere possibile portare a spasso un rapace. Ma in genere tutto sta alla bontà, comprensione e competenza del personale che eventualmente vi controllerà sul campo.

18) E’ un problema se ci sono altri animali domestici o dei bambini in casa?

R: In ogni caso è bene evitare qualsiasi contatto tra gli altri animali domestici e i rapaci e tra i bambini ed i rapaci. Non sempre è possibile prevedere quale sarà il comportamento del rapace nei loro confronti, soprattutto se è un rapace che possedete ancora da poco tempo. I bambini inoltre potrebbero involontariamente aprire le porte dei locali di allevamento provocando la fuga dei rapaci. Sono numerosi i casi segnalati di rapaci che hanno ferito o ucciso gatti o cani che vivevano in casa come animali domestici.

19)  I rapaci sono aggressivi?

R: I rapaci sono aggressivi per loro natura verso gli altri animali e, se non allevati, addestrati e gestiti adeguatamente, possono diventare aggressivi anche verso l’uomo. In genere però non si registrano quasi mai incidenti dovuti a rapaci che hanno aggredito i falconieri, gli unici casi conosciuti sono quelli di alcune Aquile che hanno ferito, anche gravemente, i propri falconieri.

Altre Domande ricorrenti:

· Come posso iniziare ad avvicinarmi a quest’arte?

Il consiglio che diamo sempre è di non agire MAI come autodidatta…..
E’ bene che contatti una delle Associazioni Riconosciute che trovi elencate tra i Link della “Associazioni, Clubs di Falconeria”.
Se non ce ne dovesse essere nessuna, puoi provare a contattare un falconiere della tua zona dalla mailing list di Falconeria.

 

· Quanto Tempo occorre allenare il falco?

Per mantenere in forma il tuo falco durante la stagione della caccia, dovrebbe volare almeno 3 volte a settimana. Considerando un tragitto medio di 10km o più….armare il falco, volo, e rientro…,salvo imprevisti……1,30. Se il falco si allontana, se va in pianta con il pasto che era “fissato” sul logoro….non basta una giornata!  Dalla chiusura della caccia fino alla riapertura, il falco rimane in voliera a fare il pensionato con cibo a volontà e acqua fresca.

 

· Dove posso comprare un rapace?

Questo è il tipo di domanda che odio e che le persone che non conosco mi fanno spesso…..
Perchè uno dovrebbe comprare una Ferrari ancora prima di saperla guidare?
Insomma….senza conoscenze, esperienza, ma con molta ignoranza (nel senso puro del termine) come si può pensare di comprare il più bel cacciatore del cielo, di tenerlo in ottima salute e di poterlo volare libero?
La risposta è sempre: contattate una associzione, iscrivetevi alla mailing list e contattate il falconiere a voi più vicino. Quando avrete imparato con la teoria e con la pratica, quando l’associazione e il vostro maestro non ce la faranno più di avervi tra le scatole : ) vi indicheranno loro dove acquistare il vostro primo rapace!

 

· Quanto spazio serve per poter alloggiare un rapace?

La misura minima che consiglio è almeno 2 metri per 2 dove costruire una voliera ad ok per il vostro protetto.
Sarebbe utile avere uno spazio per giardinare il falco (esporlo alla luce del sole sul prato con la vasca dell’acqua per bere e per il bagno). Per l’allenamento…ovviamente questo spazio non basta e bisogna recarsi fuori città.

 

· Dove compro quello che serve?

Tra i nostri SUPPORTERS abbiamo degli ottimi produttori di attrezzatura che va dal geto passando per il cappuccio, logoro fino alla pertica in acciaio INOX. Troverai tutto quel che serve! ; )

 

· E’ necessario avere la licenza di caccia ?

Poichè il falco è considerato dalla legge 157/92 (la legge che stabilisce i termini generali della protezione della fauna italiana e ne regolamenta il prelievo venatorio) uno dei tre mezzi di caccia legali in Italia (insieme al fucile e all’arco) è obbligatorio che il falconiere conosca tale regolamentazione e che abbia l’autorizzazione dello Stato al prelievo venatorio. Poichè in Italia la Licenza di Caccia è vincolata al Porto d’armi ad uso caccia, è indispensabile, per poter esercitare la caccia con il falco, essere in possesso del porto d’armi e della licenza di caccia.

 

· Si possono catturare i falchi selvatici ?

Assolutamente no ! Tutti i rapaci diurni e notturni sono protetti da normative internazionali che ne regolamentano il commercio e la detenzione in tutto il Mondo, con severissime sanzioni anche penali per chi agisce illegalmente.

 

· Un falco da caccia è in grado di catturare qualsiasi preda ?

Sicuramente no. E’ molto difficile catturare selvaggina con i falchi addestrati poichè il volo viene condizionato dalle necessità del falconiere (il rispetto delle leggi, delle specie cacciabili, dei tempi venatori, la cerca con il cane etc) e perde moltissime potenzialità dello stile di caccia che adottano i falchi in natura. La falconeria è fondamentalmente una disciplina che ha come scopo finale la “qualità” dei voli e non la “quantità” delle catture, sempre rispettando la natura predatoria dei rapaci.

Tratta da www.uncf.it

· E’ possibile impedire ad un falco la cattura di un animale protetto ?

In linea di massima sì. I falchi di basso volo partono all’attacco dal guanto, per cui il falconiere può trattenerli o meno, dopo avere valutato la preda. I falconi d’alto volo vengono scappucciati e lanciati dopo che il cane ha fermato la preda e comunque nessun uccello selvatico si leva in volo se un falcone sta volteggiando in caccia. Inoltre i falconi che vengono addestrati fondamentalmente su alcuni tipi i selvaggina (piccioni, fagiani etc) tendono a rifiutare altri uccelli che non conoscono.

Tratta da www.uncf.it

 

· Il cappuccio ed i geti sono fastidiosi per i falconi ?

Nessuno è mai riuscito chiederglielo! Sicuramente la natura li ha creati senza, ma d’altra parte anche i cani sono costretti a guinzaglio e museruola, i cavalli sopportano il morso e la sella ed i gatti casalinghi spesso vengono castrati senza che nessuno gridi allo scandalo! Forse, potendo scegliere, preferirebbero il cappuccio…

Tratta da www.uncf.it

Soprattutto il cappuccio è fatto apposta per non dare fastidio all’animale, tutti gli articoli di falconeria sono fatti su misura poichè ogni animale è diverso dall’altro.
La prima preoccupazione del Falconiere è la salute psicofisica del suo falco.

 

 

· I falchi sono pericolosi per le persone ?

Generalmente no, ci possono essere falchi allevati dall’uomo (imprintati) che perdono la paura atavica verso le persone e talvolta diventano un po’ troppo “confidenti”. Non ci sono comunque mai stati episodi di gravità tale da dover essere ricordati. Qualche graffio lo si prende anche giocando con il solito micio di casa…

Tratta da www.uncf.it

 

· Ma…Tornano?

Ahahaha! Me la fanno tutti sta domanda!! per fortuna si. Con loro si instaura un feeling di reciproca fiducia, un legame indissolubile ma a volte capita che si allontanino e che non riescano più a trovare il loro Falconiere. Qui è indispensabile la telemetria.

 

· E se il falco si allontana e non lo vedo più?

Molto spesso i falconi ritornano da soli da dove si sono allontanati. Se non lo fanno… li si può individuare grazie alla telemetria. Il falco possiede sulla coda una trasmittente che trasmette un segnale ad impulsi generalmente a 216 mhz che viene captato dalla ricevente del falconiere. La portata del segnale spesso supera i 10 km quindi si hanno buone chances.

 

· Ma poi ti riporta la preda?

Ahahahahaha! Anche questa è un’altra domanda immancabile…  No, il Falco una volta catturata la preda la porta a terra e come farebbe in natura inizia il pasto. La differenza sta che non teme l’uomo, tantomeno il suo faconiere, quindi si lascia recuperare con tranquillità.

 

· Cosa mangiano?

Carne cruda. Teste e colli di pollo, ali, quaglie, tacchino, coniglio,piccioni, ovviamente starne fagiani e altri ancora. Oggigiorno una ditta tedesca inscatola pulcini di un giorno surgelati e ratti e topi anch’essi surgelati. I pulcini sono quelli scartati dagli incubatoi poichè troppo piccoli, deboli o malformati. Preparatevi quindi anche voi ad ospitare nel vostro freezer (per la gioia della Vostra famiglia) questo ben di Dio!

· A me non interessa la caccia

Se non vi interessa la caccia, non è detto che il vostro falco (che da millenni è stato selezionato per specializzarsi nella caccia..) sio dello stesso parere…  Sarebbe come avere un cavallo ma non farlo correre, come tenere un cane sempre al guinzaglio….sarebbe come avvilire questi splendidi animali nati per cacciare, per volare, per inseguire a dei pappagalli con lo sguardo spento e triste….orribile! Pensateci…e non siate egoisti….

· E se devo andare in vacanza?

Se volete andare a sciare, al mare, ai tropici….dovete fidarvi ciecamente di qualcuno che ogni giorno li nutra e disposto a manipolare topi, pulcini ed altra carne cruda.Una persona che in caso di bisogno non abbia paura ad infilarsi un guando e a prendere l’animale. Una persona che abbia un po’ d’occhio perchè se il falco si ammala in vostra assenza…sono cavoli…Pensateci!

 

· Quanto puo costare un falco, Una poiana coda rossa e un astore?

Dai 600,00 Euro per un maschio fino a 800-900,00 Euro per una femmina.

 

· il mio condominio è letteralmente invaso dai piccioni, come posso contattare un addestratore di falchi?

Potete inserire una vostra richiesta di intervento sul Forum di questo sito. Verrete contattati dagli interessati.

Il Falco pellegrino e alcune sottospecie

Il Falco pellegrino siberiano (Falco peregrinus calidus) in Italia
di Andrea Corso

 

Falco peregrinus calidus1Fino a pochi anni il Falco pellegrino della sottospecie siberiana calidus veniva considerato un accidentale in Italia e poche erano le segnalazioni conosciute. Brichetti et al. (1992) ne riportano solo circa una decina. In realtà è uno svernante regolare e, in minor misura, migratore regolare sebbene sia molto raro e localizzato (Corso ined.).

Ogni anno qualche individuo arriva a svernare da noi (soprattutto nelle vaste zone umide o lungo la costa) e qualcuno è stato visto in migrazione primaverile ed autunnale sullo Stretto di Messina; ad esempio 1 maschio adulto è stato avvistato nel maggio 1997 e ben 6 adulti e 1 juv. nella primavera 1999 (Corso, Cardelli, Marcone, Garavaglia, DiPietra et al. ined.). Le regioni dove è più facile vederlo sono la Sicilia e la Puglia, ma anche la Campania, il Lazio e la Calabria. Nelle altre regioni, soprattutto al nord Italia, sembra sia più accidentale o comunque irregolare. Al Centro Recupero Rapaci LIPU di Sala Baganza ho trovato in voliera due ind. adulti in fase di recupero provenienti dall’Emilia Romagna.

Questa distribuzione geografica delle segnalazioni in Italia potrebbe essere in parte spiegata dal fatto che numerosi individui, provenienti dalla Siberia, vanno a svernare in Nord Africa, utilizzano la rotta migratoria adriatica e passando poi per la Puglia e quindi per la Sicilia. E’ così che molti individui vengono osservati in queste regioni più che in altre e alcuni scelgono di fermarvisi e passarvi l’inverno.

In questa nota riporto in breve i caratteri distintivi salienti per l’identificazione del Falco pellegrino ssp. calidus, in riferimento alla separazione dalle ssp. brookei e peregrinus e soprattutto dal Lanario juv. In effetti esistono numerose similitudini con il Lanario juv. o il Falcone di Barberia juv. e la distinzione è spesso tutt’altro che semplice. Per la distinzione dal Falcone di Barberia si rimanda a guide specifiche o lavori approfonditi.

Il Falco pellegrino siberiano,da dove viene e dove va?
di L. Ruggieri

calidusIl Pellegrino è un falcone cosmopolita, distribuito in tutto il mondo con oltre 19 sottospecie che occupano una grande varietà di habitat: soltanto l’Antartico e la fitta foresta equatoriale sono disertati da questa specie estremamente plastica. Tra queste, le sottospecie tundrius e calidus, che abitano le latitudini più nordiche dell’emisfero settentrionale, rispettivamente l’Artico americano e la tundra paleartica, sono specie migratrici ad ampio raggio.

In particolare, il Pellegrino siberiano, F. p. calidus, che nidifica dalla Finlandia orientale fino alla Siberia occidentale, non rimane sui territori di nidificazione durante il rigido inverno nordico, ma compie una migrazione di migliaia di chilometri verso Sud.

E’ certamente difficile immaginare un “falcone 2 stagioni”, che nidifica a terra nei freddi orizzonti subartici e che sverna tra gli elefanti nella savana africana, ma al Pellegrino siberiano sembra proprio che le vie di mezzo vadano strette.

Pellegrini siberiani calidus, sono stati rinvenuti regolarmente svernanti nel continente africano fino al Sud Africa, con una rotta migratoria che investe la penisola arabica e il Mar Rosso e che scende lungo la costa africana seguendo da presso quella dei milioni di limicoli che migrano verso sud. Le vie migratorie non sono ben delineate, soprattutto a livello delle singole subpopolazioni, ma il radiotracking ne ha permesso di svelare alcuni segreti, come la migrazione di 4 calidus catturati nella penisola di Kola (Fennoscandia) nel 1994 e che hanno svernato in Europa occidentale.

Distinzione da F. peregrinus peregrinus e F. peregrinus brookei

Rispetto a queste sottospecie è più grosso, con le femmine che arrivano alle dimensioni di un Sacro, e ha la coda più lunga, così come le ali; spesso, però, i maschi di calidus e le femmine di peregrinus – brookei sono sovrapponibili per dimensioni.

Il Falcone siberiano presenta baffo molto più stretto e meno netto rispetto agli altri Pellegrini europei; l’area chiara sulla nuca è molto più estesa e chiara, può interessare buona parte del vertice e il suo colore è in genere meno fulvo che non in brookei, essendo di norma più sul camoscio chiaro, o nocciola, o color sabbia.

Spesso la fronte è dello stesso colore e la porzione scura si limita ad una stretta fascia sulla zona anteriore del vertice (la corona).

Mostra un largo e vistoso sopracciglio chiaro come il Lanario o il Sacro. Le parti inferiori hanno un colore di fondo più chiaro e presentano una striatura scura più stretta e delineata che nelle altre sottospecie. Le parti superiori sono anch’esse più chiare e sono caratterizzate da una ben visibile e contrastante marginatura chiara delle piume.

Tale marginatura è presente sul mantello, scapolari e groppone anche nelle altre sottospecie, ma i margini di ogni piuma sono più scuri, più rossicci e più stretti, di conseguenza spiccano meno e sono meno visibili.

 

Fonte:http://www.ebnitalia.it/QB/QB002/pere_cal.htm

Distinzione del F. p. calidus dal F. biarmicus juv

Per tutti i caratteri elencati sopra, l’ampia area chiara sulla testa e per il suo colore, per l’ampio sopracciglio chiaro, per il mustacchio stretto, per la colorazione delle parti superiori con la caratteristica marginatura chiara, ecc., il F. p. calidus in piumaggio giovanile è molto più simile ad un Lanario che non ad un altro Pellegrino. In effetti proprio col Lanario juv. sono stati confusi gran parte degli esemplari conservati nei nostri musei. Per distinguerlo si noti in primo luogo:

in volo, il Falco pellegrino siberiano mostra sempre sottoala omogeneo, uniformemente marcato di scuro (barrato e striato) e senza contrasti netti, invece il Lanario juv. mostra il sottoala con due toni di colore, avendo le copritici molto scure che contrastano con le remiganti più chiare.

le striature delle parti inferiori sono più grossolane nel juv. Lanario e, in volo, si nota poi uno stacco tra queste ed il sottocoda chiaro e privo di segni scuri, mentre nel Falcone siberiano questo contrasto è assente, essendo il sottocoda barrato nella maniera tipica del Pellegrino.

