Ho cacciato come ai tempi di Federico II

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“ Vedrai ” mi aveva avvertito Giorgio “ il mio amico è un tipo molto particolare e sono sicuro vi piacerà”.
Non avevo alcun motivo per non credergli: avevo conosciuto Giorgio da poco ma lo reputavo una persona seria, molto cauta e …centrata…nei suoi giudizi sulle persone, e questa è una delle ragioni che me lo fanno apprezzare e stimare maggiormente.
“ Sono curioso di incontrarlo” gli avevo risposto al telefono “ e mio figlio Edoardo lo è ancor di più.”
“ Sai Alessandro,” aveva proseguito “ Antonio è la persona più in sintonia con la natura che io abbia mai conosciuto” e aveva iniziato a tracciarne un breve ritratto “ vive in Val Trompia, in un cascinale isolato che pare un gioiello tanto è curato. Lì lui e la moglie allevano molti animali e coltivano con metodi naturali, proprio come si faceva un tempo. Mangiano quello che si produce e producono quello che serve loro. Si fanno i formaggi da soli e cucinano e scaldano con la legna dei loro boschi.”
Questa sua descrizione bucolica, come si fossero fermate le lancette del tempo e ci si trovasse di fronte a membri delle comunità amish che vivono nell’America più tradizionale, mi stuzzicava e, confesso, m’intrigava parecchio.
Quella mattina c’eravamo alzati prestissimo e prima delle cinque e trenta eravamo già in auto. Erano iniziate le vacanze natalizie e avevo promesso a Edo che l’avrei portato con me, sulle colline piacentine.
Avrei raggiunto Giorgio ed altri amici per discutere d’un progetto relativo al mondo venatorio che stavamo sviluppando da qualche tempo, con la passione autentica dei veri cacciatori.
L’incontro era fissato nella magnifica azienda faunistica di cui lui è uno dei gestori.
Si trattava di millecinquecento ettari di terreno, stesi tra dolci e fertili alture coltivate a grano, mais, orzo e inframmezzate da verdissimi prati, pregiati vigneti e vasti frutteti sicuro rifugio per lepri, starne e pernici rosse. Tutt’intorno fitti boschetti di roverella e castagno popolati da cinghiali, daini, cervi, caprioli e delimitati da quelli spettacolari calanchi che ne rendono unico il paesaggio.
Insomma, un autentico paradiso per gli amanti di caccia e natura, due concetti che io credo siano nient’affatto in contraddizione e debbano andare a braccetto.
Io e mio figlio c’eravamo già stati il mese prima per cacciare beccacce, e ci eravamo innamorati di quell’ambiente; tornarci, per di più con la possibilità d’effettuare un’esperienza unica, era cosa da togliere il sonno non solo ad Edo, giustificato in ciò dai suoi undici anni, ma pure al sottoscritto che a passo sostenuto s’avvicina ormai al mezzo secolo.
Giorgio infatti, da gran signore qual è, aveva voluto farci un regalo: avremmo cacciato con un autentico falconiere, erede di quell’arte, nobile ed antichissima, che ha avuto in Federico II uno dei massimi cultori.
Il grande imperatore svevo, vissuto all’inizio del milleduecento scrisse anche un famosissimo trattato “ De arte venandi cum avibus ” che ancor oggi viene considerato la vera e propria “ Bibbia” dei falconieri di tutto il mondo, ed è opera che, dopo quasi ottocento anni, dimostra ancora un’incredibile capacità d’analisi e un’ineguagliabile maestria descrittiva.
La nostra mattinata sarebbe stata tutta dedicata a questa particolarissima disciplina venatoria e, fortuna nostra, pure il tempo ci accompagnava, con la previsione di un sole che avrebbe riscaldato l’aria gelida della notte e aiutato la nostra azione di caccia.
Fummo fortunati e arrivammo puntuali, favoriti dal traffico regolare e dall’assenza della nebbia, abituale spauracchio per coloro che percorrono quel tratto autostradale nei mesi autunnali e invernali.
Il nostro ospite era già pronto, e ci aspettava all’esterno della casa di caccia, un gradevole edificio in pietra e mattoni che s’affaccia sopra un ampio anfiteatro naturale da cui si può godere d’un incantevole panorama.
Avevamo ancora un po’ di tempo perché Antonio sarebbe giunto solo dopo mezz’ora e così Giorgio ne approfittò per farci fare un breve giro dell’azienda, alla ricerca di qualche cervo o capriolo.
Ma ormai il sole era splendente e gli animali, certamente usciti per le pasture notturne protetti dall’oscurità, erano rientrati nei boschi per trascorrere gran parte della giornata.
Il tempo di fare quattro chiacchiere, bere un caffè e arrivò anche il tanto atteso falconiere.

