Poichè abbiamo a che fare con animali carnivori, un buon falconiere dovrebbe sapere che tipo di carne scegliere per alimentare il proprio rapace e anche come scongelarla correttamente.La carne mal scongelata può sviluppare una serie di batteri tossici per il falco che può portare anche alla sua morte. Generalmente, maggiore è la quantità di cibo contaminato ingerita , maggiore è la possibilità di manifestare la malattia (anche se, per alcune intossicazioni, quali il botulismo, è sufficiente ingerire piccolissime parti di alimento). Esistono delle condizioni nelle quali si sviluppano più facilmente i microrganismi , vanno quindi tenuti sotto controllo i seguenti parametri:
Temperatura:
Alla temperatura di congelamento (-18°C), i microbi non muoiono , restano, per così dire, “in letargo” senza riprodursi. In queste condizioni il rischio legato alla proliferazione batterica è bassissimo, quasi nullo.
In regime di temperatura refrigerata (tra 0 e +4°C) la maggior parte dei microbi si trova in una fase di pausa , solo alcuni ceppi possono riprodursi, anche se molto lentamente a queste temperature mentre alcuni ceppi possono tendere ad una lenta riduzione del numero di cellule vitali.
A temperatura ambiente , sopra il regime refrigerato e fino a 45°C e in qualche caso anche a temperature superiori, la maggior parte degli stipiti batterici cresce benissimo, soprattutto i patogeni che in queste condizioni possono produrre le loro micidiali tossine .
A regimi di temperatura crescente da 45 a 65°C e oltre vengono gradualmente resi incapaci di dividersi e poi, ad un ulteriore crescita della temperatura , vengono uccisi i batteri , anche quelli potenzialmente patogeni, quelli cioè che possono causare delle malattie.
Purtroppo le loro tossine resistono a queste temperature e possono provocare intossicazioni anche dopo che i batteri siano stati eliminati.
Durante le operazioni di cottura con temperature superiori a 100°C normalmente resistono solo le spore di alcuni batteri e muffe e alcune tossine termoresistenti, mentre tutti i stipiti microbici muoiono rapidamente a queste temperature.
Quindi nell’intervallo tra i 4°C e i 65°C abbiamo un aumento del rischio microbiologico in quanto è un ambito nel quale avviene la proliferazione microbica con possibile produzione delle relative tossine.
In questo intervallo esiste un optimum per le crescite batteriche, (20/45°C) che deve essere assolutamente evitato in quanto in queste condizioni la velocità di crescita specialmente degli stipiti potenzialmente patogeni diviene vertiginosa e in poche ore viene gravemente compromessa la salubrità degli alimenti.
Come scongelare il cibo?
Il primo metodo, quello più consigliato, è di scongelare direttamente in frigorifero. Lo svantaggio è che il processo è parecchio lungo ma la carne non arriva mai al punto da iniziare la proliferazione batterica.
Il secondo metodo è di utilizzare un contenitore abbastanza grande da contenere molta acqua fredda e di immergerci la carne direttamente.
Il terzo metodo è di utilizzare un buon microonde con la funzione scongelo.
Il quarto ed ultimo metodo è haimè quello più utilizzato ma il meno consigliato dei precedenti cioè lo scongelamento a temperatura ambiente tirando fuori dal freezer la carne alla sera per poi darla l’indomani….
E’ proprio sull’indomani che dobbiamo riflettere… Se l’indomani mattina troviamo la carne che si è scongelata ed è ancora fredda abbiamo ancora la sicurezza di dare da mangiare ai falchi cibo di buona qualità ma se gli diamo da mangiare al pomeriggio inoltrato… la carne sarà di certo a temperatura ambiente e, da diverse ore è avvenuta la proliferazione batterica… In questo modo siamo praticamente certi di dare da mangiare carne contaminata da tossine che accumulandosi all’interno dell’animale, ne possono provocare malattie, intossicazione e addirittura la morte.
Fate molta attenzione quindi, ne va della salute dei vostri protetti!
Dante Alighieri dedica al falcone e alla falconeria cinque precisi riferimenti
Come ‘l falcon ch’è stato assai su l’ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere ‘Ohmè, tu cali!’,
discende lasso onde si move snello,
per cento rote, e da lunge si pone
dal suo maestro, disdegnoso e fello;
(INFERNO – CANTO DECIMOSETTIMO vv. 127 e segg.)
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Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto
non potero avanzar: quelli andò sotto,
e quei drizzò volando suso il petto:
non altrimenti l’anitra di botto,
quando ‘l falcon s’appressa, giù s’attuffa,
ed ei ritorna su crucciato e rotto.
(INFERNO – CANTO VENTESIMOSECONDO vv. 127 e segg.)
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Bastiti, e batti a terra le calcagne:
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne”.
Quale il falcon, che prima a’ piè si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira;
(PURGATORIO – CANTO DECIMONONO vv. 61 e segg.)
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Cosí per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguí lo mio attento sguardo,
com’occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo, e Renoardo,
e ‘l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
(PARADISO – CANTO DECIMOTTAVO vv. 43 e segg.)
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Sapete come attento io m’apparecchio
ad ascoltar; sapete qual è quello
dubbio che m’è digiun cotanto vecchio”.
Quasi falcone ch’esce del cappello,
move la testa e con l’ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello,
(PARADISO – CANTO DECIMONONO vv. 31 e segg.)
Il primo falconiere che conobbi fu Roberto Mazzetti nel 1992 che, dopo non poche insistenze da parte mia… mi invitò ad una cacciata nei d’intorni di Settimo Milanese. Li conobbi anche Antonio Leone che mi diede il numero di telefono di un altro grandissimo falconiere: Paolo Caprioglio che abitava non lontano da casa mia. Ebbe tanta pazienza con un ragazzo appassionatissimo, che lo bombardava di domande, che non vedeva l’ora di iniziare, di confrontarsi, di imparare, di leggere tutto ciò che trattava l’argomento Falconeria. Mi portò con lui a volare, mi prestò i suoi libri, le sue vhs, mi dedicò il suo tempo e le sue conoscenze. Andammo a caccia di cornacchie con “Milli” un falco sacro di 20 anni che volava bene ma ci vedeva poco Lui mi presentò Amedeo Traverso con il quale condivisi da subito l’amore per l’astore (mi presentò il suo primo astore, “Pina”), Andrea Brusa dello Yarak club di falconeria nato pochi anni prima. Fu lo Yarak che mi procurò la mia prima femmina di astore e il primo vero manuale di falconeria tradotto dalla associazione.