Le zampe sono più affusolate che nel Lanario; soprattutto le dita appaiono più strette e lunghe. Inoltre, diventano gialle già poco tempo dopo l’involo, mentre spesso nel Lanario rimangono azzurrastre più a lungo.

 

Bibliografia

Brichetti P. et al. (eds) Fauna d’Italia. Aves. I. – Edizione Calderini, Bologna.

Corso, A. (in prep.). Barbary Falcon in Europe: a Review of its Status and Identification. Di prossima pubblicazione su Ornithos o Dutch Birding.

La novella del Falcone (Dal Decameron )

Giovanni Boccaccio: il Decamerone
(giornata V, novella 9).

LA NOVELLA DEL FALCONE (Dal Decameron )

decameroneViveva una volta a Firenze un giovane nobile e ricco che si chiamava Federigo degli Alberighi. Federigo era una brava persona, e di carattere molto gentile.

Un giorno Federigo è andato ad un banchetto dove c’erano persone della sua età e della sua condizione. Durante il banchetto ha incontrato una donna bellissima, Giovanna, e si è innamorato subito di lei. Da quel giorno Federigo pensava solo a Giovanna e al modo di potere conquistare la sua attenzione.

Per attirare l’attenzione della bella donna Federico ha cominciato a dare ricevimenti e a organizzare giostre. Ma Giovanna,  che era sposata, non ha voluto mai restituire le cortesie dell’innamorato.  Federigo continuava a farle la corte, finché ha speso tutti i soldi che aveva. E’ diventato così povero che non poteva più vivere nella città di Firenze ed è dovuto andare ad abitare in una piccola casa in campagna. Viveva così molto poveramente, e mangiava la selvaggina che riusciva a prendere con l’aiuto di un falcone.

Un giorno il marito di Giovanna è morto e la bella donna è rimasta vedova. Giovanna pensava di dedicare tutta la sua vita e tutto il suo affetto all’educazione del suo unico figlio. La madre e il figlio andavano sempre a passare l’estate in una villa che avevano in campagna. Per caso questa villa era situata proprio vicino alla casa dove abitava Federigo. Il figlio di Giovanna così ha conosciuto Federigo e andava spesso a caccia con lui. Al ragazzo piaceva molto il bellissimo falcone che aveva Federigo  e voleva chiedergli in regalo il falcone,  ma era troppo timido.

Un brutto giorno il ragazzo si è ammalato gravemente. Una madre vuole fare di tutto per confortare il figlio. Così Giovanna gli ha chiesto:

“Figlio mio, desideri qualcosa?”

E il giovane ha risposto: “C’è una cosa sola che può farmi piacere: il falcone di Federigo.”

Giovanna è rimasta un po’ a pensare e poi ha deciso di andare personalmente da Federigo a chiedere in regalo il falcone per il figlio malato. Molti anni erano passati da quando lei aveva rifiutato così severamente l’amore di Federigo.

All’inizio, Federigo era molto sorpreso di vedere Giovanna, poi pensava che quello era davvero il momento buono per mostrare alla donna che l’antico amore non era ancora morto. L’ha pregata di rimanere a pranzo con lui. Giovanna ha accettato,  e sperava di trovare durante il pranzo il momento giusto per fare la sua richiesta.

Il pranzo era molto povero. Non c’era sulla tavola che un uccello dalla carne molto dura. Alla fine del pranzo Giovanna ha voluto confessare a Federigo il vero motivo della sua visita. Quando però è arrivata a chiedere il falcone per il figlio malato, Federigo è diventato bianco e ha risposto: “Giovanna, io ti ho sempre amata e ti amo anche adesso. Per invitarti a pranzo ho dovuto uccidere il mio falcone.  Tu lo hai mangiato ora, qui, con me.”

Il figlio di Giovanna è morto poche settimane dopo. Solo allora la madre, che con la morte del figlio era rimasta completamente sola, ha accettato finalmente il tenace amore di Federigo e l’ha sposato.

Il Falco pellegrino e il DDT

uova falco pellegrino rotte

DATI STORICI E RECENTI

testaritagliataIl Pellegrino (Falco peregrinus) è una specie a distribuzione cosmopolita. Le massime densità si rinvengono in Spagna, Gran Bretagna, isole del Mare di Bering e in alcune zone dell’Australia. Storicamente ha sempre dimostrato grande stabilità demografica. Nelle Isole Britanniche, di cui si dispone ampia documentazione, la popolazione nidificante si è mantenuta attorno alle 800 coppie dai tempi della Regina Elisabetta I alla Seconda Guerra Mondiale. Alcuni siti sono rimasti addirittura occupati per l’intero periodo.

Prima del 1940 era presente in Nord America con una popolazione minima di 7000 coppie per la maggior parte localizzate in Alaska e Canada settentrionale e in Europa con circa 8000, con le popolazioni più rappresentative in Scandinavia, Spagna, Gran Bretagna e Francia. Nell’immediato secondo dopoguerra iniziò un sensibile declino e all’inizio degli anni ’70, momento del minimo storico, furono stimate soltanto alcune centinaia di coppie in Nord America e meno di un migliaio in Europa. La situazione per le restanti parti dell’areale non è ben documentata.

Attualmente la popolazione mondiale è complessivamente in aumento. Alla fine degli anni ’80 era già presente in Nord America con 1200 coppie e in Europa con oltre 4000. Mentre in alcuni Paesi ha ormai completamente recuperato o addirittura superato i livelli pre-bellici (Gran Bretagna e Svizzera), in altre aree la ripresa è considerevolmente più lenta (Nord Europa).

Cause del declino. All’inizio degli anni ’60, in Europa e Nord America ebbero inizio specifiche ricerche per il controllo dei siti storici di Pellegrino. Ovunque risultò evidente un rilevante declino delle popolazioni indagate. Nella parte orientale degli Stati Uniti, dove nidificavano oltre 300 coppie prima del 1940, non fu trovato un solo nido attivo. I risultati portarono alla conclusione che la specie si era praticamente estinta al di sotto della fascia della foresta boreale ad est del Mississippi. In Europa, la popolazione fenno-scandinava passò da oltre 2000 coppie prima del 1950 a poche decina di coppie nel 1975. Altre popolazioni scomparvero completamente, come quella di oltre 500 coppie nidificante su albero che andava dalla Germania agli Stati Baltici. Per alcuni anni ci si domandò che cosa potesse aver causato un simile collasso su vasta area.

Nel tempo divenne sempre più evidente che i pesticidi organoclorici erano stati la causa del crollo delle popolazioni alla scala globale. Il DDT cominciò ad essere utilizzato come insetticida nel 1945 e diventò in pochi anni la sostanza maggiormente impiegata a tale scopo nel mondo. La scelta derivò dal suo ampio spettro d’azione. Agendo sia contro gli insetti responsabili delle patologie vegetali, sia contro quelli dannosi alla salute umana, trovò largo impiego oltre che come fitofarmaco in campo agricolo, anche come mezzo per combattere particolari malattie veicolate da insetti come la malaria. Inoltre, poiché sostanza chimicamente stabile, i suoi effetti risultarono sorprendentemente persistenti nel tempo. All’inizio, tutto questo si dimostrò apparentemente vantaggioso.

Studi successivi dimostrarono che il DDT sparso nell’ambiente stazionava per lungo tempo sulla vegetazione e veniva ingerito dai consumatori primari con la biomassa vegetale. In quanto sostanza liposolubile (non solubile nell’acqua), non veniva escreto, ma progressivamente accumulato. Alimentandosi di uccelli contaminati, il Pellegrino andò velocemente incontro al fenomeno del bioaccumulo. I danni maggiori cominciarono così a manifestarsi non tanto nelle specie dei livelli trofici inferiori nei cui tessuti difficilmente si potevano raggiungere quantità tossiche, ma piuttosto nei predatori, per assunzione progressiva di quantità concentrate.

Si scoprì che la concentrazione di DDT nei tessuti del Pellegrino poteva causare la morte diretta dell’animale per avvelenamento acuto se presente al di sopra di una certa
soglia, oppure il danneggiamento dell’apparato riproduttivo nelle femmine. In questo caso, o veniva del tutto impedita la deposizione, o venivano deposte uova con guscio di spessore inferiore alla norma per carenza di calcio, tali da fratturarsi durante l’incubazione. Fu scoperto anche che le popolazioni dell’Alaska e del Canada settentrionale assumevano i pesticidi durante il periodo dello svernamento in America Latina, dimostrando che il DDT poteva essere facilmente veicolato lungo la catena alimentare da un emisfero all’altro.

Mentre in Nord America il DDT fu la sostanza ritenuta maggiormente responsabile dei danni all’ecosistema, in Europa l’Aldrin e il Dieldrin vennero considerati addirittura più tossici. Tali insetticidi, introdotti a metà degli anni ‘50 e utilizzati soprattutto per disinfestare le sementi, si resero responsabili di un gran numero di decessi per avvelenamento diretto. Infatti, poco dopo il loro utilizzo furono notati sensibili decrementi in molte popolazioni di rapaci, mentre l’applicazione di norme più restrittive dopo circa un decennio, segnò la ripresa di quasi tutte le specie fino a quel momento compromesse, in particolare Pellegrino e Sparviere (Accipiter nisus).

Oggi il Pellegrino è considerato la specie-chiave di ogni habitat. Trovandosi al vertice della piramide alimentare costituisce il punto focale del passaggio dell’energia attraverso la comunità, dimostrandosi per questo particolarmente sensibile alle variazioni delle componenti inorganiche e biotiche dell’intero ecosistema.

La fase di recupero. All’inizio degli anni ’70, il futuro del Pellegrino sembrava segnato. Nonostante il DDT fosse già stato bandito in Canada, negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi industrializzati d’Europa, l’ambiente era rimasto comunque contaminato e le popolazioni di Pellegrino avevano raggiunto valori di densità estremamente bassi. Inoltre, una buona parte degli individui sopravissuti risultava completamente sterile.

Verso la fine del decennio qualcosa cominciò a cambiare. Nel 1977, in Nord America, un Pellegrino rilasciato si accoppiò e si riprodusse con successo. Da allora ad oggi in America settentrionale sono stati reintrodotti circa 4000 Pellegrini, 600 solamente nella provincia dell’Ontario, in Canada. Un numero considerevolmente più basso fu rilasciato anche in alcune grandi città della Germania e negli anni, un po’ ovunque, alcuni individui iniziarono a riprodursi aiutando localmente le popolazioni superstiti ad uscire dalla crisi. Nella parte orientale degli Stati Uniti è risaputo che tutti i Pellegrini oggi nidificanti derivano da individui provenienti dalla cattività. Nel 1981, la popolazione della Gran Bretagna aveva già quasi raggiunto i livelli storici.

IL PELLEGRINO E L’UOMO
peregrine-falconL’uomo è interessato al Pellegrino da circa 3000 anni. Testimonianze storiche dimostrano che la specie era tenuta in alta considerazione in molte culture antiche. In Europa, l’interesse verso il Pellegrino divenne prioritario in epoca medievale con il diffondersi della pratica della falconeria. La specie era considerata in quel periodo uno status-symbol e veniva utilizzata solamente dalle classi nobili. L’inversione di tendenza si verificò circa un paio di secoli fa, quando tutti i rapaci iniziarono ad essere sistematicamente perseguitati.

L’abbattimento diretto è stata certamente una delle principali cause della rarefazione dei rapaci. Dal 1700 in Europa e Nord America iniziò la persecuzione deliberata di tutti i predatori indistintamente con lo scopo prioritario di salvaguardare gli stock di selvaggina. A metà del 1800 l’attività si fece più sistematica e specie ampiamente distribuite come l’Aquila di mare (Haliaëtus albicilla) e il Falco pescatore (Pandion haliaëtus) erano già state eliminate dalle Isole Britanniche nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale. Ancora alla fine degli anni ’60, in Unione Sovietica, venivano uccisi 120000 rapaci ogni anno.

Negli ultimi vent’anni il quadro giuridico è sostanzialmente
cambiato e i rapaci godano ora piena protezione legale nella maggior parte degli stati del mondo. Nonostante tutto, così come ribadito nella III Conferenza Mondiale sugli Uccelli da Preda (Eilat, 1987), gli abbattimenti illegali avvengono ancora con una certa frequenza in Francia e in tutti i paesi dell’Europa mediterranea, Italia compresa. Il giusto consenso potrà essere raggiunto solamente attraverso opportune campagne di informazione indirizzate verso le categorie sociali più coinvolte.

Un altro fattore limitante, in particolare in Europa e Asia, è stata l’incessante richiesta di spoglie e uova per tassidermia e collezionismo, soprattutto nei confronti delle specie più rare. Significativo è l’aneddoto riferito a William Dunbar, famoso collezionista di uova dei primi del 900, che per alcuni anni saccheggiò ripetutamente uno degli ultimi nidi di Falco pescatore scalando di notte le mura del vecchio castello in rovina sul Loch an Eilen nello Speyside, in Scozia.

Il nostro impegno nel mondo moderno.

E’ da circa vent’anni che l’uomo sta aiutando il Pellegrino. Il monitoraggio delle sue popolazioni, lo studio degli effetti dei pesticidi sugli individui, l’allevamento in cattività e la reintroduzione, l’adozione di un quadro legislativo internazionale, rappresentano gli sforzi congiunti di un’unica strategia di conservazione. E’ ammissibile che qualcuno si chieda se tutto questo abbia un senso, considerando che il tasso di estinzione globale sembra essere attualmente di 27000 specie/anno, molte delle quali perdute ancora prima di essere scoperte! Verrebbe da dire che la pulsione sia soprattutto emozionale o estetica. Se anche fosse, il vero problema è un altro.

Il vero problema è che siamo quasi 6 miliardi nel mondo. A partire da 10000 anni fa, momento in cui non esistevano più di 5 milioni di esseri umani, con l’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento, l’Homo sapiens si è svincolato con successo dagli ecosistemi locali sottraendosi ai fattori di controllo che regolano la dimensione delle popolazioni di tutte le altre specie sulla Terra. Ha dimostrato le massime capacità di adattamento trasformando consapevolmente l’ambiente in un substrato idoneo a se stesso. Tutto questo grazie ad una strategia di sopravvivenza impostata sulla trasmissione di cultura.

Gli ecosistemi locali sono comunque sistemi aperti, singole componenti integrate di un sistema globale dove il riciclo della materia e il trasferimento dell’energia dipendono da leggi fisiche e biologiche sperimentate dall’evoluzione da più di 3 miliardi di anni. Queste sono le regole della natura alle quali neppure l’uomo può sfuggire. Si sta così pensando ad una pianificazione dei beni e dei servizi improntata sul concetto di sviluppo sostenibile.

Ma cosa vuole dire sviluppo sostenibile? Se un cittadino medio di una nazione economicamente evoluta inserito in una struttura consumistica e produttiva, in termini di impatto ecologico, costa trenta volte di più di un abitante del Bangladesh o di un qualsiasi altro paese del Terzo Mondo, allora sviluppo sostenibile significa commisurato sfruttamento delle risorse biologiche, rinnovabili e limitate, in un contesto sociale di controllo delle nascite ed equa distribuzione della qualità della vita. Questo è l’obiettivo che dovrebbe prefiggersi l’uomo moderno, in un momento in cui il suo futuro non è affatto prevedibile.

A fronte dell’incertezza del futuro, pensare alla conservazione del falco Pellegrino sembra persino ridicolo. Se il Pellegrino potesse però servire come stimolo per una pausa di riflessione (come già accadde nel caso del DDT), per l’accettazione di un modello di vita con meno sprechi ed eccessi, per la rinuncia intenzionale al profitto esclusivo, per un qualche sacrificio in più a vantaggio di un benessere collettivo, allora lo sforzo di voler salvare un falco a tutti i costi non sarebbe stato vano… Noi vogliamo credere che sia così!