Fatte brevi presentazioni saltammo sulle auto e ci dirigemmo verso la zona di caccia prescelta.
Il giro prevedeva di salire in cima ad un poggio e da lì spostarsi verso alcuni campi e coltivi dove Giorgio sapeva essere presenti alcuni voli di rosse e starne. Avremmo cacciato battendo i fianchi di quelle colline e poi in discesa, facilitando così il volo e l’azione del rapace.
Antonio scaricò dall’auto il cane, indispensabile ausiliare per quella forma di caccia, così antica quanto affascinante. Era un setter inglese bianco arancio, tipico e bello anche se piuttosto robusto; il suo padrone, e lo si vedeva chiaramente, non gli faceva certo mancare il cibo.
“ Come si chiama ?” chiese Edo.
“ Sul pedigree c’era scritto Asso, ma non mi piaceva e così l’ho chiamato Assicello” e subito si rivolse al suo compagno in dialetto bresciano, invitandolo a raggiungerlo:
“ Te’, te’ ve’ che Assicel.”
Io e Giorgio sorridemmo pensando che solitamente i cacciatori se cambiano il nome assegnato al loro cane dall’allevatore è per abbreviarlo, renderlo immediato. Lui invece l’aveva allungato.
Quando il setter gli fu vicino Antonio gli mise il beeper al collo.
“ Hai paura vada lungo ? ” l’interrogò il padrone di casa non senza immaginare quale potesse essere la sua azione di caccia. Io, che non sono cinofilo esperto ed ho una setterina dotata di un motore impressionante che caccia sui monti, l’ avevo visto muoversi e immaginavo che Assicel cacciasse con il piglio e le aperture di un bracco italiano, piuttosto che di uno scatenato inglese.
Entrambi sbagliavamo a sottovalutarlo, e il prosieguo dell’avventura lo dimostrò senza alcuna ombra di dubbio.
“ Eh sì, ” aveva risposto Antonio senza curarsi dei nostri sorrisini “ questi cani vanno lontani.”
Ma il beeper, forse dimenticato acceso dall’ultima volta, lo tradì e non s’accese.
“ Pazienza, ” disse lui “ ne farò a meno. Giorgio, datemi una mano voi a tener d’occhio Assicel. ”
E venne il momento tanto atteso.
antonio leone1Antonio aprì nuovamente il portellone posteriore del suo minivan e sopra la gabbia del setter notammo una specie di borsone in cuoio che altro non era se non un trasportino per rapaci. Una cerniera lo chiudeva sulla parte anteriore. Dentro il magnifico uccello.
“ Che bel falco !” esclamò ammirato Edo.
“ No, non è un falco! Questo è un astore ” e lo estrasse dopo aver calzato l’indispensabile guanto in cuoio che protegge dagli artigli del rapace. In realtà, ci disse dopo, lui avrebbe potuto farne a meno, ma era meglio evitare che il predatore alato, spaventato da qualcosa, potesse stringere ferendolo con la potenza della sua stretta. Non lo assicurò, lasciandolo libero perché fosse in grado d’involarsi se fosse frullato qualche selvatico, pizzicandogli solo le zampe tra pollice e indice.
Antonio iniziò con le sue spiegazioni, dimostrandoci subito grandissima preparazione e una cultura in materia veramente notevole. Era per noi la prima prova di quanto quella nobilissima arte venatoria fosse profondamente radicata nel suo animo e di come quel tipo d’addestramento fosse la prova di quale strettissimo rapporto debba legare il cacciatore, d’ogni tipo, ai suoi ausiliari, “quattro gambe” o alati che siano.
Il suo astore era un maschio, e in quella specie il dimorfismo sessuale è particolarmente elevato.
Però, a differenza di gran parte del mondo animale, qui è ribaltato con le femmine più grandi, talvolta imponenti, rispetto al loro compagno; questo capita per molti rapaci diurni come aquile, falchi, sparvieri, gheppi e altri ancora (non le poiane) mentre si “normalizza” con quelli notturni, dove il maschio torna ed essere di maggiori dimensioni.
“ E’ una questione di selezione ” spiegò Antonio “ così facendo maschi e femmine cacciano prede diverse e talvolta in ambienti molto differenti, aumentando le possibilità di sopravvivenza per la loro specie”.
Un altro miracolo di quella natura che nulla lascia al caso e, come in tutte le …serie programmazioni…, prevede sempre almeno un “piano B”.
Il rapace pesava ottocento grammi e, proprio come il simpatico Assicel, pure lui era al limite superiore della taglia. Ma anche questo era voluto e Antonio seppe spiegarlo benissimo:
“ Normalmente i falconieri tengono i loro uccelli …a stecchetto… e lo fanno per acuire il loro istinto predatorio ” e mentre parlava guardava con affetto il suo astore e gli carezzava le piume “ a me non sembra giusto anche perché quando lui caccia ha bisogno di tutta la sua potenza per abbattere la preda.”
L’animale era molto giovane, nato il maggio precedente, e aveva davanti a se una lunga vita che, nel caso di astori tenuti in cattività, può superare agevolmente i quindici anni per arrivare sino a venti.
Ormai, nonostante la ritrosia e la timidezza tipica delle genti di montagna, Antonio era quasi un fiume in piena e continuò a istruire me, Giorgio e il giovane Edo, incantato e rapito da quelle spiegazioni.
Sapemmo quindi che lui aveva allevato ed addestrato altri tipi di rapace, dai velocissimi pellegrini, agli ambiti girifalchi, ai bellissimi lanari per giungere sino ad ibridi tra le varie razze.
“Il pellegrino, ” ci disse “ lo conoscono tutti. E’ un falcone di buone dimensioni che sfrutta la velocità della sua picchiata per abbattere le prede. Io ne ho volati parecchi.”
Intanto Assicel esplorava i medicai e i piccoli gerbidi che li orlavano su più d’un lato.
“E’ un rapace d’alto volo, così come tutti gli altri falconi, e viene rilasciato dal falconiere prima d’individuare la preda. Lui sale in alto sfruttando le correnti termiche ascensionali e vola in cerchio sino a quando la vede e allora si butta giù in picchiata, a velocità folle. Credetemi è uno spettacolo!”
antonio_leone_0003Il setter avvertì qualche emanazione e rallentò la sua azione, Antonio spostò il braccio per favorire la visione dell’astore che intanto seguiva l’azione allungando il collo e sollevando il suo becco adunco.
Ma sfortunatamente il setter aveva sentito le rosse troppo lontano, e gli uccelli pedinarono davanti a lui che così non poté bloccarle. Raggiunsero un piccolo salto che sormontava una stradina sterrata e da lì si buttarono verso valle, involandosi così veloci e lontane che io fui l’unico a vederle partire. Che fossero selvaticissime, e pure ottime volatrici, lo testimoniò la traiettoria della loro fuga che ci sembrò infinita.
Rammaricati per l’occasione sfumata decidemmo d’abbassarci, ispezionando alcuni piccoli boschetti e lunghe siepi spinose dove le nobili pernici potevano trovare un facile rifugio.
Antonio completò la sua spiegazione e ci disse d’aver scelto l’astore perché gli piaceva il suo tipo d’azione. A differenza dei falconi gli astori, e così pure gli sparvieri, sono uccelli con ali più corte che li rendono capaci di seguire le prede anche tra la vegetazione fitta. Sono definiti rapaci di basso volo e cacciano le loro prede lanciati direttamente dal pugno del falconiere.
E in effetti ricordavo di come il tecnico faunistico del mio comprensorio alpino m’avesse spiegato come i galli forcelli venissero più frequentemente predati a terra, e tra i boschi, dall’astore che nei cieli dall’imponente aquila reale o dalle più diffuse poiane.
Proseguimmo la ricerca dei selvatici con Assicel che ormai ci dimostrava d’aver preso confidenza con quel tipo di terreno, e non lasciava inesplorato alcun angolo.
Non passò molto che al bordo d’uno scosceso prato il cane segnò nuovamente l’incontro. Si bloccò perentorio vicino una siepe spinosa, subito sopra una stradina sterrata. Ci precipitammo verso il cane e quando lo raggiungemmo Antonio si disse certo che lì ci fosse qualche selvatico. L’astore capì anche lui, nonostante non vi fosse il suono del beeper a confortarlo in ciò.
“ Vedi ” disse lui “ si sta preparando alla caccia” e aprì il pugno con cui lo teneva stretto all’altro braccio, quello che calzava il guanto.
Ma il cane faticava a risolvere l’azione visto l’intrico di spine che proteggeva il selvatico. Cercammo di incitarlo e Assicel capì, entrando nel piccolo forteto. Lo superò e attraversò anche lo sterrato bloccando nuovamente a ridosso d’un’altra siepe che sormontava un esteso campo.
Forzò nuovamente e un frullo improvviso ruppe quel silenzio favorendo in tutti noi l’improvviso rilascio di tutta la nostra …adrenalina venatica.
Una coppia di rosse saettò via, quasi fosse una freccia scagliata da un arco al massimo della tensione. Partì anche l’astore, gettandosi dietro alle due pernici rosse.
Ma i selvatici avevano un buon vantaggio e attraversarono rapidamente il pratone scosceso per rifugiarsi nel bosco che riempiva il fondovalle.
“ Non le ha prese!” esclamò Antonio mettendosi a correre verso il basso per recuperare il suo prezioso uccello che nel frattempo s’era incovato su qualche pianta.
Io, Edo e Giorgio la prendemmo con calma e li seguimmo.
“ Senti come grida papà ” disse mio figlio “ sembra arrabbiato!”
Ricordavo d’aver letto come i primi beeper riproducessero il verso dell’astore proprio perché, questo si diceva, in questo modo gli uccelli avrebbero evitato d’involarsi troppo presto, restando schiacciati al suolo.
Intanto Antonio aveva quasi raggiunto il fondovalle e cercava d’individuare il rapace.
Noi arrivammo poco dopo, ma Antonio aveva già superato un piccolo ruscello ed era entrato nel bosco lungo una stradina che lo costeggiava per poi tagliarlo dirigendosi verso il crinale.
Sentimmo nuovamente rumore d’ali e grida di morte.
“ L’ha presa, l’ha presa ” urlò Antonio.
Quando pure noi superammo quelle due dita d’acqua ci si presentò una scena inconsueta: l’astore stava a terra, a bordo stradina, tenendo tra gli artigli la rossa, mortalmente ghermita.
“ Stava andando via di pedina ” disse “e lui l’ha vista dalla cima dell’albero.”
Giorgio aveva seguito bene l’azione e raccontò d’aver notato l’astore fiondarsi giù dalla pianta e, con una curva velocissima, coprire con le sue ali la povera penice che correva sullo sterrato.
Il rapace gridava come un ossesso e con il becco adunco tentava di strappare piume e brandelli di carne per mangiarli. Antonio lo fece fare e poi lo bloccò, ad evitare che rovinasse la preda.
“ Loro cacciano per cibarsi ” spiegò “e dunque deve prendersi qualche soddisfazione pure lui.”
Dalla cacciatora estrasse la carcassa d’un’altra pernice che s’era portato da casa e l’uccello riprese il banchetto.
Intanto arrivò anche Assicel e lui prese a complimentarsi con il prezioso setter.
“ Vedi Alessandro” riprese “ nella falconeria che piace a me il cane è l’elemento più importante, ed è lui che scova il selvatico. Il rapace completa l’azione così come la fucilata nella caccia che fate voi. Ma ” continuò “senza il cane facciamo poco e non ci divertiamo nemmeno.”
Prese la funicella e vi assicurò l’astore che s’era risistemato sul robusto guanto protettivo. Poi tutti insieme risalimmo verso le auto.
Avevamo chiuso una magnifica cacciata, realizzata proprio come si faceva prima che venissero scoperte polvere da sparo e armi da fuoco, e quando cacciatori e imperatori come Federico II percorrevano i boschi e le campagne europee in groppa ai cavalli, con stuoli di servitori al seguito e i loro magnifici rapaci sul braccio.
Stavo completando il mio pezzo quando m’arrivò una telefonata di Giorgio:
“ Ricordi il mio amico Antonio?”
“ Sì, ” risposi io “ perché?”
“ Quel fenomeno ” proseguì lui “ ha partecipato in Friuli ad un importante raduno internazionale di caccia con cane e falco. Pensa,” concluse “ caso unico ha vinto in entrambe le sezioni.”
Che dire in più: bravo!
E pure Federico II si sarebbe complimentato con Antonio Leone.

Scritto da Alessandro Bassignana

fonte: cacciando.com

La Falconeria può essere diseducativa?

