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A Caccia con l’ Astore

La velocità, la bellezza, il comportamento letale: una giornata trascorsa a caccia di rapaci lascia Will Pocklington sbalordito da uno dei predatori più formidabili della natura.

ipnotico, fissare negli occhi un predatore al vertice della catena alimentare. Uno sguardo che ti trafigge. Il cocktail di istinto crudo e indomito, aggressività e determinazione che si nasconde sotto è quasi palpabile. Possiede l’intensità per inchiodare un uomo al suo posto.

Nel mondo degli uccelli, l’astore è un predatore di questo tipo. Di sicuro, scrutando l’occhio giallo-arancio di uno dei 20 falchi legati a trespoli sul prato di un hotel nel Galles del Nord, anch’io mi sono trovato trafitto da uno sguardo del genere. Aveva un bagliore pericoloso che suggeriva un selvaggio impulso a uccidere.

Ero lì per unirmi a Nick Kester, presidente del The British Falconers’ Club e appassionato astoriere da oltre 35 anni, e a 80 dei suoi compagni di club per la loro AGM e l’incontro annuale sul campo. Volevo vedere gli astori volare in prima persona.

Innanzitutto, devo dissipare un luogo comune. Falconieri e astorier non sono confinati agli anelli dimostrativi delle fiere di campagna e delle fiere di caccia. In effetti, ho subito avuto l’impressione che pochissimi falconieri facciano qualcosa del genere e in genere evitano tali esibizioni come la peste. “Quello che la maggior parte delle persone non capisce”, ha riso Nick, “è che noi diamo la caccia di prede vive”.

Dopo colazione, i falchi sono stati recuperati dal prato, i trasmettitori sono stati montati su code e tars e siamo partiti in una squadra di quattro persone (tre astorieri e io) per incontrare Jim Burton, capocaccia della riserva di caccia di 7.000 acri di Carrog; una delle cinque nella tenuta di Rhug che si trova sulle rive del fiume Dee nel Denbighshire.

Jim ci ha presto guidati verso il luogo in cui avremmo iniziato la caccia del giorno. Aveva un’aria rilassata. In seguito ho scoperto che ha lavorato con vari club di falconeria per circa 10 anni, organizzando giornate del genere. “Molti club di falconeria sono fraintesi”, ha spiegato Jim. “Alcuni responsabili delle battute di caccia e guardacaccia credono che i nostri rapaci causeranno grandi disordini e non possono coincidere con un’intensa attività di caccia alla selvaggina, ma questo semplicemente non è vero. Se credessi che ci fosse un impatto sulla caccia qui, non lo farei. Ma non ce n’è praticamente nessuno e possiamo usarlo a nostro vantaggio, lavorando sui confini e spingendo gli uccelli verso il centro della riserva di caccia.

“Certo, gli astori selvatici, di cui ce ne sono molti da queste parti, sono completamente diversi, ma quelli che volano dal pugno non sembrano dare loro alcun fastidio.”

Per mettere in prospettiva l’intera giornata, abbiamo ucciso due uccelli con non più di otto voli. Ogni membro del team aveva un turno e poi così via. I cani sono rimasti vicini e il rumore è stato ridotto al minimo.

Due su otto potrebbe sembrare un rapporto scarso per un tiratore, ma lasciatemi raccontarvi qualcosa in più sui nostri attenti compagni di caccia.

Originario del Nord America e di gran parte dell’Europa, l’astore settentrionale (Accipiter gentilis) è un rapace di medie dimensioni, rinomato come un cacciatore feroce e veloce fin dal primo momento. Può pesare da 1,5 a 3 libbre e può volare da un’età minima di tre mesi fino al giorno in cui smette, che può arrivare fino a 18-20 anni. Le specie di prede sono numerose e varie, a seconda delle dimensioni del falco. I maschi non hanno problemi con conigli, anatre, fagiani, beccacce… la lista continua, mentre le femmine di grandi dimensioni prenderanno volentieri le lepri.

Infatti, durante il Medioevo, quando la falconeria era un passatempo molto aristocratico, l’astore era comunemente chiamato “l’uccello del cuoco”, tale era la sua abilità nel mettere la selvaggina in tavola.

Nonostante la loro abilità, gli astori non erano favoriti dalla nobiltà, molti dei quali preferivano le spettacolari picchiate dei girfalchi e dei falchi pellegrini. A differenza dei falchi, gli astori sono maestri della furtività e dell’imboscata: cacciatori opportunisti che in natura trascorrono gran parte del loro tempo ad aspettare che la loro preda commetta un errore. Ma sono anche versatili: inseguono la loro preda a piedi in fitta copertura e non hanno scrupoli ad affrontare la preda sull’acqua.

“Si potrebbe dire che far volare gli astori dal pugno sia un po’ artificiale, date le loro tendenze in natura”, ha ammesso Nick, “ma è un’emozione speciale quando ci riescono.

“C’è solo un filo di emozione che lega uccello e austratore. Stai cacciando una preda selvaggia con quello che è essenzialmente un uccello selvatico. Ma un uccello che si concentra solo su di te e sulla preda.”

Ho avuto il privilegio di essere testimone di questa speciale relazione e della gioia pura dell’astoriere dopo un volo emozionante. Jim ci ha prima portato su un pezzo di terreno elevato dove pensava ci potessero essere un fagiano o due e forse una lepre. Il primo fagiano che si è lanciato in aria da una macchia di erba bianca è stato rapidamente inseguito da dietro e da sotto dal falco maschio di Nick, Baldrick. Tutto è finito in pochi secondi. Efficienza spietata. Il falco e il fagiano erano sulla terraferma prima ancora che avessi la possibilità di alzare la macchina fotografica.

Mentre gli astori possono accelerare da 0 a 30 miglia orarie in non più di pochi secondi in un batter d’occhio, l’inseguimento elettrico può, naturalmente, durare molto più a lungo. Gli astori in genere rimangono sotto la loro preda e aspettano che si lanci verso il basso verso la terraferma, dove sono perfettamente posizionati per colpire.

Nick era felicissimo del fagiano maschio di Baldrick, e così anche il resto della banda, che si stringeva la mano in segno di congratulazioni. E questo fu abbastanza per Nick. Un volo, una preda e un astore felice. Baldrick si riempì il gozzo con la quaglia che Nick aveva scambiato al rapace per il fagiano morto; dopo, rimase a digerire comodo al caldo della sua scatola per il resto di quella che fu una giornata umida.

Ora capisco il modo di fare rilassato di Jim. Questi astorieri marciano a un ritmo diverso rispetto a molti cacciatori di selvaggina. È uno sport tranquillo far volare gli astori. Di certo, l’astoriere condivide il tratto di “furtività” con il suo falco. Ma in netto contrasto con il suo spietato compagno di caccia, i numeri sono irrilevanti. La qualità batte la quantità. E naturalmente, la preda non viene mai ferita. Viene catturata o scappa. “Provo la stessa gioia nel guardare un compagno astoriere e il suo falco catturare qualcosa rispetto a quando catturo qualcosa io stesso”, mi ha detto più tardi al pub Lee Rush, un altro membro del nostro gruppo. “Potremmo fare cinque voli e catturare un uccello. Non è un gioco di numeri”.

Ma è un gioco di dedizione, e possedere un astore non è per principianti. “Devi far volare un astore tre o quattro volte a settimana per metterlo davvero in forma”, ha spiegato Nick. “E questo inizia una volta terminato l’addestramento a ottobre. Gli uccelli fanno la muta nei mesi estivi e vengono nutriti a volontà durante questo periodo di riposo. Poi, a metà settembre, inizieremo a ridurre gradualmente il loro peso, l’uccello riceverà nuovi geti e braccialetti, gli verrà accorciato se necessario il becco e poi inizierà l’addestramento. L’addestramento dura circa due settimane, volando da un palo al pugno. Una volta che l’uccello lo fa senza esitazione, è pronto per essere portato a caccia”.

Quindi è uno sport in ascesa o in declino? Be’, in realtà nessuno dei due. “L’apprezzamento per lo sport sta migliorando”, ha osservato Nick, “e immagino che ciò possa essere attribuito in parte ad alcune delle esibizioni alle fiere e alle fiere di campagna. Il movimento anti-sport sul campo sembra ignorarci completamente. Ma è più difficile costruire una partecipazione, semplicemente a causa della dedizione e del tempo necessari”.

Per l’uomo che lavora, tre o quattro uscite con il falco a settimana durante la stagione di caccia significano invariabilmente caccia al mattino presto. “Quando ero più giovane e lavoravo a Fleet Street, andavo a caccia con il falco prima di andare al lavoro con la mia tuta sotto la tuta impermeabile”, ha riso Nick.

Anche per monitorare accuratamente le condizioni di un astore ci vuole esperienza. Alcuni pesano regolarmente i loro uccelli per accertare un peso di volo ottimale da cui possono partire, mentre altri, tra cui Nick e Lee, si affidano a una solida familiarità con i loro uccelli e usano un metodo “gorge and fast” per preparare i loro falchi alla caccia. Questo riproduce le abitudini alimentari selvatiche del falco. “In genere un giorno nutriamo a volontà il rapace, il giorno dopo lo lasciamo a digiuno, poi lo facciamo volare il giorno dopo ancora”, ha spiegato Lee.

Come interessante aneddoto, la parola “gorge” in realtà deriva dalla falconeria, così come numerose altre frasi e modi di dire usati oggi: “off the cuff”, “under the thumb”, “hoodwinked”, “callow” e “chaperoned”, per esempio. Un promemoria che la falconeria è una delle più antiche tecniche di caccia campestre che esistano.

Il nostro secondo successo della giornata è arrivato per mano del falco di Lee. Ci eravamo spostati su un terreno più basso e caldo dopo una serie di voli che hanno visto la preda scappare, e i cani lavoravano nelle vicinanze, acquartierandosi costantemente nel boschetto paludoso di betulle e ontani. I falchi non si sono fatti impressionare dai cani, perché entrambe le parti hanno imparato fin da piccoli che l’altro è qualcosa da lasciare in pace. I bracchi tedeschi a pelo corto e i viszla sono i più usati, gli spaniel tendono a essere un po’ troppo impegnativi e i labrador sono meno inclini a cacciare.

Fu un germano reale maschio a cadere vittima del falco di Lee, che stava ancora volando sull’acqua quando la presa fatale del falco lo fece precipitare a terra con uno schizzo. Con l’anatra ancora incastrata negli artigli, il falco usò le ali per remare verso i margini dello stagno, trascinandola infine sulla riva. Un’altra squadra felice, e sorrisi ovunque. E i falchi? I loro sguardi travolgenti non calano mai.

Will Pocklington

Falconeria, in poche parole..

falconiere
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Falconeria in Italia: Tradizione e Arte Antica

La falconeria, l’arte di addestrare rapaci per la caccia, è una pratica che affonda le sue radici nell’antichità e che in Italia vanta una storia lunga e affascinante. Questo antico metodo di caccia, che combina abilità umane e istinto naturale degli uccelli rapaci, è oggi riconosciuto come patrimonio culturale immateriale dall’UNESCO, a testimonianza del suo valore storico e culturale.

Le Origini della Falconeria

La falconeria ha origini antichissime, risalenti a oltre 4000 anni fa in Asia Centrale. In Italia, la pratica della falconeria si diffuse principalmente durante il Medioevo, grazie alla nobiltà che la considerava un’attività prestigiosa e nobile. Tra i grandi appassionati di falconeria si annovera Federico II di Svevia, che nel XIII secolo scrisse il celebre trattato “De Arte Venandi cum Avibus” (Sull’arte di cacciare con gli uccelli), un’opera fondamentale che testimonia l’importanza e la diffusione di questa pratica nella storia italiana.

