A ognuno il suo falco
Nel Medioevo la falconeria ha conosciuto il suo massimo splendore: veniva praticata da tutti sia come sport che come mezzo per procacciarsi proteine da parte dei poveri. Come sport veniva praticata solo dai nobili ed esisteva una precisa gerarchia per l’utilizzo delle varie specie di rapaci, in funzione del loro pregio, come riassunto dalla tabella seguente, che è stata tratta da un testo del quindicesimo secolo “Boke of St Albans” sulla falconeria e la caccia:
Imperatore Aquila reale e Avvoltoi
Re Maschio e femmina di Girfalco
Principe Falco gentile (maschio e femmina) (nota 1)
Duca Falco delle rocce (nota 2)
Conte Falco pellegrino
Barone “Bustard”
Cavaliere Maschio o femmina di Falco sacro
Scudiero Maschio o femmina di Lanario
Dama Smeriglio
Ragazzi Lodolaio
Piccoli proprietari terrieri Astòre
Poveri “Jercel” (nota 4)
Religiosi Maschio di Sparviere
Schiavi Gheppio
Note Nota 1: il falco gentile è probabilmente un girfalco di piccola dimensione oppure veniva usato come terzo nome per il Falco pellegrino
Nota 2: forse si tratta di un grosso falco pellegrino catturato da aree inaccessibili sulle coste
Nota 3: probabilmente è la Poiana (dall’inglese “Buzzard”) o una Albanelle (dal francese “busard”)
Nota 4: Probabilmente è il maschio di Astòre
Il cane e la selvaggina
Dove portare il proprio cane a caccia? Conoscere i luoghi e sapere se essi ospitino selvaggina è il presupposto per l’esito del lavoro del cane.
Interrogarsi sulla presenza di selvaggina in un determinato luogo porta inevitabilmente a affrontare complessi problemi di biologia e di ecologia. Le specie di fauna selvatica dipendono direttamente dai biotopi, cioè gli ambienti naturali che abitano. Purtroppo la selvaggina che interessa il cane da ferma ha sempre più difficoltà a sopravvivere allo stato selvatico. Fagiano, starna, quaglia e pernici risentono dell’agricoltura intensiva, mentre la beccaccia è vittima della riduzione dei boschi e, siamo onesti, della caccia, soprattutto quella praticata all’estero durante il periodo riproduttivo. La diminuzione delle zone umide colpisce duramente il beccaccino e il frullino. Le nostre campagne sono al giorno d’oggi seriamente minacciate dall’agricoltura intensiva. Moderni metodi agricoli causano la disgregazione e il degrado dei paesaggi tradizionali. L’eccessiva specializzazione delle colture, l’abuso di antiparassitari e fertilizzanti, la meccanizzazione del lavoro e soprattutto la rottura dell’equilibrio naturale tra fertilità e produttività del suolo hanno reso impossibile alla fauna di continuare a popolare le campagne come una volta. |
Il conduttore del cane da ferma non dovrebbe accontentarsi di addestrare il proprio ausiliare su selvaggina di allevamento. Così facendo si alimenta un circolo vizioso che tende a privilegiare le strutture private a discapito dell’ambiente naturale, infinitamente più bello ma soprattutto la reale palestra per la quale il cane da ferma è stato selezionato nei secoli. Un cane addestrato su selvaggina artificiale è come un agonista che non si cimenta mai nella gara per la quale si allena. Quanta soddisfazione dà una beccaccia di passo guidata e fermata con sicurezza istintiva dal cane, che una povera quaglietta che non ha mai visto la luce del sole. |
La siepe è una soluzione semplice e pratica per realizzare, almeno per quello che riguarda i margini dei campi, questo recupero ambientale. Molti studi dimostrano che molte specie di uccelli, mammiferi, insetti possono beneficiare di questi provvedimenti. Ecco una lista di piante particolarmente adatte a costituire una siepe: Biancospino, Ciliegio selvatico, Edera, Evonimo, Frangola, Gelso, Lantana, Ligustro, Nocciolo, Pallon di maggio, Pero selvatico, Prugnolo, Rosa selvatica, Rovo, Sambuco, Sanguinello, Spinocervino. |
Intervista a Patrizia Cimberio
«Lavoro perché l’ Italia si decida a valorizzare la pratica di Federico II» Nobiltà rapace «Sforza e Gonzaga erano invidiati: spendevano fortune per i loro falchi»