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Fauconnerie2Assolutamente NO! La Falconeria è un mezzo di caccia assolutamente non invasivo, non inquinante, a zero impatto ambientale. Il Falco, se in perfetta salute, ben addestrato e muscolato, cattura, altrimenti no. Semplice vero? Non ci sono Feriti, non ci sono spargimenti di piombo, non ci sono spari…. Tutto è nel pieno rispetto della Natura! Ci viene contestato l’uso del cappuccio che copre il capo dei nostri rapaci. Secondo le perverse fantasie degli animalisti i falconieri provano piacere nel privare della vista i propri falchi.. Ma stiamo scherzando?? Il cappuccio è uno strumento tanto antico e indispensabile, che il suo uso si è tramandato fino ad oggi. E’ fatto in morbida pelle fatta su misura a seconda del tipo di rapace e del suo sesso. Lo utilizziamo per preservare il rapace da stress durante un tragitto in macchina, sull’aereo, in mezzo a troppe persone o a cose a cui il rapace non è abituato e quindi teme. Il Cappuccio è sagomato sulla testa dell’animale con tale perfezione che riesce a respirare, a mangiare, sbadigliare, dormire e a rigurgitare la borra. Siccome questi animali vivono con noi e sono soggetti alla vita di tutti i giorni, preferiamo incappucciare i nostri rapaci piuttosto che vederli sbattere spaventati da qualcosa che era evitabile calzando un semplice cappuccio. La prima cosa a cui teniamo è la salute del nostro falco senza la quale non reagisce all’addestramento, non vola, non è partecipe falco con cappuccioalla vita, non caccia. Veniamo accusati di affamare i nostri falchi. E’ vero, i nostri animali devono essere a “peso di volo” cioè quel peso che permette all’animale di essere così forte da volare ed essere competitivo sulla preda ma al contempo anche determinato nell’inseguimento e nella caccia perchè ha fame. Crudeli? Assolutamente no! In Natura i falchi si nutrono a piacimento ma sapete quando iniziano a cacciare? Quando hanno Fame e il loro peso di volo diminuisce! La stessa cosa succede in falconeria. Un falco in Natura che si è appena nutrito e che ha fatto “buon gozzo” e che quindi si è nutrito a volontà è capace di rimanere immobile sul ramo per buona parte della giornata facendo qualche sporadico spostamento se infastidito da qualcosa o qualcuno. Fino a quando il gozzo non sarà completamente vuoto, anche dopo diversi giorni dall’ultima cattura, il falco non attaccherà le prede. Nel momento in cui il suo peso inizierà a scendere grazie al movimento e al mantenimento della temperatura corporea che bruciano calorie, il rapace tornerà a cacciare, proprio come succede con i rapaci addestrati. Non a caso, prima dell’entrata in vigore delle leggi sulla tutela dei rapaci, i falchi che venivano catturati, venivano pesati e, nella stragrande maggioranza dei casi, il loro peso di volo dopo l’addestramento e l’ammansimento con l’uomo era lo stesso di quando volavano liberi. Veniamo accusati di tenere i falchi legati. Anche perch_trolly1in questo caso servono delle considerazioni in merito. I falchi li teniamo legati durante il periodo di addestramento e solo per una parte della giornata perchè per l’altra volano liberi. I falchi rimangono legati per 4 mesi che corrispondono ai mesi di caccia, per il resto siamo attrezzati con voliere appositamente studiate e attrezzate per consentire al rapace di volare libero a suo piacimento. Ricordo anche che questi animali, una volta che hanno il gozzo pieno, sono come i rettili, non hanno esigenze motorie quindi se ne rimangono belli placidi, con la zampetta tirata su su tra le piume a dormicchiare o a fare il bagno. Anche a noi falconieri piacerebbe tenere il falco libero ma dovremmo vivere in una casa sperduta in mezzo al nulla.. e poi ancora! I rapaci, anche se nati in cattività, come tutti gli mewsanimali, si possono spaventare e di conseguenza allontanare, anche di chilometri andando in contro ad altri pericoli. Non è meglio per la loro incolumità che siano legati e in un posto a loro dedicato con un comodo posatoio e una vasca con acqua fresca? Forse non si mettono i finimenti al cavallo per poi riporlo nella scuderia? Veniamo accusati di rubare uova e piccoli dai nidi. Non rinneghiamo le nostre origini e ricordiamo che , da millenni i rapaci venivano catturati o presi dai nidi. Anche in questi casi, non si depredava mai totalmente il nido ma si lasciavano la metà dei nidiacei nel nido in modo che la coppia riproduttiva potesse portare avanti la nidiata. Dopo l’entrata in vigore delle leggi sulla protezione dei rapaci, grazie alle tecniche di allevamento in cattività, e’ cessata la necessità di approvvigionarsi dalla fauna in libertà  ma vi è stato qualche sporadico caso di bracconaggio e saccheggio ad opera di mercanti e collezionisti che fermamente condanniamo e dai quali prendiamo le distanze. Altra cosa importantissima è di NON confondere il termine “Falconeria” con gli “spettacoli con i rapaci”. La falconeria, o caccia col falco, ha origini antichissime, nata come necessità di procacciarsi il cibo e recentemente riconosciuta dall’UNESCO come “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità da tramandare ai nostri figli” che ha come scopo la predazione del selvatico col falco nel suo ambiente naturale. Una tradizione di 4000 anni che ha poco a che fare con gli Spettacoli con i Rapaci, fenomeno recente, con scopi diversi e spesso mal interpretati.  Affermare “la falconeria è diseducativa” quando in realtà si parla degli spettacoli, che tra l’altro, nella maggioranza dei casi, non lo sono, si incorre in errore. Chi utilizza il termine Falconeria quando parla degli spettacoli, lo fa sbagliando e danneggiando un termine che ha origine storica. Ricordiamo invece a chi ci giudica e a chi ci accusa, molto spesso senza conoscere profondamente l’argomento.. che le tecniche di falconeria vengono utilizzate con successo nei centri di recupero rapaci di tutto il mondo e che sono stati i falconieri ad interessarsi e a salvare la scomparsa del falco pellegrino ad opera del DDT in America. Quindi…smettiamola col dire sciocchezze, la falconeria NON è diseducativa ma un Patrimonio Culturale. Noi amiamo i nostri falconiererapaci, li conosciamo più di chiunque altro ed entrano a far parte della nostra famiglia; con la nostra Passione, non servono i binocoli come consigliano gli animalisti, ma serve solo la curiosità di un bambino per provare, con i propri occhi, la magia e le estreme soddisfazioni e difficoltà di questa Arte! Solo se praticata con estrema Passione, costanza e Amore per gli animali sa regalare Grandi Emozioni e soddisfazioni che ci ripagheranno ampiamente per il duro lavoro.

Federico Lavanche

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Caccia col falco al beccaccino in Irlanda

Grant Hagger & Martin Brereton con i suoi Pointer Inglesi. Foto: Eoghan Ryan
Grant Hagger & Martin Brereton con i suoi Pointer Inglesi. Foto: Eoghan Ryan

Di tutte le specie da piuma cacciabili, il beccaccino è, per certi aspetti, una delle più elusive e suggestive, essendo da sempre una delle più difficili da catturare.
E’difficile da localizzare, si mimetizza magistralmente e resta immobile quando si sente braccato. Non si invola fino all’ultimo secondo.
Cacciare il beccaccino (snipe , in inglese) ,da cui proviene la parola inglese sniper (cecchino), suppone un impegno ed una vera e propria sfida.
Nel libro The Art and Practice of Hawking (Arte e Pratica della Falconeria), scritto nel 1900, l’autore Michell, si riferisce alla caccia al beccaccino molto brevemente. Afferma che si pensa che una buona coppia di smerigli possa cacciare il beccaccino e che un tal successo si ottenne in epoca passata. Ma si deve dubitare molto che uno smeriglio o più possano catturare un beccaccino inglese completamente mutato. Proseguendo nella lettura del libro, quando si parla di altre prede catturate coi rapaci, afferma che occasionalmente il beccaccino, una volta involato, viene catturato da pellegrini centrati, con voli concentrici, non appena la preda parte.

Il falco pellegrino di Grant. Foto: Eoghan Ryan
Il falco pellegrino di Grant. Foto: Eoghan Ryan

Partendo dal presupposto che la prima picchiata è la più pericolosa, se il beccaccino si da alla fuga, difficilmente potrebbe essere catturato anche da una coppia dei migliori terzuoli.
In un solo caso si racconta di una femmina di shaheen che abbia cacciato il beccaccino con successo.
Secondo tutti i riferimenti storici, la caccia al beccaccino con gli uccelli da preda è difficile, quasi impossibile, più una rarità che una attività che possa essere praticata con regolarità.
Di fatto, testimonianze anteriori confermano che il beccaccino è tanto difficile da cacciare che sono necessari due dei migliori falchi, volati in coppia, per avere anche una minima possibilità concreta e costante di catturare.
Il libro di Michell fu scritto cento anni fa, ma vi furono annotate e registrate molte delle gesta più significative dei falconieri britannici (ed in minor misura irlandesi ed europei) di epoche antecedenti il suo tempo, raccontategli da falconieri anziani.
Ma corriamo rapidamente in avanti di cento anni, fino ad arrivare all’anno 2000, in Irlanda…
Forse, la prima volta che ho sentito parlare con reale interesse della caccia al beccaccino, fu tra il 2000 e il 2001.
Il falconiere irlandese Richard Brown, che ebbe occasione di vivere e lavorare negli Stati Uniti per poi tornare in Irlanda, viveva nella contea di Kerry, nell’estremo nord-est dell’Irlanda.
In quel luogo la quantità di beccaccini era notevole e questo falconiere stava provando ad insidiare con differenti rapaci questi tanto difficili quanto veloci animali.

Ibrido pellegrinoXsmeriglio con beccaccino. Foto: Eoghan Ryan
Ibrido pellegrinoXsmeriglio con beccaccino. Foto: Eoghan Ryan

Nel 2001 Richard scrisse un articolo sulla rivista annuale dell’Irish Hawking Club, intitolato “Reflections on Conditioning Three Falcons for Waiting on Flights” (il titolo poteva essere tradotto come “Riflessioni sul condizionamento di tre falchi nel volo a monte”). L’obiettivo, in ognuno dei tre casi, era quello di preparare il falco ad applicarsi con costanza al difficile volo al beccaccino. Nel suo articolo Richard rifletteva sull’addestramento, in tre tempi differenti, di una femmina di pellegrino imprintata, un terzuolo di pellegrino x prateria e un terzuolo di pellegrino, con l’obiettivo di cacciare il beccaccino.
In precedenza si era concentrato sulla caccia alle cornacchie con una femmina di pellegrino, un sacro maschio ed un ibrido sacro x pellegrino.
Con i tre falchi coi quali aveva sperimentato la caccia al beccaccino, il più promettente fu il terzuolo di pellegrino, dato che al termine della sua prima stagione di caccia insediava questi limicoli con le sue picchiate, seppure non con costanza e, comunque, nella maggior parte dei casi, non ne scaturisse un’azione che rappresentasse una concreta minaccia per una preda così veloce.

Beccaccini appena catturati. Foto: Andrea Meloni
Beccaccini appena catturati. Foto: Andrea Meloni

In questo stesso periodo, durante una giornata di caccia della IHC (Irish Hawking Club, il principale club di falconeria irlandese), stavamo chiacchierando con un piccolo gruppo di falconieri e Richard uscì dicendo che il giorno che fosse riuscito a fare la sua prima cattura a questa specie, avrebbe scritto un libro sulla caccia al beccaccino. Suppongo che fosse una conseguenza delle difficoltà e della sfida rappresentata da quel tipo di caccia. Uno o due anni più tardi Richard tornò negli Stati Uniti.
Nel 2004 Robert Hutchinson, un falconiere inglese che viveva in Irlanda, ed il suo amico Martin Brereton, un falconiere irlandese, invitarono alcuni compagni di falconeria dall’Inghilterra per andare a caccia in Irlanda. Il gruppo era formato da tre falconieri con Perlin (ibrido pellegrino x smeriglio): Grant Hagger, il cui perlin aveva catturato più di 500 prede, Simon Higham, il cui falco fino a quel momento aveva fatto 339 catture, delle quali 116 in quella stagione (compreso un gallo cedrone che pesava tre volte lui) e Liebenhals Greg, con un perlin alla seconda stagione.