La Falconeria Oggi in Italia

Oggi, la falconeria in Italia non è solo una pratica storica, ma anche un’attività viva e in evoluzione. Diverse associazioni e centri di falconeria promuovono e preservano questa antica arte, organizzando eventi, spettacoli e corsi di addestramento per nuovi falconieri. La falconeria moderna in Italia si basa su principi di rispetto e tutela degli animali, enfatizzando il benessere dei rapaci e il loro habitat naturale.

Tecniche e Addestramento

L’addestramento dei rapaci è un processo delicato che richiede pazienza, conoscenza e dedizione. I falconieri italiani seguono metodi tradizionali combinati con tecniche moderne per addestrare gli uccelli. Il processo inizia con l’imprinting, dove il giovane rapace si abitua alla presenza umana. Segue l’addestramento al volo e alla caccia, dove il rapace impara a volare con determinazione e a cacciare le prede insieme al falconiere e al suo cane da caccia.

Tra le specie di rapaci più comuni nella falconeria italiana troviamo il falco pellegrino, l’astore, e il falco di Harris. Ogni specie richiede un approccio specifico, basato sulle sue caratteristiche naturali e comportamentali.

La Falconeria Come Strumento di Conservazione

Oltre alla sua valenza storica e culturale, la falconeria in Italia ha un ruolo significativo nella conservazione della fauna selvatica. I falconieri collaborano con enti e istituzioni per la protezione e il recupero dei rapaci feriti o in difficoltà. Inoltre, attraverso attività di sensibilizzazione e educazione, contribuiscono alla diffusione di una cultura di rispetto e tutela dell’ambiente naturale.

Eventi e Manifestazioni

Numerosi eventi e manifestazioni in Italia celebrano la falconeria, offrendo al pubblico l’opportunità di vedere da vicino questi magnifici uccelli in azione. Festival medievali, fiere e spettacoli di falconeria sono occasioni in cui i falconieri mostrano le loro abilità e condividono la loro passione con grandi e piccini. Questi eventi non solo intrattengono, ma educano anche il pubblico sull’importanza della falconeria e della conservazione dei rapaci.

Conclusione

La falconeria in Italia è una tradizione antica che continua a vivere grazie alla dedizione di appassionati e professionisti. Questa pratica, che combina arte, scienza e amore per la natura, rappresenta un patrimonio culturale prezioso che merita di essere preservato e valorizzato. Attraverso la falconeria, possiamo riscoprire un legame profondo con la natura e apprendere preziosi insegnamenti su rispetto e convivenza con il mondo animale.

Federico Lavanche

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Linee guida per l’applicazione della normativa su detenzione, allevamento e commercio di Animali Esotici in Piemonte

Linee guida per l’applicazione della normativa su detenzione, allevamento e commercio di Animali Esotici in Piemonte

Per scaricare il testo completo, prego scaricare il file PDF, purtroppo è stato mal convertito ed è possibile leggerlo solo dal file originale:

Linee-Guida-L.R.-06-2010


Le seguenti invormazioni sono state tratte dal seguente link:

https://www.aslto4.piemonte.it/document.asp?codice=303122009&codType=2

e di seguito riportato:

Animali esotici

Descrizione
Condizione preliminare per tenere un animale esotico è assicurarsi:
1) che non appartenga a specie protette perché in via di estinzione, il commercio delle quali è vietato o soggetto a severe limitazioni;
2) che disponga di spazi, strutture ed attrezzature necessarie alla specie, indispensabili a garantire le caratteristiche etologiche e fisiologiche (arricchimenti ambientali e rispetto delle “5 libertà”) ed infine per evitare che l’animale diventi pericoloso;
3) di possedere in prima persona di adeguata formazione, prendendosene cura con competenza e dedizione.NUOVA NORMATIVA REGIONALE
• L.R. N°6 del 18/02/2010 “Norme per la detenzione, l’allevamento ed il commercio di animali esotici”
• DPGR n° 11/R del 28/11/2012 disposizioni attuative della L.R. N°.6
• D.D. N°1066 del 17/12/2013 “Approvazione LINEE GUIDA per l’applicazione della normativa su detenzione, allevamento e commercio di animali esotici”
• Elenco Regionale esotici aggiornato a novembre 2019 AUTORIZZAZIONE ALLA DETENZIONE ed ALL ALLEVAMENTO AMATORIALE DI ANIMALI ESOTICI
Chi intende acquistare (o lo avesse già fatto) un animale esotico per la privata detenzione o l’allevamento di tipo amatoriale si deve rivolgere all’ Area C del Servizio Veterinario competente per territorio di residenza per verificare che l’animale sia soggetto ad effettiva autorizzazione.MODULISTICA DA PRESENTARE
1. Allegato 3.1 — Istanza per l’autorizzazione alla detenzione di animali esotici
2. Allegato 3.2 — Istanza per l’autorizzazione all’allevamento amatoriale di animali esotici (da presentare entro 8 giorni dal possesso o dalla nascita dell’ animale in cattività)
3. Certificazioni ai fini cites, documenti di provenienza e tutto ciò che consenta l’identificazione dell’animale dimostrandone la legittima provenienza.
solo l’allevatore amatoriale deve anche presentare:
4. planimetria 1:100 delle strutture di allevamento
5. relazione tecnica sulla tipologia di allevamento
6. l’attestato d’idoneità conseguito alla fine del corso di formazione fad del CRANES (*)
L’istanza per l’autorizzazione compilata ed il resto della documentazione andrà presentata al Servizio Veterinario dell’ ASLTO4 competente per territorio rispetto alla sede di detenzione dell’animale.
II Veterinario, dopo aver verificato la documentazione, effettuerà il sopralluogo ed emetterà nulla osta favorevole per quanto di propria competenza, inviandolo poi al Sindaco, il quale emetterà l’autorizzazione entro 60 giorni inviandola all’utente ed all’ASL.

AUTORIZZAZIONE ALL’ALLEVAMENTO PER IL COMMERCIO ed al COMMERCIO DI ANIMALI ESOTICI

MODULISTICA DA PRESENTARE
1. Allegato 3.3 — [stanza per l’autorizzazione all’allevamento per il commercio ed al commercio di animali esotici
2. Certificazioni ai fini CITES, documenti di provenienza e tutto ciò che consenta l’identificazione dell’animale dimostrandone la legittima provenienza
3. planimetria 1:100 delle strutture di allevamento/ di vendita
4. relazione tecnica sulla tipologia di allevamento/ di vendita
5. l’attestato d’ idoneità conseguito alla fine del corso di formazione fad del CRANES
6. certificato d’iscrizione alla camera di commercio del richiedente
Gli allevatori ed i commercianti di tali animali devono tenere apposito registro di carico¬scarico delle movimentazioni degli animali commercializzati .
L’istanza per l’autorizzazione compilata ed il resto della documentazione andrà presentata al SUAP (sportello unico attività produttive) che la trasmetterà al CRANES (commissione regionale animali esotici) per il rilascio del preventivo nulla osta, che se favorevole verrà trasmesso al SUAP per la successive trasmissione al Sindaco del Comune di pertinenza per il rilascio dell’autorizzazione.

CORSO DI FORMAZIONE FAD del CRANES : vedi Allegato D.R. N° 1066 del 17/12/2013

CONVENZIONE CITES
Nell’anno 1997 è entrata in vigore la Convenzione CITES che regolamenta il commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione.
La convenzione distingue le specie tutelate in base al grado di pericolo di estinzione e le suddivide in tre elenchi :
APPENDICE I — specie minacciate di estinzione (es. pappagalli, rapaci, ….)
APPENDICE II — specie che pur non essendo minacciate di estinzione potrebbero esserlo in futuro se il loro commercio non fosse sottoposto ad una stretta regolamentazione APPENDICE III — specie di cui il commercio è regolamentato su richiesta dei singoli stati che intendono tutelare quella specie .

Per informazioni sulle specie comprese nelle appendici, che cambiano nel tempo, consultare il sito CITES

Moduli / Documentazione
File da scaricare: allegato 3.1 – Domanda di autorizzazione alla detenzione di animali esotici LR 6_2010
File da scaricare: allegato 3.2 – domanda di autorizzazione all’allevamento amatoriale di animai esotici (allevamento non a scopo commerciale) LR 6_2010
File da scaricare: allegato 3.3 – domanda di autorizzazione all’allevamento per il commercio e al commercio di animai esotici LR 6_2010
File da scaricare: allegato DR n. 1066 del 17_12_2013
Aggiornamento effettuato il:
24/02/2022

Legge regionale Piemonte 18 febbraio 2010 n. 6

Norme per la detenzione, l’allevamento, il commercio di animali esotici e istituzione del Garante per i diritti degli animali.

Il Consiglio regionale ha approvato.

 

 

LA PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE

 

 

promulga

 

 

la seguente legge:

 

 

Art. 1.
(Principi e finalità)

1.
La Regione Piemonte tutela il benessere degli animali esotici presenti a vario titolo sul territorio regionale garantisce loro le migliori condizioni di vita possibile compatibilmente con il loro stato di cattività, ne regolamenta la detenzione, l’allevamento ed il commercio e informa la popolazione sulle caratteristiche, le necessità e lo stato di conservazione delle varie specie.

Art. 2.
(Definizioni)

1.
Ai fini della presente legge, si intendono per animali esotici le specie animali delle quali non esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà sul territorio nazionale facenti parte della fauna selvatica esotica.

Art. 3.
(Riconoscimento delle specie esotiche)

1.
Per le esigenze di identificazione degli animali di cui all’articolo 1, la Commissione regionale di cui all’articolo 14, nel rispetto delle norme statali e comunitarie vigenti in materia, stabilisce modalità per il riconoscimento delle specie esotiche.

Art. 4.
(Autorizzazione alla detenzione)

1.
I possessori di animali esotici di cui all’articolo 1 sono tenuti a presentare domanda di autorizzazione alla detenzione al sindaco del comune in cui intendono detenerli, per il tramite del Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio .

2.
La domanda deve essere corredata dalle certificazioni di identificazione e di legittima provenienza che ne consentano l’identificazione anche ai sensi della legge 19 dicembre 1975, n. 874 (Ratifica della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973) e successive modificazioni ed integrazioni.

3.
L’autorizzazione alla detenzione è nominale ed è rilasciata esclusivamente al legittimo possessore dell’animale.

4.
L’idoneità alla detenzione, viene valutata dal medico veterinario dell’ASL competente per territorio all’atto del sopralluogo ispettivo finalizzato al rilascio del parere. Il veterinario verifica le condizioni di detenzione, nonché che il proprietario sia in possesso di adeguate conoscenze etologiche e di pratiche di allevamento necessarie ad una corretta detenzione delle diverse specie animali.

5.
La domanda di autorizzazione alla detenzione di cui al comma 1, è presentata dall’avente titolo entro otto giorni dal momento in cui ha avuto inizio la detenzione o dalla nascita dell’animale in stato di cattività.

Art. 5.
(Disciplina della detenzione)

1.
I detentori degli animali esotici di cui all’articolo 1, sono tenuti a garantire loro condizioni in grado di rispettare le loro esigenze etologiche e fisiologiche.

2.
Agli animali devono comunque essere sempre garantite le seguenti condizioni:

a)
possibilità di movimento anche con l’arricchimento ambientale delle strutture di detenzione al fine di evitare comportamenti stereotipati;

b)
confortevole area di riposo;

c)
isolamento da rumori troppo forti o tali da essere lesivi dell’apparato uditivo;

d)
non vicinanza con animali competitori;

e)
assenza di qualsiasi forma di costrizione se non per brevi periodi e per la tutela della salute dell’animale;

f)
alimentazione idonea alla specie, alla salute ed età degli animali.

3.
In caso di alienazione, per qualsiasi causa, degli animali detenuti, i detentori sono tenuti a darne comunicazione, entro otto giorni, al Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio.

4.
I detentori sono altresì tenuti a denunciare al Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio la morte per qualsiasi causa degli animali detenuti.

5.
La soppressione di animali esotici deve essere attuata esclusivamente da un medico veterinario in modo eutanasico.

6.
I Servizi veterinari delle ASL effettuano ispezioni di vigilanza la cui frequenza va calibrata annualmente in rapporto ad un’analisi dei fattori di rischio e dei risultati dei precedenti controlli.