Ci sono nell’ occhio di un rapace dignità e fierezza miste a una forma di sfida introvabile in qualsiasi altro essere vivente: neppure il re dei felini trasmette con il suo sguardo una tale distinzione. La pratica della vera arte della falconeria permette che tra falco e falconiere si sviluppi un legame unico e profondo. Il falconiere che cammina a terra e il falco che vola alto sopra di lui sono complici e partecipi allo stesso tempo dello spettacolo della natura. «Tredici Paesi hanno riconosciuto la falconeria come patrimonio immateriale dell’ umanità e in questi anni mi sono sempre chiesta perché proprio il nostro trascurasse una simile ricchezza culturale. In Italia, Federico II di Svevia scrisse il trattato di falconeria più noto di tutti i tempi, “De arte venandi cum avibus”. Anche gli Sforza e i Gonzaga spendevano fortune per acquistare i falchi e organizzare cacce il cui sfarzo era soggetto di pettegolezzi e invidia in tutta l’ Europa», dice l’ ambasciatrice della falconeria, la novarese Patrizia Cimberio, una delle poche falconiere d’ Italia («non siamo più di una decina, su trecento appassionati»). Vive a Milano, sposata, con tre figli, e viaggia molto. Ma non trascura Lord, il suo falco accudito con altri al «Regno dei rapaci» di Pessano con Bornago. Lo fa volare più volte la settimana, dopo un lungo addestramento. Per lavoro, Cimberio si occupa di valorizzazione dei beni culturali attraverso le nuove tecnologie; è stata la prima in Italia ad avviare iniziative e progetti concreti per riportare alla luce, e far conoscere in ambito internazionale, un’ antica tradizione. La funzione del falco è catturare la preda in volo o a terra e riportarla al padrone, ma oggi la pratica ha perso sempre più l’ aspetto di «ars venandi». La falconeria fa innamorare un numero crescente di appassionati recuperando il suo significato più profondo: il rispetto per la natura, sapersi misurare con qualcosa più grande di noi. Le prime testimonianze di quest’ arte risalgono al periodo assiro-babilonese e ancor oggi viene praticata con passione in oltre 65 Paesi. È giunta in Italia nell’ alto Medioevo, a seguito delle invasioni barbariche, e successivamente tramite i contatti veneziani con l’ Oriente e della corte normanna con il mondo arabo. Oltre all’ importante trattato di Federico II, andato perso durante l’ assedio di Parma del 1248, ma arrivato a noi con la bellissima copia fatta realizzare dal figlio Manfredi e conservata alla Biblioteca Vaticana (e con quella di un altro figlio di Federico, re Enzo, alla Biblioteca Universitaria di Bologna), in Italia sono conservati innumerevoli manoscritti e trattati di falconeria e testimonianze nell’ arte figurativa e nella letteratura. Dante stesso era un falconiere, nella «Divina Commedia» ci sono riferimenti all’ antica arte. Proprio perché riconosciuta come «ars», la falconeria era materia di studio dei giovani principi e contribuiva allo sviluppo delle qualità necessarie per praticarla: intuito, pazienza, perseveranza. E aiutava la comprensione dei complicati meccanismi che regolano la natura. «Giovanni Puglisi, presidente Unesco per l’ Italia, mi ha assicurato che presto anche il nostro Paese farà richiesta di sottoscrivere la falconeria patrimonio immateriale dell’ umanità. Può essere, ad esempio, un ottimo mezzo diplomatico nei confronti dei Paesi Arabi, dove la falconeria occupa un ruolo importante. Tanto che là hanno fondato l’ Adach, Abu Dhabi Authority for Culture and Heritage, di cui sono membro», dice con orgoglio Patrizia Cimberio. E continua: «Anche Paolo Rubini, direttore generale dell’ Ente nazionale per il Turismo, ha visto nella falconeria una possibile via di interessamento turistico-culturale, oltre che commerciale, verso il nostro Paese da parte dei cittadini degli Emirati. Che purtroppo concentrano le loro visite solo a Milano e Venezia». Il «Regno dei Rapaci», dove Patrizia Cimberio fa volare il suo falco, è uno dei pochissimi centri italiani (sono 5) attrezzati per l’ antica pratica della falconeria.