Riproduzione in cattività dei Rapaci

Tecniche per la riproduzione in cattività dei Rapaci

By Paolo Taranto

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INTRODUZIONE

 

Il termine “rapacicoltura” è stato coniato per indicare tutto l’insieme delle tecniche atte all’ allevamento ed alla riproduzione in cattività delle specie appartenenti a due particolari ordini della classe degli Uccelli: Falconiformi e Strigiformi, che vengono appunto comunemente identificati come rapaci (“raptors”) in funzione delle loro particolari abitudini alimentari. L’evoluzione ha fornito questo gruppo di uccelli delle “attrezzature” necessarie (potenti ed affilati artigli e becchi) ad effettuare una caccia attiva ( e non solo, per esempio gli avvoltoi) ad altri Vertebrati (Anfibi, Rettili, Uccelli, Mammiferi) e  grossi Invertebrati ( Insetti, Anellidi ecc.), e proprio questi adattamenti  nutrizionali pongono i rapaci in cima alle catene alimentari nei vari ecosistemi terrestri. A causa di questa loro particolare posizione di vertice i rapaci sono estremamente sensibili al disturbo ambientale provocato dalla specie umana. Molte delle specie appartenenti ai tre ordini suddetti sono oggi in pericolo di estinzione e la rapacicoltura è, assieme alle tecniche veterinarie, alla riabilitazione, alla falconeria e all’ ornitologia applicata, uno dei principali strumenti per il management e la protezione delle popolazioni selvatiche.

Elenco di alcune specie appartenenti a ciascuno dei tre ordini:

ACCIPITRIFORMI

STRIGIFORMI

Poiana comune

Civetta

Nibbio reale

Gufo reale

Sparviere

Gufo virginiano

Aquila reale

Gufo comune

Aquila del Bonelli

Allocco

Albanella pallida

Assiolo

Falco pellegrino

Civetta delle nevi

Gheppio

Barbagianni

 

I primi sforzi di riprodurre in cattività gli uccelli da preda, e quindi la data di nascita della rapacicoltura, possono essere fatti risalire ai primi anni quaranta ad opera di falconieri ed allevatori privati che ottennero i primi consistenti ed incoraggianti risultati con il Gheppio europeo (Falco tinnunculus) e con il Gheppio americano (Falco sparverius), oggi le specie di uccelli da preda più facili da riprodurre in cattività. In particolare la prima nascita di un Falco pellegrino (Falco peregrinus peregrinus) allo stato captivo si ebbe nel 1942 in Germania e fu seguita da successive nascite nel 1967 in Germania ed in Inghilterra. A partire dai primi anni settanta un po’ in tutto il mondo si assistette alla nascita di centri di recupero rapaci, centri di studio e ricerca oltre che di riproduzione in cattività e si ebbe un incremento di interesse da parte di ornitologi e naturalisti alla protezione degli uccelli da preda; ciò anche in seguito alla presa di coscienza dell’immane danno arrecato dai composti organoclorinici (DDT) alle popolazioni selvatiche. Nel 1982 già 17 specie di Falconiformi e numerose altre specie di Accipitriformi e di Strigiformi venivano riprodotte in cattività con soddisfacenti risultati.

 

Oggi la situazione è notevolmente migliorata e le tecniche e le attrezzature avanzate di cui dispone la rapacicoltura consentono l’ottenimento di eccellenti risultati. In tutto il globo fioriscono i centri di recupero, di studio, e di riproduzione in cattività oltre che le manifestazioni e le dimostrazioni di volo per la sensibilizzazione del pubblico (anch’essa un importante strumento di management). In cima alla classifica ci sono il Nord America ( con il Peregrine Fund, la Raptor Research Fundation, il Birds of Prey Center dell’università del Minnesota, la North American Falconer’s Association, il Canadian Wildlife Research Center ecc.), l’Inghilterra ( con il National Birds of Prey Center, il Welsh Hawking Center, il British Falconer’s Club, ecc.) e la Germania. Mentre la situazione italiana non è delle migliori: pochi centri di ricerca e di riproduzione in cattività, pochi sforzi, pochi allevatori e riproduttori privati. Ma io sono del parere che, anche grazie a queste pagine e con una adeguata divulgazione, si possa dare un input a tutti gli  ornicultori e falconieri italiani a diventare degli esperti rapacicultori.

 

GESTIONE DI UN PROGETTO DI RIPRODUZIONE IN CATTIVITÀ

Come tutte le discipline orniculturistiche, anche le tecniche utilizzate nella rapacicultura seguono il classico schema organizzativo, in base alla specie in questione, di seguito illustrato:

-ALLOGGI (HOUSING): locali di allevamento, pertiche, nidi, mangiatoie, ambiente, clima ecc.

-ALIMENTAZIONE (FEEDING): tipi, qualità e quantità dei cibi.

-RIPRODUZIONE (BREEDING): tecniche di propagazione, scelta dei riproduttori, uova, cova, allevamento dei pulcini, ecc.

-GESTIONE GENERALE E MANAGEMENT PERIODICO (GENERAL HUSBANDRY): igiene, aspetti veterinari, tecniche specifiche di addestramento, riabilitazione, selezione genetica ecc.

Quelli sopra elencati sono i principali punti da considerare quando si vuole gestire un programma di allevamento e riproduzione in cattività di una qualsiasi specie animale.

Ma prima di procedere ritengo sia opportuno chiarire altri due importanti concetti, spesso sottovalutati e trascurati: si tratta del concetto di “tipo” di allevamento (cioè obiettivo che si vuole raggiungere) e “tipologia” di animale allevato (nel nostro caso di rapace).

Infatti, se è razionale dire che le tecniche e le attrezzature da utilizzare per l’allevamento e la riproduzione in cattività variano da specie a specie (se non addirittura da una sottospecie ad un’ altra o da un ceppo ad un altro) e ciò è noto alla maggior parte degli allevatori (per i canarini useremo alloggi, cibi, tecniche propagative e di gestione diverse da quelle usate per i pappagallini ondulati), meno considerato invece è il fatto che tali tecniche varieranno anche in funzione sia del “tipo” di allevamento, sia della “tipologia” di animale allevato. Allora, anche nel caso della rapacicoltura, sarà necessario elencare quali “tipi” di allevamento si possono praticare e quali “tipologie”possono essere classificate all’interno della stessa specie di rapace.

Per quanto concerne la classificazione degli allevamenti si ha:

1) ALLEVAMENTO A SCOPO DI REINTRODUZIONE IN NATURA:

Raggruppa le tecniche usate al fine di gestire, prima della eventuale successiva reintroduzione in natura, i rapaci  feriti o traumatizzati (in maniera reversibile o irreversibile), pervenuti ai centri di recupero, o al fine di portare avanti programmi di ripopolamento con rapaci nati da ceppi in cattività. Nel primo caso   non verranno utilizzate tecniche di propagazione, ma nel secondo caso si tenterà di ottenere le  maggiori performance riproduttive, mentre nei casi intermedi si manterranno livelli di produzione medi (allevamenti a scopo conservativo: banche genetiche). In ogni caso però si cercherà di mantenere il pool genico ed il comportamento originari (cioè selvatici) dei rapaci in questione. A tale scopo  si useranno alloggi estremamente spaziosi, isolati dalle attività umane e che riproducano nel modo migliore possibile l’habitat e la nicchia ecologica naturale della specie in questione, in modo da metterla più a suo agio. Mentre per quanto riguarda gli uccelli, di  qualsiasi specie essi siano, è importante che il loro genoma (e quindi il loro adattamento genetico) sia e rimanga puro, cioè essi dovranno provenire direttamente dalla vita selvatica  o dalla vita in cattività purché da poche generazioni.

 

2) ALLEVAMENTO  PER FALCONERIA:

Può includere tecniche altamente riproduttive (nel caso di allevamenti a scopi economici o con obiettivi di selezione artificiale di ceppi particolarmente adatti alla caccia), tecniche mediamente riproduttive (nel caso in cui l’allevatore vuole avere una scorta di rapaci o vuole recuperare le spese), oppure non includere obiettivi propagativi. In generale comunque si ha a che fare con rapaci addestrati e/o imprintati e dunque abituati alla presenza dell’uomo ed alle sue attività. Gli alloggi allora saranno di piccole dimensioni (anche solo pertiche o blocchi da falconeria) e l’alimentazione sarà quella necessaria a mantenere i rapaci nelle perfette condizioni di fitness e peso di volo. Gli uccelli da usare saranno di provenienza prettamente domestica (nati in cattività da un certo numero di generazioni)

 

3) ALLEVAMENTI CON OBIETTIVI VARI:

Comprendono l’allevamento hobbistico, quello a scopo di studi biologici e ornitologici e l’allevamento con obiettivi di sensibilizzazione del pubblico (dimostrazioni di falconeria, giardini zoologici, percorsi didattici ecc.). Sono raggruppati insieme perché hanno in comune le tecniche utilizzate, che saranno infatti intermedie tra quelle del tipo 1 e quelle del tipo 2, le quali costituiscono i due estremi. Gli alloggi saranno proporzionali alle esigenze della specie in questione, così come le tecniche alimentari. Diverse saranno invece le tecniche di management generale e la tipologia del rapace da usare in funzione delle varie esigenze.

 

Per quanto riguarda la “tipologia” di rapace, partiamo da un esempio che ci farà riflettere: quanto saranno diverse le tecniche di allevamento nel caso di un Falco peregrinus peregrinus nato in cattività da 12 generazioni, imprintato sull’uomo ed addestrato, di un pellegrino della stessa sottospecie, ma prelevato ancora allo stadio di uovo da un nido in natura ed allevato in cattività da genitori adottivi della sua stessa specie senza nessun contatto con l’uomo, e di un pellegrino anch’esso della stessa sottospecie ma traumatizzato permanentemente ad un’ala dell’età di 3 anni,  tutti allevati per un programma di studio biologico con obiettivo di riproduzione di medio livello? Per rispondere a questa domanda bisogna considerare i seguenti fattori:

 

A)Provenienza dalla vita selvatica o domestica (wild type o captive type): ha influenza soprattutto sull’adattamento genetico (a lungo termine ed ereditabile) dell’animale alla vita selvatica o  a quella domestica (importante è in tal caso il numero di generazioni nate in cattività da cui proviene l’animale, poiché esso influenza a lungo termine i geni e di conseguenza l’adattamento alla vita in cattività). Rapaci nati in cattività vi vivranno meglio senza stressarsi (si sa che lo stress da adrenalina inibisce la produzione degli ormoni sessuali, fondamentali per la riproduzione) e forniranno perciò delle performances riproduttive migliori (anche perché sono imprintati sull’ambiente e la vita domestica).

 

B)Età: influenza il maggiore o minore adattamento (a breve termine) alla vita domestica, ed è importante soprattutto se il rapace proviene dalla vita selvatica. I giovani sono più sensibili e apprendono più in fretta, dunque adattandosi meglio a nuovi ambienti e modi di vita.

C)Addestramento e/o imprinting: influenza il rapporto con l’allevatore, con l’ambiente, con gli altri esemplari della specie e con la vita in cattività  in maniera più o meno irreversibile ma non ereditaria.

D)Genetica: ha influenza su vari aspetti somatici e/o psicologici (comportamentali) in maniera irreversibile ed ereditaria. Dipende fortemente dalla provenienza dell’animale e dall’eventuale selezione genetica fatta su di esso oltre che dal numero di generazioni nate in cattività da cui esso proviene.

E)Traumi: Ovviamente un rapace non traumatizzato offrirà migliori performances riproduttive in cattività. Questo fattore è fortemente legato all’età ed alla provenienza dell’animale oltre che al suo pool genico (questi rapaci per la maggior parte proverranno dalla vita selvatica e se non rilasciabili cioè irrecuperabili possono essere usati per progetti di conservazione genetica oppure, se riprodotti con le adeguate tecniche, come capostipiti di ceppi in cattività idonei a progetti di reintroduzione).

Traiamo ora delle conclusioni:

–  Bisogna ricordare che deve essere considerato prima il “tipo” (e dunque lo scopo) dell’allevamento  e, in funzione di esso, la “tipologia” di rapace da utilizzare, e non viceversa.

– La classificazione dei tipi di allevamento serve anche a rispondere alla domanda: perché viene praticata e perché è così importante la rapacicoltura?

– La rapacicoltura può essere considerata come un’altra branca dell’ornicoltura sportiva (alla stregua della canaricoltura): in fondo non è così impegnativa come molti pensano, e basta avere le tecniche necessarie ed allevare la giusta “tipologia” e la giusta specie di rapace; indubbiamente l’allevamento di una coppia di aquile reali sarà molto complesso anche per i rapacicultori più esperti, ma l’allevamento di una coppia di Gheppi americani (Falco sparverius) o di Barbagianni (Tyto alba) nati in cattività da molte generazioni (e dunque ben adattati alla vita domestica) sarà  poco impegnativo, molto redditizio  e soprattutto piacevole oltre che utile (a questo proposito mi piace citare una frase di Tom Cade: “Con la riproduzione in cattività dei rapaci, nessuna specie di falcone deve ormai estinguersi”).

– Bisogna infine ricordare che, se il falconiere è obbligatoriamente anche un rapacicultore, non  varrà l’inverso (senza nulla togliere alla falconeria).

Prima di continuare mi preme ricordare che oggi in Italia e praticamente in quasi tutti i paesi del mondo è vietata la cattura dei rapaci selvatici e potranno essere allevati in cattività solo esemplari a loro volta nati in cattività da almeno 2 generazioni. Se avete serie intenzioni di dedicarvi alla rapacicoltura amatoriale, dunque, abbiate cura di acquistare da allevatori referenziati e seri gli esemplari nati in cattività. Oltre che illegale e dannosa, la cattura di rapaci selvatici servirà a ben poco per la riproduzione in cattività, perché, in base a quanto detto prima, questi esemplari si adatteranno scarsamente alla vita in cattività e difficilmente potranno riprodursi spontaneamente. Gli esempi che avete letto sopra su rapaci selvatici in cattività si riferiscono a tecniche non praticabili dai privati (programmi di reintroduzione, recupero di esemplari feriti ecc.)

 

GESTIONE DI UN ALLEVAMENTO AMATORIALE

 

Riassumendo quanto precedentemente detto, la combinazione dei fattori relativi agli alloggi, all’alimentazione, alle tecniche di propagazione ed al management generale varia in funzione del “tipo” di allevamento e della “tipologia” di rapace coinvolta, oltre che della sua specie e tipo, tipologia e specie di rapace dipenderanno dagli obiettivi che ci si è prefissi di raggiungere (falconeria, reintroduzione, allevamento amatoriale, ecc.).

Il punto di partenza, quando si intraprende un progetto di allevamento, è  quello di considerare gli obiettivi che si vogliono raggiungere e la specie da allevare; in funzione di essi si adopererà la giusta combinazione delle tecniche di alloggio, di alimentazione, ecc.

Nelle successive pagine verranno illustrate le linee generali da seguire per gestire un allevamento di “tipo” 3 (amatoriale), punto di partenza prima di occuparsi di tipi più complessi (tipo 1). Lo scopo è quello di trasformare i lettori in potenziali rapacicultori e la speranza quella che presto si diffonda anche in Italia un maggiore interesse verso i rapaci e tutto ciò che ad essi è connesso.

CONCETTI DI BASE PER LA GESTIONE DI UN PROGRAMMA DI ALLEVAMENTO

A

Basare tutto il programma sulle proprie possibilità (di tempo, di spazio, di soldi)

B

Individuare il “tipo” di allevamento  a cui ci si vuole dedicare

C

Quindi la “tipologia” del rapace da usare

D

E dunque la specie

E

Preparare le attrezzature (Housing) per iniziare

F

Reperire il/i rapace/i

G

Gestire l’allevamento ( alimentazione, riproduzione, management generale)

 

Poiché abbiamo già detto che in queste pagine ci occuperemo dell’allevamento amatoriale, non è necessario considerare il passo A della precedente tabella. La scelta della “tipologia” di rapace da usare avverrà di conseguenza: per questo tipo di allevamento useremo infatti esemplari già abituati alla vita domestica (perché nati in cattività da numerose generazioni). La scelta della specie e del numero di individui è invece una opzione dell’allevatore: guidata dai suoi gusti ma anche dalle sue disponibilità.

