L’incubazione artificiale delle uova dei Rapaci

incubatorNell’allevamento egli uccelli, può essere
necessario ricorrere all’incubazione artificiale delle uova. Il motivo più comune
è probabilmente il desiderio di ottenere un’ulteriore deposizione di uova e,
quindi, altri novelli: infatti, molte specie di uccelli, rapaci inclusi, sono in grado
di deporre una seconda e, a volte, anche una terza covata se le precedenti
vanno perse poco dopo che le uova siano state deposte. Se l’obiettivo è quindi
di incrementare l’ovodeposizione, si attendono al massimo due o tre giorni
dopo la produzione dell’ultimo uovo prima di rimuovere la covata. In altri casi,
invece, si ricorre all’incubazione artificiale o a coppie adottive perché le uova
devono essere sottratte alla coppia parentale poiché possono essere
danneggiate o distrutte da uno o da entrambi i genitori, oppure perché la
coppia non è capace di una cova adeguata e le uova non giungono quindi a
termine.
Qualunque sia il motivo, se le uova vengono raccolte è indispensabile avere a
disposizione dei genitori adottivi (della stessa specie o di specie affini) o
provvedere all’incubazione artificiale.
uovaPer non danneggiare le uova e i fragili embrioni in via di sviluppo è importante
che la rimozione delle uova stesse sia fatta con delicatezza e che il trasporto
verso l’incubatrice sia eseguito evitando traumi e scossoni (per esempio
mettendo le uova in contenitori con della gommapiuma con i fori predisposti
per le stesse, oppure scatole piene di mangime per canarini o altre granaglie
che attutiscono le oscillazioni). Le uova vanno poi messe nell’incubatrice al più
presto, specialmente se l’incubazione naturale è già cominciata. Il guscio può
essere pulito, se necessario, con un panno morbido. Ovviamente l’incubatrice
deve essere in condizioni igieniche perfette poiché i parametri di temperatura e
umidità interni alla macchina sono ideali, oltre che per lo sviluppo embrionale,
anche per la moltiplicazione batterica e fungina.
I fattori fondamentali per una corretta incubazione sono temperatura, umidità,
rotazione delle uova e circolazione dell’aria. La temperatura consigliata per le
uova dei rapaci è di circa 37,2 °C e non dovrebbe subire oscillazioni poiché sia
le variazioni in eccesso, sia quelle in difetto possono compromettere,
specialmente se eccessive e ripetute, la vitalità degli embrioni in sviluppo.
Anche la temperatura del locale dov’è sistemata l’incubatrice è importante.
Dovrebbe essere stabile e compresa, idealmente, tra i 15-30°C: uno
scostamento pronunciato da queste temperature rende più difficile per
l’incubatrice mantenere una corretta temperatura interna.igrometroL’umidità relativa dell’incubatrice si attesta attorno al 60%, ma è un parametro
che può anche variare molto da un’apparecchiatura all’altra in relazione alla
circolazione dell’aria all’interno della macchina stessa. Fondamentale per
calcolare l’umidità da impostare è la pesatura dell’uovo: la corretta perdita di
peso (per semplice evaporazione) di un uovo durante l’incubazione, si attesta
attorno al 12-16%: questo significa che perdite ponderali inferiori indicano
un’umidità elevata che ostacola l’evaporazione (bisogna perciò abbassare
l’umidità nell’incubatrice) mentre cali di peso superiori ai valori normali
segnalano un’umidità relativa bassa (è necessario incrementare la percentuale
di umidità all’interno della macchina incubatrice). E’ evidente che per eseguire i
calcoli l’uovo va pesato subito prima dell’incubazione e la perdita teorica di
peso va poi divisa per il numero di giorni d’incubazione propri della specie. Si
ottiene così la perdita ponderale giornaliera, e se il calo è più accentuato o
minore di quanto teoricamente atteso, è opportuno intervenire con gli
aggiustamenti del caso (per incrementare l’umidità della macchina, per
esempio, si può aggiungere acqua in un piattino oppure utilizzarne uno più
largo di quello presente. Viceversa per abbassare l’umidità relativa).
La rotazione delle uova è un altro aspetto dell’incubazione che può
determinarne il successo o il fallimento. Girare le uova, infatti, serve ad
impedire che l’embrione si attacchi alle membrane interne dell’uovo con
conseguente arresto dello sviluppo e morte, e per distribuire uniformemente
entro l’uovo stesso i nutrienti e le sostanze di scarto prodotte dal metabolismo
embrionale. La rotazione è di circa 180°, deve essere fatta con dolcezza,
evitando i movimenti bruschi e dovrebbe avere essere eseguita ogni tre ore
circa, dal primo giorno d’incubazione fino a quando l’embrione si è messo nella
posizione che assume per bucare il guscio, 2-3 giorni prima della schiusa.
Durante l’incubazione è opportuno controllare lo sviluppo embrionale per
verificare che tutto proceda normalmente e per allontanare le uova in cui
l’embrione non è presente oppure è deceduto. Questa operazione si chiama
speratura e si effettua con l’aiuto di una fonte di luce puntiforme (es. lampada,
torcia ecc.) in un ambiente scuro: le uova feconde diventano progressivamente
più scure poiché l’embrione, crescendo, occupa un sempre maggior spazio
entro l’uovo e blocca il passaggio della luce, quelle infeconde o all’inizio
dell’incubazione sono chiare, mentre le uova in cui l’embrione muore mostrano,
ovviamente, un arresto dello sviluppo embrionale (la macchia scura, dopo un
iniziale espansione, non si ingrandisce).speratura La speratura ci aiuta anche a stabilire
quando l’embrione si prepara alla nascita: la camera d’aria, visibile al polo
ottuso dell’uovo come un’area chiara posta trasversalmente alla lunghezza
dell’uovo, in seguito ai movimenti del futuro pulcino che ormai occupa tutto lo
spazio a disposizione, si inclina da un lato assumendo un andamento obliquo
rispetto alla lunghezza dell’uovo. Questa è l’indicazione che la schiusa, in altre
parole la nascita del pulcino, avverrà entro 2-3 giorni. A questo punto si
interrompono le rotazioni dell’uovo per non ostacolare i movimenti che il

pulcino compie per rompere il guscio e vedere finalmente la luce.
La nascita è per il pulcino un evento molto faticoso, estenuante. La prima
tappa è la rottura delle membrane interne cui segue, dopo circa 24 ore, la
rottura del guscio mediante una piccola protuberanza del becco chiamata
“dente dell’uovo” che scompare nei giorni successivi alla nascita. Dopo la prima
schiusaapertura del guscio il pulcino ruota su se stesso procedendo nella rottura del
guscio, creando una linea di frattura trasversale lungo la circonferenza
dell’uovo e poi, aiutandosi con le zampe, spinge le due metà dell’uovo in modo
da liberarsene. Una volta fuoriuscito, si consiglia, prima di toglierlo dalla
schiusa, di lasciare tranquillo il pulcino per alcune ore per consentirgli di
recuperare le energie e per lasciar asciugare il piumino bagnato.
A questo punto, una volta asciutto, si può disinfettare l’ombelico per impedire
che eventuali microbi possano penetrare all’interno del pulcino, e si può
mettere in una gabbia calda a circa 35°C. Il neonato è ora pronto per essere
allevato dall’uomo.
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Dottor Claudio Peccati
Medico Veterinario

Cacciata a lepri in Austria con astori ed aquile

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Già nel mese di Agosto sono arrivate le prime telefonate di invito da parte di un nostro amico falconiere austriaco alla consueta cacciata ottobrina a lepri in quel di Neudorf bei Staaz.Sono anni oramai che gli inviti si susseguono regolarmente e regolarmente una “delegazione” italiana di falconieri sale fino ai confini con la Repubblica Ceca.

In Austria, come del resto negli altri paesi europei, la caccia in generale è gestita diversamente rispetto all’Italia, in pratica non c’è territorio libero dove tutti possono far ciò che piace ed avere la facoltà di sfruttare il territorio e selvaggina in modo “anarchico” come facciamo noi.