Erano anni da sogno, anni in cui la fantasia di un ragazzo di vent’anni volava alta come un Pellegrino! C’erano i primi tentativi di riproduzione in cattività. Ricordo che Paolo fece nascere in cattività il primo falco sacro nato in Italia che però ebbe un destino triste, abbattuto da un cacciatore nel primo anno di vita. Ricordo il tentativo di riproduzione dello yarak con delle voliere da manuale! Ebbi l’occasione di conoscere anche Nino Ghia, persona semplice e di cuore con la sua pellegrina che era un orologio svizzero. In quegli anni conobbi Amedeo Arpa e gentil signora, grandi appassionati di falconeria, Nicola De Marco con cui nacque subito intesa, Aldo Miconi in freddo inverno in Friuli e… Gianpy, Del Mastro Calvetti ad un raduno in Piemonte. Non persi l’occasione di intervistarlo, non potevo credere di essere vicino ad un grande della falconeria, ad un uomo che ha vissuto la falconeria negli anni del dopoguerra, che aveva conosciuto Ernesto Coppaloni, i suoi allievi ma soprattutto Francesco Pestellini, autore di “Falconeria Moderna”. Questo libro lo considero iportante non tanto per il lato tecnico della falconeria ma per il lato spirituale se così possiamo definirlo. Traspariva l’ammirazione che l’autore aveva verso Coppaloni. Uno spirito di rispetto di riconoscenza di sincera Amicizia e rispetto inimmaginabili ai tempi odierni. Quel libro mi fece sognare e lo custodisco con gelosia. Tartassai Giampi di domande sulla cattura dei falchi (consentita a quei tempi), su Coppaloni, sul Circolo Falconieri di Torino e mostrò sempre una cordialità squisita.
Non so… in quegli anni era tutto magico… era una continua scoperta.. Non c’era internet, pagavamo i falchi in marchi tedeschi e c’era il telefono o le lettere per comunicare a distanza ma, vi garantisco, il fascino era diverso. Non sapevamo come riprodurre i rapaci ma ci provavamo, non sapevamo come imprintarli correttamente ma tentavamo. Ora c’è internet, tutte le informazioni sono accessibili a tutti, ci sono molti praticanti, ci sono libri in italiano, falchi nati in cattività di tutte le specie e di tutte le dimensioni.. però..non è la stessa cosa…
Il falco è evidentemente un animale ed evidentemente non è un’arma.
Malgrado questo indiscutibile dato di fatto, rientra nei mezzi caccia (come da art .13 della Legge quadro 157/92) senza nessun’altra specifica a riguardo e come tale è soggetto al rispetto di tutte le limitazioni formalizzate per il fucile.
Paradossalmente un falconiere dovrebbe rispettare le distanze di sicurezza da strade e case prima di lasciar andare un falco all’inseguimento di un fagiano, etc etc esattamente come se sparasse.
Partendo dall’inizio, tanto per capirci, chi vuole praticare la caccia con il falco in Italia, deve prendere il porto d’armi e saper smontare un fucile, anche se magari non ne userà mai uno, dato che utilizzerà un falco: questo perché la licenza di caccia è assolutamente vincolata al porto di fucile.
Ma poiché la legge è ” intelligente”…. nell’esame per la licenza di caccia, non si insegna a scappucciare o a gestire un falco, perché il maneggio del falco non è equiparato a quello di un’arma che potrebbe causare danni a terzi.
Allora come mai il falconiere deve rispettare regole create per le armi, se la legge stessa ammette che si stia utilizzando un animale non pericoloso per la collettività?
Non per venalità, ma per completezza di informazione, bisogna anche sapere che il falconiere, oltre che pagare annualmente il porto d’armi………., è obbligato a fare l’assicurazione per l’esercizio venatorio con costi e massimali esattamente come quelli del fucile…………..
Per quanto riguarda la conoscenza dei periodi di caccia e della specie cacciabili o protette, è sacrosanto che il falconiere debba conoscere e rispettare la legge, ma per tutto il resto, è meglio sorridere, per non pensare…………..
Un’altra chicca del nostro sistema legislativo era anche quella che un obiettore di coscienza , non potendo fare il porto d’armi, non poteva neppure andare a caccia con il falco.
Da pochi mesi, tramite l’abolizione di alcune norme relative alle limitazioni poste agli obiettori, oggi, se ha voglia di darsi da fare, l’obbiettore può far volare i falchi a caccia.
La falconeria, per definizione, è sempre stata considerata la disciplina con la quale si giunge a catturare animali selvatici, nei loro ambienti naturali, con rapaci addestrati dall’uomo.
Negli ultimi anni i rapaci addestrati sono stati utilizzati anche in situazioni di caccia simulata, su prede meccaniche o simulacri, ma resta il fatto che la massima espressione della falconeria rimane da sempre la caccia su prede selvatiche.
Come in ogni tipo di attività venatoria, prima di parlare del mezzo con cui si caccia, in questo caso il rapace, bisogna considerare il tipo di territorio e di selvaggina che si vuole insidiare.
Non a caso i falchi da caccia si dividono in due categorie ben distinte: i falchi di Alto Volo e quelli di Basso Volo. I primi sono i cosiddetti “falconi ad ali lunghe” cioè: Pellegrini, Sacri, Lanari, Girfalchi, falchi della Prateria ecc. si utilizzano per le ampie distese di pianura soltanto su volatili (salvo casi particolari), i secondi quelli ad “ali corte”: Astori, Sparvieri, falchi di Cooper, falchi di Harry ecc. possono volare anche nel bosco, in zone più impervie e cacciano anche mammiferi (conigli, lepri, scoiattoli etc).
La differenza fra le due categorie è indicata dalla loro morfologia e dalle loro innate propensioni venatorie.