Schira Roberta
fonte: Corriere della Sera
Risposta di Patrizia Cimberio al video del ministro Zanoni contro la Falconeria
Buonasera,
mi chiamo Patrizia Cimberio e ho lavorato con la IAF e la FACE all’allestimento della mostra sulla Falconeria al Parlamento Europeo di cui parla nel suo video, curando la realizzazione grafica dei 24 pannelli e la traduzione in italiano dei testi degli stessi.
Da quanto ho ascoltato dalla sua intervista, penso che purtroppo non abbia avuto il tempo di leggere con attenzione il testo dei pannelli della mostra, che ben spiegavano cos’è la Falconeria. E’ un peccato che non abbia approfittato della presenza al Parlamento Europeo, per un intera settimana, di un team di falconieri internazionali per approfondire un argomento che immagino le stia tanto a cuore, anche se in un ottica diversa dalla mia, come quello della caccia con il falco.
Probabilmente conoscere di più su questa arte antica 4000 anni che, nel 2010, è stata riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità, non avrebbe cambiato la sua opinione, che rispetto come tale, a proposito della caccia con il falco, ma forse le avrebbe dato una visione differente di quello che è la falconeria.
L’articolo 3 della legge 157/92 vieta tutto il territorio nazionale ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli (oltre che di mammiferi selvatici), nonchè il prelievo di uova, nidi e piccoli nati e specificatamente alla falconeria – uno tre mezzi di caccia consentiti – indica l’utilizzo di soli falchi riprodotti in cattività. Chi non si attiene a queste indicazioni incorre in un reato penale.
Tutti i falchi che in Italia vengono utilizzati per la falconeria sono stati riprodotti in cattività e presentano un anello inamovibile con un numero di riferimento che è riportato sul certificato CITES che deve accompagnare l’acquisto di ogni falco indicandone razza e allevamento di provenienza.
Dopo l’applicazione della legge 157/92, si sono verificati solo rari e isolati casi di falconieri trovati ad utilizzare falchi non in regola, ma il fatto che un singolo individuo abbia agito in modo errato non può essere preso come metro di giudizio per centinaia di falconieri italiani che dedicano ogni giorno tempo, amore, passione e sacrifici veri per qualcosa che è molto di più di una sola azione di caccia e del far volare un falco, ma che è principalmente uno stile ed una filosofia di vita.
Mentre è facile sentire parlare dei falconieri come possibili predatori di nidi, purtroppo ci si dimentica troppo spesso del ruolo fondamentale che hanno avuto, e che hanno, gli stessi falconieri nella conservazione dei rapaci.
L’imperatore Federico II di Svevia nel suo trattato di falconeria De Arte Venandi cum Avibus, scritto nel 1228, dedica oltre la prima metà del testo ad una ricerca, la prima dell’epoca, scientifica e sistematica sull’ornitologia, influenzandone tutti gli studi successivi.
Tutte le leggi più antiche di protezione dei rapaci sono state influenzate e volute proprio dai falconieri che da sempre conoscono l’importanza della protezione dei rapaci senza dei quali la loro arte cesserebbe di esistere. Se ne trovano nella prima raccolta di leggi scritte, attribuita al re Longobardo Rotari o in quella della Regina Eleonora di Sardegna, tanto attenta alla salvaguardia di astori e falchi, che in epoca più moderna il suo nome è stato scelto dal Generale Lamarmora, che si trovava in Sardegna per disegnarne la cartografia, per identificare il falco Eleonorae.
La prima notizia storica sull’inanellamento e il rilascio di uccelli per lo studio e la raccolta di informazioni sulle loro migrazioni risale al 1800, ad opera del Loo Hawaking Club del Paesi Bassi.
Così come il primo falco pellegrino riprodotto in cattività si deve al falconiere tedesco Renz Waller, nel 1940.
Forse, ora che è facile vedere i pellegrini volare anche nelle nostre città, ci si dimentica con troppa facilità come l’uso indiscriminato del DDT abbia causato negli anni ’50 e ’60 un declino a livello mondiale della popolazione dei falchi pellegrini, arrivando quasi alla loro completa estinzione in Inghilterra e negli Stati Uniti.