Tra colloqui in inglese misto a tedesco credo di aver capito che il territorio austriaco è diviso in Distretti di caccia dove possono andare solo i residenti e gli eventuali invitati, con regole più severe in fatto di prelievo di selvaggina e di uscite.

Il Distretto era stato concesso ai falconieri per tre giorni e mezzo, ovvero, il giovedì, venerdi, sabato e la mattina della domenica (dal 24 al 27 ottobre); nessun cacciatore con il fucile poteva esercitare la propria attività in quei giorni al fine di garantire l’incolumità dai vari rapaci.

Partimmo dall’Italia in 5 persone, 3 con il proprio rapace e 2 accompagnatori, falconieri anch’essi, ma che non avendo un rapace idoneo a cacciare lepri (Astori, Harris, Poiane americane ecc) si aggregarono a noi con l’intento di vivere giornate venatorie indimenticabili oltre che immortalare con fotografie e filmati le varie scene di caccia che si sarebbero susseguite.

Ci ritrovammo all’appuntamento il mattino alle 9 all’uscita del casello autostradale di Padova (2 venivamo dalla Toscana, 1 dalla Romagna e 2 dalla Lombardia) caricammo tutti i bagagli e trasportini con i falchi in due auto e ci mettemmo in viaggio verso la destinazione con velocità da crociera.

Arrivammo la sera verso le 18 a destinazione dopo un viaggio di oltre 1000 Km. Il piccolo albergo dove ci avevano prenotato per alloggiare e dove c’era il ritrovo per la caccia era molto accogliente, intimo, il cui proprietario è anch’esso un cacciatore di ungulati da altana (cinghiali e caprioli) .

Trofei di caccia ad ogni parete, quadri a scena venatoria, il tutto coperto da una cortina di fumo indescrivibile (in Austria ancora si può fumare nei locali pubblici), boccali di birra ad ogni tavolo dove alcuni clienti del luogo si stavano sorseggiando tra una discussione e l’altra e tra un piatto di carne ed un contorno di verdure per cena.

Ad attenderci l’organizzatore del meeting che ci aveva invitato, l’amico Wolfgang, ottimo falconiere e grande allevatore di Astori e Aquile del Bonelli.

Prima di entrare in possesso del bilocale dove dovevamo pernottare situato ai piani superiori dell’edificio, Wolfgang ci fece vedere il giardino protetto dove potevamo giardinare i nostri rapaci; all’interno c’erano già al blocco 4 imponenti aquile reali, la giovane aquila del bonelli oltre ad alcune femmine di astore, pellegrini ed alcuni ibridi.

Dopo una frugale cena a base di piatti del luogo (io già rimpiangevo la nostra cara e gustosa spaghettata!!) ci ritirammo nelle nostre stanze per il meritato riposo.

Il mattino seguente, di buon ora, rituale colazione alla “nordica”….un vero e proprio pranzo come non siamo abituati a fare: pane, formaggi, salumi, spremute, marmellata, cioccolato, caffè ( un lungo ed insipido caffè, niente a che vedere con il nostro espresso con la crema!!)

Finita la colazione abbiamo iniziato a fare il consueto e regolare controllo del peso dei nostri Astori sulle bilance elettroniche portatili; il controllo del peso è importante in questa forma di caccia in quanto i nostri “fucili alati” debbono essere ben in punto di fame per poter insidiare una grossa lepre dal peso di 3 – 4 Kg; di norma si limano nel peso per circa il 15 % rispetto al peso di “muta”, ovvero, rispetto al peso massimo che hanno raggiunto durante i mesi in cui sono stati fermi a causa del ricambio annuale del piumaggio; oltre a mantenerli in appetito e quindi con la voglia di cacciare, vanno preventivamente allenati affinché i muscoli a contrazione rapida (quelli che gli permettono di avere uno scatto fulmineo e quasi istantaneo) siano ben tonici e quindi meno sensibili agli accumuli deleteri dell’acido lattico, il quale porterebbe il nostro astore ad abbandonare l’inseguimento per mancanza di “fiato” e quindi di condizionamento generale.

Espletate le prime “formalità di rito” ci muoviamo con le auto al seguito del capocaccia.

Giunti nel luogo preposto iniziamo a preparare i nostri astori: togliere girella, inserire alla coda o al tarso la piccola ed utilissima trasmittente per un eventuale rintracciamento del rapace dopo un volo lungo.

Il capocaccia ci chiama tutti a rapporto; è di usanza loro, prima di partire per la caccia, fare un discorso a tutti i partecipanti, spiegando come funziona la battuta e facendo gli onori ai rapaci con la levata generale e simultanea dei copricapo.

Il discorso è in lingua tedesca, e noi italiani lo capiamo ben poco, ma subito dopo ci viene spiegato in inglese: in parole povere dobbiamo andare a rastrello senza l’ausilio dei cani, lungo i vari campi che ci sono stati messi a disposizione.

Una volta individuata una lepre al covo dobbiamo alzare il braccio e gridare HASE (lepre in tedesco); il capocaccia indicherà chi dovrà volare in quel momento.

Quando la lepre verrà messa in fuga, un attimo prima del lancio dobbiamo gridare “Habich frei” (Astore libero) affinché i compagni di caccia non liberino a loro volta il loro rapace e per stare attenti ad un eventuale attacco rivolto ad altro rapace; insomma, una sicurezza ed un’allerta a stare con gli occhi ben vigili.

L’ambiente circostante è molto bello, dolci colline a perdita d’occhio, le culture sono idonee alle lepri: campi di barbabietole da zucchero, campi di piselli, campi di ravizzone, vigneti, granturcheti intervallati da campi appena arati e ben livellati oltre a le siepi di alberi non molto alti, che delimitavano i vari campi.

Quello che mi ha colpito è stata la natura del terreno, ovvero una sorta di terra molto scura, quasi nera, molto fine ed abbastanza sciolta.

Iniziamo la caccia incamminandoci all’interno di questi campi cercando di scoprire qualche lepre al covo nascoste tra le bietole o nei campi arati.

Iniziamo bene, vediamo delle lepri fuggire in lontananza e subito dopo una brigata di starne che si invola a circa 50 metri da noi.

Non faccio in tempo a fare un altro passo che tra me e Wolfgang fugge una lepre. Lesto l’austriaco scappuccia la sua giovane Aquila del Bonelli e la lancia all’inseguimento…100 metri e con una volee artiglia a terra il malcapitato roditore che inizia a strillare…la Bonelli è micidiale sulle lepri, in natura è la sua preda preferita oltre alle starne e pernici (in Spagna la chiamano Aguila Perdicera, ovvero, da pernici!!) Wolfgang corre a perdifiato fino alla sua beniamina e conclude l’azione.

Ripartiamo nella nostra camminata…vediamo caprioli a non finire…man mano che ci addentriamo nei campi di piselli o di ravizzone famiglie di caprioli si mettono alla fuga allontanandosi senza eccessiva fretta.

Proprio mentre mi incamminavo negli alti ravizzoni mi sento colpire alle gambe da dietro…mi volto e scorgo un capriolo che quasi avevo pestato e che nell’attimo della fuga mi aveva urtato.

È tutto un susseguirsi di grida “hase, hase, hase” da tante lepri che riusciamo a scorgere e vedere correre. Vicino una vigna mi fugge quasi dai piedi un’enorme lepre..lancio la mia astore la quale dopo una decina di metri è sopra la lepre..una artigliata sul dorso, il pelo che vola in aria e la lepre che fugge indenne! Non è facile catturare la lepre, specialmente per i nostri astori i quali non sono abituati a tali selvatici; qui in Italia non abbiamo moltissime lepri e qualora volessimo insidiarle in qualche Azienda faunistica venatoria, i prezzi sarebbero proibitivi.

La mia astore nella sua fin qui brillante carriera ha catturato qualche coniglio selvatico e qualche mini-lepre (cottontail) ma mai una lepre, non l’ha mai viste!!…è specializzata nei lunghi inseguimenti in cui eccelle, sui fagiani, starne, cornacchie ecc, selvatici molto più abbondanti nei nostri territori e molto più a buon mercato.

Durante tutto il giorno riusciamo a trovare moltissime lepri, le quali vengono per lo più catturate dalle aquile reali dei nostri colleghi tedeschi, austriaci, cechi e dal danese.