Art. 6.
(Autorizzazione all’allevamento e al commercio )

1.
Ai fini della presente legge per allevamento s’intende il possesso o la detenzione anche di una sola coppia riproduttrice per la procreazione di prole mantenuta, in condizioni stabili e continuative nel tempo, in apposite strutture aventi i requisiti di cui all’articolo 7.

2.
L’allevamento ai fini del commercio di animali di cui all’articolo 1, è subordinato al rilascio di autorizzazione da parte del sindaco del comune in cui l’attività si svolge, inoltrata tramite il Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio. L’autorizzazione viene concessa a seguito del conseguimento di attestato di idoneità di cui all’articolo 7, comma 3.

3.
L’allevamento non a fini commerciali è subordinato al rilascio di autorizzazione, da parte del sindaco del comune sede di allevamento, inoltrata tramite il Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio.

4.
L’autorizzazione è valida esclusivamente per l’allevamento od il commercio delle specie animali indicate nella domanda.

5.
Nella domanda di autorizzazione di cui ai commi 1 e 2 è necessario indicare, per i casi di cessazione dell’attività, i centri o gli allevamenti convenzionati per l’acquisizione degli animali presenti al momento della cessazione nel rispetto delle esigenze di benessere delle specie interessate.

6.
Il rilascio dell’autorizzazione di cui ai commi 1 e 2, è subordinato al parere favorevole rilasciato dalla Commissione regionale di cui all’articolo 14, previa verifica delle condizioni di allevamento di cui all’articolo 7.

7.
Sono fatti salvi gli adempimenti previsti dalle vigenti disposizioni in materia di commercio internazionale di specie animali in via di estinzione.

Art. 7.
(Condizioni per l’allevamento e il commercio)

1.
Gli allevatori devono essere in possesso di adeguate conoscenze biologiche, fisiologiche ed etologiche-comportamentali degli animali per i quali viene richiesta l’autorizzazione di cui all’articolo 6.

2.
L’attività di commercio di animali esotici deve svolgersi in modo tale da ridurre al minimo possibili stati di malessere degli animali stessi. A tal fine sono da evitare i casi di sovraffollamento delle voliere, dei terrari e delle altre strutture di detenzione, nonché la permanenza degli animali stessi per periodi prolungati.

3.
Ai fini del conseguimento dell’autorizzazione di cui all’articolo 6, gli allevatori ed i commercianti sono tenuti ad acquisire apposito attestato di idoneità, conseguito al termine dei corsi di formazione di cui all’articolo 9.

4.
Considerate le estreme diversità nelle esigenze di benessere, la Commissione regionale di cui all’articolo 14, fornisce ai Servizi veterinari delle ASL le necessarie linee guida per la corretta valutazione delle condizioni di mantenimento indicate al comma 2.

5.
I Servizi veterinari delle ASL competenti effettuano attività di vigilanza la cui frequenza va calibrata annualmente in rapporto ad un’analisi dei fattori di rischio e dei risultati dei precedenti controlli.

Art. 8.
( Obbligo di registrazione per commercianti e allevatori)

1.
Gli allevamenti e gli esercizi commerciali sono obbligati alla tenuta di un registro di carico e scarico, vidimato dal Servizio veterinario delle ASL competenti, per annotare, entro ventiquattro ore, le transazioni commerciali e le variazioni numeriche.

2.
La corretta tenuta del registro di cui al comma 1, viene verificata dal Servizi veterinari competenti con cadenza almeno trimestrale.

3.
Il registro è composto da fogli o pagine progressivamente numerate.

4.
Le registrazioni possono effettuarsi anche con sistemi informatici a condizione che vengano utilizzati sistemi di registrazione a modulo continuo vidimati dal competente Servizio veterinario. Resta fermo l’obbligo di stampa e aggiornamento entro le ventiquattro ore.

Art. 9.
(Corsi di formazione)

1.
I commercianti e gli allevatori, ai fini del conseguimento dell’autorizzazione regionale di cui all’articolo 6, hanno l’obbligo di frequentare i corsi di formazione promossi dalla regione.

2.
I corsi sono principalmente indirizzati a fornire conoscenze inerenti a:

a)
principali nozioni di zoologia, etologia ed igiene indispensabile per il corretto governo degli animali;

b)
norme e disposizioni che regolano il benessere degli animali.

3.
Le modalità di organizzazione e attuazione dei corsi sono stabilite con il Regolamento di cui all’articolo 22.

Art. 10.
(Parchi faunistici)

1.
I gestori di parchi faunistici, giardini zoologici e zoo-safari, fatti salvi gli adempimenti previsti da norme comunitarie e nazionali vigenti inerenti le specie selvatiche, sono tenuti a far pervenire entro e non oltre il 30 marzo di ogni anno, alla Commissione regionale di cui all’articolo 14, una relazione annuale contente:

a)
il numero e le specie degli animali ospitati;

b)
gli acquisti e le cessioni specificandone la provenienze e la destinazione;

c)
le nascite e le morti;

d)
gli standard di spazi adibiti alla detenzione degli animali;

e)
le modalità di assolvimento degli interventi sanitari specialistici in materia veterinaria.

2.
Per quanto attiene alle nascite e alle morti, i titolari delle strutture sono tenuti a darne comunicazione, entro otto giorni, al Servizio veterinario dell’ASL competente per territorio.

3.
Al fine di garantire il benessere animale e le condizioni etologico-comportamentali, la Commissione regionale di cui all’articolo 14 interviene, in caso di animali classificati pericolosi ai sensi della normativa vigente, imponendo, ai titolari delle strutture, piani di gestione per il contenimento del numero delle nascite in cattività.

Art. 11.
(Circhi, mostre, spettacoli viaggianti)

1.
I comuni, nell’ambito dei procedimenti amministrativi per il rilascio della concessione del plateatico ai titolari di circhi mostre e spettacoli viaggianti, sono tenuti ad acquisire il preventivo nulla osta del servizio veterinario dell’ASL competente per territorio per gli opportuni adempimenti igienico sanitari.

2.
I titolari di circhi, mostre e spettacoli viaggianti, ai fini del rilascio della concessione di cui al comma 1, sono tenuti a far pervenire ai comuni, almeno quindici giorni prima, preventiva comunicazione del numero e della specie degli animali al seguito, degli spazi a disposizione degli stessi ed il calendario degli spostamenti sul territorio regionale.

3.
Al fine di evitare l’insorgere di situazioni di pericolo e proteggere la pubblica incolumità, nonché tutelare il benessere animale rispettando le caratteristiche etologiche delle varie specie, il comune dovrà specificare all’atto del rilascio della concessione del plateatico il divieto o l’autorizzazione ad effettuare attività di visita agli animali al seguito, sia durante gli intervalli degli spettacoli, sia in altri orari.

4.
Le condizioni ed i requisiti per il rilascio delle concessioni di cui al comma 1, sono stabilite nel regolamento di cui all’articolo 22.

Art. 12.
(Recupero di animali esotici)

1.
La detenzione, l’allevamento ed il commercio di animali esotici, senza apposita autorizzazione od in condizioni diverse da quelle previste all’atto dell’autorizzazione o ritenute non idonee dagli operatori addetti alla vigilanza veterinaria, comportano la revoca dell’ autorizzazione di cui agli articoli 4 e 6 e, previo parere conforme della Commissione regionale di cui all’articolo 14, l’emissione, da parte dell’autorità competente, del provvedimento di sequestro cautelativo degli animali, nonchè l’eventuale trasferimento degli stessi ad un idoneo centro di ricovero indicato dalla medesima Commissione e avente le caratteristiche ed i requisiti stabiliti nel Regolamento di cui all’articolo 22.

Art. 13.
(Informazione ed educazione)

1.
La Regione, anche in collaborazione con le associazioni animaliste maggiormente rappresentative sul territorio regionale, attua programmi di informazione ed educazione rivolti ai cittadini e finalizzati a far conoscere le norme, lo stato di conservazione, nonché le caratteristiche etologiche e fisiologiche delle specie esotiche detenute e commercializzate.

Art. 14.
(Commissione regionale)

1.
È istituita presso l’assessorato regionale competente in materia di tutela della salute e sanità la Commissione regionale Animali esotici.

2.
La Commissione è nominata con decreto del Presidente della Giunta regionale ed è così composta:

a)
il Responsabile del Settore prevenzione veterinario o suo delegato;

b)
un esperto in zoologia ed etologia individuato dalle associazioni naturalistiche maggiormente rappresentative sul territorio regionale;

c)
un rappresentante delle associazioni animaliste;

d)
un esperto in materia di vigilanza sull’applicazione della Convenzione Internazionale sul commercio di animali esotici in via di estinzione.

3.
La Commissione in caso di necessità può avvalersi di un esperto esterno che ritenga opportuno consultare per le verifiche di cui all’articolo 6, comma 6.

4.
Ai componenti della Commissione spettano i compensi determinati dalla Giunta regionale con apposito provvedimento, in deroga alle disposizioni di cui alla legge regionale 2 luglio 1976, n. 33 (Compensi ai componenti Commissioni, Consigli, Comitati e Collegi operanti presso l’Amministrazione regionale).

Art. 15.
(Compiti e funzioni della Commissione regionale Animali esotici )

1.
La Commissione di cui all’articolo 14 si riunisce almeno ogni tre mesi con la funzione di fornire direttive ed indicazioni per l’applicazione della presente legge. Svolge altresì i compiti indicati negli articoli 3, 6 comma 6, 7 comma 4 e 10 comma 3.

Art. 16.
(Centro di Referenza Regionale Animali Esotici)

1.
Al fine di fornire un supporto tecnicamente e scientificamente qualificato alla Commissione regionale di cui all’articolo 14, è istituito presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, della Liguria e della Valle d’Aosta, il Centro di referenza regionale Animali Esotici.

2.
La Giunta regionale con il Regolamento di cui all’articolo 22, stabilisce gli obiettivi, le funzioni e il modello organizzativo e gestionale del Centro.

Art. 17.
(Divieti)

1.
È vietato a chiunque immettere allo stato libero o abbandonare in qualsiasi parte del territorio regionale, compresi giardini, parchi e qualsiasi tipologia di corpo idrico, esemplari di animali esotici.

2.
È vietato utilizzare animali esotici in attività di pet therapy.

Art. 18.
(Vigilanza)

1.
Gli animali esotici detenuti a qualsiasi titolo e per qualsiasi scopo, sono soggetti alla vigilanza veterinaria esercitata dall’ASL competente per territorio. Sono fatte salve tutte le disposizioni inerenti la vigilanza sulla legale detenzione delle specie esotiche, di competenza del Corpo forestale dello Stato.

2.
La vigilanza assicura che gli animali esotici siano mantenuti nel rispetto delle esigenze:

a)
di carattere igienico-sanitario;

b)
di tutela della sicurezza e del benessere degli animali in cattività;

c)
di salvaguardia dell’incolumità delle persone.

Art. 19.
(Garante per i diritti degli animali)

1.
E’ istituito il Garante per i diritti degli animali al fine di realizzare un piano organico di interventi, su tutto il territorio regionale, riferiti alla salvaguardia dei diritti degli animali nonché a rafforzare la cooperazione per lo sviluppo della tutela dei diritti degli animali, attraverso forme di potenziamento e di coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni, dalle province e dagli enti locali piemontesi.

2.
Il Garante opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è nominato dal Consiglio regionale, tra esperti di riconosciuta competenza nel settore dei diritti degli animali.

3.
Il Garante dura in carica cinque anni e non può essere riconfermato per più di una volta.

4.
Al Garante non compete alcuna indennità di funzione, ha sede presso gli uffici del Difensore civico regionale e usufruisce della struttura già esistente.