Giunto a questo punto l’allevatore dovrà prepararsi  materialmente a ricevere i soggetti e considerare dunque l’housing (alloggiamento) e tutte le attrezzature necessarie per iniziare.

 

HOUSING

 

In linea generale: se non si intende procedere alla riproduzione e/o si vuole allevare un solo esemplare, sarà sufficiente usare una normale pertica da falconeria; se invece si ha come obiettivo anche la riproduzione, sarà necessario utilizzare una voliera (interna o esterna).

Per quanto riguarda le pertiche, diciamo subito che ne esistono vari modelli, diversi per forme e dimensioni (blocchi, pertiche, piattaforme a muro), ma sceglieremo il modello idoneo in funzione della specie considerata (blocchi per i falconi e pertiche per gli Accipiter, per es.). Si possono reperire presso i fornitori di attrezzature da falconeria, oppure costruirsele  con le proprie mani; in quest’ultimo caso l’unico importante fattore da considerare sarà quello del punto di appoggio del rapace sulla pertica che, per evitare gravi patologie alle zampe (ascessi plantari: bumblefoot), dovrà essere ricoperto con un apposito materiale (erbetta sintetica: Astroturf). Il rapace dovrà stare legato alla pertica per mezzo del classico sistema usato in falconeria: braccialetti, geti, lunga che va ad agganciarsi all’ anellino sulla pertica dotato di girella per evitare gli attorcigliamenti. E’ bene però ricordare che un rapace non può vivere tutta la sua vita legato alla pertica o al blocco. Potremo tenere in pertica solo quei rapaci che avranno ricevuto un addestramento al volo libero e che quindi verranno fatti volare liberi periodicamente (2-3-4 o più volte alla settimana). Del resto è anche inutile e causa di sofferenze tenere un singolo esemplare in una voliera, solo per il piacere di avere un rapace a casa. In conclusione le scelte sono due: o una coppia (da mettere in voliera) o un singolo esemplare ma da addestrare al volo libero, tutte le altre opzioni dovrebbero essere legalmente vietate per evitare inutili sofferenze agli animali.

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Fig. 4. Astore addestrato per la falconeria. Si noti la pertica sulla quale viene tenuto che differisce da quelle usate per altri rapaci (vedi figure successive).

image020Fig. 5. Poiana di Harris (Parabuteo unicinctus) addestrata per la falconeria. Anche in questo caso la pertica sulla quale viene tenuto l’animale è specifica.

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Fig. 6. Notare il blocco su cui questo pellegrino addestrato alla caccia viene alloggiato. Questo modello di posatoio viene usato praticamente per tutte le specie del genere Falco. Si noti la copertura con tappetino artificiale

Se abbiamo scelto una coppia, useremo una voliera  e dovremo considerare i seguenti fattori:

Dimensioni: come è facilmente intuibile, in questo tipo di allevamento (amatoriale) le dimensioni minime varieranno solo in funzione della massa corporea della specie allevata.

Come guida si dia un’occhiata alla seguente tabella:

 

SPECIE

DIMENSIONI

Lunghezza

Larghezza

Altezza

GHEPPI AMERICANI, ASSIOLI, CIVETTE, SMERIGLI

2 mt

2 mt

2 mt

BARBAGIANNI,GHEPPI COMUNI, SPARVIERI

3 mt

3 mt

2,4 mt

PELLEGRINI, LANARI, SACRI

3,6 mt

2,4 mt

2,4 mt

POIANE, GUFI REALI,

3 mt

3 mt

3,6 mt

GROSSE AQUILE – AVVOLTOI

9 mt

4,5 mt

4,8 mt

 

Struttura: può essere di vari materiali. Lo scheletro sarà in paletti di legno, metallo, o cemento. Tutta la voliera sarà in parte chiusa con pannelli in legno, metallo o plastica, in parte con rete a maglie metalliche di adatte dimensioni ( si vedano le figure e le foto seguenti).

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Fig. 7. Sezione trasversale schematica della struttura di una voliera per la riproduzione in cattività di piccoli rapaci (Smerigli, Civette, Gheppi comuni e americani, Assioli ecc.)

Le dimensioni sono 2mt x 2mt x 2mt.

A)Parte del tetto coperta solo con rete metallica.

B)Parte del tetto coperta con pannelli di legno, plastica o metallo.

C)Pertiche orizzontali rivestite con Astroturf.

D)Nido (scegliere la forma più adatta alla specie allevata).

E)Piattaforma per il cibo con botola di accesso dall’esterno.

F)Bagnetto.

G)Tronco d’albero che funge da posatoio naturale.

H)Roccia.

I) Fondo ricoperto con 5 cm di ghiaia.

Ambiente interno: sia nelle voliere interne che in quelle esterne, il fondo dovrà essere ricoperto da uno strato di ghiaia (di circa 5 cm), che dovrà essere sostituito periodicamente.

Come posatoi si useranno delle pertiche orizzontali poste a circa 1,5 mt di altezza da terra sempre rivestite con Astroturf o altro materiale idoneo (vedi fig. 9), in sostituzione o in aggiunta si potranno usare dei posatoi naturali, quali piccole rocce, tronchi e rami d’albero.

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Fig. 8. Vari modelli di nidi artificiali utilizzabili per la riproduzione dei rapaci:

A)Piattaforma per grossi falconi (Pellegrini, Lanari).

B)Nido  a coppa adatto a  Sparvieri, Astori, alcune specie di gufi.

C)Nido a cassetta per Gheppi americani, comuni, Civette, Assioli.

D)Grosso contenitore da nido (1 mt di lato) per Gufi reali e specie affini

 image028 Fig. 9. Falco Pellegrino (Falco peregrinus) femmina del ceppo scozzese (il così detto “scottish”) su un posatoio della voliera da riproduzione (il maschio non è visibile). Si noti la struttura del posatoio a piattaforma, ricoperta con un panno fissato con ganci metallici.

All’interno del locale di allevamento dovrà essere sempre presente inoltre un sito per il nido, scelto tra i modelli più adatti alla specie allevata (vedi fig. 8) , una piccola piattaforma per il cibo (a cui si accede dall’esterno attraverso una botola) ed un bagnetto (costituito da un piccolo contenitore di plastica, metallo o altro materiale) a cui si cambierà l’acqua giornalmente; non dovranno invece essere usati dei beverini, in quanto i rapaci  assumono dal cibo tutta l’acqua di cui hanno bisogno ed eventualmente possono bere dal bagnetto.

In generale, per ciò che riguarda il clima, si dovrà avere la precauzione di porre il locale di allevamento o la pertica (sia esterni che interni) in un luogo che non sia troppo umido né troppo esposto a correnti d’aria o ai venti dominanti della zona. Non sarà necessaria nessuna manipolazione artificiale del clima o al massimo si potrà usare un lampada a raggi IR ( che produce solo calore senza luce per evitare di disturbare il rapace) nei casi in cui la temperatura si abbassi troppo.

Indubbiamente la pulizia e l’igiene saranno fondamentali (in particolar modo nel caso dell’allevamento di animali che si nutrono di carne); per questo si dovranno effettuare delle pulizie ordinarie (cambio dell’acqua del bagnetto e pulizia della mangiatoia ogni giorno, cambio della ghiaia e pulizia delle pertiche ogni mese) e straordinarie (disinfettazione e pulizia completa ogni sei mesi).image030

 

 

 

 

 

Fig. 10. Alcuni esempi di voliere di tipo Skylight a sinistra e a fronte aperto a destra.

 

 

 

 

 

 

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Una volta che l’allevatore si sarà preparato a ricevere il rapace,  dovrà considerare il punto E, cioè come procurarselo: è possibile o acquistarlo qui in Italia presso uno dei pochi allevatori che ci sono oppure ordinarlo all’estero (per ulteriori informazioni leggete le altre pagine del sito o contattatemi).

 

 

A questo punto, ottenuto l’animale, non rimarrà che gestire l’allevamento nel modo migliore. I fattori da considerare a questo proposito sono l’alimentazione e le eventuali tecniche propagative.

 

 

 

 

 

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Fig. 11. Coppia di Astòri (Accipiter gentilis) nella voliera di riproduzione. Notare la notevole differenza di dimensioni tra il maschio (in secondo piano) e la femmina (in primo piano) che può raggiungere valori fino al 30%.

 

ALIMENTAZIONE (FEEDING)

 

Trattandosi di uccelli da preda la base alimentare che useremo sarà la carne. Non è così complicato come sembra! Dal punto di vista della qualità dovremo avere la precauzione di usare solo carne molto fresca; conviene acquistarne una buona scorta e congelarla (ma non dimenticare di farla scongelare per tempo prima di somministrarla) ciò aiuterà anche ad uccidere eventuali microrganismi presenti. Anche se può sembrare strano i prezzi non sono proibitivi: per alimentare una coppia di Gheppi americani non spenderemo di più che per alimentare una  buona coppia di canarini. Per i grossi allevamenti di rapaci converrà costruirsi degli stabulari  dove allevare e riprodurre le specie animali da usare come cibo (quaglie, topi,ecc.). Si tratta di animali molto domestici facilissimi da riprodurre e che dunque possono soddisfare pienamente le esigenze di un grosso allevamento di rapaci.

La dieta dovrà essere varia, non bisogna limitarsi sempre allo stesso tipo di cibo; nella tabella seguente sono elencati i principali alimenti da somministrare alle più comuni specie di rapaci:

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TIPO DI CIBO DESCRIZIONE SPECIE

1

DOC (PULCINI DI POLLO ) Usati soprattutto quando hanno pochi giorni di età (1-3) vengono somministrati interi. Se si usano più grandi, bisogna tagliarli in grossi pezzi, ma senza togliere piume e penne. Sono molto buone anche solamente le teste dei polli adulti (molto economiche e nutrienti)

Tutte le specie

2

QUAGLIE Vengono somministrate intere, così come sono. Costituiscono una dieta ad alta percentuale proteica, ma sono piuttosto costose, perciò è meglio usarle di tanto in tanto per variare la dieta.

Solo rapaci diurni (falconi,poiane, sparvieri)

3

PICCIONE Mai somministrarlo senza averlo prima congelato, perché c’è il rischio della Tricomoniasi e di altri patogeni di cui i piccioni sono noti portatori. Tagliare via la testa e gli intestini prima di darlo ai rapaci. Può essere usato anche intero.

Soprattutto falconi

4

RATTI E TOPI Contengono un’alta percentuale di proteine. Sono molto economici e facili da reperire presso i negozi di animali o i fornitori dei laboratori di ricerca.

Tutti i rapaci ad eccezione di alcuni falconi (pellegrino)

5

CARNE DI MANZO Facilissima da reperire; non bisogna usarla in eccesso perché  poco nutriente; alternarla spesso con altri cibi.

Tutte le specie.

 

Per quanto riguarda la quantità, l’esperienza ci insegnerà subito quali sono le dosi più adatte al nostro rapace; come regola generale all’inizio si può somministrare un eccesso di cibo e togliere immediatamente la parte che il rapace non ha mangiato ( come misura generale una coppia di Gheppi consumerà  una quantità massima di carne pari a circa 1 quaglia al giorno).

Anche nell’alimentazione l’igiene è di primaria importanza; la carne entra subito in putrefazione soprattutto nel periodo caldo, e la cosa migliore da fare è togliere sempre l’eccesso rimasto dopo l’alimentazione e pulire bene la piattaforma del cibo ogni giorno.

Ai rapaci tenuti sulla pertica daremo da mangiare sul pugno.

Tutte le specie di rapaci ma anche molte altre specie di uccelli producono delle borre, cioè dei rigurgiti alimentari composti di tutte quelle parti indigeribili che vengono assunte con l’alimentazione (pelo, penne, ossa ecc.). La produzione di borre nei rapaci ha anche una importante funzione benefica per la pulizia dell’intestino. Somministrare sempre cibo che non può portare alla formazione di borre è pericolosissimo per i rapaci (per es. carne netta di manzo), bisogna sempre alternare questi cibi con altri che permettono la formazione ed il rigurgito di borre (per es. quaglie intere con tutte le penne, topi interi con tutta la pelliccia ecc.).

Ovviamente le esigenze alimentari dei rapaci in cattività cambieranno sia qualitativamente che quantitativamente nei vari periodi dell’anno. Le temperature fredde dell’inverno indurranno l’organismo del rapace ad assumere più cibo per un aumentato consumo energetico dovuto alla termoregolazione. Allo stesso modo la muta e la riproduzione porteranno anch’esse ad un aumento delle esigenze alimentari dal punto di vista quantitativo. Ma nella riproduzione in particolare sarà importante anche l’aspetto qualitativo dei cibi: la femmina deve poter disporre delle proteine e dei grassi necessari per la biosintesi del tuorlo e dell’albume delle uova che si accinge a deporre ma anche dei sali minerali (soprattutto di calcio) necessari a “dotare” queste uova di un guscio (appunto formato per la maggior parte da carbonato di calcio). Tenere in stretta considerazione questi fattori aiuterà a migliorare i risultati ottenibili nella riproduzione (per es. deposizione di un maggior numero di uova e migliore qualità delle uova stesse)

 

Fig. 12. I rapaci notturni sono ghiottissimi di topi!

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TECNICHE PROPAGATIVE

 

Questa è sicuramente la parte più bella ed interessante della rapacicoltura: la riproduzione.

Le tecniche che sono state sviluppate a questo proposito sono innumerevoli, ma ci limiteremo ad illustrare solo le principali.

Se la coppia è ben affiatata, entrerà in regime riproduttivo non appena il maschio e la femmina saranno divenuti sessualmente maturi. Nei casi più critici, se non si riesce ad ottenere una riproduzione naturale, si possono usare varie complicate tecniche per stimolare la coppia o per farla riprodurre artificialmente, quali, rispettivamente, la somministrazione di ormoni riproduttivi (come il testosterone) oppure l’inseminazione artificiale.

In quest’ultimo caso si è giunti  a tecniche molto sofisticate per avere successo: da diversi anni è stata sviluppata in America la tecnica della inseminazione artificiale cooperativa in cui sia il maschio sia la femmina cooperano con l’allevatore, l’uno donando volontariamente il seme, l’altra facendosi inseminare spontaneamente e di sua volontà; ciò grazie ad un particolare imprinting ed addestramento che essi hanno ricevuto, attraverso i quali entrambi riconoscono nell’allevatore il proprio compagno sessuale. In generale però si tratta di tecniche molto complicate e non adatte all’allevatore amatoriale (nel nostro allevamento stiamo preparando delle coppie per quest’ultimo tipo di inseminazione artificiale e ci stiamo accorgendo di quanto sia complesso e difficile); d’altro canto egli non ne avrà bisogno perché utilizzerà sempre e solo rapaci ben adattati alla vita in cattività e che nella maggior parte dei casi si riprodurranno spontaneamente in maniera del tutto naturale.

Una volta effettuate le normali parate nuziali, e avvenute le prime copule, la femmina deporrà le uova nel nido che l’allevatore avrà inserito nella voliera. A questo punto si hanno due opzioni:

-Far procedere la coppia nel normale ciclo riproduttivo

-Utilizzare la tecnica del “double clutching”  (doppia covata) se si vuole ottenere una progenie più numerosa.

La tecnica della doppia covata ha molte varianti (più o meno complesse ed efficienti), che permettono di fare deporre ad una sola femmina anche fino a 14 uova a stagione. La variante che userà l’allevatore amatoriale sarà la più semplice (ma anche sufficientemente redditizia); però è necessario che egli abbia già una certa esperienza nelle tecniche di incubazione artificiale delle uova e di allevamento a mano dei piccoli appena nati ( i rapaci notturni e diurni alla nascita sono inetti e non precoci come i galliformi, per esempio, i cui pulcini già dal primo giorno di vita sono capaci di camminare e mangiare autonomamente). A questo scopo sarà sufficiente una incubatrice del tipo ventilato o no (“forced air” o “still air” incubator) di piccole dimensioni ma ben funzionante. Appena la femmina ha terminato di deporre le uova e le sta già covando da circa 5-6 giorni,  l’ allevatore le preleverà delicatamente dal nido e le porrà in incubatrice alla temperatura ed umidità più adatta alla specie (37,5 C° e 55% di umidità relativa in media) lasciandovele per il  numero di giorni richiesto per la schiusa (numero che varia anch’esso in funzione della specie).