A fine giornata la delegazione italiana, pur avendo fatto numerosi lanci, non ha fatto una sola cattura!!! Non siamo delusi, era tutto preventivato, il primo giorno era di ambientamento e di conoscenza del selvatico.

Rientriamo all’albergo per cena e per andare subito a letto..siamo stanchissimi..tutto il giorno a camminare per i campi con gli stivali che sembravano delle zavorre dato che la notte aveva piovuto in abbondanza, e a dir la verità, almeno io, non ci sono molto abituato a simili camminate.

Prima di commiatarci con gli amici falconieri, parliamo un po’ in inglese ed a gesti con alcuni simpatici falconieri tedeschi dietro qualche boccale di buona birra.

Il mattino seguente, stesse operazioni di rito e ritrovo sul campo di caccia a nord del villaggio. Pioviggina insistentemente e spira un gelido vento da nord. Dopo il discorso del capocaccia a tutti i partecipanti iniziamo a perlustrare i vari appezzamenti di terreno coltivati a barbabietole e piselli.

Uno spettacolo mai visto…lepri a non finire che scappavano in tutte le direzioni al nostro passaggio. Il mio amico accompagnatore oltre a filmare i vari voli si prese lo sfizio di contarle per semplice curiosità statistica: in un campo di circa 5-6 ettari scovammo con i piedi oltre 70 lepri !!!! impensabili simili numeri in Italia…forse 70 lepri sono soltanto in una intera provincia!!! Un vero spettacolo indimenticabile.

Dopo numerosi attacchi falliti, vuoi per la svogliatezza di mattina degli astori, vuoi per gli scarti repentini che le varie lepri facevano per sottrarsi alla cattura, ecco che il primissimo pomeriggio il vizla al seguito di Wolfgang si irrigidisce in una ferma statuaria…c’è una lepre al covo nascosta tra le bietole.

Sono gentilmente invitato a far nuovamente volare la mia astore…dentro di me incoraggio sia me stesso che l’astore, quasi pregandola di tirar fuori tutto il suo valore venatorio dimostrato in Italia..almeno per soddisfazione, per il “gol” della bandiera.

Schizza la lepre ed io prontamente lancio il rapace dal pugno..in pochi metri la grossa lepre viene raggiunta ed artigliata sul posteriore…una capriola e il roditore riesce a liberarsi dalla morsa degli artigli e fugge nuovamente..l’astore però non desiste e con un fulmineo e breve nuovo inseguimento riesce a far buona presa trattenendo la lepre per il dorso e per il collo (trattenuta da manuale).

Euforico come non mai corro in aiuto dell’accipiter prendendo le zampe posteriori della lepre affinché non provochi dei danni al rapace e concludendo l’azione.

Gli occhi dell’astore in quel preciso istante avevano una luce diversa, lo sguardo era fiero, le pupille dilatate che denotavano la sua soddisfazione, il becco leggermente aperto ed ansimante, le ali allargate a protezione del suo prezioso bottino…l’astore è una vera e propria “macchina da guerra”, come dice De la Fuente, sembra che abbia il grilletto interno sempre innescato. Cortesia meritata del cuore e del fegato della lepre.

A fine giornata le catture complessive sono state numerose, merito specialmente delle potenti aquile reali che ci hanno deliziato di stupendi voli e memorabili inseguimenti e che difficilmente mancavano la preda, ma anche noi astorieri non abbiamo fatto brutta figura.

Questi amici cacciatori-falconieri d’oltralpe hanno un altro rispetto verso la selvaggina e gli agricoltori in confronto a noi italiani.

Tutte le lepri catturate venivano posizionate sull’erba in una lunga fila ed il capocaccia iniziava così il suo rituale discorso terminando con il ringraziamento ai vari proprietari dei terreni che venivano con noi al seguito per farci constatare che avevano lavorato bene e che nei loro appezzamenti vi albergavano numerose lepri e facendoci ringraziare ed onorare i selvatici catturati invitandoci a toglierci tutti contemporaneamente il cappello al loro cospetto prima di ritornare per la cena ed il meritato riposo.

Il prossimo ottobre ritorneremo sicuramente…oltre per stare a contatto con grandi falconieri stranieri dove gli scambi di idee e tecniche di addestramento e volo arricchiscono noi tutti, per ritornare in questo Eden dove la gestione del territorio è perfetta, dove il rispetto verso gli agricoltori ed i selvatici è messo al primo posto, dove potrò rivedere una innumerevole presenza di lepri impensabile nei nostri territori anche i più ameni.

Fonte: la caccia.net

Giovanni Camerini – Hoodmaker

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Ho iniziato a interessarmi e praticare falconeria già dai primi anni ’80 addestrando Gheppi con cui mi divertivo ad insidiare quaglie, seppur gabbiarole.Con il passare degli anni ho addestrato numerosi falconi di alto volo, ma mi sono specializzato nel basso volo con Astori e Sparvieri, rapaci stupendi, ottimi cacciatori, vere e proprie macchine alate da caccia.

Oltre alla bellezza dei rapaci sono sempre stato affascinato dai vari cappucci usati per tenere tranquilli i vari falconi, vere e proprie opere d’arte, che mani esperte e pazienti riuscivano a confezionare.

Durante i vari raduni di falconeria che si svolgevano in tutta Italia, ho sempre constatato che molti di noi si lamentavano del fatto che l’approvvigionamento delle varie attrezzature erano di difficile reperimento e quindi si dovevano rivolgere all’estero con costi molto elevati oppure arrangiarsi con le proprie mani.

Decisi pertanto di provare a cimentarmi nella costruzione dei cappucci, oltre al fatto che mi piaceva come diletto.

Pian piano, con il tempo, ho affinato le varie tecniche di cucitura e sono arrivato a produrre degli ottimi cappucci ben apprezzati sul mercato.

Il cappuccio in cui sono maggiormente specializzato è l’olandese, il Dutch, molto laborioso da costruire ma pur sempre il migliore, il più completo e quello che ci riporta alle antiche tradizioni di questa stupenda e difficile arte.

Ho ripreso il modello del famosissimo falconiere e trapper olandese Adriaan Mollen di Walkensvaard che li costruiva già a cavallo tra l’800 ed il ‘900 con le modifiche nell’apertura del becco apportate dall’americano Ron Rollins, usando i suoi blocchi su cui modellarli, affiancati poi dai blocchi di altro famosissimo americano, Steve Tait.

Tali cappucci vengono tagliati e cuciti completamente a mano con cuciture incrociate a “mezzo cuoio”; il pellame usato è il canguro naturale conciato al vegetale, pelle molto resistente e compatta, la migliore esistente sul mercato per confezionare tali oggetti.

Per la costruzione di questi particolari cappucci occorrono circa 3 ore di lavoro e possono essere personalizzati con i colori a scelta del cliente, oltre a costruirli con pelli particolarmente pregiate come l’iguana, il pitone, lo squalo, l’anaconda ecc.

Il cappuccio calzato dal falcone è anche un segno di distinzione di casta, basti pensare che i vari sceicchi arabi sono soliti farsi costruire cappucci preziosi, decorati in oro ed addirittura con gemme preziose incastonate e con il proprio stemma o logo personalizzato.

I vari cappucci che costruisco sono anche gli Arabi, i Siriani, gli Anglo-Indiani e i Kan del Kazakistan.

Fonte: la caccia.net

L’uso delle Aquile nella falconeria moderna

L’uso delle Aquile nella falconeria moderna è molto cambiato rispetto alla falconeria classica; oggi vengono usate soprattutto Aquile di specie molto calme e poco aggressive per dimostrazioni al pubblico; soprattutto Aquile delle steppe (Aquila rapax) ma anche Aquile di mare testa bianca (Haliaetus leucocephalus) e altre specie più rare in cattività. Sono abbastanza diffusi anche gli ibridi tra Aquila delle steppe e Aquila reale, prodotti in cattività con le tecniche dell’inseminazione artificiale, allo scopo di ottenere Aquile di grandi dimensioni ma docili e mansuete, prive dell’aggressività dell’Aquila reale pura.