Eric Witkowski con il suo pellegrino. Foto: Eoghan Ryan
Eric Witkowski con il suo pellegrino. Foto: Eoghan Ryan

Esistevano comunque altri falconieri che volavano terzuoli e femmine di pellegrino tra cui Martin Brereton, che aveva appena iniziato a volare un terzuolo di pellegrino (se non erro in quel momento si trovava nella sua seconda stagione). Martin era famoso per i suoi astori, ma in quel momento è ovvio che, visti i fatti, il suo interesse fosse rivolto al pellegrino ed alla caccia al beccaccino.
Nella prima di queste giornate, il falco di Grant rimase in ala per più di trenta minuti ed ottenne come ricompensa la cattura di un beccaccino. Io me lo persi, ma ebbi la fortuna di essere lì il secondo giorno. Formammo una squadra ed attraversammo la torbiera con alcuni pointer inglesi.
Ricordo alcune picchiate spettacolari ed emozionanti, nelle quali i beccaccini sembravano schivare o cabrare solo all’ultimo secondo, quando i perlin erano sul punto di raggiungerli. Veramente emozionante! Alzammo diversi Beccaccini ed assistemmo a numerose picchiate da grandi altezze. Quelli erano i nostri primi giorni di caccia al beccaccino e, riflettendoci bene, credo che fossimo un po’ fuori controllo, in quanto, procedendo a rastrello, in diverse occasioni alzavamo le prede nelle più svariate direzioni. In occasione di una picchiata vidi una nube di piume in aria, come se il falco avesse legato la preda, per poi vedere con stupore come il beccaccino continuasse il suo volo verso la libertà! Indubbiamente spettacolare! Ed infine il perlin di Greg Lieben catturò l’unico beccaccino della giornata. Tantissime emozioni, immenso entusiasmo ma… una sola cattura! Tre giorni a caccia di Beccaccini per due sole catture!

Beccaccino in volo. Foto: Berta Peinado
Beccaccino in volo. Foto: Berta Peinado

Martin Brereton continuò a cacciare beccaccini a Bog of Allen (le estese torbiere che circondano casa sua nella regione centrale dell’Irlanda) ed ottenne grandi risultati dato che il suo falco continuò a cacciare per diversi anni, raggiungendo più di un centinaio di catture in una sola stagione. E’una persona molto impegnata ed attiva, ostinata nel raggiungere la perfezione nell’arte e nella pratica della Falconeria.
Nel corso degli anni sono stato invitato a partecipare a diverse giornate di caccia organizzate da Martin, ed il suo falco si è distinto come un rapace eccezionale sui beccaccini. Martin è stato una fonte di ispirazione affinché gli altri falconieri si cimentassero nella caccia al beccaccino: in essa si è inserito anche un mio caro amico, Ireneusz Mitkowsky (conosciuto col nome di Eric in Irlanda). Eric è un polacco che viveva ad Edenderry, nella stessa città di Martin, seppure adesso viva nella contea di Kerry, che tra l’altro è il luogo dove il prima menzionato Richard Brown aveva iniziato a cacciare i beccaccini coi suoi falchi. Ho trascorso splendide giornate col mio amico Eric. Nella sua prima stagione, nel 2010, il suo terzuolo di pellegrino cacciò dodici beccaccini, due dei quali nello stesso giorno. Questo significa 12 beccaccini in più di quelli che Martin fece nella sua prima stagione col suo terzuolo.

La cattura. Foto: Eoghan Ryan
La cattura. Foto: Eoghan Ryan

Purtroppo, accadde qualcosa di veramente raro ed il tempo si fece molto freddo, con neve e gelate e temperature sotto lo zero, che spinsero i beccaccini a spostarsi lontano dalle zone aperte e dalle torbiere, verso le coste e le zone di drenaggio con canali che sono molto meno adeguati per la caccia al beccaccino. Comunque ho trascorso splendide giornate di caccia al beccaccino con Eric. Una di queste avvenne al termine di una giornata molto umida, durante una battuta di caccia dell’Irish Hawking Club nella stagione del 2009/10. A causa del maltempo , verso la metà della mattinata del secondo giorno, quasi tutti se ne erano andati, ma l’auto di Eric si ruppe. Quando finimmo di ripararla il tempo era migliorato e ci recammo su uno dei campi che ci avevano detto essere meta dei Beccaccini durante l’inverno. La sua estensione variava dai 5 ai 10 acri (dai 2 a i 4 ettari).
Liberammo il setter irlandese rosso di Eric attraverso i canali e i giunchi e perlustrò tutto il terreno in soli quindici minuti senza trovare la minima traccia dei limicoli. Ad un tratto, mentre tornava su sé stesso per perlustrare la zona restante, il setter si mise in ferma! Appena scappucciato, il terzuolo iniziò a montare, arrivando piuttosto in alto, ma si defilò da noi, sorvolando i campi sopra il paese laddove si riuniva la gente al calare della sera. Il terzuolo si fermò cinque minuti sorando, per poi tornare nuovamente sopra le nostre teste. Appena fu centrato il cane ruppe la ferma e alzò un beccaccino.

Grant Hagger con il suo terzuolo e il suo beccaccino appena catturato. Foto: Eoghan Ryan
Grant Hagger con il suo terzuolo e il suo beccaccino appena catturato. Foto: Eoghan Ryan

I successivi dieci o quindici minuti furono un po’ confusi: il terzuolo di Eric si lanciò in un’energica picchiata sul beccaccino, ma poco dopo se ne alzò un secondo ed il pellegrino iniziò a salire e a scendere come uno jojo. Il terreno non era dei migliori dato che attorno era pieno di filo spinato e siepi molto vicine a noi, ed il terzuolo in un paio di occasioni si avvicinò molto pericolosamente ad esse. Per evitare questi ostacoli, il falco era costretto a modificare il proprio volo, dando quelle frazioni di secondo di vantaggio che servivano ai beccaccini per fuggire.
Alzammo forse quattordici beccaccini in quindici minuti e a rinfrancare il fatto di non averne catturato neanche uno, furono i quindici minuti più divertenti di caccia al beccaccino che io abbia mai visto, col falco che fece alcune picchiate veramente impressionanti.
Diversamente, i lanci più spettacolari al beccaccino ai quali io abbia mai assistito, furono quelli dell’anno precedente (2009) e fino ad oggi non ne ho ancora visti di migliori. Conobbi Sergio Zenere, un falconiere italiano, al festival internazionale di Falconeria, in Inghilterra. Sergio mi chiese se ci fosse qualche falconiere irlandese che cacciasse beccaccini. Ci mantenemmo in contatto telefonico e tramite e-mail ed organizzammo un viaggio per farlo venire in Irlanda verso la metà di Novembre, periodo che avrebbe dovuto essere propizio per incontrare i beccaccini in zona ed avere il Pellegrino in buona condizione e forma. Arrivati a casa di Martin Brereton, incontrammo il simpatico Hagger Grant – a breve di rientro in Inghilterra – che si stava trascorrendo sette settimane con Martin. Il nostro primo giorno di caccia al beccaccino sarebbe stato il suo ultimo giorno in Irlanda, dato che sarebbe rientrato in Inghilterra in serata. In questa fase della stagione il pellegrino di due mute di Martin aveva catturato sei beccaccini, mentre il terzuolo di sette mute di Martin ne aveva catturati 20, numero a mio avviso inferiore a quello della stagione precedente.

Osservando i lanci al beccaccino. Foto: Eoghan Ryan
Osservando i lanci al beccaccino. Foto: Eoghan Ryan

Il tempo era perfetto, sereno e senza vento. L’ampia zona di torbiera color bruno si stendeva davanti ai nostri occhi e in lontananza il profilo verde della collina di Croghan si ergeva nel cuore della pianura. Non c’era ombra di dubbio che quello fosse davvero un posto fantastico per i falchi ed in assoluto il migliore per i nostri pellegrini autoctoni.
Grant lanciò il proprio pellegrino e sguinzagliammo 2 dei 3 cani – pointers inglesi – sul terreno. Il falco sembrava in forma, girando in cerchio e salendo con relativa facilità fino ad arrivare ad un’altezza di 150 metri facendo il punto sopra di noi. Continuando a girare e salire si spostò trenta o 40 metri alla mia sinistra (in orizzontale non in verticale) quando un beccaccino si alzò davanti ad uno dei cani, 30 metri alla mia destra. Il terzuolo si chiuse in una goccia perfetta e continuò con potenti battiti d’ala mentre si avvicinava al suolo fino a raggiungere una velocità che potrei solo ipotizzare tra le 100 e le 150 miglia orarie (approssimativamente 160-240 km/h).
Scese con un angolo acuto di circa 70°, e in pochissimi secondi aveva tracciato una “J” nel cielo.
Non arrivò in tempo sul beccaccino, che iniziò a salire molto rapidamente e a volare con giri concentrici attorno a noi e poi nuovamente verso la direzione dalla quale era venuto il pellegrino. Devo ammettere che il terzuolo non si dava per vinto ed inseguì il beccaccino nel cielo. Tuttavia ad un’altezza di circa 80 metri, e quando sembrava ormai essere sul punto di raggiungerlo, a 4 metri di distanza dalla preda, il terzuolo si rese conto che non c’era più partita e mollò, centrandosi sopra il cane che nel frattempo era nuovamente in ferma.
Stavolta, come se si fosse reso conto dell’errore commesso nella precedente occasione, non salì molto (circa 120 metri, potrei stimare) e si mise centrato sul cane. Lanciammo un urlo al cane per farlo muovere dalla ferma ed alzare ed in alcuni secondi il beccaccino si dette alla fuga ed il terzuolo , con una picchiata quasi verticale, scese giù come se fosse sulle montagne russe fino a strappare il beccaccino dal cielo. Aveva raggiunto una tal velocità che il suo istinto naturale sembrava spingerlo a continuare il volo fino a trasportare la preda per quasi 500 metri.

"Alzammo forse 14 beccaccini in 15 minuti ed
a rinfrancare il fatto di non averne catturato
neanche uno, furono i 15 minuti più divertenti
di caccia al beccaccino che io abbia mai visto,
col falco che fece alcune picchiate veramente
impressionanti."