Art. 20.
(Compiti del Garante)

1.
Il Garante ha il compito di:

a)
ricevere le segnalazioni ed i reclami di chiunque venga a conoscenza di atti o comportamenti lesivi dei diritti degli animali, nonché delle associazioni, enti e istituzioni che operano nel campo della tutela dei diritti degli animali;

b)
denunciare o segnalare all’autorità giudiziaria fatti o comportamenti relativi agli animali configurabili come reati, dei quali viene a conoscenza nell’esercizio o a causa delle sue funzioni;

c)
curare la conoscenza tra il pubblico delle norme statali, regionali, dell’Unione europea ed internazionali, che regolano la materia della tutela dei diritti degli animali delle relative finalità;

d)
segnalare alla Giunta ed al Consiglio regionale l’opportunità di provvedimenti normativi richiesti dall’osservazione e dalla valutazione delle reali condizioni degli animali, anche alla luce dell’adeguamento alle norme statali o dell’Unione europea;

e)
realizzare, sulla base delle indicazioni che pervengono dalle province e dagli enti locali, la mappa dei servizi pubblici e privati, compresi quelli sanitari, e delle risorse destinate alla tutela, al benessere e alla salvaguardia dei diritti degli animali, sia a livello regionale che a livello provinciale e locale;

f)
analizzare le condizioni degli animali, ivi comprese quelle degli animali provenienti, permanentemente o per periodi determinati, da altri paesi, anche attraverso l’integrazione dei dati e la valutazione dell’attuazione dell’effettività e dell’impatto della legislazione, anche non direttamente destinata agli animali, con particolare riferimento alla convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) ed alla normativa in materia di circhi, allevamenti, sperimentazione animale, zoo, trasporto, macellazione, negozi di animali, rifugi, canili);

g)
intraprendere tutte le iniziative necessarie affinché nelle gare e nelle competizioni sportive che impiegano animali non sia fatto uso sugli stessi di sostanze, metodologie o tecniche che ne possano alterare le capacità o le prestazioni e mettere in pericolo la loro integrità fisica o biologica, nonché vigilare sulle loro condizioni di vita e di allevamento, nel rispetto delle loro esigenze fisiologiche ed etologiche, nei cinodromi, ippodromi, maneggi e luoghi similari;

h)
formulare proposte, anche su richiesta delle istituzioni locali, per la elaborazione di progetti pilota intesi a migliorare le condizioni di vita degli animali;

i)
promuovere la conoscenza degli interventi delle amministrazioni pubbliche svolti a tutela dei diritti degli animali, collaborando anche con gli organismi titolari di competenza in materia di protezione degli animali, in particolare con istituti e associazioni operanti per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente e degli animali;

j)
predisporre, annualmente, una relazione sull’attività svolta e sulle condizioni degli animali in Piemonte nonché sull’attuazione dei relativi diritti, da trasmettere al Consiglio regionale entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento.

2.
Nello svolgimento dei compiti previsti al comma 1, il Garante può intrattenere rapporti di scambio, di studio e di ricerca con organismi regionali, statali, europei ed internazionali operanti nell’ambito della tutela e della salvaguardia dei diritti degli animali.

3.
Il Garante, nei giudizi concernenti il maltrattamento di animali, è legittimato a costituirsi parte civile nei modi e nelle forme previsti dalla legge.

Art. 21.
(Sanzioni)

1.
I contravventori alla presente legge sono passibili delle seguenti sanzioni amministrative:

a)
da euro 250,00 a euro 1.500,00 per la violazione di cui all’articolo 4;

b)
da euro 250,00 a euro 1.500,00 per la violazione di cui all’articolo 5, commi 1 e 2;

c)
da euro 500,00 a euro 3.000,00 per la violazione di cui all’articolo 5, commi 3 e 4;

d)
da euro 1.000,00 a euro 6.000,00 per la violazione di cui all’articolo 5, comma 5, fatte salve le fattispecie di rilevanza penale;

e)
da euro 500,00 a euro 3.000,00 per la violazione di cui all’articolo 6, commi 2 e 3;

f)
da euro 1.000,00 a euro 6.000,00 per la violazione di cui all’articolo 7 comma 2, fatte salve le fattispecie di rilevanza penale;

g)
da euro 250,00 a euro 1.500,00 per la violazione di cui all’articolo 8;

h)
da euro 250,00 a euro 1.500,00 per la violazione di cui all’articolo 10, commi 1 e 2;

i)
da euro 500,00 a euro 3.000,00 per la violazione di cui all’articolo 10, comma 3;

j)
da euro 250,00 a euro 1.500,00 per le violazioni delle disposizioni di attuazione della presente legge contenute nel Regolamento di cui all’articolo 22.

2.
La recidiva comporta un aumento di un terzo delle sanzioni amministrative pecuniarie previste.

Art. 22.
(Regolamento di attuazione)

1.
La Giunta regionale, con Regolamento emana le disposizioni attuative della presente legge.

2.
Il Regolamento è adottato entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, acquisito il parere della competente commissione consiliare.

Art. 23.
(Norme transitorie)

1.
I commercianti e gli allevatori che, ai sensi della legge 28 ottobre 1986, n. 43 (Norme sulla detenzione, l’allevamento ed il commercio di animali esotici), esercitano già tali attività, hanno l’obbligo di conseguire, entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del Regolamento di cui all’articolo 22, l’attestato di idoneità di cui all’articolo 7, comma 3.

Art. 24.
(Abrogazioni)

1.
La legge regionale 43/1986 è abrogata dalla data di approvazione del regolamento attuativo della presente legge.

Art. 25.
(Disposizioni finanziarie)

1.
Per l’attuazione della presente legge, nel biennio 2010-2011, allo stanziamento annuo pari a euro 100.000,00, in termini di competenza, iscritto nell’unità previsionale di base (UPB) DB20021 del bilancio pluriennale per gli anni 2009-2011 si fa fronte con le risorse finanziarie individuate secondo le modalità previste dall’ articolo 8 della legge regionale 11 aprile 2001, n. 7 (Ordinamento contabile della Regione Piemonte) e dall’ articolo 30 della legge regionale 4 marzo 2003, n. 2 (Legge finanziaria per l’anno 2003).

2.
Le somme riscosse a seguito dell’applicazione delle sanzioni amministrative di cui all’articolo 21 sono introitate nello stato di previsione dell’entrata del bilancio regionale nell’ambito dell’UPB DB0902.

La presente legge regionale sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione Piemonte.

Data a Torino, addì 18 febbraio 2010
Mercedes Bresso

Classificazione Scientifica dei Rapaci

Nel corso del tempo, gli scienziati hanno riscontrato una certa difficoltà nel definire con accuratezza la parola rapace. Per identificare un volatile come rapace sono stati utilizzati metodi basati sulla morfologia, sul comportamento naturale di tipo predatorio e sulle interazioni all’interno dell’ecosistema. Questi criteri di classificazione sono stati presi in considerazione fino al 2008, anno in cui un importante studio condotto da Shannon J. Hacket e collaboratori, basato sull’analisi e la comparazione di ben 19 loci genomici indipendenti, ha stabilito nuove relazioni filogenetiche tra diversi ordini di uccelli (Hackett et al., 2008; Mcclure et al., 2019).

Successivi studi genetici condotti impiegando moderne tecniche molecolari hanno permesso di descrivere i rapporti filogenetici intercorsi all’interno del percorso evolutivo della specie.
In ambito ornitologico, oggi siamo in un periodo di grandi transizioni nell’applicazione dei concetti di specie basati su ricerche filogenetiche. Sono in corso cambiamenti di classificazione e drastici aumenti del numero di specie riconosciute nelle principali liste mondiali (Gill et al., 2020).

I rapaci vengono distinti in diurni se svolgono le loro attività, incluse quelle predatorie, prevalentemente nelle ore di luce, e notturni se restando attivi dal tramonto all’alba (crepuscolari o notturni), sebbene alcuni possano cacciare anche durante il giorno.
I rapaci diurni vengono suddivisi in tre ordini: Accipitriformes, Falconiformes e Cariamiformes: L’ordine Accipitriformes comprende 266 specie raggruppate nelle seguenti famiglie (Gill et al., 2020):

  • Cathartidae: famiglia che comprende gli avvoltoi del Nuovo Mondo e conta i generi: Gymnogyps, Sarcoramphus, Vultur, Coragyps, Cathartes,
  • Sagittariidae: famiglia che comprende solo la specie Sagittarius Serpentarius.
  • Pandionidae: famiglia che comprende solo il genere Pandion.
  • Accipitridae: la famiglia più ampia, essa contiene i generi: Elanus, Gampsonyx, Chelictinia,Polyboroides, Gypohierax, Gypaetus, Neophron, Eutriorchis, Leptodon, Chondrohierax,

Pernis, Elanoides, Lophoictinia, Hamirostra, Aviceda, Henicopernis, Necrosyrtes, Gyps, Sarcogyps, Trigonoceps, Aegypius, Torgos, Spilornis, Pithecophaga, Circaetus, Terathopius, Macheiramphus, Harpyopsis, Morphnus, Harpia, Nisaetus, Spizaetus, Stephanoaetus, Lophotriorchis, Polemaetus, Lophaetus, Ictinaetus, Clanga, Hieraaetus, Aquila, Harpagus, Kaupifalco, Micronisus, Melierax, Urotriorchis, Erythrotriorchis, Megatriorchis, Accipiter, Circus, Milvus, Haliastur, Haliaeetus, Butastur, Ictinia, Busarellus, Rostrhamus, Helicolestes, Geranospiza, Cryptoleucopterys, Buteogallus, Morphnarchus, Rupornis, Parabuteo, Geranoaetus, Pseudastur, Leucopternis, Buteo.

L’ordine Falconiformes conta 66 specie di rapaci, comunemente chiamati Falchi e Caracara. Esso è rappresentato da un’unica famiglia:

• Falconidae: famiglia che comprende i generi: Daptrius, Ibycter, Phalcoboenus, Caracara, Milvago, Herpetotheres, Micrastur, Spiziapteryx, Polihierax, Microhierax, falco.

L’ordine Cariamiformes è formato da due specie, comprese in un’unica famiglia:
• Cariamidae: composta da due generi (uno per ciascuna specie contenuta nella famiglia in oggetto): Cariama, Chunga.
I rapaci notturni vengono raggruppati in un unico ordine, gli Strigiformes, che comprende 248 specie suddivise in due famiglie:

  • Tytonidae: comprendente i generi Tyto e Phodilus.
  • Strigidae: la famiglia più numerosa, essa contiene i generi: Uroglaux, Ninox, Margarobyas,Taenioptynx, Micrathene, Xenoglaux, Aegolius, Athene, Surnia, Glaucidium, Otus, Ptilopsis, Asio, Jubula, Bubo, Scotopelia, Ketupa, Psiloscops, Gymnasio, Megascops, Pulsatrix, Lophostrix, Strix.

    Studi filogenetici sul DNA hanno sottolineato come volatili, la quale natura comprende atteggiamenti predatori (averle, gabbiani e corvi), non possono essere classificati rapaci e di conseguenza i criteri di classificazione relativi a morfologia o comportamento non sono corretti.

In base alle relazioni filogenetiche sono stati individuati due cladi (clade = gruppo costituito da un antenato singolo comune e da tutti i discendenti di quell’antenato): Australaves e Afroaves; entrambi presentano ordini di rapaci e ciò fa dedurre che l’antenato comune fosse appunto un rapace. Ricerche recenti hanno rivelato che i falchi sono legati maggiormente ai pappagalli o ai passeriformi (rispettivamente ordini Psittaciformes e Passeriformes) rispetto ad altri rapaci quali avvoltoi ed aquile (Mcclure et al., 2019). Cathartiformes viene qui considerato un ordine comprendente le specie di avvoltoi del “Nuovo mondo”, che vengono classificate dalla IOC World Bird List come appartenenti alla famiglia Cathartidae (sotto l’ordine Accipitriformes).