17556_102597423105109_100000645545725_75831_3697616_nL’Aquila reale (Aquila chrysaetos) è l’unica specie, insieme alla molto più rara Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus) ad essere utilizzata realmente per la caccia. L’Aquila del Bonelli viene utilizzata quasi esclusivamente in Spagna, Portogallo, Austria e Germania da non più di una decina di falconieri: questa specie è estremamente rara in cattività (viene riprodotta in Europa da non più di 5 allevatori), e ha dei costi proibitivi (un esemplare nato in cattività costa quanto un Girfalco bianco, sulle 15.000-20.000 euro).  L’Aquila reale è invece relativamente più comune in cattività ed i suoi costi si sono enormemente abbassati negli ultimi anni. A differenza dell’Aquila delle steppe, che in natura si nutre soprattutto di carogne, l’Aquila reale è invece un predatore molto attivo e quindi molto adatto ad essere utilizzato a caccia. Tipicamente viene utilizzata per la caccia alla Volpe e al Lupo e per la caccia al Capriolo (raramente al Cervo e al Cinghiale); ma in Europa occidentale il principale uso venatorio che si fa dell’Aquila reale è per la caccia alla Lepre. In questa caccia l’Aquila reale è però molto svantaggiata a causa della sua grossa mole, della lentezza nell’accelerazione e della scarsa resistenza in volo battuto; l’ideale per la caccia alla lepre è la caccia in battuta in ambiente collinare, in cui l’Aquila reale può trarre vantaggio dall’altezza, partendo da un punto più alto e planando fino alla preda. Sul campo, a causa di questa sua lentezza, l’Aquila reale viene facilmente superata dall’Astòre, come numero di prede catturate; il suo unico vantaggio è che una volta agganciata la Lepre, il falconiere non ha bisogno di correre come un missile a recuperarla, poichè l’Aquila ha una presa forte e sicura; all’inverso, invece, cacciando le lepri con la femmina di Astòre si avrà sicuramente un maggior numero di “agganci” ma spesso l’Astòre a causa della sua piccola mole non riesce a trattenere le grosse Lepri perdendole e costringendo comunque il falconiere a delle corse sfrenate per i campi per giungere prima possibile a bloccare la Lepre sotto le zampe del rapace.

17556_102599416438243_100000645545725_75922_2745616_nLe Aquile, in generale, sono tra i rapaci più grandi e potenti e per questo possono diventare molto pericolose anche per l’uomo e gli animali domestici. Mentre però un’Aquila delle steppe o un’Aquila di mare, hanno un istinto predatorio ed una aggressività limitata, l’Aquila reale invece può diventare molto più pericolosa. Se imprintate le Aquile, come tutti gli altri rapaci, perdono la paura verso l’uomo e dunque non esitano ad attaccare, artigliare o beccare sia il falconiere sia persone estranee. Praticamente tutti i falconieri che hanno avuto un’aquila reale conservano ancora delle cicatrici in qualche parte del corpo (solitamente mano, braccio, schiena, gambe, collo).

Per la loro mole e il loro fascino, quasi tutti gli appassionati di rapaci e di falconeria vorrebbero possedere un’Aquila, soprattutto un’enorme Aquila reale, e i prezzi del mercato che si stanno abbassando possono indurre facilmente le persone a fare “una pazzia” e comprare uno di questi esemplari. Io però consiglio di far prevalere la ragione prima di fare questa “pazzia”, tenendo in considerazione i seguenti fattori:

1) Preparazione tecnica ed esperienza: prima di prendere sul pugno un’Aquila, il falconiere deve assicurarsi di possedere la necessaria preparazione tecnica ed esperienza; io consiglio, di arrivare “gradualmente” a questo rapace passando da altri rapaci intermedi che permettano di “farsi le ossa”; prima di arrivare all’acquisto di un’Aquila reale dunque il falconiere dovrebbe farsi una base con una Poiana di Harris o, meglio ancora con una Codarossa, preferibilmente femmina; come gradino intermedio sarebbe utile passare anche per la Poiana Ferruginosa, che per taglia e morfologia si avvicina molto ad un’Aquila; l’esperienza con queste grosse poiane (Codarossa e Ferruginosa) insegna al falconiere quali sono le “cautele” da prendere e soprattutto permette di fare esperienza con la gestione alimentare dei grossi rapaci. Se si è in grado di addestrare e far volare al pugno e al logoro una grossa femmina di Ferruginosa non si dovrebbero avere grossi problemi a gestire anche un’Aquila delle steppe. Per chi invece volesse acquistare un’Aquila reale, bisognerebbe passare, come gradino precedente, dall’Aquila delle steppe e dall’Astòre (quest’ultimo permette di fare esperienza con la gestione di rapaci estremamente attivi, predatori e aggressivi).

31199_1464025680358_1224981311_1311546_4257570_n2) Pericoli: prima di acquistare un’Aquila bisognerebbe considerare molto attentamente il pericolo che questo rapace può costituire per il falconiere stesso, per altre persone inclusi soprattutto i bambini e per gli animali domestici. E’ da evitare di imprintare totalmente questi rapaci, e dunque ci si deve scontrare (ed avere la necessaria preparazione tecnica) con la gestione in cattività e l’addestramento di rapaci non imprintati.

3) Scopi: questo è, secondo me, il parametro principale da valutare; il falconiere che intende acqustare un’Aquila dovrebbe prima chiedersi: “perchè? a cosa mi serve?”; trovare una risposta a questa domanda è di importanza critica. Se volete un’Aquila per usarla in esibizioni al pubblico potete al massimo scegliere un’Aquila delle steppe o una Poiana ferruginosa. Se volete un’Aquila per vostro gusto personale la situazione si complica: se avete esperienza dell’addestramento e se soprattutto avete già passato i gradini precedenti (Poiana codarossa/Ferruginosa) potete comprare un’Aquila delle steppe; ma se non avete la necessaria esperienza e preparazione tecnica ma soprattutto se la vostra intenzione è di comprare un’Aquila per tenerla come soprammobile in voliera o peggio ancora legata al blocco… beh, lasciate stare! Per il benessere fisico e psicologico di questi rapaci, è necessario comunque addestrare le Aquile e portarle a volare libere, è eticamente (e legalmente) da vietare l’acquisto di questi rapaci se non si è in grado di assicurare loro il necessario benessere.  Se, infine, il vostro obiettivo è andare a caccia con l’Aquila valutate questo: in Italia è già difficile cacciare e trovare prede adatte a rapaci molto più piccoli, per l’Aquila reale non ci sono prede adatte su gran parte del territorio italiano ed è comunque molto difficile ottenere permessi per la caccia al capriolo, senza contare che la caccia con l’Aquila va effettuata solo in territori collinari e non pianeggianti.