E sono stati proprio i falconieri, molti di loro anche veterinari ed ornitologi, con i loro progetti sperimentali di riproduzione in cattività e di rilascio in natura ad evitarne l’estinzione.
L’ornitologo Tom Cade, grande appassionato di falconeria, nel 1970 ha dato inizio presso la Cornell University ad un programma di riproduzione del falco pellegrino in cattività con il successivo rilascio in natura e, due anni più tardi, assieme ad altri 4 falconieri, ha fondato il Peregrine Fund. Oggi il Peregrin Fund è una delle più grandi organizzazioni mondiali che si occupa della protezione di oltre 20 specie di rapaci in pericolo nel mondo, molti dei quali nemmeno utilizzati in falconeria, quali il Condor della California, l’arpia, l’aquila pescatrice del Madagascar, il gheppio delle Mauritius, ….
Il Condor della California, dopo la sua estinzione, è stato reintrodotto con successo proprio dal Peregrine Fund in Arizona e Utah.
Tra il 1974 e il 1997 i falconieri del Peregrine Fund hanno allevato e rilasciato in natura oltre 4.000 falchi pellegrini ristabilendone la popolazione nel Nord America.
Ugualmente a quanto accaduto negli USA, i falconieri di Inghilterra, Germania e Polonia hanno portato avanti progetti di successo per la reintroduzione del falco pellegrino nei loro Paesi.
In Mongolia nel 2010 sono stati eretti 5000 nidi artificiali per facilitare la riproduzione del falco sacro, dopo uno studio sperimentale condotto per 5 anni su di una prima installazione di 250 nidi artificiali. Nel 2011 circa 200 falchi sacri hanno scelto di nidificare nei nidi artificiali, permettendo la nascita di 600 pulli che sono stati contrassegnati con un chip per monitorarne spostamenti e migrazioni.
Le tecniche utilizzate in falconeria per l’addestramento dei falchi si sono anche dimostrate le migliori e le più efficaci per la riabilitazione e la reintroduzione dei rapaci selvatici che hanno subito incidenti in natura.
Proprio in questi giorni la IAF – la stessa associazione internazionale di falconeria che assieme alla FACE ha organizzato la mostra al Parlamento Europeo del suo video – è stata invitata a tenere un intervento sul tema “Falconieri e Conservazione” in occasione dell’incontro annuale del CMS (Convention of Migratory Species) che si è appena tenuto ad Abu Dhabi.
Per quanto riguarda la sua seconda affermazione che presenta i falchi usati in falconeria come killer di uccelli di specie protette, si possono fare diverse precisazioni.
Se già in natura un’elevata percentuale delle azioni di caccia dei falchi selvatici finisce in un nulla di fatto e molte delle prede catturate sono comunque proprio gli uccelli più deboli, malati, destinati comunque ad una prossima morte, questa percentuale di insuccesso aumenta indubbiamente nei falchi allevati in cattività da generazioni (e spesso le coppie che vengono messe in riproduzione sono proprio quelle con meno attitudine alla caccia) dove l’istinto della predazione è sicuramente ridotto.
Inoltre un falconiere, fin dalle prime fasi, addestra il proprio falco a riconoscere come preda e ad attaccare solo alcuni determinati tipi di selvaggina in base al proprio territorio, alla disponibilità delle prede stesse e al tipo di caccia che vuole fare. Tra falconiere e falco, ed eventuale cane, si stabilisce con il passare del tempo un rapporto sottile, quasi spirituale, che li rende ‘collegati’, anche se uno con i piedi sulla terra e l’altro in volo libero nel cielo. Il falco sicuramente non riconosce quelle che sono le specie cacciabili o non cacciabili, ma caccia sempre accompagnato da un falconiere che ben le conosce e che gli ha insegnato a cacciarne solo alcune. La difficoltà stessa nel cacciare la selvaggina selvatica che, a differenza del falco in volo – il cui uovo si è schiuso in un incubatrice – è nata e cresciuta in quel territorio e conosce tutti i luoghi dove ripararsi da un eventuale attacco e il fatto che i falchi siano addestrati a riconoscere come prede solo alcune determinare specie, fa sì che la cattura di una specie protetta, sia un evento sicuramente possibile, ma davvero raro e limitato. Indubbiamente un numero infinitesimale rispetto a quegli esemplari di specie protette o particolarmente protette che tutti i giorni sono uccise dalle nostre auto, dalle pale eoliche o dai cavi dell’alta tensione.