La maggior parte dei falconieri che conosco sarebbe stata tanto ansiosa di sapere dove era il proprio falco che gli sarebbe corsa dietro. Ma non Grant. E’davvero stupefacente vedere un falconiere così rilassato dopo un risultato così eccezionale.
Era tanto disinteressato al resto dell’azione che Grant si voltò verso di noi e disse senza alcuna preoccupazione:
<< Questo lo terrà impegnato per un bel po’, adesso vediamo il falco di Martin in azione >>.
Non fece i tempo a finire queste parole che il falco di Martin si stava dirigendo verso il cielo e i cani correvano in avanti.
Martin ci chiamò entusiasta e ci chiese di restare nei paraggi di modo che se il falco avesse agganciato una preda e non l’avesse trattenuta, avremmo potuto, con un po’ di fortuna trovarla e nasconderla. Sembrava una buona idea. Ad una tratto i suoi due cani si misero in ferma simultaneamente uno a 10 metri dall’altro. Uno dei due si trovava a 15 metri alla mia sinistra, mentre l’altro era quasi alla stessa distanza sulla destra. Il terzuolo si mise esattamente sopra ai cani e … urlo ai cani, beccaccino che si alza in volo, picchiata del pellegrino, preda legata … proprio come il falco di Grant! E questo fu solo il primo giorno. Il mio amico era venuto fino dall’Italia per provare la caccia al beccaccino col falco e in 5 minuti la giornata di caccia era terminata con 3 beccaccini alzati e 2 catturati! Il mio amico Italiano era stupefatto. Non credo che sperasse tanto! I due falconieri avevano fatto si che sembrasse così facile…!
Il giorno seguente dovevo lavorare, e Grant era tornato in Inghilterra. Sergio andò a caccia con Martin. Fece una grande gelata quella notte. Il becco dei beccaccini è morbido in punta e viene utilizzato come sensore durante la ricerca degli insetti nella torba. Non riescono a penetrare il duro terreno gelato, perciò si dirigono verso il fango, nelle zone più protette dei canali e dei fossi di drenaggio, lungo i ruscelli di irrigazione e i fiumi con canali intercalati. Sergio mi raccontò che il falco di Martin rimase in ala per 35 minuti. Ad un certo punto il suo falco si alzò tanto da perdersi di vista, quasi a 300 o 400 metri di altezza. Finalmente, il terzuolo scese fino ad essere visibile e poco dopo ad un’altezza più adeguata alla caccia al beccaccino. Dopo 35 minuti alzarono il primo beccaccino e in quel momento, così come era accaduto il giorno precedente, il falco si trovava in posizione ed altezza perfette per iniziare la sua picchiata verticale, agganciando la sua preda. Almeno in questo giorno Sergio si trovò nel fango per 3 minuti!

Terzuolo di Grant Hagar. Foto: Eoghan Ryan
Terzuolo di Grant Hagar. Foto: Eoghan Ryan

Mi ero tenuto libero anche il terzo giorno, nel quale ebbi la fortuna di assistere ad uno spettacolo unico. Ci recammo ad una torbiera poco distante da casa di Martin. Camminammo ai margini mentre i cani lavoravano uno a 50 metri dall’altro, poco distanti da noi, Martin ci chiese di restargli vicino. Procedendo, si alzò un’allodola 4 o 5 metri davanti a me e girò verso sinistra. Ma fu ignorata dal pellegrino, che in quel momento si trovava proprio sopra di me, più o meno a 80 – 100 metri di altezza.
L’allodola era salita di circa 3 metri, ma tutto era avvenuto con tanta rapidità che né Martin né Sergio si accorsero realmente su quale preda il falco stesse picchiando. Fortunatamente i sensi dell’allodola erano più efficaci dei nostri e il fatto che il pellegrino arrivasse a circa 3 metri da terra, restasse un po’in perlustrazione e poi atterrasse mi fece pensare che l’avesse mancata. Aveva forse raggiunto l’allodola? Ripensandoci poteva essere possibile. Ma il pointer inglese di Martin fece la sua prima ferma del giorno e questo fu uno stimolo sufficiente perché il falco si alzasse nuovamente in volo. In un istante il falco salì e salì fino a raggiungere un’altezza di 350 piedi (100 metri). Al grido, i cani ruppero la ferma e il beccaccino si alzò con forza, pochi metri davanti al cane. Con poderosi colpi d’ala si alzò in cerchi concentrici vicino a Martin e me, ad una distanza di non più di 20 metri, ma salendo allo stesso tempo. Il terzuolo picchiò proprio sopra le nostre teste e mi girai per vedere la picchiata verticale e poi verso l’altra per vedere la sua traiettoria e lo vidi agganciare il beccaccino in aria.
Tutto avvenne in meno tempo di quanto serve a leggere questa frase! Martin lanciò un’esclamazione di dissenso perché sperava di avere un po’ di tempo per migliorare la fitness del suo falco: eravamo stati fuori meno di dieci minuti! Il terzuolo, col beccaccino tra gli artigli, continuò per 150 metri ed atterrò su di un piccolo cumulo di torba, iniziando a consumare il meritato pasto. Per l’Italiano, osservare in tre giorni 3 picchiate del falco di Martin su 3 beccaccini con 3 catture significò un inverosimile 100%. Se oltretutto consideriamo i meravigliosi voli di Grant, catturammo in tutto 4 beccaccini su 5 alzati! Niente male, oltre al fatto che fu uno spettacolo incredibile.
Nella sua prima stagione Martin non aveva catturato neanche un beccaccino, ma forse ispirato dagli inglesi e sapendo che era fattibile, vi si era dedicato con fervore. Dedicò 3 anni ad addestrare il suo falco alla caccia al beccaccino in modo costante. In una sola stagione Martin cacciò 136 beccaccini col suo pellegrino che adesso ha 8 anni perciò Dio solo sa quanti altri ne catturerà. Sicuramente più di mille.
Gli ultimi due inverni sono stati più freddi del solito, con temperature sotto lo zero e neve, condizioni per niente buone per i beccaccini. A questo si sommò che il setter irlandese di Eric iniziò a perdere resistenza sul campo e iniziò a tradire falco e falconiere.
Quest’anno Eric ha un nuovo setter e spera di fare una stagione migliore, pari alla prima. Inoltre ha un terzuolo di due mute ed abbiamo impostato un progetto di falconeria insieme, con l’acquisto di un altro terzuolo in comune. Abbiamo addestrato il falco con l’aquilone per farlo stare a monte in modo da tenerlo centrato sopra di noi. Per ora fa il punto a 300 metri di altezza in 7 – 8 minuti ed in questo momento siamo nella fase in cui gli rilasciamo sotto prede in modo da distrarlo dall’aquilone e farlo centrare su falco e cane… E speriamo presto di avere una stagione di emozioni!
Il beccaccino è una bellissima preda.
Speriamo che ci ispiri e che ci tenga impegnati a lungo… con i nostri poderosi pellegrini!

Per maggiori informazioni sulla falconeria in Irlanda potete contattare l’autore tramite e-mail: info@kingdomfalconry.com

Eoghan Ryan, Presidente del’Irish Hawking Club.

Si ringrazia per la traduzione: Iacopo Stefanini

Riproduzione Riservata – Articolo pubblicato sulla rivista di falconeria “La Alcandara” edita dalla AECCA e pubblicato su www.falconeria.org, con il permesso della AECCA

Non dimenticate chi siamo e perchè lo facciamo

noble_art_of_falconry3Forse sta succedendo, forse i tempi sono maturi perché i falconieri italiani facciano breccia nell’ostico passato e ritornino a condividere la propria passione. Forse è arrivato il tempo in cui anche gli italiani esordiscano nella dimostrazione di ciò che questo grande popolo sa fare.

…Ma c’è un tarlo che mi logora; una vocina che continua a sussurrarmi qualcosa e come un continuo ronzio che mi mette in guardia. Ho come l’impressione che se in superficie tutto dia l’impressione di fiorire, sotto di noi un vulcano ribolle nell’attesa di esplodere.
Leggo e rileggo tanto di ciò che si è scritto negli ultimi tempi, poi mi accorgo che parole come ambientalismo, animalismo, perbenismo, prendere le distanze dalla caccia, hanno fatto ingresso nel nostro mondo, in punta di piedi, quasi non ce ne fossimo nemmeno accorti.
Perché anche se dovrei essere contento di tanto fermento, continuo a sentirmi sul collo il fiato del nemico?

falconryIo sono un cacciatore, io uccido; non per gioco, non per piacere, ma perché è la mia natura. Sono consapevole della mia azione, nutro grande stima per quella preda che a me si dona; riconosco il privilegio che m’è stato dato e lo rispetto.

Allora dico: attenti, non lasciamo mai che parole come associazionismo, politica, ministri, compromesso, poltrone, … diventino la colonna portante di ciò che siamo; ma restino solo i mezzi per raggiungere il nostro scopo.
Sono invece quegli antichi sapori arricchiti da nobili termini come a monte, frullo, in piuma, yarak, a goccia, in ferma, a vento.. a nutrire la nostra anima rendendo eterna la Falconeria.
Mio padre mi ha insegnato che qualunque cosa succeda sii sempre un D’Errico, non sia MAI doverci travestire da pecore per paura di essere lupi.

Non perdete la via maestra, non vendiamo la nostra identità, non chiniamo il capo a chi crede che alleandoci col nemico ne elemosineremo l’indulgenza.
E a tutti coloro in cui alberga ancora quello spirito nobile del falconiere dico: mai, mai pronunziare il termine Falconeria se non con orgoglio e dignità, perché un falconiere, non meriterebbe questo titolo, se anche per un solo istante esitasse d’esser fiero di esserlo.

gos-on-pheasantQuante volte vi é successo di chiedervi cosa ve lo faccia fare?
Un Vecchio Falconiere spagnolo definì la Falconeria: ..”una forma di schiavitù volontaria”.. Un altro la definì: “l’arte più difficile”.