È comunque evidente come accipitridi e catartidi siano strettamente legati tra loro. I rapaci notturni risultano essere fortemente legati con l’ordine Coracilmorphae (Mcclure et al., 2019).

di Alessandro Ceccarelli

Falco di Harris

ARRIVANO I LUPI

Dalle aree desertiche e semi-desertiche dell’Arizona, New Messico e Texas ai boschi delle coste peruviane, dalle savane argentine fino alle paludi di mangrovie brasiliane: per una ipotetica preda che vive in questi habitat c’è solo una cosa più terrificante che avere una poiana di Harris alle costole, averne cinque.
Gli Harris sono predatori territoriali impavidi ed eccezionalmente eclettici, imparano molto velocemente come sfruttare le circostanze a loro vantaggio e sanno adattarsi a qualsiasi situazione predatoria, dall’ agguato da posatoio alle planate in termica con scivolate veloci, dai lunghi ed estenuanti inseguimenti sulla coda ai tallonamenti ravvicinati ad alta manovrabilità. Sono in grado di catturare qualsiasi tipo di preda di adeguate dimensioni, in volo diretto o (più frequentemente) di rimessa, in aria o a terra, vantando un tasso di successo di catture paragonabile a quello dell’astore.
La morfologia di cui dispone è il perfetto compromesso per esprimere le sue abilità : le ali relativamente lunghe ma larghe e arrotondate e l’ampia coda sono adatte a sostenere la velocità in volo livellato, a veleggiare sfruttando le termiche così come a manovrare rapidamente nella boscaglia; rispetto all’astore ad esempio è in grado di padroneggiare con maggiore precisione le virate repentine in velocità.
Le zampe lunghe e sottili che permettono l’allungo finale sulla preda sono adatte a infilarsi nelle tane e a posarsi sugli spinosi cactus senza ferire il corpo, oltre che a contribuire alla dissipazione del calore, come il piumino ridotto.
La vista è eccezionale perfino per gli alti standard dei rapaci; come per aquile e falchi le due fovee sono in grado di fornire informazioni estremamente precise su distanza, posizione e velocità di movimento, ma la risoluzione dei colori è superiore a quella di qualsiasi altro animale finora studiato, anche nel campo acromatico;
i rapaci infatti hanno una capacità di vedere i contrasti 10 volte inferiore a quella umana, probabilmente un compromesso evolutivo a favore della sensibilità cromatica, che invece è molto superiore alla nostra.
Si pensa che i falchi utilizzino canali acromatici per rilevare oggetti piccoli (o distanti) e canali cromatici per visualizzare gli oggetti grandi (o vicini) e che per questo motivo gli Harris siano in grado di rilevare prede a distanze molto maggiori rispetto agli altri falchi.
Durante la caccia, la poiana di Harris mette in atto il sistema d’intercettazione più versatile mai osservato, in grado di ottimizzare la velocità di risposta e il rischio di superamento e di sviluppare con la stessa efficacia sia un inseguimento veloce e irregolare sulla coda (fino a circa 55-60 km orari) sia azioni dall’alto tramite spirali di controllo e rilasci in planata, che possono raggiungere i 180 km orari.
Gli Harris infatti utilizzano una legge di guida mista, che unisce la navigazione proporzionale usata dai falchi pellegrini.
Ad ogni virata, determinata dalle rispettive velocità e dall’angolo formato dalle rispettive direzione di volo, il falco non solo guadagna spazio sulla preda ma si mantiene in una posizione laterale d’intercettazione leggermente ritardata e coperta alla sua visuale (vedi figura).
Non sono veloci come i falconi né dispongono dell’accelerazione fulminante dell’astore, ma gli Harris possiedono una caratteristica che assicura loro un posto tra i 100 predatori più efficaci del pianeta: l’intelligenza.
I test cognitivi dimostrano una diminuzione costante del tempo di risoluzione dei problemi, una capacità logico deduttiva paragonabile in certe situazioni a quella di corvidi e pappagalli e una elevata capacità di elaborazione e correzione dell’errore.
Dotati di un’ottima memoria, come le aquile, dimostrano una rapidità di apprendimento superiore a quella di qualsiasi altro rapace.
A differenza degli altri falchi, che apprendono principalmente per esperienza diretta, gli Harris imparano molto e velocemente anche osservando e seguendo i compagni più esperti.
I ricercatori sono convinti che l’eccezionale intelligenza degli Harris sia una conseguenza evolutiva del loro stile di vita sociale, sviluppato in funzione di una massimizzazione della riproduttività attraverso l’allevamento e la caccia cooperativa.
La cooperazione spesso può facilitare la caccia in ambienti complessi e la cattura di prede impegnative: una lepre adulta pesa più del doppio di una femmina di Harris, più del triplo di un maschio, e un calcio delle sue possenti zampe può seriamente infortunare qualsiasi falco.
D’altra parte però la cooperazione nella caccia implica comportamenti che riducono i guadagni immediati in previsione di ipotetici guadagni futuri: l’apprendimento di questo meccanismo è piuttosto difficile per qualsiasi animale, pertanto la capacità di raggiungere una cooperazione stabile è spesso collegata all’evoluzione di sistemi nervosi centrali complessi.
Come complessa è la struttura di rango all’interno del gruppo, che può essere costituito da una coppia alfa o più frequentemente da una coppia alfa e uno o due aiutanti fino a un massimo di 6-7 individui, organizzati secondo una gerarchia lineare per sesso (una femmina alfa a cui è subordinato un maschio alfa al quale sono subordinate le femmine beta e cosi via) e per età (le femmine gamma sono subordinate ai maschi beta piu anziani ma non ai maschi piu giovani).
La coppia alfa è la principale riproduttrice, ma può essere presente una seconda riproduttrice alfa, subordinata alla prima e superiore al maschio alfa.
Agli aiutanti non viene permesso di avvicinarsi al nido quindi solitamente non partecipano alla cura diretta delle uova e dei piccoli, ma contribuiscono a procurare le prede, a trasportarle al nido e a difenderlo dagli altri predatori. Secondo i dati forniti dallo studio del DNA all’interno di alcuni gruppi in Arizona risulta che la maggior parte degli aiutanti gamma sono di solito discendenti della coppia alfa mentre i maschi beta e le femmine alfa-2 ne sono spesso estranei.
Tra i rapaci sono note delle forme di caccia cooperativa soprattutto durante il periodo riproduttivo. Sembra che i falchi pellegrini raggiungano il 15% di catture in più cacciando in coppia, il 25% in più per gli aplomado. L’astore pallido (Melierax canorus) e la poiana dorsorosso (Geranoaetus polyosoma) hanno mostrato prove di riproduzione e caccia cooperativa tra gruppi sociali più grandi e stabili, ma sono gli Harris che hanno portato questo modello ai più alti livelli di raffinatezza, tanto da avere ispirato diversi logaritmi di coordinazione di elementi o di ricerca e individuazione di coordinate.
Nell’arsenale poliedrico di strategie che sono in grado di attuare, la ricerca a staffetta è la più spettacolare e varrebbe da sola un viaggio nel deserto del Sonora: i falchi si muovono in perfetta sincronia, ognuno sempre consapevole della posizione dei compagni, osservandosi costantemente e comunicando non uditi tramite quella vistosa banda bianca che portano in punta di coda: quando viene mossa lateralmente è il segnale che si ė in posizione, pronti per la mossa successiva.
E’ impressionante la velocità con cui il gruppo si muove e quanto terreno riesce a coprire, fino a 5-6 km in una decina di minuti.
Mentre cacciano gli Harris assumono ruoli adatti ai loro punti di forza e alla loro esperienza oltre che al loro status, come si osserva nei lupi; ad esempio i falchi dotati della vista migliore diventano solitamente gli osservatori.
Si riuniscono all’alba, spesso su un unico posatoio, se necessario infilati uno sopra l’altro come un totem in mezzo al deserto, per dividersi poi in due o tre gruppi: il primo vola per circa 100-200 metri verso il prossimo punto d’osservazione, seguito dopo pochi istanti dagli altri, in posizioni più laterali per allargare il raggio d’azione. Quando il primo gruppo viene raggiunto continua ad avanzare e, una volta appostato, gli altri seguono, avanzando a loro volta.
Il falco guida cambia ogni volta che un altro falco lo sorpassa, di solito proseguendo nella direzione già intrapresa.
Quando l’osservatore si alza sulle zampe e inizia a muovere tipicamente la testa per ottimizzare la fovea centrale, quella che vede a distanza, tutti gli altri Harris si allertano e si preparano all’azione perché significa che la preda è stata individuata; l’osservatore parte, volando rapidamente nella direzione che stava puntando e gli altri simultaneamente partono dalle diverse posizioni nella stessa direzione, ancora prima di avere avvistato la preda. La caccia è iniziata.
Una volta in volo, un solo falco guiderà l’inseguimento, con gregari su entrambi i lati che mirano ad intercettare le virate.
Se il primo falco manca, ci sarà sempre un altro falco in posizione elevata pronto ad attaccare, mentre il primo ha il tempo di rimontare; ad ogni assalto aumenta la posizione ottimale di ciascun falco rispetto alla preda, finché l’intero gruppo convergerà da tutte le angolazioni intercettando e inibendo ogni possibile via di fuga: la direzione degli attacchi infatti non è casuale ma finalizzata a spostare la preda nel punto preciso di convergenza dei gruppi.
Quando la preda riesce a trovare rifugio in un bosco, in un cespuglio o su uno specchio d’acqua non può stare di certo più tranquilla.
Uno o due elementi, di solito i giovani o i maschi di basso rango, si butteranno senza esitazione, cercando di catturarla o comunque di muoverla dal fitto per renderla visibile agli altri Harris in attesa, mentre un altro falco è pronto a prevedere il nascondiglio successivo e a bloccarne l’accesso con le zampe, tenendo così la preda costantemente in fuga fino ad esaurirla.
Alla fine dell’impresa tutti i componenti del gruppo condivideranno il pasto, indipendentemente dal rango e dal ruolo giocato nell’azione di caccia.
L’attacco a staffetta viene utilizzato soprattutto per gli inseguimenti su lunghe distanza dei lagomorfi: ne è stato osservato uno eccezionale che ha coperto oltre 800 metri di deserto con più di 20 attacchi.
In circostanze diverse, gli Harris hanno attaccato uno stormo di comuni piccioni in foraggiamento, obbligandoli ad alzarsi con passate radenti e indirizzandoli con attacchi multidirezionali verso un bosco limitrofo, dove la loro superiorità sul volo livellato era praticamente annullata a favore degli Harris, che si muovono molto più agevolmente in un ambiente complesso.
La poiana di Harris è presente in due sottospecie, unicinctus harrisi e unicinctus unicinctus ma la prima, di dimensioni maggiori, è decisamente più votata alla caccia cooperativa.
Approdata nel mondo della falconeria solo di recente e apprezzata per il notevole equilibrio, la versatilità e l’indole cooperativa,
può risultare riduttivo approcciare questi eccezionali rapaci senza dare il giusto peso alla loro unicità etologica, addestrandoli con le stesse tempistiche e modalità di caccia e di gestione del peso usate per gli altri accipitridi.
Quella straordinatria intelligenza, che sicuramente facilita i processi base dell’addestramento e favorisce un livello di socializzazione impensabile con gli altri falchi, può rivelarsi un’arma a doppio taglio e una gestione sbagliata potrebbe trasformare il migliore dei falchi in un individuo terribile, aggressivo e inaffidabile. Ma questa è un’altra storia…
Di sicuro se l’Imperatore avesse avuto l’occasione di vedere questi “cattivi ragazzi” all’opera, ne avrebbe voluto una squadra al seguito durante le sue proverbiali cacciate.
Lara Flisi