Sulla sua ultima affermazione, sul fatto che la caccia, in particolare la caccia con il falco, dovrebbero fare parte solo del passato perché danneggiano la biodiversità, ci si potrebbe confrontare per ore.
L’UNESCO ha riconosciuto la falconeria come patrimonio culturale immateriale dell’umanità proprio perché è una tradizione storica che da 4.000 anni si trasmette in oltre 65 nazioni di generazione in generazione, da padre in figlio, da maestro ad allievo.
Negli Emirati Arabi, dove nel giro di 60 anni si è passati da una vita da nomadi del deserto a quella delle città cosmopolite dagli incredibili grattacieli, la falconeria viene praticata e conservata nella sua essenza più antica proprio come modo per non perdere il contatto con le proprie radici, con la propria storia e con la natura stessa.
Per cacciare con il falco occorre conoscere la natura e le regole che la governano, così ome per addestrare il proprio falco bisogna conoscere la biologia dei rapaci e le loro abitudini e conoscere le prede e il loro habitat.
Sono proprio i paesi dove la caccia ha mantenuto una forte e positiva tradizione, quelli dove la selvaggina è più abbondante in numero e in tipo, proprio per la cura e l’attenzione che i cacciatori pongono alla tutela delle prede stesse e al territorio.
Sicuramente non l’avrò convinta sul fatto che la falconeria sia una delle forme di cacce meno invasive, più sostenibili e vicine alla natura, né era mia intenzione cercare di convincerla. Sperò però che alcuni dei pensieri che ho voluto condividere con lei, e in cui credo, possano essere uno spunto per nuove riflessioni e possibili punti di contatto.
La tutela dei rapaci e della biodiversità che sono tanto importanti per lei, sono essenziali anche per la sopravvivenza futura della falconeria.
Ringraziandola per l’attenzione.
le porgo i miei più cordiali saluti.
Patrizia Cimberio (p.cimberio@gmail.com)
Federcaccia: Bruxelles, falconeria al Parlamento Europeo, 4000 anni di arte venatoria
Federcaccia: si è recentemente svolta a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo l’esibizione internazionale di Falconeria, evento che ha interessato falconieri e cacciatori provenienti da 19 Paesi, in mostra 4000 anni di arte venatoria.
Organizzata dall’Intergruppo Caccia Sostenibile del Parlamento Europeo insieme alla IAF – Associazione Internazionale di Falconeria e alla FACE, la manifestazione ha riunito esperti falconieri in una occasione unica per presentare immagini, storia, cultura, tradizione ed evoluzione di questa arte dalle antiche origini, considerata dall’UNESCO un patrimonio culturale dell’umanità.
Presenti anche Andrea Brusa Presidente dell’UNCF – Unione nazionale cacciatori falconieri, settoriale della FIdC e Gianluca Barone, vice presidente UNCF Lazio, per rappresentare la falconeria italiana e contribuire a testimoniare i valori e i benefici che la falconeria comporta.
L’incontro ha rappresentato infatti un’occasione per ricordare come oltre al prezioso capitale costituito dalle capacità e abilità che la caratterizzano per l’accurata conoscenza della natura e la condivisione di principi universali, la falconeria è considerata un’attività sostenibile che può essere utilizzata in progetti di conservazione, ad esempio come strumento per il recupero del falco pellegrino, o di sicurezza, vedi l’impiego di falchi negli aeroporti per prevenire pericolosi scontri con altri volatili che possono pregiudicare le fasi di atterraggio e decollo degli aeromobili.
16 novembre 2012
Federcaccia
Il Falconiere secondo Federico II
FEDERICO II (1194-1250) nipote di Federico barbarossa; egli scrisse il miglior trattato di falconeria che vige tutt’oggi, il “DE ARTE VENANDI CUM AVIBUS” (l’arte di cacciare con gli uccelli) scritto nel 1244-1250.
Nel medioevo e rinascimento, grandi signori e dame, ma anche vescovi e abati praticavano la falconeria.
Ne erano appassionati a tal punto che portavano i falchi in chiesa durante le sacre funzioni.