Dalla Lav soltanto una provocazione, con l’aquila Lotito non fa bracconaggio

aquila-lazio-milan1Claudio Lotito contro gli animalisti. Dopo il video annuncio del presidente della Lazio, che dal sito ufficiale della società ha fatto sapere di aver reclutato un’aquila che dovrà volare sopra lo Stadio Olimpico prima di tutte le partite, la Lav (Lega Antivivisezione) si scaglia contro l’iniziativa. “È vietato dal regolamento del Comune – spiega Gianluca Felicetti, presidente dell’associazione animalista – ed è possibile il reato di bracconaggio. La Lav ha chiesto l’intervento del Corpo Forestale dello Stato e delle Polizie Provinciale e Municipale a tutela delle norme in vigore. Inoltre deve essere verificato se l’animale è entrato in Italia con le necessarie certificazioni e se viene detenuto secondo le norme minime vigenti”.
Non è invece contrario all’iniziativa il dottor Mauro Cavallo, medico veterinario ed esperto in medicina dei rapaci che ha rilasciato un’intervista a Tiscali Notizie. “Parlare di bracconaggio, in questo specifico caso, non ha senso. Il termine bracconaggio – specifica l’esperto che collabora anche con la Lipu e il Wwf – significa ‘caccia illegale di specie non cacciabili’. Nello Stadio Olimpico l’aquila ‘di Lotito’ non effettuerà una battuta di caccia, ma bensì una esibizione di volo che avrà poi dei risultati, positivi o negativi, in base alla capacità del falconiere che dovrà far volare il rapace in un ambiente alquanto atipico. L’unica cosa sui cui si può obiettare è che si fa volare l’animale in condizioni non naturali”.
Si tratta di una iniziativa provocatoria – “Personalmente – sottolinea Cavallo, che è anche presidente dell’Associazione sarda per la falconeria e la tutela dei rapaci – credo che l’iniziativa di Lotito, come anche la presa di posizione della Lav, vogliano essere per diversi motivi delle provocazioni. Il presidente della Lazio cerca di mostrare la propria ‘potenza’, magari nei confronti degli avversari, cosa che peraltro facevano anche gli antichi romani e persino i nobili del Medioevo, mentre la Lav protesta probabilmente più che per l’illegalità dell’iniziativa per l’uso di un animale regale per una manifestazione comunque ‘non indispensabile’”.
Il veterinario: “Giusto verificare le certificazioni e le condizioni dell’aquila” – Il veterinario, responsabile del settore avifauna presso la Clinica Veterinaria S. Giuseppe a Cagliari, si è detto invece più che d’accordo sulla volontà della Lav di verificare le certificazioni e le condizioni di detenzione dell’aquila. “E’ giusto – ha commentato il dottor Cavallo -. Gli organi preposti devono verificare se l’animale è tenuto in buone condizioni e se lo stesso è in possesso dei certificati di nascita. Nella falconeria è espressamente vietato utilizzare soggetti provenienti dalla natura: i falconieri devono servirsi quindi di soggetti acquistati negli allevamenti autorizzati e dunque in possesso del certificato Cities. La nostra associazione, come tutte le altre associazioni di falconeria italiana, condanna fermamente l’utilizzo di falchi non allevati in cattività”.
La falconeria è comunque un’arte antichissima, millenaria, che merita rispetto. La stessa Unesco, accogliendo una infinità di richieste provenienti da tantissimi paesi del mondo, ha inserito l’arte della falconeria tra quelle che fanno parte del patrimonio dell’umanità. Avvicinare pertanto il bracconaggio a tale nobile arte risulta pertanto quasi offensivo. La falconeria moderna è sostenitrice dell’ambiente. “La nostra associazione – ci tiene a precisare il veterinario – nasce dalla passione di Eleonora d’Arborea, giudichessa di Oristano, che con la Carta Delogu fu la prima a promuovere la protezione dei falchi sardi. Noi, pertanto, ci consideriamo una associazione ambientalista”.
L’aquila laziale, intanto, trascorre questi giorni incurante della polemica in corso. Da due giorni si trova a Formello dove, tra un volo e l’altro, si concede spuntini a base di pollo, salmone e coniglio: la società sportiva ha già speso oltre 2mila euro per i suoi servigi. I giocatori e lo staff tecnico, nel mentre, l’hanno accolta come fosse una della famiglia. Degli operai stanno provvedendo a costruirle un rifugio per la notte: una voliera extra lusso. Dal canto suo la Lazio si dice convinta di aver espletato tutte le pratiche burocratiche in modo corretto e soprattutto di aver lanciato questa iniziativa con intenti ben diversi da quelli adombrati dagli animalisti. L’appuntamento per il primo volo dell’aquila, che al momento non ha un nome ma che probabilmente verrà chiamata Libertà, resta fissato per il pre-partita di Lazio-Milan.

Intervista a Daniele Miconi

dan_micChe cosa è la falconeria?

È un’arte venatoria di antica tradizione, nata in Asia. La falconeria moderna differisce di poco da quella antica perchè le tecniche tramandate sono ancora le stesse. In particolare un trattato di Federico II di Svevia è ancora validissimo.

Lei come è diventato falconiere?

È una passione che mi ha passato mio padre. Lui ha iniziato ad interessarsi di falconeria quando era alle superiori perchè nel Decamerone e nella Divina Commedia ci sono dei passi che ne parlano. Così ha comprato libri, ha studiato e poi ha iniziato a viaggiare in Europa. In Austria e in Germania dove la falconeria era più diffusa. Ovviamente qui si parla di falconeria come una tecnica di caccia.

Una passione che poi si è trasformata in lavoro. L’idea di usare i falchi negli aeroporti come è nata?

Per caso. Un maresciallo delle Frecce Tricolori , che hanno base a Rivolto vicino a casa nostra, in occasione di una festa della pattuglia dell’aeronautica, invitò mio padre a fare una dimostrazione di falconeria. Durante il volo dei rapaci, notarono che gli uccelli che erano sulle piste scappavano. Così nacque l’idea che i falchi potevano essere utili negli aeroporti, per scacciare tutti quei volatili pericolosi per gli aerei in fase di atterraggio e decollo.

E funziona?

Si, il rapace è un predatore naturale e non permette agli uccelli di sostare sulla pista. Abbiamo iniziato a sperimentare questa tecnica nel 1986 nell’aeroporto di Triste, all’inizio per sei mesi. Dopo oltre 20 anni siamo ancora lì: 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno. Adesso i rapaci vengono impiegati anche in altri aeroporti italiani. In sostanza dalla lotta tecnologica, come l’uso di ultrasuoni, si è passati a una visione che prevede un rapporto naturale tra preda e predatore.

L’uso dei rapaci più servire per tenere lontani gli uccelli anche in altre situazioni?

Certamente. Io e mio fratello Raffaele abbiamo iniziato a usare i falchi nella nostra azienda vinicola in Friuli per tenere lontani i volatili che danneggiano l’uva: corvi, cornacchie e simili. Si tratta di un’attività innovativa e sperimentale che però funziona e per la quale la Coldiretti ci ha assegnato a luglio l’Oscar Green.

Come si diventa falconieri?

Non è semplice da dire in due parole. Serve prima di tutto passione. Molta. Una persona che si avvicina alla falconeria deve essere disposta a impegnare molto tempo. Per creare il feeling con il proprio falco serve costanza e dedizione quotidiana.

Prima di tutto, immagino, servirà il protagonista, il falco. Come ci si procura un rapace?

È fondamentale ribadire che i falchi sono animali protetti. Quindi è assolutamente vietato, e perseguibile penalmente, prelevare i piccoli dai nidi. I falconieri acquistano i rapaci in allevamenti autorizzati.

E poi?

Si inizia l’addestramento. Ci sono varie tecniche. Dipende anche dal tipo di rapace che si usa. L’animale deve imparare che il falconiere è una fonte sicura di cibo, di riparo e di protezione per la notte. I motivi che lo fanno tornare.

La prima cosa da fare?

È un apprendimento lento. Che va per gradi. Prima di tutto il falco va pesato. Perchè in fin dei conti il falco è un atleta e durante l’addestramento non deve nè dimagrire nè ingrassare. E, proprio come un atleta, segue una dieta curata dal falconiere che serve a mantenere la sua condizione fisica ideale.

Meglio un falco maschio o una femmina?

Tutti e due. Nei rapaci il maschio è più piccolo della femmina. Quindi la scelta dipende dall’uso. Ad esempio nel lavoro dell’aeroporto, dove ci si imbatte in gabbiani reali, aironi e animali selvatici più grossi, le femmine incutono più terrore. Per quanto riguarda l’attività venatoria è indifferente. Si sceglie anche in base al territorio e alla selvaggina che si vuole cacciare.

In Italia è un’attività diffusa?

Sì. Fino a 20 anni fa era diverso ma ora, con Internet e Facebook, si fa molta pubblicità e quindi i falconieri si sono moltiplicati.

Ma quanto costa un falco?

Dipende. Di media un falco usato per l’attività venatoria, non addestrato, può costare 1.000-1.500 euro. Poi si sale, fino a specie molto rare, che possono costare anche 15mila-20mila euro.

Si parla di caccia, di addestramento, di uso di animali che vengono privati della libertà. Penso che non manchino le contestazioni e le critiche…

Sì, ci sono. Ma io non vado a caccia col fucile. La caccia col falco è una cosa che avviene ogni giorno in natura. Quindi la falconeria non è nient’altro che portare il proprio rapace a sviluppare la sua natura. Per questo i falchi usati per la caccia se rientrano in natura sopravvivono. Spesso invece accade che qualcuno li acquisti, come se si trattasse di pappagallini. Poi si stufano, li liberano e quelli, al 90% sono falchi destinati a morire. Questo non è etico. L’unica cosa contestabile è che, effettivamente, l’animale, quando non caccia, non è libero. Ma io ritengo che il vero falconiere, che ama la natura del falco, è un falconiere che ha sempre rispetto dell’animale.