Il Girifalco

La vita negli ambienti selvatici pone continuamente ardue sfide, richiede grandi doti naturali, temperamento, capacità di adattarsi alle circostanze e ai tipi di habitat di cui si dispone, alcuni talmente estremi e desolati da sembrare impossibili da affrontare per qualsiasi predatore.
Siamo negli sconfinati e spettrali paesaggi della tundra artica, velati di nebbia e silenzi che sembrano estendersi all’infinito, dove le estati sono brevi e gli inverni lunghi e glaciali, con poche ore di luce a disposizione per cacciare e interminabili notti di inattività e gelo che costringe ad accumulare altissime riserve di energia in un ambiente con la più bassa concentrazione di prede del pianeta, per la maggior parte dell’anno ricoperto da una spessa coltre di neve che inibisce ancor più la vista di scenari già poveri di contrasti.
Lungo le inaccessibili coste scoscese, le potenziali prede sono solo i veloci uccelli marini mentre gli altopiani interni offrono una più ampia gamma di prede per una breve estate, che coincide con la stagione riproduttiva. Durante il lunghissimo inverno l’alimentazione dipende quasi esclusivamente dalle pernici bianche.
Queste condizioni eccezionali hanno plasmato un predatore eccezionale, il più grande, aggressivo e potente falcone al mondo.
La popolazione più numerosa vive nelle aree dove tutt’oggi sussistono le condizioni dell’ultima era glaciale tra Alaska , Canada, Groenlandia, Islanda, Finnoscandia e Siberia.
Il girfalco è un favoloso predatore deserticolo perfettamente adattato alle latitudini artiche.
Il piumino è più fitto rispetto a quello degli altri falchi e ricopre completamente i tarsi; l’acuità visiva è di poco inferiore a quella del falco pellegrino ma in compenso dispone di una migliore visione crepuscolare che gli consente di individuare meglio i contrasti acromatici e di cacciare nell’oscurità invernale.
La scarsità di opportunità predatorie lo hanno reso fortemente territoriale (la coppia domina un territorio esclusivo che può coprire 30 km quadrati), oltre che particolarmente intelligente e strategico; la ricerca della preda viene effettuata solitamente a bassa quota seguendo il profilo del terreno e aggirando gli ostacoli per sfruttare l’effetto sorpresa;
in estate i maschi sono spesso stati osservati catturare piccoli passeriformi alle prime armi nell’area intorno al nido, piccole scorte di energia procurate senza dispendi.
Come tutti i falconi sono specializzati nella caccia aerea di altri uccelli ma si sono perfettamente adeguati anche alla predazione dei mammiferi di piccole e medie dimensioni.
La incredibile adattabilità a questi climi è testimoniata dalle recenti scoperte sulle sue abitudini invernali, rimaste a lungo un segreto: i ricercatori hanno osservato che molti girfalchi dell’alto Artico svernano e trascorrono lunghi periodi di tempo in mare vivendo e cacciando uccelli marini sulla banchisa polare, lontanissimi dalla terraferma.
Il volo del girfalco è veloce e alterna potenti e lenti battiti d’ala a brevi fasi di planata al modo dell’astore, a cui assomiglia per morfologia più che agli altri falconi: l’ala è più ampia e più larga, la coda più lunga, lo sterno più profondo e i muscoli pettorali più sviluppati.
Nonostante il suo notevole peso, l’ampiezza delle ali determina un carico alare inferiore a quello dei pellegrini e solo leggermente più alto rispetto al falco sacro; abbinato alla straordinaria potenza del muscolo pettorale permette al girfalco di sviluppare una velocità in volo orizzontale che può raggiunge una punta massima di 120 km orari. Solo il falco sacro, praticamente la sua variante meridionale, riesce a competere.
Le prede di terra vengono catturate generalmente con le tecniche d’inseguimento sulla coda, come il falco sacro, mentre per catturare gli uccelli marini si comporta come un pellegrino sebbene con un approccio più diretto; le sue picchiate, che possono raggiungere i 200 km orari, partono da quote più basse e sono meno spettacolari ma più persistenti, arrivando a sfiorare il terreno per involare una preda.
Come i pellegrini, anche i girfalchi attaccano con traiettorie modellate dalla legge di guida di navigazione proporzionale (A), che comanda la virata in proporzione alla velocità angolare della linea di visuale sul bersaglio, con un guadagno di traiettoria ad ogni virata. Tuttavia, questo guadagno è significativamente superiore nei pellegrini rispetto ai girfalchi, che riescono a sviluppare una svolta in planata più lenta e un percorso di intercettazione più lungo; probabilmente questo è dovuto a un adattamento ecologico, perché un basso valore di guadagno di guida diminuisce il rischio di superamento, favorendo l’inseguimento esplosivo su breve distanza così come i lunghi inseguimenti ad alta velocità, le specialità dei girfalchi: l’assalto parte diretto e una volta iniziato non lo abbandoneranno per nessun motivo, continuando ad attaccare con quella determinazione, intensità e facilità d’azione che meravigliosamente li caratterizzano.
Quando incalza la preda, il girfalco sfrutta la strategia dell’inseguimento classico (B) che, manovrando per mantenere l’obiettivo ad un angolo costante del campo visivo, gli fornisce il minimo tempo di intercettazione necessario: la preda resta immobile al centro del campo visivo e diventa sempre più grande e dettagliata man mano che si avvicina; allo stesso modo l’attaccante non si muove dalla prospettiva della preda che, a causa dell’angolo obliquo del percorso del rapace, non riesce a percepirne la posizione esatta.
Grazie alla potenza e alla velocità che riesce a sviluppare, il girfalco insegue la preda secondo la traiettoria più diretta anche per lunghissime distanze, con curve di adattamento poco profonde, arrivando progressivamente a raggiungerla fino a scavalcarla per poi tagliarne repentinamente la traiettoria con un colpo diagonale, ghermendola con gli artigli e finendola a terra con unico colpo di becco; spesso non tenta neanche di afferrarla ma la schianta direttamente al suolo.
Se il primo assalto fallisce insisterà risalendo di potenza sulla coda per poi scaricare tutto il suo peso direttamente sulla preda, con effetti devastanti anche da quote relativamente basse.
Il girfalco si presenta in tre principali varianti cromatiche, chiara, grigia e scura, con una tale presenza di sfumature intermedie (anche all’interno della stessa covata) che per molto tempo gli ornitologi hanno pensato a una vera e propria mutazione morfologica tra sottospecie, riferendosi erronemente ai tre gruppi come ‘forma’ (‘morph o forma chiara’ oppure ‘morph o forma scura’); in altri casi veniva utilizzata la dicitura ‘fase chiara’ o ‘fase scura’, che suggerirebbe però una variazione di colore nel tempo dello stesso individuo.
Nel caso del girfalco si parla sostanzialmente dello stesso falco il cui piumaggio presenta delle semplici varianti cromatiche determinate da connotazioni geografiche specifiche: tutte le popolazioni discendono dalla paleo-sottospecie Falco rusticolus swarthi e sono il risultato dell’isolamento geografico in tre diverse aree separate tra loro durante l’ultima era glaciale, con la variante bianca nella Groenlandia settentrionale, la melanica nella zona del Labrador e l’originale variante grigia limitata all’area eurasiatica. Quando il ghiaccio si ritirò, le popolazioni si sono incrociate fino a produrre l’attuale gamma e distribuzione: la variante bianca, o con uno schema di sbarramento minimo, è quella alto-artica (Groenlandia e nord-est del Canada), la variante grigia è basso-artica (Islanda, Fennoscandia, Russia) e la variante scura è sub artica (Groenlandia e Canada meridionale, Nord degli U.S.).
Il colore nero ė legato al sesso e si presenta principalmente nelle femmine; sembra che risulti difficile per gli allevatori ottenere maschi più scuri del grigio ardesia.
Come gli altri falconi, i girfalchi non costruiscono nidi ma semplicemente sfruttano gli incavi delle pareti rocciose che riutilizzano anno dopo anno; in molti casi possono essere utilizzati più o meno a intermittenza per centinaia e addirittura migliaia di anni.
La datazione al carbonio ha rivelato un nido ancora in uso a Kangerlussuaq, nella Groenlandia centro-occidentale, di un’età compresa tra 2.360 e 2.740 anni.
Il girfalco è da sempre il più ambito tra tutti i rapaci di falconeria.
Grazie alla sua intelligenza ha la capacità di sviluppare un forte legame con il falconiere tanto che nelle prime fasi dell’addestramento si può procedere molto velocemente (tranne che per il volo a monte, che generalmente recepisce con più fatica rispetto al pellegrino) e anzi molti esperti falconieri insistono che per ottenere un buon girfalco da caccia sia fondamentale il lavoro di muscolamento e di esperienza diretta sulla preda durante il primo anno di età quando sta ancora sviluppando, oltre che la muscolatura, il particolare temperamento nella caccia.
I falchi tendono a standardizzare con il tempo le modalità di attacco con le quali ottengono più successi, mentre da giovani possiedono una maggiore plasticità mentale; per i pellegrini questa finestra di tempo è generalmente più ampia rispetto ai girfalchi, che maturano più velocemente e possono essere riproduttivi già al secondo anno di età.
Il girfalco ha bisogno di un esercizio costante per mantenere la potente muscolatura perchè, come per gli accipiter, perde tonicità e vigore più velocemente rispetto ad esempio al falco pellegrino.
Generalmente ha anche bisogno di più spazio per cacciare perché la potenza di volo è così sviluppata e la sua determinazione così radicata che può inseguire orizzontalmente una preda per chilometri prima di catturarla o di decidere di abbandonare e tornare dal falconiere.
Adattato ai climi rigidi e secchi, può diventare piuttosto problematico gestire un girfalco quando vive in climi caldi e umidi in quanto sviluppa una particolare vulnerabilità a patologie quali la tricomoniasi, l’aspergillosi e, data la sua mole, il bumblefoot.
Tutti elementi che vanno considerati prima di accostare la magnificenza del falco dei re.
                   Lara Flisi