Fig. 14.image044

Uova appartenenti a varie specie di rapaci in una incubatrice del tipo non ventilato (“still air incubator”).

In poche parole si sta sfruttando il principio biologico della “covata di sostituzione” in base al quale se, in natura, la prima covata va persa (nel nostro caso è stata tolta) la femmina è biologicamente capace di deporre una seconda covata di emergenza, se ovviamente le condizioni alimentari e fotoperiodiche lo permettono; infatti la nostra femmina, nel giro di qualche giorno (anche qui il numero di giorni varia da una specie all’altra per es. nel Falco pellegrino dopo 15 giorni) deporrà un secondo “set” di uova, che l’allevatore le lascerà incubare naturalmente.

Quando sarà passato il necessario numero di giorni, le uova in incubatrice entreranno nella fase del “pipping”,  che può durare da 36 a 60 ore: in questa fase il pulcino inizierà a rompere le membrane interne ed il guscio dell’uovo per uscire aiutandosi con una apposita protuberanza del becco, il cosiddetto “dente del becco” che scomparirà qualche tempo dopo la schiusa. Durante questa fase l’uovo dovrà essere posto in un ambiente adatto all’interno della unità di schiusa (“hatcher”) che sarà un’altra incubatrice tenuta ad una temperatura di  37 C° ed una umidità relativa del 60%.

image046Fig. 15. Il dente del becco che serve al pulcino per tagliare e rompere le membrane ed il guscio.

 

Alla nascita il pulcino è ricoperto da un fitto piumino ( i rapaci sono semiprecoci: i nidiacei sono ricoperti da piumino come i precoci ma non sono in grado né di camminare né di mangiare da soli) e dovrà essere tenuto ancora per qualche giorno nell’unità di schiusa, abbassando via via la temperatura. Nel frattempo verranno somministrati con l’aiuto di una pinzetta a punte smussate i primi pasti a base di carne di pollo, manzo, quaglia o piccione finemente tritata a cui si aggiungeranno complessi polivitaminici e minerali per aiutare il corretto sviluppo. Già al terzo giorno di vita non sarà più necessario l’uso dell’unità di schiusa e i piccoli rapaci potranno essere tenuti all’interno di adatti contenitori dotati di un sistema di riscaldamento all’ infrarosso (detti “mamme artificiali” o “brooders”).

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Fig. 16. Pulli di Gufo reale europeo di 20 gg di età. Sono già in grado di inghiottire un topo intero.

 

 

 

 

 

 

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Fig. 17. Pulcini di Lanario e Pellegrino di 2 settimane di età. Sono stati appena imbeccati come si può notare infatti il gozzo è pieno e due di loro sono già entrati nella “dura” fase di digestione.

 

 

 

 

 

Alle uova della seconda covata penseranno invece i genitori naturali.

In tutto il ciclo riproduttivo l’allevatore può intervenire in svariatissimi modi per gestire il numero e la qualità dei pulcini prodotti; le tecniche sono innumerevoli ma sono sconsigliate nell’allevamento amatoriale anche perché inutili nella maggior parte dei casi. Tanto per fare qualche esempio, si dia un’occhiata alla sottostante tabella:

TECNICA DESCRIZIONE
1 CROSS FOSTERIG Consiste nell’uso di genitori adottivi qualora i genitori naturali non siano capaci di allevare la nidiata oppure sia necessario non imprintare i giovani rapaci nati in incubatrice.
2 MANIPOLAZIONE DEL FOTOPERIODO È utile se si ha a che fare con specie nordiche oppure nel caso in cui si voglia far deporre più di 2 covate alla coppia. Utilizzata anche per ottenere una sincronizzazione del maschio  e della femmina nell’ inseminazione artificiale.
3 CLUTCH AMPLIFICATION Consiste nel togliere le uova man mano che vengono deposte piuttosto che togliere l’intera covata ( con questa tecnica i nostri Gheppi hanno deposto fino a 11 uova in una sola annata).
4 THIRD Permette di ottenere fino a tre covate da una sola femmina attraverso vari trucchetti tra cui la manipolazione del fotoperiodo.
5 CLUTCHING 1 MULTIPLE CLUTCHING 2 In questo caso si ottengono 3 covate, ma si fa in modo che 2 di esse  vengano gestite naturalmente dei genitori, sincronizzando accuratamente i tempi.
6

IBRIDAZIONE

ARTIFICIALE

 

Anche nella rapacicultura si usano le tecniche di ibridologia, sopratutto ricorrendo all’inseminazione artificiale. Gli ibridi più comuni si ottengono all’interno del genere Falco (Girfalco/Pellegrino, Girfalco/Lanar/bkver.gif”>

 

Protocollo di esercizi per la riabilitazione di rapaci feriti in natura

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INTRODUZIONE

Il principale obiettivo della riabilitazione è quello di riportare un animale ad una condizione di salute e di fitness normale, cioè tale da renderlo capace di riprendere le sue normali attività nella vita in natura.

Obiettivo secondario ma non meno importante è quello di rendere l’animale capace di reinserirsi con successo all’interno della popolazione selvatica e riguadagnare quella nicchia ecologica che aveva perso e che, per le inesorabili leggi della natura , è stata subito occupata da qualcun altro.

Inoltre bisogna anche considerare il fatto che l’animale deve essere rilasciato nel luogo giusto al momento giusto, per garantirgli una qualche speranza di sopravvivere.

La fitness di un animale è definita come la capacità di compiere un determinato lavoro muscolare senza arrivare subito alla condizione di fatica. La sensazione di fatica è dovuta alla produzione e al conseguente aumento della concentrazione ematica di acido lattico. Tale sostanza viene sintetizzata come prodotto secondario della reazione metabolica fermentativa (anaerobica) che si attua quando nella cellula muscolare viene a mancare l’ossigeno necessario allo sviluppo normale di energia. Da un punto di vista biochimico allora una animale in perfetta fitness si riconosce misurando la concentrazione di acido lattico nel sangue dopo alcuni minuti di esercizio fisico. Altro metodo è quello di valutare la concentrazione di globuli rossi del sangue ( PCV: Packed Cell Volume, o tasso di ematocrito) che, come si capisce, è importante in quanto il ruolo di tali cellule è quello di trasportare ossigeno alle cellule che ne hanno bisogno ( cellule muscolari per es.): allora maggiore è il valore del PCV e maggiore è la fitness dell’animale.

Tutti gli animali selvatici, ovviamente e obbligatoriamente devono mantenersi in perfetta condizione atletica, per avere un minimo successo per la sopravvivenza. Immaginate uno sparviere che dopo 10 mt di inseguimento si stanca e si ferma stremato su un ramo?

Quando un animale qualsiasi, per es. un rapace, finisce per un qualche motivo, in un centro di recupero, perderà la sua fitness nel giro di anche una sola settimana. Infatti la permanenza in un box di cura nell’impossibilità di muoversi a cui si aggiunge l’accumulo di grassi che facendo aumentare il peso, impacceranno l’animale, e contribuiranno ad abbassare la condizione atletica. In tali condizioni, anche se l’animale viene tenuto in una voliera di riabilitazione ( a tunnel ) per qualche settimana, non riuscirà né a perdere il peso supplementare accumulato né a recuperare l’atelticità che gli è necessaria per poter sopravvivere allo stato selvatico, e ciò è fortemente dimostrato dalla esperienza dei falconieri.

Bisogna dire che comunque è importante che l’animale prima di essere rilasciato venga tenuto per qualche settimana in una voliera e questo vale anche per animali che non hanno subito traumi alle ali o alle zampe per es.per quelli che sono finiti al centro a causa di patologie varie.

Allora, riassumendo, una volta curato, l’animale da rilasciare deve essere tenuto in una voliera che gli permetta un certo movimento e una acclimatazione all’ambiente esterno, deve essere allenato, e gli si deve fare perder il peso in grassi (inutile) accumulato durante il periodo di cura; inoltre si deve rivalutare la sua condizione fisica e atletica prima di rilasciarlo, ci si deve cioè accertare che abbia raggiunto la necessaria ( e normale ) resistenza alla fatica, e che sia fisicamente apposto (controllare il volo, lo stato generale del sensorio, il funzionamento ottimale di ali e zampe ecc.). Per fare ciò ci sono delle apposite tecniche ma in questo scritto mi soffermerò solo ad illustrare le tecniche DI BASE per allenare un uccello da preda. Ricordo inoltre che questo discorso vale solo per i rapaci adulti, visto che con i giovani la situazione si complica perché entra in gioco anche l’apprendimento delle tecniche di caccia…

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TECNICHE DI ALLENAMENTO

La quantità di tempo necessaria prima che un rapace raggiunga il necessario stato atletico di fitness dipende dal tempo di cura che esso ha richiesto e che a sua volta dipende dall’entità del problema che lo ha portato al centro di recupero.

La voliera al cui interno verrà alloggiato l’animale può anche non essere a tunnel, è sufficiente che sia abbastanza grande per es. 3 x 3 mt. Inizialmente l’animale si muoverà poco al suo interno ma dopo inizierà a muoversi di più, spontaneamente. Tali movimenti e voli da una pertica ad un’altra indicheranno che il rapace è pronto per lo stadio di esercizio.

I metodi di esercitazione si classificano come segue:

1)INDOOR CONDITIONING: esercizi in un locale chiuso (“fixed course”)

2)OUTDOOR FLYING : esercizi in ambiente esterno con l’animale legato alla filagna

3)FALCONRY TRAINING: uso delle tecniche tradizionali della falconeria.

I tre metodi si distinguono per vari motivi. I principali sono i seguenti: il fixed course verrà usato con tutti i rapaci di piccole e medie dimensioni, quindi escludendo le aquile e gli avvoltoi; il volo con la filagna (cordicella che è legata al rapace) sarà usato con, appunto, i rapaci più grossi, mentre le tecniche classiche di falconeria saranno usate obbligatoriamente con le specie del genere Falco ( escluso, forse, il gheppio e qualcun altro).

Inoltre si può usare la tecnica con la filagna nel caso il centro non disponga di un locale chiuso di adeguate dimensioni ( a tunnel ).

1)”FIXED COURSE, INDOOR FLYING”:

In questa tecnica si farà volare l’animale libero all’interno di un locale di adatte dimensioni. Sarà molto adatta una forma allungata ( a tunnel: 10-20mt di lunghezza per 3-5 di larghezza) che permetterà una adeguata distanza di volo.

Una volta introdotto l’animale nel locale bisognerà costringerlo a volare da una estremità ad un’altra.

Si noterà che inizialmente molti animali non riusciranno a volare per tutta la lunghezza del corridoio a causa della debolezza muscolare accumulata. Ma sono sufficienti 2 o 3 esercizi per far familiarizzare l’animale con questo esercizio.

Durante i voli devono essere valutati i seguenti fattori:

a)Simmetria e perfezione dei battiti d’ala.

b)Posizione delle zampe: se per es. esse sono tenute sotto la coda o se sono parzialmente tenute estese e spostate su un lato per tentare di compensare un’ala più debole dallo spostamento del peso corporeo.

c) Altezza di volo e velocità.

d) Capacità di controllare l’atterraggio.( Un buon atterraggio consiste di una leggera planata e un leggero e delicato tocco a terra con entrambe le ali e le zampe posate simultaneamente.)

Per ottenere queste valutazioni si femmina spesso uso di una videocamera, che permette di analizzare in maniera migliore le immagini

2) “OUTDOOR FLIYNG”:

In questo tipo di esercizio si userà una filagna ciè un sottile cordoncino ( proporzionato alle dimensioni dell’animale) legato alle zampe. La tecnica per legare tale cordino è quella classica della falconeria dei geti e della lunga. Si veda la figura per capire come si monta il geto di cuoio.

Questa tecnica può essere usata con qualsiasi specie, purchè si disponga di un’area all’aperto di adatte dimensioni e priva di appigli. Il cordino dall’altro capo non deve assolutamente essere legato ad un oggetto fisso ma ad un pezzo dil legnetto per es.

Una persona tiene l’uccello mentre l’altra tiene il legno e il cordino, l’uccello viene delicatamente sospinto al volo e lo si lascia libero di volare per tutta la lunghezza del cordino. La persona può anche correre con l’uccello.

Due importanti considerazioni sono: in primo luogo non fare volare troppo l’animale soprattutto nelle giornate troppo calde vista che questa tecnica è molto faticosa, e in secondo luogo trattare con massima delicatezza i rapaci “long legged” che cioè hanno caviglie troppo sottili per es gli sparvieri.

I fattori da valutare durante il volo sono gli stessi della tecnica descritta in precedenza.

3)”FALCONRY TRAINING”:

La descrizione particolareggiata di questa tecnica è piuttosto complessa; conviene fare allora riferimento ad un apposito testo. In breve la tecnica consiste nel condizionare l’animale in modo tale che possa esser fatto volare libero senza che però fugga. L’animale una volta rilasciato dimenticherà tutto, dunque non c’è pericolo di condizionare irreversibilmente l’animale. Durante la fase di allenamento dell’animale così condizionato si userà un logoro cioè un’esca finta che si farà inseguire all’animale.

In generale per tutte le tre tecniche appena descritte si useranno vari protocolli di esercizio. Il più comune e più generale protocollo è quello descritto qui di seguito.

PROTOCOLLO DI ESERCIZIO AEROBICO

Il seguente protocollo è stato sviluppato facendo volare i rapaci e misurando poi il profilo della presenza e scomparsa di acido lattico nel sangue, poi i valori ottenuti sono stati confrontati con quelli di rapaci selvatici o ben addestrati per la falconeria. Si è visto che un rapace appena curato in meno di 3 settimane può recuperare completamente la sua fitness. Si è anche visto che una sola settimana di inattività può causare una significativa perdita di forma atletica.

Istruzioni:

Fase 1: Early training (prima fase di allenamento)

Distanza di volo: 15-30 mt

Ripetizioni: da 3 a 5 volte con 1 minuto di intervallo per una distanza totale di 75-90 mt. Se l’uccello supera questa fase si può passare alla sconda fase.

Frequenza: 2 o 3 volte alla settimana

Fase 2: Mid training (fase mediana di allenamento)

Distanza di volo: 45-60 mt

Ripetizioni: Da 5 a 7 volte con 1 minuto di intervallo per una distanza totale di circa 300-350 mt.

Frequenza: Ogni giorno.

Fase 3: Final (fase finale di allenamento)

Distanza di volo: 60-80 mt

Ripetizioni: Come nella seconda fase.

Frequenza: Giornaliera

Una volta superati questi esercizi l’animale deve essere liberato immediatamente.

By Paolo Taranto

Esercizi per mantenere in forma i rapaci

falconeria salto al pugno filagna

PROTOCOLLI DI ESERCIZI PER LA FALCONERIA

Per affrontare questa parte, mi baserò, fondamentalmente sulle informazioni tratte dal libro del Dott. Nick Fox in “Understanding the birds of prey”. Esistono sei metodi principali per allenare un rapace e tenerlo in fitness:

1.     RICHIAMO SUL PUGNO.

Consiste nel chiamare al pugno il rapace posato su una pertica o su un’albero. E’ un buon metodo per gestire la fitness dei Buteo e degli Accipiter. Come il richiamo a lunga distanza sul logoro, permette un buon allenamento a livello dei muscoli a contrazione lenta mentre non ha nessun effetto su quelli a contrazione rapida. Unica nota negativa di questa tecnica è la quantità di tempo che essa richiede. Un lato positivo è che questa tecnica permette l’instaurarsi ed il rafforzarsi dell’affiatamento tra il rapace ed il falconiere.