Beatrice Montini

Milano: falchi per allontanare i piccioni

Inseguire i piccioni, senza ucciderli questo l’ insegnamento dei falconieri
Anna Fumera e Bernardo Bendotti sono i “bird controller” che collaborano al progetto della Provincia

bendotti“Per fare al meglio il nostro lavoro è fondamentale capire la psicologia dei piccioni, sapersi mettere nei loro panni”. Anna Flumeri è l’esperta di “bird control” a cui la Provincia di Milano si è affidata per liberare una trentina di scuole superiori del territorio dalle colonie di piccioni che le infestano da anni. Lei e il collega Bernardo Bendotti, i “falconieri di Podestà”, useranno i falchi come “dissuasori naturali” per tenere alla larga i volatili indesiderati.

Gli animalisti più agguerriti si rifiutano di ammettere questo dato di fatto – spiega Anna – ma i piccioni sono una delle specie più invasive che esistano. Una coppia di questi uccelli genera dieci nidiate l’anno. I loro escrementi danneggiano gli edifici e provocano malattie come salmonellosi e toxoplasmosie i predatori naturali che dovrebbero limitarne il numero, ovvero i falchi, non sono più così diffusi da arrestare questa crescita vertiginosa. Noi puntiamo solo a ristabilire l’equilibrio”.

Peraltro senza provocare vittime, perché i falchi che vengono impiegati nel bird control sono addestrati a inseguire i piccioni, non ad ucciderli. “Mangiano solo dalle nostre mani e, sin dall’età di sei mesi, sono preparati per questo tipo di attività – sottolinea Bernardo Bendotti – Chiaramente non tutti i rapaci sono adatti. Se dopo alcune prove ci rendiamo conto che l’animale non si trova a suo agio, gli affidiamo compiti diversi, a partire dalla tradizionale attività venatoria”.

La coppia di falconieri si dedicano ormai da anni alla bonifica di aree industriali e di luoghi pubblici dove il numero dei piccioni supera il livello di guardia. “Usiamo la tecnica dell’allontanamento – continua Bendotti – Liberiamo i falchi alla sera, quando i piccioni tornano a dormire alla colombaia, per turbarli e costringerli a cercare un altro posto dove nidificare. Di solito dopo le prime quattro o cinque uscite si vedono già i primi risultati, ma la durata degli interventi è variabile”.

Qui entra in gioco la psicologia dei volatili: “La prima sera non ci sono mai problemi perché i piccioni vengono colti di sorpresa dalla presenza di un predatore in città – spiega Anna Flumeri – Poi però si fanno più attenti e sospettosi e i più furbi si spostano in una zona diversa dell’edificio, senza allontanarsi troppo. A quel punto bisogna cambiare la periodicità degli interventi. Non tutte le sere, ma a giorni alterni e in seguito un paio di volte alla settimana per mantenere gli effetti. Bisogna essere il più possibile imprevedibili, in modo da convincerli che fermarsi in quel luogo è veramente pericoloso”.

Tratto da http://milano.repubblica.it

 

La medicina veterinaria e la falconeria

marco_bedinNegli ultimi anni la falconeria, sia come sport che come attività lavorativa con dimostrazioni di volo e allontanamento di volatili nocivi a mezzo falchi ha subito un enorme sviluppo in Italia. Uno sviluppo tale da richiedere prestazioni sempre più di qualità sui rapaci impiegati in questa disciplina. L’obiettivo del corso che la Sivae proporrà dal 22 al 24 gennaio 2010 sarà quello di fornire conoscenze tecniche, mediche, chirurgiche e legislative, indispensabili al veterinario, all’animale e al cliente falconiere.

Il corso, innovativo anche nella didattica, sarà ricco di sessioni pratiche e di dimostrazioni alla presenza di esperti falconieri. Marco Bedin,direttore del corso, ci ha parlato dell’incontro confronto tra due arti, la veterinaria e la falconeria.

P.V. – Dottor Bedin, nella presentazione del corso “La medicina veterinaria e la falconeria” si legge che quest’ultima sta avendo un enorme sviluppo nel nostro Paese. Vuole inquadrare brevemente quest’arte ai suoi Colleghi?

Marco Bedin – La falconeria è una delle antiche arti medievali e negli ultimi anni è in forte espansione anche in Italia così come è già avvenuto in molti paesi europei come l’Inghilterra ed extraeuropei come gli Stati uniti. La falconeria, nasce alcuni millenni fa e si è successivamente diffusa come arte “nobile” e la sua vera origine rimane circondata da un alone leggendario.
Oggigiorno la falconeria incarna, a mio avviso, la nostra voglia di libertà e di fuga dalla stressante vita quotidiana: più che uno sport
o un hobby la falconeria è uno stile di vita. L’uso del falcone si è diffuso anche per dissuadere i volatili nocivi dalla frequentazione di sitiarchitettonici e archeologici, dai beni monumentali delle nostre città e soprattutto dai sedimi aeroportuali (bird control) diventando,
non solo un’arte o uno sport, ma anche un vero e proprio lavoro.
Fino a un decennio fa la falconeria rimaneva un’arte oscura, che nessuno amava tramandare o insegnare se non ad una ristretta cer
chia di persone o amici fidati. Oggi invece esistono corsi di formazione alla falconeria, aumentano di conseguenza i falconieri e i quindi i pazienti.

P.V. – Si può parlare di una evoluzione delle possibilità di lavoro per il medico veterinario? Quali spazi professionali si
aprono grazie alla falconeria?

M.B. – Le possibilità occupazionali per il Medico Veterinario intenzionato ad occuparsi di queste specie sono molte. I pazienti sono in-
fatti rappresentati da tutti i rapaci ospitati nei centri di recupero della fauna selvatica distribuiti sul territorio nazionale, dagli animali in
possesso dai falconieri e dalle persone che si occupano di bird control. Fino a non molto tempo fa il falconiere ricorreva spesso alla
“veterinaria fai da te”, in quanto non erano presenti medici veterinari con conoscenze specifiche di queste specie, ciò pero non è
più tollerabile nel rispetto della nostra professionalità e del benessere di questi animali.

P.V. – Quali sono i risvolti legislativi? In particolare quali sono le condizioni per una corretta detenzione di questi animali rispetto alla Cites?

M.B. – La maggior parte delle specie di rapaci allevate, appartengono agli allegati A e B della CITES e come per tutte le altre specie
presenti in questi allegati sono soggetti a una normativa specifica sia per il commercio che per la detenzione. Tutti gli animali utilizzati in falconeria sono soggetti nati in ambiente controllato e nessun animale è prelevato in natura, eccezion fatta ovviamente, per i rapaci selvatici che richiedono una riabilitazione presso i centri di recupero.

P.V. – E quali invece i problemi sanitari più frequenti in questi animali?

M.B. – Le patologie maggiormente diffuse nei rapaci sono: infettive o infestive come aspergillosi, tricomoniasi, coccidiosi e altre infestazioni parassitarie; gestionali come le ipovitaminosi e la malattia ossea metabolica diffuse specialmente nei giovani soggetti in accrescimento e scorrettamente nutriti; traumatiche: come le fratture, le distorsioni e le patologie muscolo tendinee; multifattoriali come il ben noto bumblefoot.

P.V. – Qualche cenno sulle caratteristiche del corso di gennaio: cosa devono aspettarsi e cosa non devono aspettarsi i colleghi che vi parteciperanno?