I falconi d’alto volo sono naturalmente inclini a volare ad una certa quota dal suolo cercando l’occasione buona per attaccare qualsiasi uccello sorvoli lo spazio sottostante. La loro tecnica d’attacco è sempre una picchiata più o meno lunga e veloce (il Pellegrino supera i 300km/h), al termine della quale c’è l’impatto con la preda.
Se l’impatto è molto violento il falcone tende a stoccare l’uccello senza trattenerlo, producendogli gravi lesioni con le unghie, lo aggancia quindi al volo, dopo una cabrata, di solito prima che tocchi terra. Se invece la picchiata si conclude con un inseguimento da dietro, di solito il falcone lega la preda in volo e la finisce poi a terra (o in volo nel caso di piccoli uccelli) spezzandogli velocemente le vertebre cervicali con il becco.
In falconeria la tecnica è sostanzialmente la stessa usata in natura, ma il falcone deve imparare a restare “centrato e alto” sul falconiere ed il cane in cerca, per poter colpire la preda che gli faranno frullare.
Questo tipo di volo fu chiamato da Federico II “volo a monte” perché i falconi, dove le condizioni ambientali lo permettono, tendono naturalmente a sfruttare le correnti ascensionali che si formano lungo le pareti dei pendii per salire più facilmente ad una buona quota.
I falconi d’alto volo sono molto efficaci nella caccia in pianura, con cani veloci e di grandi aperture, come gli inglesi, su selvaggina come starne, pernici e fagiani. Anche le anatre ed i beccaccini in zone palustri, senza cane, sono prede per i falchi ad ali lunghe.
I falchi di basso volo sono invece i predoni del bosco. Gli Astori in particolare sono vere “macchine da guerra”. In pianura, collina, in zone aperte o nel bosco, qualsiasi cosa si muova davanti a loro è potenzialmente in pericolo di vita. Il loro attacco parte sempre da un posatoio (nel caso del falconiere il suo guanto) dal quale osservano tutto ciò che si muove prima di partire per l’attacco.
Il loro volo è basso, spesso radente il terreno, sfrutta ogni naturale oggetto che li possa in qualche modo occultare alla vista della preda sino all’ultimo istante. Spesso la preda si accorge dell’astore che arriva appena una frazione di secondo prima che gli artigli le si chiudano addosso.
La forma delle ali di questi falchi è arrotondata e la loro misura piuttosto corta, da qui la definizione di “ali corte”, mentre la coda è lunga e voluminosa. Tali caratteristiche danno a questi uccelli una enorme capacità di manovra anche nel folto del bosco ed una incredibile possibilità di accelerare o frenare la loro velocità in spazi molto ridotti.
Le prede vengono legate in ogni modo, anche nei rovi più impenetrabili o nell’acqua e vengono uccise sempre con l’incredibile stretta degli artigli, mai usando il becco.
Qualsiasi cane può essere un buon ausiliare, purchè venga ben accettato dall’astore, altrimenti potrebbe assaggiarne le unghie. Fra i falchi ad ali corte soltanto lo Sparviere è esclusivamente ornitofago, gli altri catturano ogni animale il cui peso sia compreso fra i pochi grammi di un passero ed i quattro o più chili della lepre.
Le potenzialità di predazione dei rapaci sono grandissime, ma in falconeria si riducono parecchio, perché quasi sempre il compromesso di dover cacciare con l’uomo e di poter essere recuperati, limita le naturali situazioni che un falco sfrutterebbe se cacciasse per conto proprio in natura.
Far carniere con i falchi non è facile, le percentuali di cattura sono molto inferiori a quelle della classica caccia con il fucile, inoltre il coordinamento fra il cane ed il falco è un ulteriore difficoltà che si presenta, ma basta provare una volta per capire che ne vale la pena.
I discorsi storici e filosofici intorno all’arte della Falconeria sono d’obbligo, ma in concreto, nella storia degli ultimi decenni il primo problema di chi si accosta alla falconeria è di non andare oltre la legge, poiché com’è noto tutti i rapaci diurni sono protetti da regole che partono dalla legislazione internazionale ed arrivano alla normativa delle ASL locali.
Per dirla tutta, i rapaci diurni sono stati oggetto di tutela da parte dei sovrani di tutte le epoche sino al XIX secolo, per motivi non tanto animalisti o ornitologici, quanto egoisti e commerciali.
Poi sono diventati animali “nocivi” e oggetto di sterminio da parte di tutti, poi vittime dei veleni che nel dopoguerra sono stati indiscriminatamente sparsi su ogni tipo di coltura agricola ed infine protagonisti di una protezione ferrea e totale da parte di leggi che punivano con il carcere o altissime ammende che li uccideva, catturava, deteneva ed addirittura li “disturbava” semplicemente osservandoli troppo insistentemente! Dalle stelle alle stalle ed infine in Paradiso!
Alla faccia dell’auspicabile equilibrio che la giurisprudenza dovrebbe generalmente avere.
Per cui se nel 1890 un cacciatore uccideva un falcone, lo esibiva con orgoglio ed era un benefattore, nel 1990 per la stessa uccisione sarebbe andato in galera come l’ultimo dei delinquenti.
Naturalmente i falconieri hanno sempre protetto i rapaci, come minimo per interesse di categoria…, ma dal proteggere un animale ad incarcerare chi non lo fa… ne passano di ragioni.
Potenza del Diritto e del protezionismo ambientale moderno.
I falconieri, fino agli anni ’70, hanno prelevato dalla natura i loro falconi ed in tempi passati l’abilità nella cattura di uccelli da preda integri e perfetti nel piumaggio, era considerata una caratteristica fondamentale del bravo falconiere.
Le leggi di protezione, legittime dal punto di vista della conservazione delle specie, hanno stimolato la strada della riproduzione in cattività ed hanno aperto una nuova era della falconeria moderna.
Negli anni settanta la quasi scomparsa del Falco peregrinus anatum dall’America del Nord, a causa dei pesticidi, fece nascere un movimento di naturalisti e falconieri il cui scopo fu quello di riprodurre in cattività e reintrodurre in natura i falconi in pericolo di estinzione.
Si chiamò Peregrine Fund ed ancora oggi esiste ed opera monitoraggi scientifici sulla popolazione selvatica del pellegrino in tutto il Mondo, in collaborazione con le Università di molti paesi.