2.     RICHIAMO SUL LOGORO DA LUNGA DISTANZA.

Per lunga distanza si intendono 500-1000 mt in linea retta. La velocità raggiunta dal falco in questo esercizio non sarà quella massima. Questo esercizio ha anche uno scopo educativo in quanto insegna al falco a venire al logoro dalla lunga distanza. Come la tecnica precedente anche questa lavora bene sulle fibre muscolari a lenta contrazione.

3.     INSEGUIMENTO SU LOGORO MECCANICO.

Questo sistema consiste nell’usare una strategia o un meccanismo per far viaggiare il logoro in linea retta ad una certa velocità. Il sistema migliore è, al momento, quello di usare un’auto. Ovviamente sono necessarie due persone, una alla guida e l’altra che gestisce il logoro, che viene appeso ad una lunga canna da pesca. Alla partenza il filo a cui il logoro è legato sarà molto lungo, ma, man mano che la macchina prende velocità verrà accorciato. A questo punto il veicolo può procedere ad una velocità costante ed il falco, costretto ad inseguire il logoro ad una certa velocità, dovrà usare le sue fibre muscolare a rapida contrazione. Misurando la distanza percorsa, il tempo e la velocità, è possibile avere un database per seguire i miglioramenti del falco e per avere dei dati di riferimento quando si usano altri rapaci.

4.     JUMPING.

E’ questa una tecnica molto comoda da usare quando le tecniche all’aperto non possono essere praticate ( di sera, o quando c’è maltempo). Si deve disporre di un locale chiuso e ben sicuro ( all’interno del quale cioè non ci siano pericoli per il falco quali oggetti appuntiti, finestre di vetro ecc.). La tecnica di base consiste nel chiamare il rapace sul pugno dalla breve distanza ( una pertica a 3-5 mt ), magari offrendogli un bocconcino. Per i Falchi è una tecnica molto buona, e un Pellegrino potrà arrivare fino anche ad un centinaio di salti sul pugno. Gli Accipiter compiranno questo esercizio quasi senza aprire le ali e arriveranno anche fino a 200 o più salti. I Buteo invece rifiuteranno questo tipo di esercizio e devono essere convinti ad eseguirlo, almeno all’inizio, con dei bocconcini offerti ad ogni salto sul pugno. Alla fine del protocollo il rapace avrà acquisito una buona fitness e sommando tutti i bocconcini avrà raggiunto il gozzo pieno. Questa tecnica è stata anche meccanizzata con un posatoio che si muove ritmicamente su e giù: i vantaggi sono il risparmio di tempo e il non condizionare troppo il rapace sulla figura umana. Come dato di riferimento per esempio si può dire che un Astore non è in fitness se non riesce a compiere almeno 80-90 salti.

5.     ESERCIZI SUL LOGORO.

Questo sistema è ormai classicamente usato da tutti e non necessita di ulteriori spiegazioni. Possiamo aggiungere che aiuta a formare e rafforzare il legame del rapace sul logoro.

6.     CACCIA ATTIVA SULLE PREDE.

Non bisogna usare questa tecnica se prima il falco non ha già raggiuto un certo livello di fitness. Fox afferma che se un Accipiter non viene portato a caccia almeno tre volte alla settimana esso non raggiungerà una condizione di fitness totale e necessiterà perciò di esercizi aggiuntivi. Per un Astore per esempio un buon volo è di almeno 100 metri ma l’ inseguimento di un fagiano per 200-300 metri forzerà l’Astore a usare l’anaerobiosi con conseguente produzione di acido lattico, cosa che migliorerà gradualmente la sua fitness. Gli Accipiter volati solo nei fine settimana avranno bisogno di sessioni di circa un centinaio di salti sul pugno negli altri due giorni in cui dovrebbe essere volato ogni settimana per mantenere una buona fitness. I Buteo non hanno invece l’esplosivo sprint anaerobiotico degli Accipiter e dunque per loro un continuo esercizio è strettamente necessario ( e ciò vale anche per gli Harris ).

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Prima che un rapace venga fatto volare completamente libero, o per scopi di falconeria o per scopi di riabilitazione, esso deve essere in perfetta fitness. Sicuramente il rapace non sarà in fitness quando:

a)     E’ il suo primo volo libero

b)     Si trova ad un peso estremamente basso

c)     Non è stato allenato per niente

Quanto sopravvieverà se lo perdiamo?

Bisognerebbe fare molta attenzione a quei rapaci ai quali non è stato ancora insegnato a procacciarsi il cibo da soli. Il rapace può dominare bene il vento ma le sue ali non è detto che siano perfette. Un rapace riabilitato in seguito ad un trauma può ancora non essere capace di volare adeguatamente per cui è consigliabile controllare accuratamente che esso sia in perfetta fitness prima di restituirlo alla libertà. Per accertarsi di ciò ci sono varie tecniche descritte nella pagina sulle tecniche di campo. Comunque, in generale, se la liberazione di un Buteo o di un qualsiasi rapace che abbia tecniche di caccia generiche  senza corretto allenamento potrebbe ancora essere accettabile, il rilascio in tali condizioni di rapaci dei generi Falco e Accipiter deve assolutamente essere vietato. Essi devono essere in fitness al 100%, senza compromessi.

Tecniche di campo per la valutazione della forma fisica dei rapaci

TECNICHE DI CAMPO PER LA VALUTAZIONE DELLA FORMA FISICA DEL FALCO

addestramento falconeria

INTRODUZIONE

Molto spesso i falconieri sono incapaci di dire se il proprio falco è in fitness o meno. Queste persone non riescono ad essere sensitivi e non percepiscono in quale condizione sia il loro animale. A ciò si aggiunge che a volte un falco nei primi giorni di addestramento, ha già perso molto peso ed il falconiere in mancanza di peso su cui lavorare non riesce a stabilire con precisione l’esatto peso di volo dell’animale.

In tutte queste condizioni è cruciale riuscire a determinare la condizione di fitness dell’animale osservando il suo comportamento e/o sottoponendolo a dei semplici tests.

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STUDIO COMPORTAMENTALE (ETOLOGICO)

Per valutare la condizione del nostro rapace dal punto di vista comportamentale distinguiamo quattro situazioni tipo che fungono da guida per tutto il range di circostanze in cui può trovarsi un rapace:

1) GRASSO ED IN FITNESS: Il rapace è molto potente e poderoso, ha un peso superiore a quello di volo. Quando vola resiste bene alla fatica e riacquista subito il respiro dopo il soprafiato. Sul campo può essere letargico, e non rispondere adeguatamente; può ignorare le eventuali prede o il logoro. Rifiuterà spesso di venire al pugno o quando ci sta sopra rifiuta di mangiare i bocconcini offerti e può dibattersi (bating). Nei rapaci da falconeria dunque questa situazione è negativa e deve essere evitata. Per i rapaci selvatici da rilasciare dopo il recupero e la riabilitazione invece la situazione di fitness-grasso può rientra nella normalità, anzi forse è la migliore, perché l’animale ha delle riserve di grasso che lo aiuteranno a superare i momenti difficili di freddo e fame che può attraversare durante le prime fasi di acclimatazione e di adattamento ( o riadattamento alla vita selvatica). Nel contempo questo animale ha una fitness sufficiente per inseguire e catturare con una certa percentuale di successo una eventuale preda, quando sorga in lui lo stimolo della fame e della caccia di conseguenza.

2) IN FITNESS COMPLETA: Un rapace in fitness avrà un volo potente e agile, non impacciato, resistendo notevolmente alla fatica ( ritardando cioè il metabolismo anaerobio). Un Astore in perfetta fitness per es. dovrebbe riuscire a catturare il fagiano in aria a primo colpo e dovrebbe raramente darsi per vinto nell’inseguimento insistente di una lepre o di un fagiano fino a quando esso è ancora in vista. A menochè non sia stato male addestrato un Accipiter ben in fitness verrà al pugno immediatamente senza scansarlo. Allo stesso modo si comporterà un Falco che verrà spontaneamente a logoro e farà diverse picchiate su di lui senza stancarsi e con insistenza. A casa il rapace in fitness dovrebbe stare posato sulla pertica o sul blocco con un piede alzato ed il piumaggio leggermente rigonfio, gli occhi entrambi ben aperti ed attenti. Esso spesso sbatterà le ali per esercizio e quando si trova in posizione di riposo le punte delle ali dovranno trovarsi sopra e non sotto la coda. In fine al momento dell’alimentazione esso dovrebbe saltare immediatamente sul cibo con impeto ed impazienza. Per i rapaci da rilasciare dopo la riabilitazione questa è una buona condizione anche se piuttosto sconsigliabile perché pericolosa e difficile da raggiungere.

3) BASSA CONDIZIONE: Il rapace non volerà in maniera potente come nei precedenti casi e può abbandonare l’inseguimento di una preda già ai primi 100 o 200 metri. I muscoli pettorali saranno notevolmente ridotti. Sul campo l’animale non risponderà molto bene, ma a differenza di prima non rifiuterà di inseguire il logoro o di venire al pugno. Potrebbero anche verificarsi casi di aggressività e nervosismo e spesso il rapace griderà (screaming) proteggerà il cibo (mantling) e aggredirà il falconiere o altre persone o animali nei paraggi. Può capitare che dopo i primi bocconi ingeriti di cibo, smetterà di mangiare ma proteggerà gelosamente il cibo, risultando riluttante a continuare a mangiare. Sulla pertica il piumaggio sarà gonfio e gli occhi avranno forma ovale e sebbene una zampa potrebbe essere tenuta alzata essa verrà immediatamente posato al minimo stimolo. Le ali verranno tenute sotto la coda e se l’uccello sul pugno si dibatte, lo farà in modo molto lento e debole. Per i rapaci da rilasciare tale condizione è assolutamente da evitare.

4) BASSISSIMA CONDIZIONE: E’ questo il caso in cui il rapace è ad un passo dalla morte. Starà posato sulla pertica con entrambi i piedi ed il piumaggio sarà tenuto molto arruffato e gonfio, con gli occhi semichiusi o completamente chiusi. L’animale rifiuterà il cibo e sarà stranamente calmo e docile. In questi casi è necessario alimentarlo forzatamente con gli appositi protocolli. Esso sarà riluttante a volare o anche incapace a farlo. Le sue scorte di zuccheri nel sangue sono molto ridotte e se non si interviene subito, una volta finite porteranno l’ animale prima all’incoordinazione e poi alla morte. E’ raro che un rapace arrivi spontaneamente ad una simile bassissima condizione: di solito dietro questa situazione c’è una patologia principalmente di tipo parassitario.

 ERRORI DI VALUTAZIONE

Sebbene un rapace possa trovarsi nelle migliori condizioni atletiche, ci possono essere dei fattori che provocano un mascheramento delle reali condizioni dell’animale; tali fattori è necessario che siano indagati e pesati.

1.     Parassiti. Se è presente qualche patologia parassitaria è ovvio che il rapace avrà difficoltà a dare il meglio. E’ consigliabile tenere sotto stretto controllo veterinario il rapace ( analisi degli escrementi per es.)

2.     Stress fisico o mentale. E’ il caso di rapaci nuovi appena arrivati dopo un lungo viaggio o che si trovano ad affrontare condizioni nuove ed a riacclimatarsi ad un nuovo ambiente.

3.     Esigenze biologiche. L’istinto migratorio o riproduttivo possono deviare il rapace dal performare al meglio.

4.     Malimprinting. Si intende con questo termine il manifestarsi di comportamenti imprintati e non desiderati ( per es. il mantling, lo screaming o l’aggressività).

Tecniche di laboratorio per la valutazione della forma fisica nei rapaci

TECNICHE DI LABORATORIO PER LA VALUTAZIONE DELLA FITNESS

 prelievo sangue falco

INRODUZIONE

Le tecniche di laboratorio lavorano su quei fattori che, come precedentemente descritto, sono essi stessi causa o conseguenza della mancanza di fitness o viceversa. Per es. abbiamo visto che una conseguenza della mancanza di fitness è la fatica che si origina dall’accumulo di acido lattico nei muscoli: allora un buon test è quello di misurare con tecniche di laboratorio la concentrazione di tale sostanza nel sangue prelevato dall’animale subito dopo che esso ha compiuto un protocollo di esercizio standard. Altro test è quello di misurare la frequenza cardiaca dopo un esercizio, e così via.

Vediamo alcuni tipi di tests:

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TEST DEL LATTATO

In un esperimento condotto al Raptor Center del Minnesota è stata misurata la concentrazione di acido lattico ( lattato) nel sangue per 10 minuti subito dopo un esercizio standard (un indoor flight di 10 volte per un percorso di 25 mt) in poiane codarossa riabilitate e poiane (lagopus), allo scopo di determinare se la concentrazione di ac. lattico nel sangue può essere un buon indicatore della condizione fisica dell’animale e se la concentrazione di ac. lattico nel sangue e la rata respiratoria sono correlate.

Dopo l’esperimento si è ottenuta una conferma di ciò che già si sapeva.nuovo 1Come si vede dal grafico 1 le poiane codarossa in fitness ( addestrate per la falconeria) nei minuti dopo l’esercizio mostrano livelli di acido lattico ematico molto più bassi ( e quindi meno affaticamento) rispetto alle codarossa non in fitness che hanno picchi più alti.

Il raggiungimento di una adeguata fitness ( o condizione atletica) dipende strettamente dalla quantità di allenamento e dunque dal

numero di giorni di addestramento al volo, come mostrato dal grafico 2, in cui si vede come la concentrazione sanguigna di acido lattico ( e quindi la fatica) dopo un esercizio standard decrementa con il passare dei giorni di allenamento; cioè nei primi giorni la poiana codarossa si affaticava notevolmente dopo l’esercizio al volo, ma con il passare del tempo l’affaticamento si riduceva sempre di più.

nuovo 2La curva della variazione della concentrazione di ac.lattico nel sangue nei minuti dopo il compimento di un lavoro muscolare è nei rapaci molto simile a quella standard per i Mammiferi: si ha un picco iniziale seguito da un lento decremento della concentrazione fino al livello basale cioè quello dei muscoli a riposo.

L’accumulo dei ac.lattico dopo un esercizio muscolare è un ottimo indicatore del grado di fitness dell’animale in quanto esso riflette la dipendenza del muscolo dalla via anaerobica piuttosto che da quella aerobica, e quindi la capacità di ossigenazione del muscolo stesso.

L’esercizio di resistenza ( esercizio aerobico) richiede una più lenta utilizzazione delle riserve di glicogeno e dei muscoli stessi, con conseguente minore produzione di acido lattico nel sangue.

All’opposto abbiamo gli esercizi di sprint nei quali all’elevata richiesta di ATP da parte dei muscoli impegnati deve corrispondere un adeguato metabolismo anaerobico. Inoltre questo tipo di esercizio consuma anche le riserve di mioglobina e di fosfocreatina accumulate nel muscolo. Durante questo tipo di esercizio, con il passare dei giorni incrementa la quantità di sangue che arriva ai muscoli e ciò grazie ad un maggiore sviluppo dei capillari sanguigni e ad un maggiore output cardiaco; tutto ciò fornisce una migliore ossigenazione ai muscoli con la conseguenza che la via aerobia può così mantenersi per più tempo prima di ricorrere alla via anaerobia e dunque l’animale si affatica di meno e resiste di più.

Invece si è visto che la rata respiratoria non è un buon metodo per valutare la fitness dei rapaci in fase di allenamento al volo, visto che essa non dipende esclusivamente dal leaver muscolare ma anche dalle funzioni termoregolatorie degli animali.