M.B. – Il corso che il Consiglio direttivo SIVAE ha intenzione di offrire ai propri iscritti e a tutti i Medici veterinari che abbiano intenzione di occuparsi di queste specie sarà una vera novità, sia per la sua impostazione che per le informazioni che verranno offerte ai parteci
panti. Nelle specie aviari da compagnia spesso si parla di limitazione del volo e limitazione del becco e delle unghie per impedire la fuga,noi parleremo di come affilare le unghie e i becchi e di come “trapiantare le piume” (imping) per farli volare meglio. Il corso parlerà delle principali patologie dei rapaci e del loro approccio terapeutico, ma darà ampio spazio alla parte pratica fornendo ai partecipanti nozioni di base di falconeria per non doversi trovare impreparati quando viene richiesta la nostra prestazione professionale su un rapace.
Inoltre avremo la possibilità di osservare da vicino le prestazioni atletiche di questi stupendi animali.

P.V. – Ultimamente si è tornati a parlare di centri di recupero della fauna selvatica.
L’Anmvi aveva sottoscritto un protocollo d’intesa con il WWF per dare una collaborazione veterinaria. Per i falchi che problemi gestionali si presentano?

M.B. – Il protocollo d’intesa tra WWF, ANMVI e SIVAE ha rappresentato, a mio avviso, una svolta per la Medicina Veterinaria Italiana e gli obiettivi che si prefiggeva erano eticamente corretti e professionalmente ineccepibili. In realtà il vero problema è che questo protocollo non è mai stato applicato dai centri di recupero per questioni prettamente economiche.
Spesso, infatti, i colleghi che si occupano diqueste specie presso i centri di recupero non sono pagati o sono sottopagati e, di conseguenza, gli stimoli, le buone pratiche veterinarie e la qualità delle prestazioni offerte non possono essere delle migliori, indipendente mente dalla volontà dei colleghi che vi lavorano. Speriamo che la situazione nei prossimi anni possa cambiare per rispettare la nostra professionalità ma in modo particolare il benessere e la dignità di questi animali.

Falconiere, tra tradizione e passione ‘in volo’ tra aeroporti e campi

danmiconiRoma, 24 ago. (Labitalia) – Un tempo era considerata un’arte, una delle attività di svago preferite dai nobili, insieme alla caccia. Oggi c’è chi ha pensato bene di ‘rispolverarla’ e di farne un lavoro, facendo rivivere le antiche tradizioni e la passione per la natura. Con un rispetto massimo per il ‘collega’ di lavoro: il falco.

“Il falconiere – racconta a LABITALIA Daniele Miconi, imprenditore vitivinicolo e ‘figlio d’arte’ falconiere – è un mestiere che mio padre ha rilanciato vent’anni fa per allontanare gli uccelli dagli aeroporti e attualmente con me e mio fratello si è anche sviluppato nel settore agricolo per tutti i problemi legati a quella fauna che è dannosa per le coltivazioni, per gli allevamenti ittici e quant’altro può essere legato all’ambiente”.  E Daniele oggi nella sua azienda agrituristica, non a caso chiamata ‘Al Falconiere’, a Segnacco di Tarcento, in provincia di Udine, propone ai suoi ospiti veri e propri corsi per avvicinarsi all’addestramento e allo studio del volo della ventina di falchi presenti nell’azienda. Un’idea innovativa che, tra l’atro, gli è valsa recentemente il premio ‘Oscar Green’ per le imprese innovative assegnatogli dal Coldiretti.  “Negli aeroporti – sottolinea Miconi – l’uso dei falchi è ormai un dato di fatto, noi da più di vent’anni operiamo tramite mio padre all’aeroporto di Trieste, e da lì questa modalità si è sviluppata in molti altri aeroporti in questa direzione. Diciamo che dalla lotta tecnologica, come l’ultrasuono e altro, si è passati una visione biologica che prevede un rapporto naturale tra preda e predatore”.  “La falconeria – conclude Miconi – è nata come una passione ed è diventata poi un lavoro. Come tutte le passioni che diventano un lavoro, resta comunque sempre la passione. Non si può far prevalere l’una o l’altra”.

Fonte: http://www.adnkronos.com

La Medicina Preventiva nei Rapaci

falcoÈ mia intenzione iniziare a conoscerci parlando di un argomento spesso ignorato dai falconieri ma essenziale: la medicina preventiva del falco. Dall’esperienza maturata in questi anni nella medicina dei rapaci selvatici e domestici, infatti, mi sono reso conto che molti animali nella loro vita non sono mai stati condotti da un veterinario, se non per evidenti problemi di salute e che spesso le conseguenze più spiacevoli del fatto sarebbero state evitate con un semplice esame clinico di base. Infatti, molto più spesso di quanto sembri i nostri falchi nascondono problemi di entità variabile che ne minano seriamente le prestazioni e la salute.
Appena acquistato il falco, la prima cosa da fare è lasciarlo ambientare nel nuovo luogo in cui viene portato: l’animale è stato allontanato da dove è nato e cresciuto, ha quasi sempre fatto un lungo viaggio, è stressato, probabilmente disidratato e si trova immesso in un ambiente completamente sconosciuto, il che costituisce una ulteriore fonte di stress. Necessita quindi di alcuni giorni di acclimatazione, in cui deve essere lasciato tranquillo, anche lontano dai contatti con persone, e avere a disposizione acqua per bere o fare il bagno e cibo in quantità e qualità alte. Non è questo il momento di pensare ad abbassarlo di peso e maneggiarlo, perché si andrebbero a togliere ulteriori capacità adattative ad un organismo già provato, con rischi che possono anche portare a conseguenze serie. Una volta che il falco si sarà ambientato nella sua nuova dimora, allora potrà essere maneggiato come comandano i sacri testi della falconeria. Quando si sarà addomesticato a tal punto da poter fare un viaggio in macchina senza stress (dal suo punto di vista e non dal nostro), allora potrà essere condotto dal veterinario per effettuare una visita clinica ed un esame coprologico. Una raccomandazione: un falco deve essere maneggiato e visitato solo da veterinari che si occupino in maniera specifica di rapaci! In ogni regione d’Italia ve n’è sicuramente almeno uno in grado di offrire delle prestazioni sanitarie appropriate e in caso contrario fatevi consigliare da altri falconieri esperti su dove trovare un professionista adatto alle vostre esigenze. Un falco è e rimane a vita un animale selvatico adattato alla vita in cattività, diversamente dalla maggior parte degli animali con cui l’uomo ha a che fare, che sono in tutto e per tutto domestici: questo comporta che un ottimo intervento diagnostico o terapeutico in un altro essere vivente rischia di essere controproducente se non deleterio in un rapace, fatto che avviene piuttosto spesso.
Alla visita clinica, il vostro veterinario valuterà lo stato fisico e mentale del vostro falco ed effettuerà l’esame coprologico per la ricerca di parassiti nel tratto gastroenterico.

LA VISITA CLINICA

I parametri da valutare nella visita clinica sono competenza del veterinario e la loro trattazione sarebbe troppo dispendiosa, pertanto ne elencherò i principali, che possano fungere anche da linea guida nell’acquisto di un nuovo animale da parte del falconiere. Innanzitutto vanno considerati lo sviluppo scheletrico e la costituzione del falco, in base alla specie e razza di appartenenza e all’età: un animale troppo piccolo potrebbe avere avuto delle malattie pregresse o essere stato malnutrito, così come uno troppo magro potrebbe essere malato tuttora o essere in fase di incubazione di qualche malattia. Altro fattore importante è lo stato delle penne, che devono essere integre, lucide e non presentare linee di accrescimento assottigliate. Molta attenzione deve essere posta agli arti: le ali non devono presentare ferite, devono essere simmetriche sia in postura da fermo che nel battito, mentre le zampe non devono presentare tumefazioni o cambiamenti di colore anche localizzati (es. rossori dovuti a infiammazioni), le dita devono essere integre e non si deve vedere alcun segno di lesione cutanea né sulla parte superiore né in quella inferiore della pianta del piede, che poterebbero presagire la fase iniziale di una pododermatite (bumblefoot). Il respiro del falco deve essere osservato con attenzione: deve essere lento, regolare e gli atti respiratori poco profondi, perché in caso contrario si potrebbero celare malformazioni ossee, tracheo-bronchiali o polmonari, come pure malattie acute (polmoniti) o, più facilmente, croniche come l’aspergillosi o parassitosi. Una parola in più va spesa per lo stato del sensorio del falco: tutte le reazioni che ha nell’ambiente extra-domestico e alla manipolazione devono rispettare gli standard etologici della specie e delle reazioni troppo contenute spesso sono indice di uno stato di salute precario.