I falconieri nord americani ed europei collaborarono strettamente e salvarono la specie dalla scomparsa nel continente americano.
Oggi il falco pellegrino è stato depennato in America dall’elenco delle specie a rischio e, sotto controllo dello Stato e con particolari permessi, è concessa la sua cattura a Falconieri riconosciuti dal governo.
In Europa le associazioni animaliste e protezioniste hanno sempre strumentalizzato il fatto che i falconieri catturassero i rapaci diurni e lo hanno spesso usato per dare un senso alla loro stessa utilità ed esistenza, ma in realtà alle centinaia di farneticanti denunce verso fantasmagorici “ladri” di nidiacei, negli ultimi 30 anni non sono state dimostrate illegalità commesse da falconieri, poiché nella quasi totalità dei casi si trattava di pregiudizi ideologici.
Da decenni i falconieri acquistano i loro uccelli da allevatori regolarmente autorizzati ed in conformità alla Convenzione di Washington (CITES) che regolamenta il commercio delle specie protette nel Mondo. Il mercato propone spese adeguate a tutte le tasche ed i favolosi prezzi che una volta venivano pagati per i falchi più rari, oggi sono soltanto un ricordo.
I falchi sono nati in cattività da diverse generazioni e possono essere meglio condizionati dal contatto con l’uomo.
Paradossalmente nessun falconiere di oggi sarebbe ritenuto tale da Federico II di Svevia, in quanto incapace di catturare ed addestrare autonomamente un falcone selvatico.
Ormai soltanto falconieri di una certa età possono ricordare di aver addestrato falchi “selvatici” durante la loro gioventù, ma non rimpiangono le difficoltà affrontate.
Sinceramente bisogna ammettere che l’addestramento dei falchi nati in voliera e le loro prestazioni di volo sono cose molto differenti rispetto al maneggiamento dei falchi nati in natura e magari catturati adulti, ma i tempi della vita moderna e le normative sulla gestione della caccia di oggi non potrebbero essere compatibili con la falconeria dei secoli scorsi.
In Europa, con varie sfumature da un paese all’altro, generalmente per praticare la falconeria intesa come caccia con il falco, è indispensabile essere muniti della licenza di caccia.
In Italia La legge quadro 157/92 sulla gestione della fauna selvatica e del suo prelievo, prevede che il falco sia una dei mezzi di caccia consentiti, insieme all’arco ed, ovviamente, al fucile.
Detenere un falco, senza farlo volare, è ammesso dalla legge se il falco è regolarmente acquistato da un allevamento autorizzato, secondo la regolamentazione della CITES.
La deontologia della Falconeria, non prevede che un nobile falcone passi la vita appollaiato su un trespolo alla stregua di un pappagallo (senza voler togliere nulla ai simpatici cugini variopinti…), comunque se qualcuno volesse possedere semplicemente un falco, non avrebbe bisogno di licenza di caccia, così come coloro che collezionano armi, non devono necessariamente avere il porto d’armi, ma personalmente così come non riuscirei a tenere chiuso in una vetrina una doppietta Holland & Holland per guardarla soltanto… allo stesso modo ritengo che i falchi siano fatti per volare.
Entrare nel dettaglio delle leggi è un durissimo percorso, perché i decreti internazionali, europei, italiani, le leggi regionali, quelli provinciali e le normative sanitarie locali che dovremmo citare ed analizzare ci occuperebbero troppo spazio e tempo… Per chi volesse concretamente provare a mettere il piede all’interno della falconeria, il consiglio è quello di rivolgersi a qualche associazione di falconieri ed affiancare un praticante.
Non è consigliabile il “fai date”…, si potrebbe in buona fede sconfinare nell’illecito e poichè “la legge non ammette ignoranza”, è meglio non ignorare e farsi guidare da chi conosce le regole del gioco.
Per chi pratica la caccia con il fucile, il momento in cui il selvatico frulla davanti al cane fermo è la fine di una tensione emotivamente forte, sebbene positiva, che si concretizza con lo sparo liberatorio e la caduta o la fuga della preda.
In Falconeria c’è tutto ciò che precede lo sparo, ma il frullo corrisponde non già alla fine della tensione, ma, al contrario, all’inizio della cacciata.
L’inseguimento dà vita a lunghi minuti di caccia in cui l’uomo diventa spettatore di ciò che ha pazientemente programmato per mesi, seguendo un sottile filo conduttore fra la sua volontà e la naturale attitudine alla predazione dei due suoi animali, il cane ed il falco.Le emozioni sono forti ed il livello di affiatamento fra i tre componenti la squadra deve essere assolutamente perfetto.
Pena: il disastro… non solo per il fallimento della cattura, che poco importerebbe, quanto per la possibile perdita del falco o addirittura della sua incolumità fisica.
Il legame fra l’uomo ed il falco, animale simbolo della indomita tendenza alla libertà, è veramente rappresentato da un immaginario filo molto sottile che si può rompere in ogni momento.
Il falco non torna dall’uomo per “amicizia” o “sottomissione”, ma soltanto per condizionamento e convenienza.
Per cui basta niente, un parametro che non si incastra alla perfezione nel condizionamento o una opportunità estemporanea, per far decidere al falco di scegliere la libertà.
Questo sottile senso di precarietà è la costante di tutti i voli ed il vero senso della fatalità della nostra vita. Ogni volo è come se fosse il primo o forse l’ultimo… ogni volta.
Come funziona il rapporto fra noi ed i nostri falchi?
Il vero motivo per cui quasi tutti coloro che diventano in seguito Falconieri si avvicinano inizialmente alla Falconeria è proprio per avere un rapporto di collaborazione con il falco.
E’ una ragione ornitofila , più che venatoria.
La caccia viene dopo ed è il passo obbligatorio per avere un rapporto equilibrato e soddisfacente con un falco.
Abituati agli animali “domestici”, parlando di addestramento di falchi, è necessario cambiare decisamente atteggiamento.
Non ci si può aspettare comportamenti che abbiano a che fare con la sfera emotiva. Niente affetto, obbedienza, fedeltà, riconoscenza.