DAL “DE ARTE VENANDI CUM AVIBUS “
Il falconiere deve essere di media corporatura, perche’ per l’ecessiva magrezza non può sostenere la fatica e il freddo. Eglinon deve essere neanche troppo grasso perche’ non disdegni la fatica, il caldo e sia piu’ pigro e piu’ lento di quanto richieda quest’arte.
Deve essere di buona memoria, perche’ ricordi il bene o il male, che talvolta nelle operazioni di caccia o dell’esercizio accadrà per colpa sua o del falco, e dall’altra causa segua cio’ che si dimostri buono, e si riguardi da cio’ che si dimostri cattivo e inadatto.
Deve avere la vista acuta, perche’ sia abile a scoprire con lo sguardo, anche da lontano da che parte si trova la preda da cacciare, o il suo falco quando si allontana da lui.
Deve essere di udito buono, da sentire da che parte si trovano gli uccelli che cerca udendo i loro versi e canti, o sentire il sonaglio del suo falco quando non lo vede.
Deve essere agile e veloce, affinché possa correre in aiuto del suo falco tutte le volte che sara’ necessario.
Deve essere audace, tanto da non aver paura di attraversare luoghi disagevoli quando lo si richieda.
Deve saper nuotare per raggiungere il falco oltre un corso d’acqua non guadabile ,per seguire o andare in suo aiuto .
Non deve essere troppo giovane, perche’ la giovinezza non lo induca ad agire a svantaggio di quest’arte.
Non deve essere iracondo ne’ facile d’ira, accade spesso infatti, che il falco faccia cose che non deve fare e che lui si arrabbi , e se non abbandona l’ira, questo la potra’ scagliare contro il falco rovinandolo.
Non deve essere pigro,o negligente, poiche’ quest’arte richiede molta fatica e tanta applicazione.
Non deve esser un ubriacone , poiche’ l’aver bevuto troppo , va contro le nozioni sopra descritte.
Caccia con Falco di Harris ai Lagomorfi
Descrizione generale | La Poiana di Harris sembra un rapace molto lento e poco incline alla caccia di prede così rapide e veloci come i Lagomorfi (Lepri, Conigli, Minilepri); ma in realtà vedere un buon Harris bene addestrato a queste prede fa subito cambiare idea! |
Livello di difficoltà e risultati | La tecnica di caccia è piuttosto complessa a causa della difficoltà di contatto con le prede ad una sufficiente distanza di tiro. L’Harris è un rapace facile da addestrare e gestire e non presenta difficoltà particolari nell’utilizzo in questa tecnica di caccia. |
Preventivi di spese-spazio-tempo-impegno | Le spese possono essere elevate sia in funzione dell’uso del cane, sia in funzione degli eventuali spostamenti (spese di carburante) sia se si decide di lavorare con due o più Harris in squadra. |
Ambienti | Tutti quelli frequentati dalle prede; l’Harris può cacciare in tutti i territori ma sicuramente un territorio pianeggiante e privo di vegetazione arborea che offra posatoi sopraelevati può sfavorire questo predatore. Si può ovviare a questo problema usando delle apposite pertiche molto alte sulle quali trasportare a mano gli Harris. |
Stagioni e orari | Si rispettano le giornate e la stagione venatoria. La caccia con l’Harris ai Lagomorfi può essere praticata durante tutto il giorno ma la mattina presto è l’orario migliore per la probabilità di contattare le prede. |
Uso di cani o altri ausiliari | I cani sono indubbiamente di grande aiuto in questo tipo di caccia, si possono usare sia i cani da ferma che quelli da seguita come i beagles e il segugio. Alcune razze di cani (Jack Russel Terrier per esempio) possono essere usate anche per stanare le prede direttamente dalle tane a mò di furetto. Il furetto stesso può essere usato laddove sia permesso dalla legge. |