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PROTOCOLLO

L’uso della determinazione della concentrazione dell’acido lattico ematico è dunque un ottimo strumento diagnostico per valutare la fitness di un rapace sia esso da falconeria o in fase di riabilitazione. La tecnica è molto semplice, infatti esistono degli appositi kit per effettuare questo test. Dopo avere estratto un campione di sangue di 0,1-0,2 ml attraverso un capillare, esso viene mescolato con un volume doppio (0,2-0,4 ml) di acido perclorico all’8% ghiacciato, allo scopo di far precipitare le proteine plasmatiche. Il campione viene quindi mantenuto in ghiaccio per 10 minuti e successivamente centrifugato per 10 minuti a 2.500 rpm . Il supernatante che si ottiene viene pipettato in una provetta e dopo essere stato mescolato con il tampone, il NAD,e l’enzima LDH, ( che sono i componenti del kit), viene messo ad incubare a 37 gradi centigradi per mezz’ora. L’ultima fase del test è misurare l’assorbanza in uno spettrofotometro, dopo aver versato la miscela nell’apposita cuvetta, alla lunghezza d’onda di 340 lambda (UV). Il valore letto nello spettrofotometro moltiplicato per 65,1 ci da la concentrazione dell’acido lattico. Ovviamente per valutare i risultati ottenuti bisogna avere un database di confronto. Ma visto che database del genere sono impossibili da trovare, la cosa migliore da fare è confrontare i valori ottenuti con quelli di animali già ben allenati per es quelli da falconeria.

Per quanto riguarda i rapaci da riabilitare si è visto che quelli che avevano avuto una permanenza di 1-2 mesi richiedono circa 3 settimane di condizionamento al volo, ma i rapaci rimasti in cura per più tempo richiedono 6 o più settimane di allenamento prima di potere essere rilasciati.

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TEST DELL’EMATOCRITO

L’ematocrito è definito come il volume compresso (PCV: Packed Cell Volume) degli eritrociti del sangue, espresso come percentuale del volume totale del sangue.

Si è visto che l’ematocrito è influenzato da numerosi fattori, dunque questo test, sebbene più semplice del precedente, è anche meno preciso. La fitness di solito è associata ad alti valori di ematocrito visto che alti valori significano un alto numero di globuli rossi nel sangue e visto che la funzione dei globuli rossi è trasportare ossigeno agli organi e quindi anche ai muscoli, significa anche un minore affaticamento visto che il muscolo non entra subito in debito di ossigeno e non è dunque costretto a ricorrere al metabolismo anaerobio che ha come conseguenza lo sviluppo ed accumulo di acido lattico con coseguente affaticamento.

Una volta misurato il valore dell’ematocrito del sangue ( prelevato dal rapace di cui si vuole valutare la fitness) si ottiene un risultato che può essere espresso in percentuale: per es un valore di ematocrito del 50 % significa che il volume dei globuli rossi è pari al volume di tutte le altre componenti del sangue messe assieme.

Per trarre delle informazioni dai valori misurati di ematocrito bisogna avere dei valori di riferimento; si guardi il database ematologico in queste pagine.

Per approfondire ulteriormente l’argomento si può anche visitare il seguente URL : http://people.clemson.edu/~gbrrnkt/bld/hct.htm

Fisiologia Muscolare

Fisiologia Muscolare
falco muscolato

INTRODUZIONE

I muscoli sono organi costituiti da tessuto contrattile, formato da elementi allungati nella direzione della contrazione (fibre muscolari) raccolti in fasci. I muscoli costituiscono il sistema muscolare che assieme al sistema scheletrico, forma l’apparato locomotore.

I muscoli oltre che del movimento vero e proprio sono anche responsabili delle variazioni di calibro dei vasi sanguigni, del battito cardiaco, della digestione, ecc. Fondamentalmente distinguiamo tre tipi fondamentali di muscolo, diversi oltre che per il tipo di tessuto da cui sono costituiti, anche per la funzione svolta e la loro posizione nel corpo dell’animale.

 

Muscoli striati

 

Sono così chiamati per le bande alterate chiare e scure visibili al microscopio. La maggior parte di essi si inserisce sulle ossa e serve perciò a muovere lo scheletro (muscoli scheletrici). I muscoli striati si inseriscono nelle ossa per mezzo dei tendini, che sono dei fasci di tessuto connettivo fibroso. La contrazione dei muscoli striati è rapida e sotto il controllo della volontà.

 

Muscoli lisci

 

Hanno una struttura molecolare diversa. Controllano la motilità dei visceri e dei vasi sanguigni; si contraggono lentamente ed in maniera prolungata ma involontaria.

 

Muscolo cardiaco

 

Detto anche miocardio, è formato da tessuto simile a quello striato, ma la sua attività è involontaria e ritmica.

 

Contrazione e struttura dei muscoli

 

La struttura di un muscolo striato è costituita da numerose fibre muscolari, avvolte da una membrana (sarcolemma) circondata da una guaina di tessuto connettivo. Ogni fibra ha forma cilindrica con diametro variabile ( fino a 200 millesimi di millimetro) e lunghezza fino anche a diversi cm. E’ costituita da fasci di miofibrille, in cui il sarcomero, l’unità contrattile del muscolo si ripete più volte. A sua volta, il sarcomero è formato da due diversi tipi di filamenti proteici : actina ( più sottile) e miosina ( più spessa).struttmuscNella figura è rappresentata la struttura di un muscolo; le lettere I, A, Z, H, indicano le bande alternate di miosina e actina di cui è formato il sarcomero.

La contrazione del muscolo è il risultato della contrazione dei sarcomeri conseguente allo slittamento dei filamenti di actina fra quelli di miosina. Lo stimolo alla contrazione arriva alle fibre muscolari da terminazioni nervose di nervi motori, che si ramificano in modo che ogni ramo innervi una sola fibra muscolare; si forma così una complessa struttura detta giunzione neuro-muscolare.

In breve possiamo dire che il muscolo per funzionare ha bisogno di glicogeno (che gli fornisce l’energia) e di ossigeno che viene fornito dal sangue, il quale nel contempo elimina dal muscolo l’anidride carbonica e l’acido lattico. Ma vediamo ora meglio come funzionano i muscoli durante una prestazione atletica quale per es. il volo; questo ci aiuterà a capire molte cose che poi potremo sfruttare a nostro favore.

 

 

 

 

 

 

MUSCOLI DEL VOLO NEGLI UCCELLI

La muscolatura del volo si può esaminare al meglio in un pollo appena scarnificato. Una volta spennata la parte inferiore dell’uccello ci troviamo di fornte alla regione pettorale, la cui muscolatura è suddivisa al centro da una cresta ossea che sarebbe la carena dello sterno (crista sterni). Questo muscolo che vediamo così in superficie è il pettorale maggiore o superficiale (musculus pectoralis major) ed è il responsabile dell’abbassamento dell’ala durante il volo attivo. A determinare invece il sollevamento dell’ala è il muscolo sopracoroideo (musculus sopracoroideus), che è uno strato muscolare più sottile, osservabile alzando il muscolo pettorale, che da un lato è inserito sulla carena e dall’altro va a finire nell’omero dell’ala. Questo muscolo ha una struttura più debole poiché alzare l’ala richiede meno energie che alzarla.

 

FISIOLOGIA MUSCOLARE

 

Tra gli stress ai quali ordinariamente è esposto l’organismo nessun altro è paragonabile per intensità a quello provocato dalle prestazioni fisiche . Alcune di queste, in effetti, potrebbero facilmente risultare letali se venissero continuate per tempi anche solo leggermente più lunghi. Si consideri, come esempio, che nell’uomo, durante una corsa di maratona il metabolismo corporeo aumenta del 2000%.

 

 

I MUSCOLI NELL’ATTIVITA’ FISICA

Forza, potenza e resistenza dei muscoli

 

Elemento base di ogni attività atletica è la capacità funzionale dei muscoli, cioè, quanta forza possono sviluppare al momento dovuto, quanta potenza possono raggiungere nella esecuzione di un lavoro, e per quanto tempo (resistenza) possono continuare nella loro attività.

La forza di un muscolo dipende principalmente dalle sue dimensioni, per es nel caso dell’uomo, avrà una maggiore forza muscolare l’atleta che attraverso un adeguato programma di allenamento abbia fatto aumentare le dimensioni dei propri muscoli. In un sollevatore di pesi di classe mondiale, ad esempio, il muscolo quadricipite può avere una sezione trasversa con una superficie che può raggiungere i 150 cm2, sicché può sviluppare una forza contrattile massimale di 525 kg.

La potenza muscolare differisce dalla forza muscolare, giacchè la prima è una misura della quantità totale di lavoro che il muscolo può eseguire in un dato periodo di tempo. Essa è data non solo dalla forza di contrazione ma anche dalla ampiezza di accorciamento e dal numero di contrazioni at minuto. Si misura generalmente in kilogrammetri (kgm) al minuto. Cosi, un muscolo che sollevi un peso di 1 kg ad una altezza di 1 m in 1 minuto, sviluppa una potenza di 1 kgm/min. Un animale è in grado di sviluppare una potenza estremamente elevata solo per breve tempo, come ad esempio nell’uomo durante un corsa di 100 m, oppure in uno sparviere durante un inseguimento che può essere portato a termine entro poche decine di secondi, mentre in prove di resistenza di lunga durata (il lento sorvolo delle albanelle, per es.) la potenza muscolare è solo 1/4 di quella sviluppata durante il picco iniziale. Ma ciò non significa che la prestazione atletica di un soggetto è quattro volte maggiore durante il picco iniziale di partenza rispetto a quella della mezz’ ora successiva, giacché il rendimento con cui la potenza muscolare si traduce in prestazione atletica è spesso molto minore in un’attività muscolare rapida che non durante un’attività meno rapida ma sostenuta. La velocità nella corsa di 100 m, ad esempio, è solo 1,75 volte più elevata di quella della corsa di 30 minuti nonostante che la capacità di potenza muscolare a breve termine sia quattro volte maggiore che a lungo termine.

La resistenza dipende dalla disponibilità di sostanze nutritive per il muscolo, soprattutto dalla quantità di glicogeno accumulata nel muscolo prima del periodo di attività. Una dieta ricca di carboidrati fa aumentare fortemente la resistenza, poiché permette di costituire nei muscoli riserve di glicogeno molto più abbondanti che non una dieta mista, ad alto contenuto di grassi, i quali in poche parole appesantiscono inutilmente il corpo dell’animale.

 

I SISTEMI METABOLICI DEL MUSCOLO NELL’ ATTIVITA’ FISICA

 

Abbiamo detto che un muscolo per lavorare efficacemente ha bisogno di energia. Nel muscolo operano gli stessi sistemi metabolici di base di tutte le altre parti dell’organismo. Alcuni aspetti quantitativi di tre di essi assumono, però, grande importanza per lo studio dei limiti dell’attività fisica. Vediamoli:

Sistema del fosfageno Adenosintrifosfato (ATP). Abbiamo visto che questa molecola universale che si trova in tutti gli animali, è la fonte base dell’energia per la contrazione muscolare, che ha la seguente formula:

Adenosina~P03 ~P03 ~ P03

I legami indicati con il simbolo ~ , sono legami fosforici ricchi di energia. L’energia contenuta in ciascuno di essi è di 7300 calorie per mole di ATP. Perciò, la rimozione del primo gruppo P03 (radicale fosforico) dalla molecola, che converte l’ATP in adenosindifosfato (ADP), libera 7300 calorie che possono essere utilizzate per fornire energia al processo contrattile del muscolo. Altrettanta energia, 7300 calorie, si rende disponibile per rimozione del secondo radicale fosforico e formazione dall’ADP di adenosinmonofosfato (AMP). Ma la quantità di ATP presente nei muscoli, anche di rapaci ben allenati, è sufficiente a sostenere una potenza muscolare massimale solo per qualche secondo. E’ essenziale, perciò, che nuovo ATP venga formato continuamente, salvo che in intervalli di pochi secondi alla volta, anche durante la prestazione atletica del volo.

Sistema glicogeno-acido latticoIl glicogeno immagazzinato nel muscolo può essere scisso in glucosio e questo utilizzato poi a scopo energetico. Lo stadio iniziale di questo processo si indica come glicolisi anaerobica perché ha luogo interamente senza intervento di ossigeno . Ogni molecola di glucosio viene scissa in due molecole di acido piruvico con liberazione di energia e formazione di varie molecole di ATP. Ordinariamente l’acido piruvico entra poi nei mitocondri delle fibre muscolari e reagisce con l’ossigeno dando luogo alla formazione di molte altre molecole di ATP. Quando, però, non vi è ossigeno sufficiente per questo secondo stadio del metabolismo del glucosio (stadio ossidativo), la massima parte dell’acido piruvico viene convertita in acido lattico che diffonde poi all’esterno della fibra muscolare e passa nel sangue. Gran parte del glicogeno muscolare, perciò, viene degradato ad acido lattico e ciò porta alla formazione di considerevoli quantità di ATP interamente senza intervento di ossigeno. Altra proprietà del sistema glicogeno-acido lattico è che esso è capace di formare molecole di ATP circa 2,5 volte più rapidamente di quanto non possa il meccanismo ossidativo dei mitocondri. Perciò, questo processo di glicolisi anaerobica può essere utilizzato come fonte di energia rapidamente disponibile quando siano richieste forti quantità di ATP per contrazioni muscolari di breve o modesta durata.

Sistema aerobicoIl sistema aerobico fornisce energia mediante ossidazione di substrati energetici nei mitocondri. Glucosio, acidi grassi e aminoacidi degli alimenti, dopo i vari processi del metabolismo intermedio, si combinano con l’ossigeno liberando quantità molto forti di energia che vengono impegnate nella sintesi di ATP a partire da AMP e ADP .

Dal confronto di questo meccanismo aerobico di fornitura di energia con il sistema glicogeno-acido lattico e con quello del fosfageno, le relative velocità massime di generazione di potenza in termini di utilizzazione di ATP risultano le seguenti:

 

SISTEMA QUANTITA’ DI ATP PRODOTTA DURATA
AEROBICO 1 secondi
GLICOGENO-AC.LATTICO 2,5 minuti
ATP 4 illimitato (dipende dalla quantita’ di nutrienti)

 

E’ facile, così, rilevare che il sistema del fosfageno è quello utilizzato dal muscolo per sviluppare picchi di potenza di pochi secondi, mentre per un’attività atletica prolungata deve essere impegnato il sistema aerobico. In una posizione intermedia si trova il sistema glicogeno-acido lattico, che interviene specialmente per fornire altra potenza aggiuntiva, ma che dopo poco porta alla stanchezza muscolare (a causa dell’accumulo di acido lattico).

Sistemi energetici impegnati nei vari tipi di volo

Se si considerano il vigore e la durata delle differenti attività sportive è possibile valutare con sufficiente esattezza quali sistemi energetici vengono utilizzati in ciascuna delle attività.Si dia uno sguardo alla tabella sotto:

 

SISTEMA COMMENTI TIPO DI VOLO
ATP Prestazioni immediate, scatti rapidi e nervosi (tipici del genere Accipiter per es.).
  • Inseguimento insistente (tail chasing: Sparvieri, Astori, Smerigli ecc.)
  • Attacco in volo diretto e indiretto (direct e indirect flying attack: Pellegrino, Lanario, Astore, Aquile ecc.)
ATP +GLICOGENO-AC.LATTICO Si attiva quando l’ATP non è più sufficiente. Porta alla stanchezza e alla fatica muscolare.
  • Come sopra, quando si prolungano
GLICOGENO-AC.LATTICO Usato per prestazioni medie a livello di durata (resistenza) e potenza.  

  • Ispezione lenta e sistematica (slow quartering, nelle Albanelle per es.)
  • Spirito santo (hovering, nel Gheppio per es.)
  • Avvicinamento di nascosto ed attacco a sorpresa.
AEROBICO Prestazioni di lunga durata, ad alta resistenza, ma nelle quali il metabolismo ha tutto il tempo per fornire intermedi metabolici al muscolo.
  • Alto volo di ricerca (hight searching: Falchi, Aquile ecc.)
  • Attesa in volo e picchiata ( Falchi della regina)
  • Veleggiamento e scrutamento (soaring, Falchi, Aquile ecc.)

 

Restauro dei sistemi metabolici muscolari dopo l’ esercizio

L’energia fornita dal metabolismo ossidativo del sistema aerobico può essere usata per ricostituire tutti gli altri sistemi — l’ATP, la fosfocreatina ed anche il sistema glicogeno-acido lattico.