I rapaci, a differenza degli animali addomesticati dall’uomo da secoli, vengono selezionati naturalmente soprattutto in funzione della loro selvaticità e quindi in direzione opposta a quelle della selezione umana, che privilegia i soggetti meno paurosi verso l’uomo e più propensi a farsi sottomettere.
Non sono animali “sociali”, cioè che sfruttano il branco e la collaborazione e non concepiscono la gerarchia ed il concetto di sottomissione interspecifica.
Il risultato è che il normale concetto di “addestramento” che si utilizza con i cani, i cavalli e tutti gli animali che circondano l’uomo da sempre, non funziona con i rapaci.
Punire un cane quando sbaglia, serve a fargli capire che al capo branco (l’uomo) non piace quel comportamento e lui per compiacere il padrone, modifica il suo comportamento, sottomettendosi.
Così, impara a trattenere i suoi bisogni corporali, accetta la mantellina colorata, che tanto piace alla
sua padroncina, non abbaia più, non aggredisce i gatti, sue prede naturali…, insomma diventa un pupazzo nella mani degli amati padroni.
Unico degno rappresentante della razza canina è rimasto il cane da caccia, che ancora può predare, cioè fare quello per cui è stato creato dalla natura.
E naturalmente la maggior parte di coloro che si proclamano “amici del cane”, aborrono la caccia…
Probabilmente cercano nei cani quegli amici che fra gli umani non riescono ad avere, ma chissà , se i cani potessero parlare, cosa direbbero della loro “amicizia”…
Ma torniamo ai rapaci: un rapace non si può punire.
Il rapace divide gli esseri viventi in sole tre categorie. Molto semplice.
Gli esseri viventi che si possono uccidere e mangiare, quelli che non si possono uccidere, ma non sono pericolosi e quelli pericolosi, dai quali fuggire alla vista.
Nel primo gruppo ci sono le prede, nel secondo, per esempio, le mucche, pecore, etc, nel terzo i predatori più forti di lui, per esempio, l’uomo.
Il falconiere per scendere a compromessi con un rapace ha solo una possibilità: passare dalla categoria degli esseri viventi pericolosi, a quella dei non pericolosi.
Per fare questo non si può sbraitare, agitarsi o addirittura “punire”, perché anziché sottomettersi, il rapace avrebbe la conferma che noi siamo pericolosi e più forti di lui e quindi esseri da cui fuggire appena possibile.
Avremo raggiunto così l’esatto contrario dei nostri intendimenti.
Il nostro percorso deve essere capace di convincere il falco che, tramite determinate attività vissute insieme a noi, gli sarà molto più semplice nutrirsi, cioè cacciare.
Bisogna perciò iniziare ad addestrare il falco facendogli capire che non possiamo fargli alcun male, anzi, che gli procuriamo il cibo con estrema facilità.
Quando il falco si convincerà che la nostra presenza significa facile cibo, cercherà di frequentarci il più possibile.
Facile, no?
Assolutamente si, se non ci fossero quelle fastidiose centinaia di eccezioni dovute alla differenza di psiche di ogni falco e di ogni falconiere, a complicare le cose…
Ci sono bellissimi (ed anche numerosi) manuali di falconeria, che descrivono dettagliatamente tutte la mansioni e le metodologie di addestramento. Svelano anche i trucchi… per cui non dovrebbero esserci problemi, seguendo le righe. Ma non è così, altrimenti perché avrebbero definito la Falconeria un’arte?
Allora, a prescindere dal come farlo, il risultato finale dell’addestramento deve essere che il falco deve inseguire e catturare, ma anche tornare correttamente dal falconiere in caso di mancata cattura. E questo avviene soltanto quando il falco acquisisce piena fiducia verso il falconiere, altrimenti fugge e torna selvatico.
Sembra banale, ma …
Qualcuno chiede a volte se il falco “riporta”….
Naturalmente, il falco porta la preda alla sua compagna, come offerta… quando lei gli dà qualcosa in cambio… qualcosa che noi non abbiamo… per cui: niente riporto… quando prende, mangia e possibilmente non vuole nessuno in giro a rompergli le scatole.
Possiamo fare uno scambio… noi diamo una parte di preda a lui ed il resto ce lo teniamo…
Mi pare corretto… un rapporto da pari a pari, nessun padrone, nessun servo…
In realtà il termine “addestrare” non è proprio che calzi a pennello, perché rendere “destro,” cioè “capace”, un animale a fare qualcosa che è già nella sua natura, è un po’ come insegnare a nuotare ad una rana.
Forse sarebbe meglio dire “condizionare i falchi al falconiere”. Nessuno può “insegnare ” o “addestrare” un falco alla caccia meglio di quanto i suoi geni abbiano già fatto.
Il falconiere deve far capire al falco che non è pericoloso stare vicino a lui e che anzi può diventare conveniente sfruttarlo per cacciare più facilmente.
Sia praticando la caccia con falchi di alto volo, che con quelli di basso volo, il risultato finale del condizionamento, prima di andare a caccia insieme, è quello di convincere il falco che stando intorno al falconiere prima o poi salterà fuori una possibile e più facile preda.
Se la catturerà, potrà cibarsi della preda oppure di un compenso offertogli dal falconiere, se invece
non sarà possibile catturarla, il falco può sempre contare sul premio di consolazione tornando verso il falconiere.
Il tutto nell’armonia di una squadra (non dimentichiamo il cane, che deve essere interpretato dal falco come un fondamentale elemento) che senza competizione, ma in collaborazione, tende soltanto all’obbiettivo della cattura della preda.
Naturalmente mentre l’uomo ed il cane collaborano sapendo di farlo perché concepiscono il concetto di “branco”, il falco semplicemente li sfrutta come le cornacchie sfruttano i trattori che arando estraggono i vermi dal terreno.
Per cui mentre il cane riporta la preda al padrone per sottomissione, il falco cattura, uccide e si nutre.
Anzi possibilmente cerca di coprire e proteggere la preda da chiunque ed è necessario utilizzare particolare attenzione nel levargliela, sostituendola con un premio di cibo alternativo, per non incrementare la sua tendenza a volare via per non farsela “rubare” dai compagni di caccia.