Sua Maestà, L’Aquila Reale

Il nome dell’aquila reale si ispira alla magnifica cresta di piume dorate che le adornano il capo come una corona, ma ci sono molti altri motivi per cui da sempre viene considerata la regina dei cieli.
Ciò che la definisce è l’intelligenza e la memoria straordinarie, la sicurezza di sé, la consapevolezza della sua forza, la capacità di osare in qualsiasi situazione, che sia un cielo tempestoso, una predazione pericolosa, la difesa del territorio o della preda, quando la sovrasta alzandosi sulle zampe a petto in fuori e con la cresta ben alzata, perché sia chiaro che verrà protetta con vigore.
Parte della sua aggressività deriva dal carattere spiccatamente territoriale e da ciò che percepisce come suo territorio di approvvigionamento, che sia una vallata, una voliera o il pugno di un falconiere: definito un territorio, l’atteggiamento verso chi riconosce come intruso è sempre di sfida e l’unico modo per stabilire un rapporto di reciproca fiducia, che potrebbe diventare profondissimo per la sua propensione a legarsi a un compagno per tutta la vita, è quello di dimostrarle la stessa sicurezza o tenderà sempre ad avere un atteggiamento prevaricante.
Le aquile reali solitamente sono i rapaci più grandi dell’areale in cui vivono e mantengono alcuni dei più vasti home range conosciuti tra gli uccelli, che possono variare secondo l’abbondanza di cibo e le preferenze dell’habitat da 20 a 200 kmq.
I territori di caccia sono esclusivi della coppia e gli intrusi sono avvertiti, ai margini degli areali piuttosto che nelle vicinanze del nido, con potenti display di minaccia (67% dei maschi e 76% delle femmine) che includono il volo ondulato, soprattutto durante il periodo di pre-deposizione a fine inverno,e il volo diretto aggressivo con sbattimenti di ala esagerati.
Solitamente questi avvertimenti aerei sono più che sufficienti per inibire qualsiasi tipo di uccello e molto raramente arrivano ad agganciarsi seriamente rischiando di ferirsi.
Tra tutte le aquile è quella con la più spiccata propensione alla caccia, che sfrutta in modo incredibilmente opportunistico; praticamente tutto quello che si muove può essere classificato come una preda. All’interno del loro immenso areale sono state registrate oltre 400 specie di vertebrati, principalmente piccoli e medi mammiferi (84%) e uccelli di taglia media (15%); nel periodo invernale quando molte tipologie di prede sono in letargo o ai minimi della popolazione può ricorrere allo sfruttamento delle carcasse.
Questi predatori apicali, che possiedono il più sofisticato sistema visivo del regno animale e possono permettersi di guardare direttamente perfino il disco solare, sono strateghi brillanti e cacciatori irriducibili a volte al limite dell’incoscienza, con l’aggressività e la potenza di un gigantesco astore, la velocità di uscita di curva di un falco pellegrino e l’abilità di veleggiare delle poiane, in grado di combinare una miriade di strategie di attacco in base alle condizioni climatiche, alla topografia, al tipo di preda e alla sua strategia di fuga.
Possono attaccare una volpe sprovveduta planando senza battito d’ala da un alto posatoio come scendere in picchiata e afferrare al volo un grande migratore, pianificare un agguato a una marmotta nei pressi della sua tana o lanciarsi in un potente inseguimento sulla coda di un capriolo.
Non è raro vederle stanare un coniglio da una cava o un giovane camoscio dalle zampe della madre; se il branco è troppo serrato e non lascia possibilità di manovra ha la pazienza di aspettare da un posatoio nascosto che si presenti il momento giusto.
Considerate le notevoli dimensioni è incredibile la capacità che dimostrano nel veleggiare ad alta quota, sparire in un attimo dal cielo e ricomparire controluce da una direzione d’intercettazione del tutto inaspettata: quando la preda viene individuata e l’aquila inizia a uscire da una termica per abbassarsi non lo fa orizzontalmente ma continuando a costeggiarla; poiché le termiche sono circondate da correnti discendenti si crea una zona piuttosto tumultuosa dove la direzione del movimento si inverte in poco spazio e dal basso diventa difficile capire se l’aquila si trovi sempre alla stessa altezza o se si stia effettivamente abbassando finché la sagoma non diventa abbastanza grande, ma a quel punto partirà con una planata d’intercettazione in grado di prevedere con incredibile precisione le vie di fuga della preda; se la traiettoria non è ottimale, invece di incalzarla da vicino e sprecare inutilmente energia la sopravanza fingendo di allontanarsi quindi svolta repentinamente sfruttando la velocità d’uscita dalla curva per coglierla di sorpresa e afferrarla con una pressione di 70 kg per cm², oltre tre volte la forza massima di una mano umana.
La zampa è dotata di quattro formidabili artigli e si adatta al tipo di preda che afferra: un piccolo animale viene schiacciato nella presa degli artigli sovrapposti mentre per afferrare animali più grandi si allarga ponendo automaticamente gli artigli in posizione di perforazione.
La planata può seguire una traiettoria più o meno perpendicolare in base alla situazione: di solito le prede che corrono e che comportano un inseguimento aggiuntivo vicino al suolo, come i mammiferi, vengono attaccate in diagonale per sfruttare la velocità acquisita in planata e lanciare un eventuale inseguimento mentre i grandi uccelli migratori come oche e gru possono essere attaccati verticalmente per inibirne le vie di fuga, con picchiate che possono raggiungere i 200 km orari; questa tecnica molto dispendiosa viene sfruttata raramente perché per essere efficace l’aquila deve raggiungere un vantaggio di quota su una tipologia di prede che tende a guadagnare collettivamente altezza ad ogni tentativo di avvicinamento.
La maggior parte delle catture avviene a terra, partendo da un posatoio elevato o direttamente in volo.
L’attacco a una preda isolata in uno spazio aperto può partire anche da distanze di oltre un chilometro: si avvicina in planata da un’altezza di 50-100 metri con la velocità che aumenta man mano che le ali si chiudono, colpendola direttamente oppure sorvolandola e intercettandola con un’ampia curva; appena prima dell’impatto i piedi vengono spinti in avanti con tale potenza che arrivano sulla preda con una velocità del 10-15% in più rispetto al resto del corpo, come gli astori.
Con una preda elusiva a portata di tana tutto si gioca in pochi istanti e sfrutta soprattutto l’effetto sorpresa: si avvicina sottovento con volo radente a pochi metri dal suolo e con un angolo inferiore ai 30 gradi, sfruttando magistralmente le ondulazioni del terreno e il basso profilo frontale, con ali e coda allineati in un’unica “ala delta” per sostenere il volo e nascondersi alla vista della preda, attività tutt’altro che semplice per un uccello della sua portata; se viene individuata prima della chiusura inizia a battere potentemente e lancia un inseguimento classico fino a 80-90 km orari, sfruttando la legge di guida di navigazione proporzionale.
La caccia degli ungulati come camosci, stambecchi e caprioli può essere molto laboriosa e richiedere da pochi secondi a oltre 15 minuti: generalmente sorvola il branco per metterlo in fuga e creare l’opportunità di selezionare l’attacco, di solito gli individui più giovani, raramente quelli che possono sembrare malati, quindi parte in planata per lanciare l’inseguimento e atterrare sulla schiena o sul collo della preda, stringendo con gli artigli per tentare di perforare organi vitali o causare shock tramite l’impressionante pressione esercitata su ossa e cartilagini. La “cavalcata”, con le ali spiegate per mantenere l’equilibrio, può durare anche diversi minuti fino a quando la preda non crolla a causa di esaurimento, shock o lesioni interne.
La cattura degli ungulati adulti è eccezionale ma dimostra tutta l’audacia dell’aquila reale perché spesso predatore e preda restano avvinghiati in una rovinosa caduta senza controllo lungo le scarpate rocciose. Questi attacchi di solito si verificano nel tardo inverno o all’inizio della primavera, quando le altre prede disponibili sono scarse nella maggior parte dell’areale e le aquile non devono trasportare le prede al nido.
Quando insegue volpi e coyote di solito approccia da dietro, lungo l’angolo cieco del mammifero, supera e sferra l’attacco lateralmente, sfruttando la potenza dell’impatto per scaraventarli al suolo o agganciarli al volo e trascinarli, mentre una zampa ghermisce il muso per inibirne il morso. Il lupo invece viene approcciato sempre da dietro.
La loro astuzia è evidente anche quando cacciano in coppia: l’inseguitore (solitamente il maschio) distoglie l’attenzione della preda cercando di indirizzarla verso il posatoio dove la compagna è in attesa oppure sferrano attacchi alternati da diverse elevazioni e direzioni, come una coppia di poiane di Harris.
Gli uccelli hanno escogitato diversi modi per risparmiare sul costoso fabbisogno energetico del volo, soprattutto per sostenere i tratti di lungo corso delle migrazioni; i piccoli uccelli sono abbastanza leggeri da poter rimanere in volo sbattendo rapidamente le ali e sfruttando le turbolenze atmosferiche, un’attività troppo dispendiosa per i grandi uccelli migratori, che fanno affidamento su altri tipi di volo, librarsi e planare. Le formazioni a V di gru e oche sono un esempio familiare; avvoltoi e fregate utilizzano prevalentemente le correnti ascensionali termiche, i condor andini seguono le correnti orografiche, i procellariformi sfruttano più spesso il volo dinamico.
Questi grandi veleggiatori possiedono un muscolo pettorale costituito da uno strato profondo e da fibre lente, associate comunemente al tipo di volo veleggiato perché ritenute più efficienti nelle contrazioni isometriche utilizzate durante la postura di volo e perché consentono ai tendini di immagazzinare energia elastica.
Il muscolo pettorale e gli altri muscoli della spalla dell’aquila reale invece presentano poche o nessuna fibra muscolare lenta. Più che per le lunghe tratte di volo, il muscolo pettorale dell’aquila, che può arrivare a quasi il 50% del suo peso, sembra costruito per la caccia, per le progressioni e la potenza esplosiva del battito, in grado di sollevare oltre al notevole peso dell’animale (una femmina può raggiungere i 6-7 chili) quello aggiuntivo di una preda di pari dimensioni.
Eppure sono volatrici impareggiabili; di norma occupano solo tra il 3 e il 15 percento del loro tempo in volo, ma quando si librano sono le regine indiscusse, in grado di sfruttare regolarmente tutte le modalità di navigazione possibili alternandole con disinvoltura e con un’abilità senza uguali nei cieli.
Viaggiano a una velocità di crociera di circa 45-50 km orari con le ali tenute in una leggera forma a V e le remiganti secondarie dirette verso l’alto per ridurre la resistenza.
Il volo battuto di solito consiste in 6–8 battiti d’ala profondi, intervallati da 2–3 secondi di planate, con ali e coda tenute sullo stesso piano e le punte delle primarie aperte come dita di una mano per ottimizzare il flusso d’aria sulle ali e ridurre la resistenza.
La coda può fungere da timone per compensare i venti trasversali o essere allargata per aumentare la portanza o diminuire la velocità in fase di atterraggio, quando anche le remiganti secondarie vengono spostate verso il basso per aumentare la resistenza.
Il volo dell’aquila sembra così naturale da sembrare semplice e lineare per un osservatore da terra; in realtà sta navigando in un flusso d’aria strutturato e in costante divenire, con movimenti verticali e orizzontali, vortici e turbolenze di varie dimensioni e velocità, uno scenario che mette alla prova qualsiasi tipo di velivolo umano. Al contrario, per le aquile non sono affatto un ostacolo e anzi trovano la loro massima espressione proprio in queste condizioni: invece di complicare le operazioni di volo, le termiche più potenti vengono sfruttate in scioltezza per guadagnare quota, mentre le turbolenze incubo di ogni pilota sono per lei una fonte di energia che utilizza per aumentare la velocità.
Recenti studi hanno riscontrato un modello altamente irregolare e fluttuante nelle accelerazioni dell’aquila reale in volo che ricorda le tipiche traiettorie delle particelle nei flussi d’aria turbolenti; in un lasso temporale compreso tra 0,5 e 10 secondi, che si traducono in circa 1 – 25 battiti d’ala, le accelerazioni dell’aquila e la turbolenza atmosferica erano completamente sincronizzate. Per avere un’idea di queste accelerazioni, i passeggeri che viaggiano a bordo di un volo commerciale sperimentano un’accelerazione inferiore a 0,1 g, quelle delle aquile superano 1 g.
Per alzarsi di quota e spostarsi nello spazio con la massima efficienza e il minimo dispendio di energia, il vero dominio delle aquile, sfruttano sostanzialmente due tipi di correnti ascensionali, le correnti termiche correlate a temperature calde e topografia piatta, come una vallata, e le correnti orografiche, correlate a condizioni meteorologiche ventose e pendii accentuati.
L’utilizzo dello spazio aereo in cui viaggiano o stazionano solitamente le aquile, tra i 50 e i 3.500 metri di altezza, è strettamente collegato alla topografia terrestre sottostante perché particolari caratteristiche topografiche hanno maggiori probabilità di fornire un sollevamento energetico del vento; i nidi e i posatoi di avvistamento sono sempre in prossimità di questi fenomeni.
Le aquile reali possiedono una mappa mentale per noi inimmaginabile che permette loro di “vedere” in un modo a noi sconosciuto questo straordinario scenario di masse d’aria che si scontrano, vorticose turbolenze, bolle e colonne di varie dimensioni che si staccano dal suolo, venti direzionali che risalgono lungo i declivi, e sono in grado di utilizzarli tutti superbamente.
Di norma, quando sono disponibili correnti ascensionali termiche, le aquile le utilizzano perché sono l’ascensore più veloce e potente a disposizione (e anche le più difficili, per noi umani, da gestire): girano all’interno di queste potenti colonne di aria per guadagnare quota e quando la portanza della termica è in esaurimento la abbandonano planando fino a quella successiva, guadagnando progressivamente in altezza e velocità.
Le correnti termiche si formano quando l’energia del sole riscalda l’aria sulla superficie terrestre e la differenza di temperatura al suolo la fa salire; maggiore è il contrasto tra terreni vicini e maggiori sono le possibilità che si formi uno strato limite termico: i campi arati sono un ottimo esempio quando circondati da terreni meno idonei a trattenere il calore, come altri campi non arati, prati o boschi. Nelle primissime ore dell’alba l’aria è praticamente immobile, condizione ideale per una normale planata; dopo un paio d’ore iniziano a distaccarsi le prime piccole bolle che nella tarda mattinata aumentano e possono raggiungere i 30-50 metri di diametro, distaccandosi in modo sempre più ravvicinato fino a formare, nelle ore di massima insolazione, potenti colonne continue e piuttosto strette, dove l’ascendenza è massima verso il centro e minore man mano che si avvicina al margine, le condizioni più difficili da gestire se non sei un’aquila reale. Nelle termiche più grandi non è raro trovare due o più noccioli distanti anche decine di metri.
Nelle ore pomeridiane le colonne si allargano e raggiungono anche parecchie centinaia di metri di larghezza perdendo progressivamente potenza fino a spegnersi completamente al calare del sole.
Le ore di maggiore attività in volo delle aquile, non a caso, sono le ore centrali della giornata, tra le 11 e le 14, quando le spinte termiche sono al massimo della potenza.
La stabilità dell’aria è determinante: aria instabile significa termiche frequenti e che raggiungono quote elevate; in una giornata instabile le termiche hanno la tendenza a svilupparsi in ampie e numerose colonne raggiungendo quote molto elevate e deformandosi talvolta in veri e propri “gomiti”, mentre in una giornata stabile le ascendenze sono molto più rare, isolate e tendono a mantenere la forma di bolla, ampia anche un centinaio di metri; le turbolenze che si generano possono essere anche notevoli, ma non raggiungono mai quote elevate.
Con il vento molto debole l’aquila cercherà di salire sotto la verticale della nube, leggermente spostata nella direzione del sole; con vento più sostenuto invece calcola l’effetto di scarrocciamento, tanto più ampio quanto maggiore è la forza del vento; per trovare le termiche infatti è molto importante conoscere la direzione del vento al suolo: qualsiasi ostacolo o dislivello, per quanto modesto (collinette, boschetti isolati o filari di alberi) che costringa uno strato limite termico ad alzarsi può funzionare da punto di innesco; in queste condizioni la termica si staccherà sottovento e non sulla sua verticale.
Un pendio montano invece innesca le termiche più velocemente e lungo la verticale; Il pendio ideale è esposto ai raggi del sole, è il più lungo possibile e idealmente inclinato di almeno 25 gradi: in questo modo la termica, salendo, rimane aderente al pendio e a differenza delle termiche che si formano in pianura, l’aria continua a riscaldarsi anche mentre sale poiché riceve calore durante lo scorrimento sul pendio.
Siccome dipendono dalla topografia sottostante e a causa della loro dissipazione da parte dei forti venti, le termiche sono molto variabili; quando non sono sufficientemente potenti o quando la velocità del vento aumenta, l’aquila sfrutta il volo orografico.
Il sollevamento orografico è generato da pendii che deviano verso l’alto i venti orizzontali, quindi è un fenomeno che si concentra lungo le dorsali dei sistemi montuosi, dove si verifica il massimo slancio, e si ritiene che grazie alla loro capacità di generare sollevamento anche in condizioni di vento debole o temperature fresche fornisca le condizioni più sfruttate dai grandi uccelli per la migrazione autunnale a lunga distanza. Questa deviazione è di solito invisibile a occhio nudo, ma nelle giuste condizioni atmosferiche può venire evidenziata dalla formazione di nubi lenticolari che non si spostano col vento ma rimangono stazionarie
sottovento all’oggetto che le ha generate. Questo tipo di correnti sono quelle principalmente utilizzate nel periodo invernale, fino ai primi mesi di marzo, sono meno potenti delle termiche e le aquile raggiungono altitudini inferiori.
La capacità di passare agevolmente da una modalità di volo all’altra consente alle aquile spostamenti molto più lunghi, anche 400 chilometri al giorno, con costi energetici minimi. Per avere un’idea dell’efficienza di questa strategia, un’aquila reale è stata seguita con sistema GPS che ha dimostrano come utilizzi ripetutamente le onde gravitazionali per guadagnare e convertire l’altitudine in distanza orizzontale mantenendo una rotta coerente e come abbia generato energia sufficiente dall’atmosfera per supportare la distanza di volo percorsa.
Di norma, quando erano disponibili correnti ascensionali termiche, l’aquila le usava, mentre quando la radiazione solare era bassa o quando i venti trasversali da est a ovest erano alti venivano sfruttate le correnti ascensionali orografiche.
Su una tratta di 2 ore l’aquila ha eseguito in totale 86 cerchi, con diametri approssimativi compresi tra 30 e 40 metri e una durata media di 22 secondi. In 85 di questi cerchi ha raggiunto un guadagno medio di quota di circa 37 m per ogni cerchio, con un guadagno massimo all’interno di un singolo cerchio di +70 m e un cumulativo di +3227 m di quota. Solo in un episodio su 86 non è riuscita a guadagnare altezza: passare tra diversi tipi di sovvenzione aerea girando in quota ottantasei volte in sedici episodi mantenendo una direzione costante verso una destinazione predeterminata richiede una capacità di navigazione altamente sofisticata che pochissimi uccelli al mondo possono vantare.
Quando si vede un’aquila costeggiare i costoni delle montagne avanti e indietro ad altezze relativamente basse in genere sta cacciando e sfruttando i venti dinamici che si formano quando correnti di almeno 20-30 km orari investono perpendicolarmente una catena montuosa. Questo tipo di volo, così semplice e intuitivo per le aquile, può riservare brutte sorprese ai volatori umani perché il vento spinge proprio verso il monte e la zona di sottovento, ricca di rotori e di discendenze, possiede una notevole forza di disturbo.
Le condizioni atmosferiche estreme dei luoghi impervi deputati a suo reame indiscusso hanno plasmato l’essenza dell’aquila reale, che non si limita ad adattarvisi ma le sente, le anticipa e le domina completamente in un modo che sua maestà non ci ha ancora svelato.
“Quando vedi un’aquila, tu vedi una parte del genio, alza la testa!” (William Blake)
Al maestro falconiere Roberto Mazzetti
                                                                   Lara Flisi