Addestramento ed introduzione | La scelta dell’Harris va fatta in funzione della preda: per la caccia ai conigli e alle minilepri si possono usare sia le femmine che i maschi, anche se questi ultimi sono più avvantaggiati; mentre per la caccia alla lepre è bene usare solo grosse femmine che possono avere la potenza e la forza necessaria a trattenere prede che possono anche superare i 2,5 kg. L’addestramento segue la procedura classica. Se si pensa di usare gli Harris in coppia o in squadra, che sarebbe la scelta migliore, bisogna addestrarli insieme sin dalla tenera età così da velocizzare e rafforzare il legame sociale tra gli individui. L’introduzione alla preda avviene nel modo classico (preda morta > preda facile > preda in natura). Se si caccia col cane anche il cane deve essere introdotto agli Harris in giovane età così che si formi subito un buon feeling tra rapaci e ausiliare. |
Esperienza e fitness | Indubbiamente sia l’esperienza degli Harris che la loro fitness giocano un ruolo molto importante in questo tipo di caccia; i Lagomorfi sono prede difficili, veloci, scattanti, agilissime, e molto combattive. L’Harris deve fare molta esperienza non solo nelle tecniche di inseguimento sia da solo che in coppia o in squadra ma anche nelle tecniche di “bloccaggio” della preda una volta agganciata con gli artigli; a questo aspetto il falconiere deve dedicare molto impegno già durante la fase di introduzione dell’Harris durante l’addestramento, dandogli la possibilità, sempre con gradualità, di fare esperienza con prede vive in situazioni facili. |
Caccia pratica | La caccia pratica con l’Harris ai Lagomorfi può svolgersi in svariate modalità, che vanno da quelle più semplici e sicuramente meno produttive (un solo Harris e ricerca delle prede a piedi, senza l’ausilio del cane) a quelle più complesse e dunque più produttive (due Harris o meglio ancora una squadra di quattro, e l’ausilio di uno o più cani per la ricerca). L’importante è non lanciare gli Harris dal pugno, ma liberarli da subito, già durante la ricerca della preda; l’Harris seguirà il falconiere dall’alto (volo d’attesa o da posatoi elevati inclusa la pertica altissima artificiale da usare quando si caccia in zone prive di alberi) e dunque avrà un grosso vantaggio dovuto alla sorpresa e all’altezza nei confronti della preda. |
Caccia col Falco Pellegrino alla Starna
Descrizione generale | Assieme alla caccia al Fagiano, anche quella alla Starna rappresenta una tecnica classica della falconeria. La Starna è una preda ambita dai cacciatori, cacciata da sempre, anche per il suo buon sapore in cucina. Per questo tipo di caccia è bene usare i terzuoli (maschi) di Pellegrino, più piccoli, veloci ed agili rispetto alle femmine e perfettamente in grado di stoccare e bloccare una preda come la Starna. Come seconda scelta si può usare anche il maschio di Lanario, ma è più lento rispetto al Pellegrino.
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Livello di difficoltà e risultati | A differenza del Fagiano però la Starna ha un volo più veloce e dunque è una preda leggermente più difficoltosa.
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Preventivi di spese-spazio-tempo-impegno | Come la caccia al Fagiano con il Pellegrino. |
Ambienti | Tutti i territori dove vive la Starna ma aperti, con preferenza per la pianura rispetto alla collina, che per l’alto volo può risultare difficoltosa: aree coltivate a cereali, prati alternati a boschetti e siepi. Poiché la Starna però ama l’ambiente collinare fino ai 700-800 metri sul s.l.m. e dunque risulta più abbondante in questo ambiente, è bene preparare adeguatamente i falchi al volo in ambiente collinare che è più difficoltoso rispetto all’ambiente pianeggiante (maggiori turbolenze, maggiori termiche, possibilità di scollinamento con perdita di vista del falco, etc.)
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Stagioni e orari | La Starna è una specie erratica e stanziale. La sua popolazione originaria in Italia è diminuita molto, ma sono state introdotte enormi quantità di Starne di allevamento dai cacciatori. Può essere cacciata durante tutta la stagione venatoria e gli orari consigliati sono l’alba o il tramonto, che risultano essere i migliori quando si caccia con i falchi d’alto volo.
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Uso di cani o altri ausiliari | Come per la caccia al Fagiano, anche per la Starna l’uso del cane è necessario.