La prima fase di rapporto con un falco preso dalla voliera dove è nato e che non ha mai avuto contatti con l’uomo, ha come obbiettivo finale di riuscire a convincerlo che stare posato sul guanto del falconiere, vicino al suo viso e farsi toccare dalla sua mano nuda, non è una cosa pericolosa e negativa.
L’uomo è percepito geneticamente come nemico molto pericoloso e vederselo a 20 cm di distanza stimola un irrefrenabile istinto alla fuga. Ma le stringhe di cuoio (chiamiamole “geti”) che tengono le zampe del falco attaccate al guanto, lo fanno tornare sempre al punto di partenza.
Per evitare che lo stress diventi pericoloso, è necessario che prima di cominciare a tenerlo sul pugno, il falco abbia la mente interessata da qualcosa che lo distragga dall’uomo, così da sentirsi meno impaurito. La cosa che più riempie i pensieri di qualsiasi essere vivente (uomo compreso), nel momento in cui manca, è il cibo.
I rapaci più aggressivi verso le prede sono quelli che hanno il metabolismo più veloce e naturalmente sono quelli che l’uomo utilizza di più a caccia. Avere il metabolismo “veloce” per un rapace, come per esempio la femmina di sparviere, vuol dire pesare 280 grammi e mangiare dai 50 gr di carne d’estate, fino ai 90 d’inverno, tutti i giorni, per essere in forma.
E’ facilmente intuibile, come la sua mente sia molto occupata dalla ricerca del cibo perché per fare 90 grammi di piccoli passeriformi (tipo passeri) è necessario catturarne un po’ più di uno… e dato che non tutti gli inseguimenti si concludono in una cattura, ne consegue che le sue giornate siano piuttosto movimentate.
Diminuire la ciccia ad un cane (che ha una digestione lenta ed un metabolismo proporzionato), lo rende molto più attivo e recettivo verso i richiami del padrone e verso la ricerca della selvaggina; diminuire la razione giornaliera ad un falco decuplica la sua attenzione verso il cibo, diminuendo di conseguenza la sua attenzione alle altre situazioni esterne, come la paura per la presenza dell’uomo.
Per cui in falco con un buon appetito tenderà a presentarsi come più “calmo” verso l’uomo, ma anche più pronto e deciso verso le prede.
Offrire cibo sul guanto ad un falco e farglielo consumare ripetutamente ogni giorno senza dargli conseguenze negative, lo convince pian piano che tutto sommato quel nemico potenziale che era il falconiere, può diventare fonte di facile nutrizione, senza effetti collaterali controproducenti.
Dopo qualche giorno il falco si tranquillizzerà senza aver bisogno di sentire lo stimolo dell’appetito.
La fase iniziale del buon rapporto con il falconiere è fondamentale soprattutto per i falchi di basso volo, che si utilizzano a caccia senza cappuccio, seguendo l’azione del cane a vista, tenuti sul guanto per ore.
Questi falchi (astori, sparvieri , falchi di Harris etc) devono abituarsi a stare rilassati a stretto contatto con l’uomo, concentrandosi esclusivamente sull’azione di caccia. I falchi d’alto volo, si portano sul guanto incappucciati e si scappucciano sul campo.
Si involano dal guanto alzandosi il più velocemente possibile per raggiungere una quota utile per la picchiata e hanno meno problemi di contatto ravvicinato con il falconiere, ma di contro hanno la possibilità di allontanarsi molto essendo completamente liberi e devono avere un ottimo senso del collegamento con il cane e l’azione di caccia.
La seconda fase riguarda il ritorno del falco al richiamo del falconiere. E’ anche questa fase molto legata al condizionamento.
Dopo avere raggiunto un buon rapporto fra il falco ed il suo “posatoio umano”, cioè il guanto, è indispensabile abituarlo a raggiungere in cibo offerto dal falconiere da distanze sempre maggiori.
Il condizionamento è completo se al richiamo visivo del cibo, il falco associa un richiamo acustico, di solito il fischietto usato in cinofilia, e vola velocemente verso il falconiere non appena viene richiamato.
Oltre che sul guanto, il cibo viene offerto al falco anche su un oggetto di cuoio, di solito guarnito di un paio di ali essiccate di uccelli che possono essere preda del falco (fagiano, piccione, cornacchia etc) che si chiama “logoro”.
Il logoro è l’attrezzo fondamentale per il falconiere, soprattutto per i falchi di alto volo.
E’ talmente importante ed talmente utilizzato che si “logora” in breve tempo… da qui il nome classico.
Mentre il guanto è tenuto fermo dal falconiere, durante il richiamo del falco, il logoro si fa roteare legandolo ad una corda lunga circa 1 metro e mezzo e, pur essendo assolutamente chiaro al falco che non si tratta di un uccello vero, la sua attrattiva è notevolmente superiore.
La terza fase riguarda il condizionamento del falco con l’azione di caccia.
Non può esserci altro modo per affrontare questa parte della falconeria, che non sia l’andare a caccia. Si può cominciare a fare vedere qualcosa al falco rilasciando prede gabbiamole, allo stesso modo in cui si cominciano a far incontrare le quaglie di voliera ai giovani cani da ferma, ma i rilasci “dalla borsa”, il “bagging”,come dicono gli anglosassoni, non può essere troppo prolungato e facile, bisogna al più presto portare il giovane falco in situazioni di caccia reali, con lunghe ricerche ed occasioni rare e da non perdersi, che il più delle volte portano a lunghi inseguimenti senza risultato, ribattute e nuovi tentativi, sino all’agognata cattura.
In questo modo il falco entra veramente nella vera essenza della falconeria, in simbiosi con cane e falconiere.
Falconeria ancora nel XXI secolo…, in molti si chiederanno: “Che senso ha?…” e soprattutto : “Cos’è, esattamente?…”
Credo che non ci siano risposte precise a queste due semplici e spontanee domande, perché, come tutte le discipline che provengono dalla storia dell’umanità e che perdurano intatte scavalcando millenni di evoluzione, hanno il senso che l’uomo attribuisce loro nel suo intimo… e quindi sono talmente interiori da non poter essere definite.
Potremmo partire dalla falconeria con la “effe” minuscola, cioè da quella pratica di addestramento dei rapaci diurni che consente di farli cacciare per l’uomo, come viene definita sui dizionari da bancarella.