Ebbene cos’é che rende la Falconeria così eccezionale da non poter più essere considerata solo una passione, diventando di diritto uno stile di vita.
Non solo per il carniere, o da tempo avremmo posato il falco per il più vile piombo;
Non per l’esibizione, dovremmo altrimenti chiederci cosa ci facciamo ogni giorno da soli in queste lande desolate;
E nemmeno per l’amore verso i nostri falchi, sentimento che loro, i falchi, non avranno mai la cortesia di condividere con noi;
Ancora oggi, liberando un falco, mi chiedo chi tra noi sia il capo e chi il servo.
Forse è per quel momento… quel fugace attimo, in cui tutto, da immobile contrazione muscolare, mentre il tuo corpo sembra non voler restituir respiro, esplode in scatto, urla, frulli, vento, sangue, terra.. E il sangue torna caldo a rifluire e ciò che é accaduto resterà un segreto tra la natura e ciò che siamo: Falconieri, fieri di esserlo.

Matteo D’Errico

Ingredienti per buoni lanci al beccaccino

 

Grant Hagger & Martin Brereton con i suoi Pointer Inglesi. Foto: Eoghan Ryan
Grant Hagger & Martin Brereton con i suoi Pointer Inglesi. Foto: Eoghan Ryan

Un buon terreno di caccia con molti beccaccini1. Le torbiere sono ideali. Per far si che il falco impari a seguire il cane, questo deve essere in grado di fermare beccaccini con relativa facilità e sufficiente frequenza. All’inizio della stagione, prima che arrivino i beccaccini, la cosa migliore è che il terzuolo picchi su prede più piccole ed agili, come allodole, merli, etc. Perciò può essere necessario, per esempio, battere le siepi ai bordi della torbiera (nello stesso modo in cui si battono per lo sparviero) ed alzargli merli in campo aperto.Se la femmina o il pellegrino si abituano a catture di dimensioni maggiori come fagiani o germani, potranno cacciare con successo il veloce beccaccino. 

Un buon pellegrino Dimenticati gli ibridi! I perlin (pellegrino x smeriglio) si usarono in passato ma, secondo Grant Hagger, che li volò con successo al beccaccino, in generale non raggiungono in picchiata le punte di velocità necessaria a catturarlo. Il terzuolo di pellegrino è il falco migliore. 

Il cane è imprescindibile Molti falconieri si concentrano innanzitutto sul falco e mettono il cane in secondo luogo. Per questo tipo di falconeria serve un cane ben addestrato, che fermi bene e tenga finché il falco non è centrato. Potrebbe essere necessario comprare ed addestrare il cane per un anno prima di metterlo col falco. 

Una pratica perfetta porta la perfezione. E’un vecchio detto di un compagno di squadra con cui giocavo a basket all’università, ed è la verità. Alla fine, il miglior addestramento per un giovane pellegrino è volare continuamente al beccaccino. E’incredibile con quale minuzia un falco possa aggiustare altezza, posizione, inclinazione e tecnica per correggere gli errori. In fondo, nessuna preda può abituarlo a cacciare beccaccini meglio del beccaccino stesso…

E’importante che se resta basso oppure non si centra, gli si alzi comunque la preda, in modo che impari a posizionarsi meglio la volta successiva.

Per quanto ho osservato, il frullino è più facile da catturare per il falco, dato che si alza in linea retta (seppure cerchi la rimessa prima del beccaccino) mentre il beccaccino si alza a zig zag fino ad una certa altezza ma cerca la rimessa ad una distanza maggiore. 

Tempo = Buona forma ed esperienza. Si è soliti dire che la falconeria “è lo sport dei ricchi e dei disoccupati”. Martin caccia tutti i giorni della stagione venatoria eccezion fatta per il giorno di Natale. E’uno dei pochi fortunati. Evidentemente, in queste circostanze, i suoi falchi raggiungono la giusta fitness, la mantengono, ripartono dagli insegnamenti del giorno precedente e imparano a conoscere il territorio. Martin mi racconta che se lanci i suoi falchi senza l’ausilio del cane, questi salgono all’infinito. Ma quando caccia con i cani, i falchi hanno imparato perfettamente che altezza raggiungere, a seconda del terreno, e come posizionarsi a seconda della direzione e dell’intensità del vento.

Per esempio, se vola in zone con arbusti o vicino alla fitta vegetazione, il falco non salirà troppo, perché sa che la preda troverà la rimessa facilmente; nelle torbiere aperte salirà molto in alto. Alla stessa stregua, in un giorno con vento assente o molto calmo, il falco si collocherà proprio sopra il cane, mentre in un giorno di vento sostenuto si posizionerà sopra vento rispetto al cane, così da guadagnare un leggero vantaggio dato che il beccaccino parte sempre in volo becco al vento. 

1 In Irlanda sono presenti il beccaccino (Gallinago gallinago) e il frullino (Lymnocryptes minimus). Si calcola che ci siano 10.000 coppie riproduttive di beccaccino in Irlanda e, probabilmente, 20.000 frullini svernanti, originari della Scandinavia e della zona del Baltico. Dati forniti da Glynn Anderson, Bird of Ireland – Fact, Fo,lklore History, 2008)

Eoghan Ryan, Presidente del’Irish Hawking Club.

Si ringrazia per la traduzione: Iacopo Stefanini

Riproduzione Riservata – Articolo pubblicato sulla rivista di falconeria “La Alcandara” edita dalla AECCA e pubblicato su www.falconeria.org, con il permesso della AECCA

Gli obiettori di coscienza ora vogliono il fucile

fucile

Complice una legge unica al mondo, voluta dal governo Prodi, chi in passato ha scampato la naja con la scusa del rifiuto di coscienza alla violenza oggi può pretendere il porto d’armi. E 7mila hanno già rinnegato se stessi.
Milano – Un esercito in marcia. Migliaia e migliaia di obiettori che ora fanno il cammino inverso: dalla pace alle armi. Dalla colomba al fucile. Complice una legge surreale voluta dal governo Prodi nel 2007.
Una norma probabilmente unica al mondo che permette di revocare una scelta, un ideale e uno stile di vita come fossero uno scontrino sbagliato. Da ribattere. Ma sì, oggi in Italia è possibile dissociarsi da se stessi e dunque si può tranquillamente chiedere di mettere fra parentesi, quasi cancellare, quel pezzo della propria vita. Lo consente la legge numero 130 del 6 settembre 2007. Un escamotage, ma anche uno scivolo sfruttatissimo: nel silenzio generale sono già oltre settemila le persone che hanno scritto a Roma e ottenuto il cambiamento di status. Una modifica che non è solo verbale ma permette tutta una serie di attività che all’obiettore erano e sono vietate. Per esempio, impugnare un fucile da caccia. Oppure entrare nei corpi dei vigili, nella polizia o nei carabinieri.

È evidente, anche se mancano statistiche precise, che la gran parte degli ex punta a lasciare l’esercito degli obiettori per ingrossare quello dei cacciatori. I numeri mostrano una progressione sorprendente: 1.258 «istanze di rinuncia allo status di obiettori di coscienza», come si dice in gergo, trattate nel periodo compreso fra il 6 settembre e il 31 dicembre 2007; altre 3.189 nel 2008; 2.957 nei primi otto mesi del 2009. In totale, finora, sono 7.404 gli obiettori che hanno fatto il grande salto e sono diventati ex rinnegando il proprio passato.

Quando l’obiezione era una scelta di frontiera, un atto di coraggio anticonformista e controcorrente nell’Italia del servizio militare obbligatorio. C’è stato un periodo eroico, poi, dal 1972, l’obiezione diventò di fatto un’alternativa alla leva e col tempo si trasformò in un fenomeno di massa. Molti prendevano quella strada per noia o semplicemente per evitare i dodici mesi canonici di naia in qualche caserma. Un mondo che ci siamo lasciati alle spalle nel 2005 quando il reclutamento obbligatorio è finito. Ora ci sono due possibilità complementari e soprattutto su base volontaria: il servizio militare o il servizio civile. Due facce della stessa medaglia, la difesa della patria, non più contrapposte.

Quel che era difficile immaginare era però quella coda, all’italiana, di una stagione di grandi sogni e grandi ideali. Il governo Prodi mette in cantiere una norma che permette di sconfessare con una banalissima domanda, come fosse un modulo, il proprio passato. Il testo passa, l’articolo chiave, il 7 ter, è un’autostrada: «L’obiettore ammesso al servizio civile, decorsi almeno cinque anni dalla data in cui è stato collocato in congedo secondo le norme previste per il servizio di leva, può rinunziare allo status di obiettore di coscienza presentando apposita dichiarazione irrevocabile presso l’Ufficio nazionale per il servizio civile».

Curioso: la scelta fatta da giovani può essere cambiata a posteriori, ma la revoca è, ci si scusi il bisticcio, irrevocabile. In altre parole, si può tornare indietro dal proprio utilizzando quella che a tutti gli effetti appare una sorta di sanatoria sull’orizzonte di grandi ideali. Che, evidentemente, col progredire dell’età si rimpiccioliscono. Ma la maggioranza di centrosinistra è compatta a favore della norma e in aula solo Carlo Giovanardi va all’attacco. Sottolinea l’assurdo di una revoca che diventa definitiva, contraddicendo la libertà di coscienza. Poi va al sodo: «Chi faceva questa dichiarazione sapeva benissimo che avrebbe avuto una limitazione molto piccola: sulla base delle sue convinzioni non avrebbe potuto in seguito andare a caccia o fare il carabiniere. In pratica, avere il porto d’armi. Non so se riuscite a cogliere la contraddizione da Paese di Pulcinella – conclude Giovanardi – la beffa di chi ha fatto l’obiezione di coscienza, non ha prestato il servizio militare e poi, magari, si fa fotografare con sette lepri uccise».

No, i colleghi non riescono a cogliere la contraddizione. E centinaia di obiettori scoprono di aver cambiato il modo di pensare, non condividono più gli orientamenti della giovinezza, vogliono mandare in soffitta quelle ragioni morali, filosofiche, religiose che in passato li avevano spinti su quella via impervia. Si iscrivono all’esercito degli ex e chiedono che lo Stato li consideri tali.