I PRINCIPALI PARASSITI INTERNI (ENDOPARASSITI)

La prima distinzione sui parassiti interni dei rapaci è tra esseri unicellulari e pluricellulari. I primi sono organismi formati da una sola cellula, che colonizzano per lo più il tratto digerente dell’ospite e ivi si replicano, e sono detti microparassiti (Protozoi). I secondi invece sono organismi più complessi formati da numerose cellule, con tessuti e organi veri e propri, che colonizzano il digerente o altri organi dell’ospite sotto forma di individui immaturi (larve), ivi si sviluppano fino a diventare adulti e infine espellono le loro uova fuori dall’organismo parassitato, e sono detti macroparassiti (Metazoi). Compito del vostro veterinario sarà effettuare un esame microscopico da un campione di feci del falco, che rivelerà l’eventuale presenza di oocisti di protozoi o di uova di metazoi.Di seguito sono riportati i principali micro- e macroparassiti dei rapaci.

MICROPARASSITI (Protozoi)

– Coccidi (genere Isospora, Caryospora, Eimeria): sono dei parassiti molto frequenti nei rapaci, specie nei diurni del genere Falco, ma la loro presenza nelle feci non deve trarre in inganno come spesso accade. Infatti, una percentuale molto alta di giovani del primo anno presenta una infestazione da questi parassiti, tuttavia raramente la loro presenza nel tratto gastrointestinale è accompagnata da sintomi clinici di malattia. Ciò è dovuto al fatto che i coccidi sono pressoché ubiquitari nell’ambiente dove vive il falco, e la loro ingestione da parte di questo ultimo, con conseguente infestazione, è frequente, dopo di che il sistema immunitario locale dell’ospite sviluppa una resistenza che ne evita la replicazione eccessiva fino a debellarli dall’organismo e proteggere lo stesso da ulteriori infestazioni esterne. Gli episodi di malattia clinica si manifestano pertanto negli animali debilitati o fortemente stressati, o con altre malattie concomitanti. Quando porterete il vostro falco dal veterinario, sarà questi a valutare la presenza o meno di coccidi nelle feci, l’eventuale carica infettante e a correlare questi dati con lo stato di salute riscontrato all’esame clinico: un falco con dei coccidi, ma che ha feci compatte, ottimo appetito, non appare depresso e versa in buone condizioni fisiche è un soggetto colonizzato da questi parassiti ma che non manifesta alcun sintomo di malattia, e pertanto non va trattato con alcun principio coccidicida o coccidiostatico. Parimenti, un falco non deve essere assolutamente trattato alla cieca con farmaci anticoccidici al momento dell’acquisto (abitudine pessima che purtroppo è diffusissima in falconeria), perché in tal modo si somministrerebbe all’animale un farmaco inutile che potrebbe solo far sviluppare resistenza al patogeno e risultare inefficace in caso di effettivo bisogno e che richiederebbe all’organismo uno sforzo metabolico senza alcuna necessità. La coccidiosi, ovvero la malattia clinicamente manifesta, si presenta in maniera piuttosto eclatante: feci liquide o poco compatte, verde-bruno o nere-emorragiche, diminuzione dell’appetito e ottundimento del sensorio, dimagramento e disidratazione anche imponenti che possono anche condurre alla morte, sia in modo progressivo che improvvisamente. La sola presenza di questi sintomi non è comunque garanzia certa di coccidiosi, in quanto enteriti causate da vari agenti patogeni hanno sintomatologia sovrapponibile. È fondamentale, pertanto, associare una visita clinica ad approfondimenti quali un esame coprologico, tamponi orali, nasali e cloacali, eventuali RX, biopsia intestinale. Da parte del falconiere, le misure preventive da adottare sono mantenere il falco in una lettiera pulita, evitare promiscuità con altri animali, fornire una dieta di qualità ed effettuare dei controlli periodici delle feci.

– Tricomoniasi (Trichomonas gallinae): è una malattia che si trasmette con l’ingestione di prede infette (specie i piccioni), acqua contaminata o per trasmissione diretta da falchi malati. Il patogeno provoca delle placche giallastre all’interno e ai bordi della cavità orale, con notevole dolorabilità che impedisce l’ingestione di cibo, con conseguente dimagramento e disidratazione. In presenza di tali sintomi, il veterinario effettuerà un tampone da osservare al microscopio per verificare la presenza dei parassiti. Anche per questo patogeno va ripetuto un concetto fondamentale: non bisogna assolutamente trattare il falco appena acquistato con farmaci contro la tricomoniasi in assenza di sintomi clinici, e anche in caso di placche in bocca bisogna che prima sia emessa una diagnosi certa, in quanto gli stessi sintomi sono riscontrabili anche in corso di altre patologie (es. infezione da Candida spp., Poxvirus, ecc.). La miglior prevenzione contro tale parassitosi è l’igiene del cibo, della voliera e dei posatoi e l’alimentazione con prede sane. Il congelamento dei piccioni per almeno 14 giorni garantisce secondo alcuni autori la morte del patogeno.

MACROPARASSITI (METAZOI)

– Trematodi: pur essendo molto pericolosi, l’infestazione a carico dei rapaci è molto rara perché comprendono un ciclo vitale con degli ospiti intermedi che si rilevano in natura, specie negli ambienti acquatici. La loro trattazione non è di alto interesse in questo articolo.

– Cestodi (Cladotaenia spp.): anche il ciclo vitale delle tenie comprende degli ospiti intermedi, ma è meno complicato e l’incidenza di infestazione nei falchi, seppur limitata, è relativamente frequente. Il rapace si infesta ingerendo roditori o coleotteri infestati da larve, che colonizzano l’intestino del rapace e diventano adulti, dopo di che per riprodursi emettono delle proglottidi, ovvero veri e propri frammenti dell’addome del parassita, contenenti capsule ovigere direttamente nelle feci dell’ospite. Nelle infestazioni gravi il falco dimostra inappetenza e dimagramento, in casi estremi può giungere anche al decesso.

– Nematodi: ascaridi, tricuridi (Capillaria spp.), Syngamus, Serratospiculum. Questi parassiti sono anche detti vermi tondi, per la caratteristica comune di possedere un corpo cilindrico, a differenza delle tenie che invece sono schiacciate in senso dorso-ventrale. Gli organi colpiti dai nematodi sono diversi e variano da tutto il tratto digerente, al respiratorio, nonché i sacchi aerei, e la sintomatologia varia a seconda della specie dell’organismo parassita, e della conseguente sede colonizzata nell’ospite (difficoltà respiratorie, inappetenza, dimagramento e disidratazione, diminuzione delle performance). Spesso i nematodi vivono in ospiti intermedi, per cui l’ingestione delle uova infestanti da parte del falco avviene tramite prede infette. La diagnosi, data la grande variabilità dei sintomi, si effettua in base a una accurata visita clinica, spesso supportata da indagini radiografiche e assolutamente confermata da un esame coprologico per evidenziare le uova dei parassiti nelle feci dell’ospite. L’importanza di questi patogeni è variabile, ma nel caso parassitismo ospiti defedati, stressati o con altre patologie concomitanti possono portare anche a conseguenze gravi fino alla morte, pertanto si ribadisce l’importanza di un esame coprologico di routine da effettuarsi almeno all’inizio e alla fine della stagione di volo per individuare eventuali parassiti e trattare il falco opportunamente prima della comparsa di sintomi clinici. Ribadisco ulteriormente che i trattamenti antiparassitari effettuati senza cognizione di causa non sapendo se e quali eventuali parassiti possano aver colonizzato il nostro rapace sono deleteri perché favoriscono lo sviluppo di farmacoresistenza e possono dare effetti di tossicità nell’organismo del falco, a volte anche molto seri in caso di sovradosaggio. La prevenzione contro i nematodi si effettua mantenendo alti gli standard igienici del luogo dove è mantenuto il rapace, evitando promiscuità e somministrando prede sicure o congelate da almeno 14 giorni (alcuni autori riportano 20 giorni), nonché effettuando i controlli periodici delle feci.

dr. Marco Martini “