Oppure dalla Falconeria, naturalmente più cara a chi la pratica, con la “Effe” maiuscola… quella viscerale che ogni “Falconiere” sente e vive, senza dividerla con nessun altro se non con il proprio falco.
Questo inizio poco “tecnico” per mettere subito in chiaro che far volare i falchi non può essere banalizzato assimilandolo ad una qualsiasi tecnica circense di addomesticamento animale, poichè, allo stesso modo in cui un musicista deve conoscere lo strumento per poi creare l’arte, il Falconiere tramite la tecnica per condizionare il falco può vivere sensazioni molto profonde che lo avvicinano non solo alla natura nella sua essenza fondamentale della vita e della morte, ma alla ricerca universale del senso della nostra stessa esistenza e della sua fatale fragilità.
Non è una esagerazione, volare i falchi non può essere casuale o saltuario o “tanto per fare” e condiziona moltissimo chi ci si dedica. O si sente dentro o si smette. Non ci sono alternative.
In questi ultimi anni abbiamo assistito alla crescita della visibilità del lato più “frivolo” della falconeria, cioè quello legato alle esibizioni in pubblico, oppure alle manifestazioni fieristiche e storico-rievocative.
I falchi sono anche diventati importanti mezzi di lavoro per nuove attività come il controllo degli uccelli negli aeroporti, nelle discariche cittadine, negli allevamenti ittici o nei capannoni industriali.
Abbiamo poi visto figuranti medioevali nelle feste di paese, far volare i loro falchi sulle teste dei bambini divertiti, o farli passare fra le loro braccia messe a cerchio.
Oppure abbiamo applaudito i falconieri a cavallo nelle sagre di campo, anche di livello nazionale, in costume ed in groppa a destrieri fieri ed eleganti.
Ma per me la Falconeria, è cosa molto, ma molto più umile. Non c’è niente di altisonante o di necessariamente dipendente da un pubblico da soddisfare..
C’è sacrificio, sforzo di comprensione di un’altra entità, il falco, con cui si può dialogare soltanto utilizzando il suo linguaggio, pazienza, pazienza infinita e auto controllo, volontà indistruttibile di creare una complicità istintiva.
E si impara a tollerare tutto, per arrivare alla “comprensione reciproca”…, è come essere genitore e figlio del proprio falco.
Questo è il risultato finale a cui deve tendere chi vuole sentirsi “Falconiere”.
Diceva un grande Falconiere americano: “Quello che il falconiere insegna al falco, non è nulla, se paragonato a ciò che il falco insegna all’uomo”…………… ed io credo che sia così.
Premesso tutto ciò… e convinto del fatto che nessuno scritto, naturalmente in primis quello che state leggendo adesso, possa veramente spiegare la Falconeria , mi piacerebbe iniziare con la storia della falconeria, non la storia che cita quell'”ars venandi cum avibus” tanto cara all’illuminato imperatore Federico II di Svevia, di cui magari parlerò in seguito, non la storia che parte dalla civiltà orientale che 2 mila anni prima di Cristo già addestrava falchi per cacciare gli uccelli, insomma non della solita storia che si trova all’inizio di ogni libro sull’argomento, ma della piccola storia nostra, dell’Italia del ‘900 che per voce di piccoli appassionati ante litteram, cercava di ripescare una disciplina che pareva ormai persa e veramente sconosciuta.
La storia della Falconeria italiana, o almeno quella che ho vissuto attraverso i racconti di Falconieri nostrani, esistiti veramente e che si sono ritrovati parte della “storia”, loro malgrado, semplicemente costruendola giorno per giorno.
Ho sempre pensato che quello che ognuno di noi è veramente, non lo è perché “lo è diventato”, ma perché ce l’ha nei geni. Tutto ciò che “diventiamo” crescendo, con lo studio, con il lavoro, con la cultura ed i condizionamenti sociali, è acquisito… e per forte che sia, non sarà mai come quello che abbiamo dentro prima ancora di nascere.
Così… “c’era una volta”…. ………………una persona, di cui diventai amico negli ultimi anni della sua vita, che nacque con la passione per i falchi. Ma non lo sapeva…
Si accorse di essere attratto dagli uccelli prestissimo ed in particolare dagli uccelli da preda, ma non sapeva perché.
Li vedeva nei pochi libri che trovava al suo tempo, nelle aquile delle insegne araldiche che il regime fascista, durante il quale era nato, affiggeva dovunque.
Gli piacevano le unghie lucide e nere ed i becchi adunchi e pur non conoscendone i nomi, né altro, ne era letteralmente affascinato. Non era un nobile, aristocratico ed in famiglia nessuno era interessato alla sua “mania”, veniva dal popolo e con sacrificio riuscì a diventare disegnatore tecnico nelle Ferrovie dello Stato.
Era finita la seconda guerra e lo stipendio fisso, per basso che fosse, pareva una chimera. Pur squattrinato ed in affitto a Firenze, riuscì a comprare, in un mercatino di animali, un gheppio femmina.
Allora i rapaci diurni erano considerati “nocivi” ed era ammesso abbatterli e farne commercio senza alcun problema. Non sapeva che tipo di falco fosse (lo capì più tardi…) ma ne era esaltato.
Non sapeva niente di come tenerlo o cosa farne… non aveva progetti, ma non riusciva a separarsene. Il problema era nutrirlo, considerando anche che era già complicato arrivare a fine mese per lui.
Così, dopo due giorni che il gheppio non mangiava, alla disperata, una mattina il nostro ferroviere, vergognandosi un po’ di quello che stava per fare, scese in strada presto, mantenendosi poco in vista, in un vicoletto vicino a Piazza della Signoria ed in quel contesto urbano, che nulla aveva di altisonante ed agreste, lasciò volare la femmina di gheppio verso i piccioni che ignari razzolavano nella strada. La preda, che in natura il gheppio non si sarebbe mai sognato di attaccare, fu invece facilmente raggiunta in un ambiente in cui i piccioni erano spesso confidenti e malaticci.
Così, nel 1947, Nino Ghia, questo era il nome del Falconiere, reinventò la Falconeria in Italia… quella con la “Effe” maiuscola….e senza neppure rendersene conto.