È esattamente quel che sta succedendo un po’ in tutta Italia. C’è stata una stagione in cui c’era la corsa all’obiezione. Con una punta, negli ultimi tempi di centomila domande l’anno. E un totale, fra il 1972 e il 2005, di seicentomila obiettori. Ora c’è la corsa contraria, alla revoca. E tocca proprio a Giovanardi, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al servizio civile, monitorare il fenomeno. «Il mio ufficio – spiega al Giornale – è sommerso dalle istanze di revoca. Domande che vengono accolte in automatico». Una contromigrazione che non ha precedenti.

di Stefano Zurlo
fonte: il giornale.it

La storia di Fulvia il Falco pellegrino

falco pellegrinoTanti anni fa, mi pare all’inizio del 1967 il dott.Coppaloni mi telefonò dicendomi che aveva un falco pellegrino da darmi.
Senza perdere un secondo,saltai sulla mia 500 e mi precipitai a via Tuscolana 741,dove abitava il dott. Coppaloni.
Si trattava di una femmina di passo catturata due anni prima in dicembre.
Per due anni uno pseudo falconiere,nel tentativo di addestrarla, senza per altro capirci molto l’aveva tenuta magrissima e l’aveva ridotta malissimo di penne.
Poiché non era riuscito ad ottenere nessun risultato l’aveva data al dott. Coppaloni.
Il dott. Coppaloni,visto come era ridotta me la aveva regalata dicendomi:’veda se riesce a farci qualcosa se no la possiamo portare allo zoo.
Si trattava di una femmina molto corta e larga con zampe cortissime,quasi più simile ad un’anatra che ad un falco.
Era stata chiamata Fulvia.
Dalla pesantezza del suo aspetto capii che non sarebbe stato facile rimetterla in forma.
Il carattere,forse a causa dei maltrattamenti subiti,era pessimo,sempre terrorizzata ed aggressiva.
Ogni qual volta che era a portata di zampa cercava di ferirmi sino a che un giorno,mentre mangiava in pugno mi graffiò la faccia molto vicino ad un occhio.
La mia reazione istintiva fu di darle una sberla(lo so che non si fa’! ) e Fulvia cadde dal guanto.
Potrà sembrare incredibile ma da quel giorno cambiò completamente.
Forse fu dovuto al mio senso di colpa in quanto,cominciai a pensare a quante sofferenze aveva patito quel falco e di conseguenza raddoppiai le attenzioni ed il tempo che passavo con lei.
In poco tempo Fulvia divenne così mansueta che non solo si faceva carezzare ma quando le infilavo le dita sotto le piume del petto si gonfiava di piacere completamente rilassata.
La sua domesticità era però solo con me;chiunque si avvicinasse la metteva in agitazione e tentava di fuggire gettandosi dal pugno o dal blocco.
Quando iniziai ad addestrarla capii le enormi difficoltà che avrei incontrato per rimetterla in forma.
Le prime volte che la chiamavo al logoro dalla distanza di circa 50 metri,veniva a tappe,a metà percorso si poggiava ansimando,poi ripartiva e finalmente arrivava sul logoro.
Proprio in quel periodo sentivo spesso Jack Mavrogordato (con cui in passato ero stato a caccia di corvi nelle piane di Salsbury in Inghilterra) il quale mi consigliò per poter rinforzare Fulvia di farle fare dello “stooping”(passate al logoro),addestramento che lui usava per tenere in forma i suoi fantastici falchi da corvi.
Detto fatto imparai la tecnica(ben descritta nel libro di Mavrogordato)e giorno dopo giorno aumentavo a Fulvia i passaggi al logoro.
Dopo circa sei mesi di addestramento giornaliero eravamo arrivati a circa 80 passaggi al logoro eseguiti con grande veemenza.
Avevo in quei mesi affinato una tecnica per farla salire sempre più in alto:Ogni qual volta arrivava da un altezza un po’ superiore alla sua media,le facevo prendere il logoro.
Eravamo arrivati al punto che dopo un buon numero di passate nascondevo il logoro dandole così il tempo di salire sempre più alta.
Con il passare del tempo e con questi accorgimenti,Fulvia saliva altissima ed aspettava a lungo sino a che roteavo nuovamente il logoro ed allora scendeva a goccia ad una tale velocità che non potendo più controllare la situazione e per evitare che cercando di ghermire il logoro a quella velocità potesse strapparsi un unghia(cosa che era già accaduta) gettavo con forza il logoro a terra prima che lei arrivasse.
Perfezionai questa tecnica sino al punto che Fulvia solo con l’uso del logoro aveva imparato a salire altissima e ad aspettare anche molto a lungo.
Quando il dott.Coppaloni vide il risultato di tanti mesi di lavoro,mi mise a disposizione la riserva di Nepi ( a quel tempo bellissima e piena di starne selvatiche) permettendomi di andare a volare li con Fulvia.
starnaTutto sembrava ormai perfetto,avevo un falco che volava altissimo e la possibilità di cacciare in una riserva piena di starne,ma purtroppo si presentò un altro problema apparentemente insormontabile: Fulvia si rifiutava di attaccare qualsiasi tipo di preda;rifiutava i piccioni,non guardava né starne né fagiani,era una vera pacifista!
Aspettava ed attaccava solamente il logoro con una veemenza come se si trattasse della più ambita delle prede.
A quel punto visto che avevo accesso alla riserva di Nepi, andavo li con mio cugino Fulco ,Fulvia ed il mio cane di nome Fido che era una femmina di setter di taglia piccola.
Ogni volta liberavo Fulvia, le facevo fare una ventina di passate al logoro,poi lo nascondevo.
Fulvia saliva altissima ed a quel punto
Fulco ed io iniziavamo a correre per la piana frullando brigate di starne che il falco puntualmente ignorava con nostra grande frustrazione.
Finalmente un giorno il miracolo:una brigata di 5 o 6 starne volò parallelamente ad un bosco, Fulvia che si trovava molto alta sopra al bosco,forse non vista dalle starne improvvisamente si decise ad attaccare.
Discese quasi in verticale,spuntò improvvisamente da sopra gli alberi e con grande naturalezza andò ad impattare una starna lasciandola morta sul colpo.
Potete immaginare i salti di gioia di chi come me aveva ormai quasi perso ogni speranza di riuscita.
Finalmente dopo circa un anno di addestramento ininterrotto,avevo raggiunto lo scopo.
Da quel giorno,Fulvia con il suo corpo tozzo e le zampe corte divenne una star.
Non afferrava mai la preda credo a causa delle sue corte zampe,ma riusciva egregiamente ad abbatterla con l’urto che era sempre piuttosto violento.
Nel Dicembre del 68 il dott.Coppaloni organizzò un raduno di falconeria internazionale che si svolse nelle bellissime riserve di Nepi,Sutri e Settevene.
Le tre riserve una vicina all’altra erano ancora ben fornite di selvaggina,ma le starne sopravvissute alle doppiette ed ai falchi erano in quel mese praticamente incacciabili;partivano da tali distanze che non si riuscivano quasi mai a vedere.
I fagiani ormai si erano fatti furbi e si guardavano bene dal farsi trovare fuori dai boschi per cui cacciare con i falchi era quasi impossibile.
Jack Mavrogordato, Renz Waller e Ernesto CoppaloniTutti i falconieri italiani e stranieri (erano presenti tra gli altri Renz Walzer,Jack Mavrogordato,Woodford ,etc.)avevano quasi rinunciato a cacciare,e quindi l’unica che riuscì a dare spettacolo(anche perché giocava in casa ) fu Fulvia che con tempi inclementi,forti venti e starne quasi imprendibili riuscì regolarmente a predare ma con grande difficoltà.
Riporto da un articolo del dott. Coppaloni sulla rivista “la riserva di caccia”: Fulvia ha veramente fatto accademia,tenendo a 500 metri di quota il suo potentissimo volo,sempre controvento e della durata persino di un’ora seguendo attentissima il lavoro di veloci pointers e setters.
Ha stoccato magistralmente le starne,tagliando tutto l’arco del cielo con picchiate fantastiche!
Jack Mavrogordato,insistette affinché spiegassi a tutti che ero riuscito ad ottenere quel risultato grazie allo “stooping” da lui raccomandato,cosa che feci con piacere in quanto era l’assoluta verità.
In, quell’epoca,la fama dei voli di Fulvia,di Rosario e di Alice i tre mitici falchi di altovolo si sparse nel mondo della falconeria internazionale e la fama dei falconieri italiani salì di livello.
I falconieri di tutta Europa videro che si potevano ottenere risultati diversi da quelli a cui erano sino ad allora abituati ed iniziarono a porsi nuovi traguardi.
Felix Rodriguez de la Fuente ,venne appositamente a Roma per ingaggiare o me o Fulco Tosti per iniziare l’operazione di falconeria negli aeroporti militari in Spagna; Aveva bisogno di falconieri capaci di addestrare dei falchi a cacciare le galline prataiole che infestavano gli aeroporti con grave rischio per gli aerei in decollo o in atterraggio.
Partì Fulco Tosti che come tutti sanno riuscì perfettamente nell’operazione che è in essere ancora oggi e si è enormemente sviluppata.
Torniamo a Fulvia.
Fulvia doveva volare tutti i giorni in quanto se faceva una pausa di un mese aveva bisogno di almeno due mesi di allenamento ininterrotto per poter tornare in forma.
Aveva una formula alare tale che le era impossibile planare,infatti come smetteva di battere le ali,perdeva immediatamente quota,immaginate quindi che forma fisica doveva avere per restare in volo ad alta quota per più di un ora con ogni genere di tempo.
Un anno,nel mese di Luglio,forse perché era troppo grassa(pensate che volandola tutti i giorni non usavo la bilancia e la lasciavo sempre mangiare a sazietà) mentre era alta,vide qualcosa in lontananza,l’attaccò e la persi.
Dopo tre giorni di inutili ricerche disperato partii per le vacanze a Pantelleria.
Dopo circa 15 giorni mi arrivò un telegramma da Fulco :Ritrovata Fulvia Stop.
Presi il primo traghetto e tornai a Roma dove Fulco mi raccontò l’accaduto .
Un cacciatore che a caccia chiusa girava con il suo cane ,lo aveva visto in punta vicino ad un cespuglio,nel cespuglio c’era Fulvia a gozzo pieno.
Il cacciatore si era tolto la giacca con la quale non so come era riuscito a catturare Fulvia.
La targhetta con il mio numero telefonico attaccata alla zampa del falco aveva fatto il resto.
Il cacciatore aveva chiamato casa mia ed i miei genitori avevano chiamato Fulco che aveva recuperato il falco in perfette condizioni.
Ernesto CoppaloniAd Ottobre di quello stesso anno contro il parere del dott. Coppaloni decisi di andare a caccia con Fulvia in Inghilterra dove una mia amica aveva un’azienda agricola nel Dorset letteralmente piena di starne.
Il mio tentativo fu un errore madornale!Al primo volo di Fulvia,come partì dal mio pugno,si alzarono migliaia di pavoncelle,di corvi e di storni .
Fulvia perse la testa e cominciò ad inseguire pavoncelle in tutte le direzioni.
Finalmente dopo circa un quarto d’ora tornò sopra di me ed io invece di richiamarla subito volli provare a cacciare.
Fu un errore perché come mi avviai verso un campo dove sapevo che avrei incontrato delle starne,passò all’altezza di Fulvia un branco di oche che l’attirarono verso nord.
La vidi picchiare e probabilmente prendere qualcosa molto lontano,ma purtroppo quando mi avviai in quella direzione mi trovai la strada sbarrata da un grande fiume.
Presi la macchina,percorsi a tutta velocità la distanza che mi separava dal ponte più vicino,ma quando arrivai al di la del fiume ,di Fulvia nessuna traccia.
Persa per sempre,tornata in libertà.
Mi domandai in seguito se se la fossa cavata,la risposta mi arrivò da Mavrogordato che abitava vicino alla zona in cui l’avevo persa,infatti dopo circa due mesi mi chiamò per dirmi che aveva visto un falco con tanto di campanelli alle zampe che faceva un bell’altovolo sopra degli alberi in cui aveva fatto rifugiare dei corvi;era convinto che fosse lei ed anche io l’ho sempre sperato.