La ricostituzione del sistema glicogeno-acido lattico comporta in primo luogo la rimozione dell’acido lattico accumulatosi in eccesso in tutti i liquidi corporei. Ciò è molto importante perché l’acido lattico determina fatica estrema.

Restauro del sistema aerobico dopo esercizio. Durante i primi stadi di un’intensa attività fisica viene esaurita anche parte delle potenzialità energetiche aerobiche del soggetto, come conseguenza di due effetti: (1) il cosiddetto debito di ossigeno e (2) deplezione delle riserve di glicogeno dei muscoli.

Debito di ossigeno. L’organismo contiene normalmente una quantità di ossigeno, utilizzabile per il metabalismo aerobico, anche in mancanza dell’apporto di nuovo ossigeno con il respiro. Questa “riserva” di ossigeno consiste delle seguenti cemponenti: (1) 1/4 (25%) nell’aria dei polmoni; (2) 1/8 (10%) come gas disciolto nei liquidi corporei; (3) 50% in combinazione con l’emoglobina del sangue; e (4) 15 % nelle fibre muscolari combinate con la mioglobina, una proteina simile alla emoglobina e come questa capace di legare ossigeno.

In un esercizio fisico intenso, quasi tutta questa “riserva” di ossigeno viene utilizzata nel tempo di qualche minuto per il metabolismo aerobico. Dopo che l’esercizio è terminato, essa deve essere ricostituita mediante assunzione attraverso i polmoni di ossigeno in eccesso sul fabbisogno ordinario. E’ da notare che durante il compimento di una prestazione muscolare il consumo di ossigeno aumenta anche di verie decine di volte. Poi, dopo che l’attività è cessata, il consumo di ossigeno del soggetto resta ancora al di sopra del normale, proprio per ripristinare il sistema aerobico e da ciò deriva il soprafiato. Gli uccelli si sono evoluti anche in funzione di questa notevole richiesta di ossigeno per il volo: essi possiedono infatti i così detti sacchi aerei che permettono una iperventilazione in grado di soddisfare tutte le esigenze dei muscoli del volo.

Restauro delle riserve di glicogeno muscolare. Il recupero da un esaurimento delle riserve di glicogeno del muscolo è un fatto complesso, che spesso richiede giorni, anziché secondi, minuti o ore come per il restauro dei sistemi metabolici del fosfageno e dell’acido lattico. Si noti che con una dieta ad alto contenuto di carboidrati si ha un completo recupero in circa 2 giorni. Invece, in soggetti a dieta ricca di grassi e/o di proteine in soggetti a digiuno il recupero è assai scarso anche dopo ben 5 giorni.

NUTRIENTI UTILIZZATI DURANTE L‘ATTIVITA’ MUSCOLARE

Anche se sopra è stata sottolineata l’importanza della disponibilità di abbondanti riserve di glicegeno muscolare per una prestazione atletica massimale, ciò non vuol dire che come fonte di energia per i muscoli siano utilizzati solamente carboidrati — ma significa semplicemente che questi sono impiegati di preferenza. I muscoli, infatti, utilizzano a scopo energetico grandi quantità di grassi nella forma di acidi grassi ed anche aminoacidi. Sta di fatto che in quelle prove atletiche di resistenza che durano delle ore, anche nelle migliori condizioni le riserve di glicogeno del muscolo finiscano con l’esaurirsi, dopodiché l’energia per la contrazione muscolare viene fornita da altre fonti, principalmente dai grassi.

Si nota che ha massima parte dell’energia viene tratta dai carboidrati durante i primi secondi o minuti dell’attività fisica, mentre nella fase dell’esaurimento dal 60 all’85% dell’energia viene ad essere ricavata dai grassi, anziché dai carboidrati.

Non tutta l’energia fornita dai carboidrati deriva dal glicogeno immagazzinato nei muscoli, infatti è contenuto nel fegato quasi altrettanto glicogeno che nei muscoli, il quale può essere liberato nel sangue in forma di glucosio e come tale utilizzato poi dai muscoli a scopo energetico.

In sintesi, quindi, il glicogeno muscolare e il glucosio ematico, se disponibili, sono i nutrienti energetici di scelta per un’intensa attività muscolare. Pur tuttavia, è prevedibile che in una vera gara di resistenza, dopo le prime 3 o 4 ore circa, più del 50% dell’energia richiesta sia fornita dai grassi.

TIPI DI MUSCOLI

Intanto dobbiamo distinguere due principali tipi di muscolo scheletrico (striato):

Muscoli rossi: (red muscle) che sono adatti a resistere a lunghi periodi di prestazioni muscolari e possiedono una elevata capacità di utilizzare ossigeno.

Muscoli bianchi: (white muscle) che sono invece associati a potenza e sprint ed hanno una bassa capacità di usare ossigeno.

All’interno di questa classificazione abbiamo una ulteriore suddivisione dei muscoli in:

Fibre muscolari a contrazione rapida e a contrazione lenta

Tutti i muscoli dell’organismo umano contengono in varie percentuali fibre a contrazione rapida (fast twich muscle fibers) e fibre a contrazione lenta (low twich slow fibers). Il soleo, per es., ha in prevalenza fibre lente ed entra in funzione più spesso per attività muscolari protratte dell’arto inferiore.

Le differenze fondamentali tra fibre rapide e fibre lente sono le seguenti:

1. Le fibre rapide hanno un diametro circa due volte maggiore.

2. Gli enzimi che promuovono rapida liberazione di energia dai sistemi energetici dell’ATP e del glicogeno-acido lattico sono 2-3 volte più attivi nelle fibre rapide che nelle fibre lente, cosicché le prime possono sviluppare una potenza massimale che è all’incirca il doppio di quella delle seconde.

3. Le fibre lente sono organizzate principalmente per attività muscolari protratte ed hanno un’alta capacità di consumare ossigeno. Hanno molti più mitocondri delle fibre rapide e contengono, inoltre, quantità considerevolmente maggiori di mioglobina. E’ questa una proteina analoga all’emoglobina, che è capace di combinarsi con l’ossigeno nella fibra muscolare e, fatto ancora più importante, di accrescere la velocità di diffusione dell’ossigeno attraverso la fibra stessa trasferendolo da una molecola di mioglobina a quella adiacente. Inoltre, gli enzimi del sistema metabolico aerobico sono considerevolmente più attivi nelle fibre lente che in quelle rapide.

4. Il numero di capillari per massa di fibre è maggiore per quelle a contrazione lenta rispetto a quelle a contrazione rapida visto che a loro serve più ossigeno.

In sintesi, le fibre rapide possono sviluppare potenze estremamente elevate per breve tempo, da pochi secondi a qualche minuto. Le fibre lente, invece, forniscono prestazioni durevoli, potendo sviluppare una forza di contrazione che può essere sostenuta per molti minuti e anche per ore.

Differenze specie-specifiche per quanto riguarda le percentuali relative di fibre rapide e di fibre lente. In generale, per molte delle attività giornaliere, il rapace usa le fibre a contrazione lenta, mentre quando esso è impegnato in un volo di caccia userà principalmente le sue fibre a contrazione rapida altamente ossidative e quando si impegna nell’inseguimento di una preda userà le fibre a contrazione rapida a bassa capacità ossidativa. In alcune specie di rapaci prevalgono nettamente le fibre rapide su quelle lente, mentre in altre avviene il contrario. Questo è un fattore che in qualche misura determina le capacità atletiche delle differenti specie. Queste differenti proporzioni, in realtà, sono determinate pressoché interamente da fattori genetici. Le Albanelle ed i Gufi di palude hanno per es. un’alta proporzione di fibre a rapida contrazione altamente ossidative, che permetteranno loro di compiere lunghi voli esplorativi; gli Accipitridi invece avranno una maggior proporzione di fibre a rapida contrazione a bassa ossidazione che li sosterranno nei loro rapidissimi e potentissimi sprint all’inseguimento delle prede.

Tenendo allora in considerazione quanto detto,durante le fasi di addestramento o allenamento o riabilitazione di un rapace si dovrà operare con esercizi specifici per la caratteristica proporzione di fibre in una determinata specie.

LA FUNZIONE RESPIRATORIA NELL’ATTIVITÀ FISICA

La respirazione nei rapaci

Il sistema respiratorio degli uccelli ha due principali funzioni: scambiare anidride carbonica di scarto con ossigeno e termoregolare il corpo dell’animale.

Gli uccelli posseggono un apparato respiratorio ben più efficiente del nostro, infatti hanno un unico flusso circolare di aria che entra da una estremità dei polmoni ed esce dall’altra. Inoltre gli uccelli possiedono un complesso sistema di sacchi aerei che si estendono in tutte le cavità corporee ed in alcuni casi anche fin dentro le ossa (pneumatiche). Un’altra differenza con il sistema respiratorio dei mammiferi è che gli uccelli non possiedono un diaframma ma sono i muscoli intercostali che alzano ed abbassano lo sterno, con il conseguente effetto di pompa di aria verso i sacchi aerei ed i polmoni.

Questo processo di pompaggio di aria verso l’interno è sincronizzato con il battito delle ali ( e quindi con il lavoro dei muscoli del volo).

Il volo è senz’altro una prestazione fisica molto impegnativa: esso richiede una elevata temperatura corporea ed un rapido metabolismo, dunque rispetto ai Mammiferi per es. gli uccelli richiedono una molto maggiore quantità di ossigeno. Ciò è ottenuto sia grazie al fatto che la loro emoglobina del sangue è due volte più efficiente rispetto a quella dei Mammiferi, sia grazie al loro particolare sistema respiratorio: così una Poiana comune in condizioni normali ( statiche ) ha una frequenza respiratoria di 15-30 atti al minuto, che corrisponde alla metà rispetto a quella di un Mammifero dello stesso peso.

Notiamo, prima di procedere, che l’efficienza della funzione respiratoria è di interesse relativamente modesto in prestazioni atletiche di “sprint” ma è un fattore di importanza critica nelle prestazioni massimali di attività muscolari persistenti.

Consumo di ossigeno e ventilazione polmonare nell’attività fisica. La relazione esistente tra consumo di ossigeno e ventilazione polmonare totale a differenti gradi di attività fisica è lineare. In cifre tonde, sia il consumo di ossigeno sia la ventilazione polmonare totale aumentano di diverse decine di volte dallo stato di riposo ad un esercizio fisico di intensità elevata.

I limiti di ventilazione polmonare. Va sottolineato che normalmente il sistema respiratorio non rappresenta il principale fattore limitante nel rifornimento di ossigeno ai muscoli in condizioni di massimale metabolismo aerobico muscolare. Di solito un mangiare fattore limitante è la capacità della pompa cardiaca di far affluire una quantità sufficiente di sangue ai muscoli.

Effetto dell’allenamento sul Vo2Max. Il simbolo Vo2Max indica la captazione di ossigeno a livello dei polmoni, o consumo di ossigeno, in condizioni di metabolismo aerobico massimale. Tale capacità può essere influenzata dall’allenamento che riesce a portarla al 10% in più rispetto alla media normale di un rapace non allenato e statico (per es. in voliera).

IL SISTEMA CARDIOVASCOLARE NELL’ATTIVITÀ FISICA

Flusso sanguigno dei muscoli. La funzione cardiovascolare nell’attività fisica è chiamata a rifornire i muscoli dell’ossigeno e degli altri nutrienti necessari. A questo scopo il flusso sanguigno aumenta fortemente nei muscoli in attività. Durante il volo la capacità di trasporto del sangue può aumentare anche di 60 volte . Inoltre è da notare che il flusso sanguigno si riduce nel corso di ciascuna delle contrazioni. Vanno messi in rilievo due punti:

1) Il processo contrattile in atto provoca esso stesso temporaneamente diminuzione del flusso sanguigno del muscolo, poiché questo contraendosi cornprime i vasi sanguigni intramuscolari; perciò, energiche contrazioni toniche inducono nel muscolo una rapida insorgenza della fatica per il fatto che esso non riceve un sufficiente rifornimento di ossigeno e di altri nutrienti durante lo stato di contrazione continua.

2) Il flusso sanguigno ai muscoli durante l’attività fisica può aumentare fortemente.

Così, il flusso sanguigno nei muscoli può aumentare fino a un massimo di circa 60 volte durante un’attività fisica estremamente intensa. Questo aumento è dovuto per circa la metà a dilatazione dei vasi intramuscolari provocata dagli effetti diretti dell’aumentato metabolismo del muscolo; per l’altra metà risulta da molteplici fattori, il più importante dei quali è probabilmente il moderato aumento della pressione arteriosa che ha luogo nell’attività fisica, aumento che di solito è circa di un 30%. Un aumento della pressione arteriosa del 30%, perciò, può spesso più che raddoppiare il flusso sanguigno, un effetto che si aggiunge al forte aumento del flusso provocato dalla vasodilatazione per la maggiore attività metabolica.

Lavoro, consumo di ossigeno (respirazione) e gittata cardiaca durante attività fisica. Non è una sorpresa che queste grandezze siano tutte direttamente correlate l’una con l’altra, come è indicato dalle funzioni lineari, giacché il lavoro dei muscoli fa aumentane il consumo di ossigeno che a sua volta fa dilatare i vasi sanguigni muscolari, cosicché il ritorno venoso e la gittata cardiaca aumentano.

Effetti dell’allenamento sulla massa muscolare cardiaca e sulla gittata cardiaca. Durante l’allenamento atletico perciò, si ipertrofizzano non solo i muscoli scheletrici ma anche il cuore. L’ingrandimento del cuore e l’aumento della sua capacità propulsiva si verificano, però, solamente nell’allenamento specie che praticano voli di resistenza, non negli scattisti come gli accipitridi. Ad ogni contrazione sistolica, quindi, la quantità di sangue pompata dal cuore può arrivare anche fino al 50% in più rispetto allo stato stazionario o a soggetti non allenati, ma la frequenza cardiaca a riposo risulta nel primo corrispondentemente ridotta.

Il ruolo del volume-sistole e quello della frequenza cardiaca nell’aumento della gittata cardiaca. La frequenza cardiaca durante il volo può salire anche del 270%. Perciò, l’aumento della gittata cardiaca durante un’attività fisica molto intensa è sostenuto assai più dall’aumento della frequenza cardiaca che da quello del volume-sistole. Questo normalmente raggiunge il massimo livello già quando l’aumento della gittata cardiaca è solo alla metà del suo valore massimo: ogni ulteriore aumento di essa perciò può aver luogo solo per aumento della frequenza cardiaca.

CALORE CORPOREO NELL’ATTIVITA FISICA

Quasi tutta l’energia che si libera dal metabolismo delle sostanze nutritive viene alla fine convertita in calore. Ciò vale anche per l’energia impegnata nella contrazione muscolare, per le seguenti ragioni. In primo luogo, nella trasformazione dell’energia delle sostanze nutritive in lavoro muscolare il rendimento massimo, anche nelle migliori condizioni, è solo del 20-25%, e il resto dell’energia è convertito in calore nel corso delle reazioni chimiche intracellulari. In secondo luogo, quasi tutta l’energia che va a produrre lavoro muscolare viene degradata anche essa in calore corporeo. A ciò si aggiunge la normale elevata temperatura corporea che hanno gli uccelli ( di circa 40 oC). Se ne trae la conclusione che il loro sistema termoregolatorio deve essere estremamente funzionale; ed in effetti lo è vista la presenza dei sacchi aerei che permettono un rapido scambio di aria tra l’interno e l’esterno del corpo permettendo così all’uccello di raffreddarsi sufficientemente. Ricordiamo che gli uccelli non sudano perché non possiedono ghiandole sudoripare, al massimo si possono verificare delle perdite di acqua evaporativa attraverso la fluttuazione gulare nei rapaci notturni o il “panting”.

Pertanto, in giornate molto calde può facilmente prodursi nel rapace in fase di volo condizionato (addestramento, allenamento, riabilitazione) una condizione intollerabile, e a volte anche letale, chiamata colpo di calore.