Conobbi Nino per caso nel 1988 e diventammo amici. Fu lui ad insegnarmi l’ABC del falconiere.
Aveva l’età di mio padre, ma ogni volta che liberava la pellegrina per farla volare, gli tremavano le mani, non solo per l’età e la salute minata dalle troppe “Diana blu”, ma soprattutto per l’emozione infinita e profonda del “volare”.
Iracondo e testardo, ma vero e schietto come un bambino, fino all’ultimo, scrisse che voleva essere messo nella bara con la giacca da caccia, la borsa da falconiere, il suo logoro e gli stivali ai piedi. E così fu.
La sua ultima pellegrina gli sopravvisse per anni ancora.
Non mi ha insegnato, Nino, a volare alti i falchi o a fare tornare al guanto l’astore da lontano, la sua emotività gli faceva vivere le vita e la Falconeria più con il cuore che con la razionalità, ma mi ha mostrato, semplicemente vivendo, che cos’è una passione vera.
Conservo gelosamente le lettere originali della sua corrispondenza con il Dott. Ernesto Coppaloni, grande cinofilo, selettore di pointers con l’affisso “Della Gaia”, che all’inizio del ‘900 praticava la Falconeria nelle pianure padane e che casualmente entrò in contatto epistolare con Ghia appena finita la guerra.
Nino si era trasferito a Genova e Coppaloni prendeva il traghetto per andare in Sardegna ad allenare i cani sulle rosse e sui beccaccini, così si incontrarono e nacque un’amicizia forte, che mai passò al darsi del “tu”, ma che era intrisa di un rispetto reciproco ed una complicità impossibili da ripetere ai giorni nostri, imbrigliati come siamo dalle frenetiche comunicazioni telematiche. Altri tempi?
Forse altre persone…
Questa è la storia e l’essenza della Falconeria che intendo io, non per le sdolcinature dei ricordi, ma per il valore reale degli obbiettivi raggiunti con partecipazione e sacrificio.
La Falconeria?
Che senso ha? Che cos’è, esattamente…?
Artigianato o arte?
Spero più avanti di riuscire a dare un’idea della parte “artigianale” della Falconeria, parlando dei falchi, degli strumenti, dei metodi di addestramento e caccia, delle leggi e magari di episodi vissuti, ma per quanto riguarda la parte interiore, “artistica”…, lascio ad ognuno le proprie emozioni.
A pensarci bene, essere falconiere nel 2013 è un gran bell’ impegno..
Come degli schef, dobbiamo saper dosare il nostro tempo tra figli, rapporto di coppia, lavoro, amicizie, commissioni, cercando di miscelare con sapienza, tatto e sensibilità tutti i componenti.. senza ferire nessuno.., senza far mancare nulla a nessuno..per trovare poi.. anche il tempo di volare il nostro falco! 🙂 (cosa che vorremmo invece fare per prima)
Il bello è che non si smette mai di essere Falconiere, durante la giornata, durante il mese, durante tutto l’anno! Se ci penso bene, la Falconeria, è come un tarlo, ben insidiato nella mente, sempre presente, sempre ricorrente.
Collego tutto alla falconeria! Se mi capita di andare in un brico per comprare della vernice, è garantito che vado nel reparto cordame o nel reparto ferramenta per moschettoni o anelli.
Quando vado dal macellaio è impossibile che, oltre alla spesa per la famiglia, non rimedio anche qualche testa di pollo che il macellaio avrebbe buttato! 😉
Anche quando sono in macchina, mi capita di vedere delle strutture agricole in metallo che immagino come poterle adibire a voliere!
Devo ammettere anche di aver rifiutato in passato delle proposte di lavoro per il semplice fatto che non avrei avuto il tempo per volare il mio falco!
Che dire poi della casa? Se non ha il giardino, non viene neanche presa in considerazione!
Essere falconiere è come una malattia che un giorno scopri all’improvviso di avere e che ti segue per il resto della vita!
E’ un modus vivendi che influenza noi e inevitabilmente tutto il resto del menage familiare.
La mia famiglia mi conosce e mi ama per quello che sono…
Sa che se esco alla mattina, quando è ancora buio, non vado a donne ma è perchè sono andato a caccia col falco…
La mia famiglia sa che, se aprono il frigo e trovano un piccione morto spaccato a metà.. è solo il cibo per il mo falco..e non fa più impressione a nessuno.
La mia famiglia sa che, se rientro con le mani interamente sporche di sangue…,di terra, coi forasacchi attaccati ai vestiti…è perchè il mio falco ha fatto presa e io sono felice!
La cosa che inizia a preoccuparmi è che questa magia che è per me la Falconeria, invece di attenuarsi, si acuisce!
Al giorno d’oggi con una somma di denaro relativamente bassa, possiamo ordinare un rapace nato in cattività proveniente da quasi tutto il mondo per provarne di persona attitudini, carattere, velocità, abilità di caccia.
Inizio a pensare che la vita è breve e che sarebbe bene provare altre gioie al di fuori dell’astore, mio unico amore! Perchè pensare alla morte senza mai aver avuto la gioia di vedere il proprio Pellegrino centrato sulla testa, ad una altezza vertiginosa che aspetta lo sfrullo del selvatico? Come sarà volare l’aquila sud americana alle lepri come fanno in Spagna? Come sarà il volo di un Gyr sulla pernice bianca? Riuscirò mai a lanciare un sacro sulla lepre come fanno in Nord Africa? E la lepre bianca quando la caccerò col mio astore?
Credo proprio che la falconeria abbia questa Magia! La magia di farti sognare, di farti desiderare gli attimi.. e non veder l’ora di vivere le emozioni che fanno vivere l’uomo! Vivere senza passioni è come buttar via una vita!
E’ una Passione Sana, a contatto con la Natura, Sicura! Siamo come spettatori di una meravigliosa giornata di caccia col falco in cui noi siamo solo… gli ausiliari del Falco!
Se la Falconeria verrà capita, verrà automaticamente accettata, apprezzata e Protetta perchè, come ogni cosa bella, bisogna combattere per difenderla da quelli che semplicemente, per ignoranza, non la comprendono ma la denigrano.
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