Ferrante Pratesi

fonte: cacciando.com

Animalisti contro ecologisti! Rapaci rari sfracellati dalle pale eoliche

Sfracellare; significato: Schiacciare,maciullareridurre a brandelli, spec.con colpiurti violenti. L’energia rinnovabile più inutile,improduttivacostosanon a ciclo continuodeturpante del paesaggio nonchè degli orizzonti e per finire assassina di milioni e milioni di volatili l’anno in tutto il mondo, che le potenti lobby di super finanzieri travestiti dapaladini della natura hanno abilmente spacciata per non impattante sul territorio, ha acceso e sempre più accende unalotta fratricida tra animalisti ed ecologisti. Ecologia versus Ecologia. E’ tutto dire! Eh si perchè gli ecologisti quelli veri, che hanno a cuore le sorti di questo pianeta e insieme ad esso di tutte le specie animali che lo popolano, non ne possono proprio più di tapparsi il naso ed appoggiare i fratelli traditori dalle mani lunghe, che in forma aquila e pale eolichedi Società per azioni e in combutta con petrolieri e finanzieri, stanno tradendo tutti i principi base di una scienza, ma soprattutto di un sentimento vastonobile e popolare come quello dell’ecologia. Ma senza dilungarci troppo, leggiamo le affermazioni di qualche voce autorevole al riguardo. Ecco una parte di intervista con il norvegese ornitologo Alv Ottar Folkestad, che si occupa della sopravvivenza delle“aquile dalla coda bianca” nelle zone costiere della Norvegia ( fonte: www.marklynas.org  …  Il primo impianto eolico di dimensioni significative in Norvegia a Smøla, è localizzato nella zona più spettacolare della concentrazione di nidificazione di aquile dalla coda bianca mai conosciuto. Ci sono piani per portare la produzione di energia eolica a dimensioni enormi. Gli impianti produttivi di questo tipo di energia sono localizzati nelpaesaggio costiero più incontaminato delle zone più importanti per la White-tailed Eagle ( aquila dalla coda bianca ). Durante gli ultimi cinque anni e mezzo, l’impianto eolico di Smøla ha ucciso 40 aquile dalla coda bianca27 delle quali uccelli adulti o sub adulti e 11 esemplari nel solo corso del 2010. Non ci sono misure di mitigazione adottate finora, quasi nessuno ci sta pensando e non vi è alcuna indicazione che possa far pensare a un possibileadattamento delle aquile a tali costruzioni. Ed ecco un altra testimonianza: Forse il parco eolico meglio studiato al mondo è ad Altamont Pass in California, dove decine di specie protette tra cui leaquile d’oro e i gufi, vengono uccise ogni anno, rendendo la zona un campo di sterminio per questi uccelli. L’espertoShawn Smallwood ha condotto indagini nella zona e stima che 70-80 aquile d’oro vengono uccise ogni anno dallepale delle turbine, su una popolazione totale californiana di aquile di 3000-5000 esemplari. Di solito le carcasse degli uccelli sono state trovate vicino alle turbine. Il più delle volte sono state trovate smembrate, altre con la testa o un’ala mozzata, altre volte ancora l’uccello è stato tagliato a metà nel senso della lunghezza o al centro del corpo. Interventi di bonifica sono attualmente in corso, eliminando le turbine situate nelle zone più frequentate dai rapaci. Ma come può l’energia eolica essere compatibile con la conservazione degli uccelli su scala più ampia? E stata posta questa domanda a Clive Hambler, un biologo della conservazione presso il Dipartimento di Zoologia della Oxford University. Questo è un brano della sua risposta: red_kite_killed_0Credo che le centrali eoliche sono potenzialmente il più grande disastro per gli uccelli predatori fin dai tempi della persecuzione da parte dei guardiacaccia e penso che le fattorie eoliche sono una delle più grandi minacce per i pipistrelli dell’Europa e del Nord America, dopo quella della deforestazione su larga scala. L’impatto sta già diventando serio per le aquile dalla coda bianca in Europa, come è evidente in Norvegia. Un parco eolico – nonostante l’opposizione messa in campo dagli ornitologi – ha decimato una popolazione importante, uccidendo 40 aquile dalla coda bianca in circa 5 anni e 11 animali di questa specie nel solo nel 2010. L’ultima grande otarda ( altro rapace ) nella provincia spagnola di Cadice ( vedi la foto sopra ) è stata uccisa da una turbina a vento. Nella mia esperienza, alcuni “verdi” sono in completa negazione di questi effetti, o magari immaginano che questi pipistrelli e uccelli possano subire senza problemi grosse perdite. In realtà essi non possono, perché si riproducono molto lentamente. Gli uccelli rapaci si librano in volo spesso nelle zone in cui sono situate le centrali eoliche e possono venire attratti verso la morte dalla vegetazione e dalle prede intorno alle turbine. Una simile trappola mortale ecologica si è materializzata per i pipistrelli, a causa di alcune specie di insetti attratti dalle prede o dal rumore intorno alle turbine. Ci sono indicazioni molto gravi di un insabbiamento dell’entità del problema da parte di alcuni operatori, che nascondono i cadaveri degli uccelli, ma basta guardare il sito Save the Eagles per avere le prove accumulate, nonostante gli spazzini o l’inganno. Di seguito il toccante video di un avvoltoioschiantatosi al suolo dopo che una pala eolica gli ha spezzato l’osso di un’ala. Nel video è impressionante udire chiaramente il rumore secco dell’osso rotto dalla turbina.     fonte: meteoportaleitalia.it

Aquile reali intossicate dal piombo delle munizioni dei cacciatori

Il rapace si nutre delle carcasse degli animali uccisi, e ingerisce anche il minerale nocivo

aquila reale morta piomboSEMPACH – I resti delle munizioni nelle viscere o nella carne degli animali uccisi dai cacciatori provocano intossicazioni al piombo negli uccelli che si nutrono di carcasse, come l’aquila reale. Lo dimostrano i risultati di analisi realizzate dall’Istituto di medicina legale, farmacologia e tossicologia veterinaria dell’Università di Zurigo, su richiesta della Stazione ornitologica svizzera e dell’Ufficio per la caccia e la pesca dei Grigioni.

La ricerca, voluta dopo che negli ultimi dieci anni ad alcune aquile trovate morte o malate è stato diagnosticato saturnismo, una patologia dovuta all’esposizione al piombo, è stata condotta su 41 aquile e 20 altri rapaci a titolo comparativo.

Da queste analisi è emerso un tasso di concentrazione molto alto, più elevato rispetto a quello dei test svolti all’estero, di piombo nelle ossa di quasi tutte e nel sangue di alcune delle aquile prese in esame, scrivono i mandatari dello studio in un comunicato odierno.

Le analisi hanno pure dimostrato che nei gufi reali, che non si nutrono di carogne come le aquile, il tasso di piombo rilevato nelle ossa è dieci volte meno elevato. Il risultato è simile a quello delle marmotte o degli stambecchi.

I ricercatori sono giunti alla conclusione che l’intossicazione delle aquile è dovuta presumibilmente all’assunzione di munizioni da caccia. Questa tesi è corroborata da alcuni studi sul condor della California e sull’aquila di mare dalla coda bianca.

Il Canton Grigioni e il Servizio di caccia Svizzera si dicono disposti ad adottare delle misure per evitare futuri avvelenamenti. In attesa di una produzione di munizioni senza piombo, i cacciatori saranno tenuti a seppellire gli animali colpiti da questo metallo in modo tale che essi non siano più alla portata di aquile o gipeti, si legge nel comunicato.

Volontari per traduzione articoli spagnolo italiano

aeccaAbbiamo avuto l’autorizzazione di tradurre dallo spagnolo all’italiano gli interessantissimi articoli della rivista di falconeria ‘La Alcandara’ edita dalla AECCA che verranno poi pubblicati su www.falconeria.org 
Sono tutti articoli sulla caccia col falco con immagini uniche!
C’è qualche volontario per la traduzione dei testi? Se volte contribuire anche voi con il vostro prezioso lavoro, potete contattarci tramite il modulo contatti del Portale. Grazie!
Federico Lavanche