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Addestramento ed introduzione | Come per la caccia al fagiano |
Esperienza e fitness | Come per la caccia al fagiano
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Caccia pratica | Le tecniche di caccia sono uguali alla caccia al Fagiano: il falco può essere mollato subito, se si ha sicurezza che la zona sia ricca di prede e il cane fermi in breve tempo, oppure può essere liberato dopo che il cane ha fermato, se si ha un buon cane ubbidiente che non rompe la ferma né fa false ferme. |
Caccia con i falchi d’alto volo alla Quaglia
Descrizione generale | Questa classica preda, di ottimo valore culinario, può essere cacciata anche con i Falchi d’alto volo oltre che con lo Sparviere. Ma non esiste una specie di Falco perfettamente idonea alla caccia alla Quaglia: può essere usato il Gheppio comune, ma non è un rapace velocissimo; può essere usato lo Smeriglio, ma non pratica l’alto volo risultando svantaggiato nell’inseguimento dal pugno rispetto allo Sparviere; può essere usato un piccolo maschio di Pellegrino o Lanario, ma la loro dimensione è leggermente superiore alla dimensione ideale e possono non essere sufficientemente veloci; una soluzione ideale invece, sembrerebbe essere un maschio ibrido di PellegrinoxSmeriglio (“Perlin”) che secondo molti falconieri possiede tutte le caratteristiche necessarie a questo tipo di caccia. |
Livello di difficoltà e risultati | Rispetto alla caccia con lo Sparviere, l’alto volo con i Falchi presenta delle difficoltà maggiori, ma, in compenso i Falchi sono quasi sempre più facili da gestire rispetto allo Sparviere, con l’eccezione del delicatissimo Smeriglio.
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Preventivi di spese-spazio-tempo-impegno | Variabili, aumentano se si percorre molta strada per raggiungere i territori idonei e per l’addestramento e gestione del o dei cani.
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Ambienti | Poiché si utilizza l’alto volo è bene operare questa caccia in ambienti aperti, idonei ai Falchi; sono da evitare le zone collinari per le difficoltà intrinseche del volo in questa situazione e le zone troppo ricche di vegetazione. La quaglia frequenta prati e coltivi, medicai e incolti.
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Stagioni e orari | L’inizio della stagione venatoria, tra Settembre e Ottobre è il periodo migliore per trovare questo piccolo galliforme migratore. L’orario migliore è l’alba o il tramonto, poiché si usano falchi d’alto volo.
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Uso di cani o altri ausiliari | L’uso dei cani è necessario per la ricerca delle prede. Si veda al proposito quanto detto sulla caccia alla Quaglia con lo Sparviere.
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Addestramento ed introduzione | L’addestramento base è il classico (pugno, fischietto, logoro); l’introduzione dei Falchi a questa preda avviene gradualmente. È molto facile, per fortuna, reperire quaglie di allevamento a prezzi molto economici. Si deve permette ai falchi utilizzati di conoscere dunque la preda passo passo, dapprima fornendo esemplari già uccisi, poi dando la possibilità al falco stesso di uccidere esemplari in situazioni facili, così da guadagnare rapidamente esperienza ed infine bisogna portare il rapace a caccia il più possibile da subito. Il primo anno, come sempre, non si otterranno grandi risultati, ma dal secondo anno il falco inizierà a fare sul serio. Se si vuole usare il Gheppio comune è importante, durante l’addestramento, insegnargli il volo d’attesa, che con questo piccolo e dolcissimo rapace è particolarmente piacevole (spirito santo). I maschi di Pellegrino, Lanario e Perlin, vanno addestrati nel modo classico degli alto volo.
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Esperienza e fitness | Come si è già detto l’esperienza gioca un ruolo molto importante e si inizieranno a vedere i primi buoni risultati a partire dal secondo anno di caccia. La fitness è altrettanto importante, sia se si usa il Gheppio sia se si usano i terzuoli di Pellegrino, Lanario o Perlin: durante la caccia essi a volte dovranno restare in volo anche più di 10 minuti prima di contattare il selvatico.
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Caccia pratica | A eccezione dello Smeriglio, che va lanciato a cul levè quando si invola la Quaglia come si farebbe con uno Sparviere, la tecnica di caccia con gli altri Falchi (Pellegrino, Lanario e Perlin) è quella classica dell’alto volo: se il terreno è ricco di prede si può liberare il falco quando il cane inizia a cercare, altrimenti si libera il falco in volo solo quando il cane ha già puntato, dando il tempo al rapace di portarsi in quota per la picchiata. È da notare che il volo della quaglia è semplice e rettilineo e mai molto lungo, quindi la quota di caccia non deve essere troppo elevata, il falco deve stare sotto i 70 metri per poter picchiare in tempo prima che la preda si rimetta. |