I Falchi pellegrini a Caccia

I PELLEGRINI VANNO A CACCIA

falco pellegrino
falco pellegrino
In natura i falchi pellegrini sfruttano diverse tipologie di attacco in base al territorio e alle prede che hanno a disposizione, dai piccoli-medi passeriformi, specializzazione dei maschi, ai grandi uccelli acquatici delle dimensioni di un germano (mai i cigni e le oche), riservati soprattutto alle femmine.
Date le molte variabili da considerare, per i ricercatori è difficile confrontare empiricamente la percentuale di successo delle diverse tecniche utilizzate e soprattutto capire come la strategia della “picchiata”, una conquista evolutiva più recente rispetto all’agguato e all’inseguimento, preferiti soprattutto dalle sottospecie costiere come p.Cassini e p. Pealei e nordiche come p.Calidus, sia effettivamente la più efficace anche in considerazione dei requisiti fisici e cognitivi estremi che richiede, della potenziale pericolosità dell’impatto e della sua dispendiosità in termini di energia impiegata.
A parità di volume il falco pellegrino è il più pesante e compatto tra i falconi, con un carico alare maggiore rispetto a quello, per esempio, del falco sacro e in volo battuto orizzontale, con i suoi 4,4 battiti al secondo, può raggiungere al massimo i 100-120 km/h, non sufficienti per sostenere un inseguimento del più resistente colombaccio (5,2 battiti/sec), per battere in velocità un’anatra o in manovrabilità uno storno.
Per essere competitivo con prede più agili o resistenti o veloci di lui in volo orizzontale, il pellegrino ha imparato a sfruttare un’altro tipo di velocità, sviluppando una tecnica di “caduta controllata” da grandi altezze che può superare i 350 km/h.
Gli uccelli seguono soprattutto tre tipi di traiettorie: volo in linea retta, svolte ampie e regolari, virate a scatti e il falco deve essere in grado di progettare una curva tale da riuscire a catturarli in una di queste situazioni. Generalmente quando la potenziale preda si muove in linea retta, l’altezza dell’attacco è inferiore rispetto all’altezza che serve al falco per intercettare un uccello che procede con bruschi cambiamenti di direzione: la più elevata velocità infatti gli conferisce un grande vantaggio aerodinamico perchè è in grado di sviluppare rispetto alla preda una maggiore accelerazione in minor spazio e una migliore capacità di manovra, data dall’ adattamento di ali e penne a gestire le velocità estreme: particolarmente rigide sono le remiganti addette alla manovrabilità nella fase finale, con bordi perfettamente lisci per ridurre l’attrito e consentire le eventuali correzioni di rotta con minimi movimenti.
falco pellegrino
falco pellegrino
Grazie a un tipo di “navigazione proporzionale” il falco in picchiata rimane in costante linea di collisione con l’obiettivo: se l’angolo sulla linea visiva cambia, il falco vira a una velocità maggiore e proporzionale a quel cambiamento, guadagnando sempre maggior velocità rispetto all’obiettivo.
Durante la fase iniziale della caduta il falco adotta la caratteristica configurazione ” a goccia” con le ali completamente adese al corpo per offrire la minore resistenza possibile all’aria e sviluppare la massima velocità.
Gran parte del successo dell’attacco dipende dalla manovrabilità necessaria nella seconda fase, quando il falco inizia ad uscire dalla picchiata.
All’ aumento dell’angolo di attacco corrisponde una maggiore resistenza dell’aria, quindi il falco porta le ali in posizione ” a coppa”, con le primarie orientate verticalmente e leggermente staccate dal corpo, in modo che parte della portanza venga scaricata lateralmente.
Subito prima dell’impatto il falco decelera rapidamente allineando la punta delle primarie all’asse del corpo (forma a M) ma mantenendo comunque una velocità sufficiente per non stallare ed avere eventualmente la possibilità di rimontare per un secondo attacco nel caso il primo andasse a vuoto
L’altezza da cui parte la caduta è condizionata da molti fattori come temperatura dell’aria, dati barometrici, visibilità, stato di forma, apertura del territorio, dimensioni, velocità e tipologia di fuga della preda.
falco pellegrino picchiata
falco pellegrino picchiata
Il pellegrino può colpire la preda direttamente con i tarsi a fine picchiata oppure superarla e risalire con una curva lungo il suo angolo cieco per legarla con gli artigli.
A tali velocità il minimo attrito con l’aria comprometterebbe l’assetto di volo e il successo dell’attacco, motivo per cui le penne devono essere tenute in condizioni perfette.
Una delle attività quotidiane dei pellegrini è la ricerca del più vicino corso d’acqua corrente e poco profonda dove farsi il bagno e sistemare e impermeabilizzare le penne, abitudine così frequente da condizionare la scelta dei territori di caccia e dei posatoi di riposo.
Prima della caccia di solito si lanciano in qualche forma di gioco di riscaldamento, simulando attacchi alle pavoncelle o molestando qualche cornacchia di passaggio.
Quando l’aria inizia a scaldarsi parte la caccia vera con la perlustrazione sistematica del territorio, che solitamente viene sfruttato per qualche giorno alternato ad altri, anche a 20-30 km di distanza, per evitare un’azione difensiva nelle prede che potrebbero abbandonarlo definitivamente.
Alcuni setacciano in linea retta per 10 o 20 km, invertono la direttrice e rientrano per attaccare le prede già allertate e pronte a involarsi, altri battono il territorio controvento per compiere poi lunghe e repentine planate diagonali di diversi chilometri a favore di vento.
A volte possono aspettare su un comodo punto di osservazione e approfittare della conoscenza dei posti utilizzati solitamente dalle potenziali prede per abbeverarsi e nutrirsi o delle rotte abituali da e verso il nido.
Generalmente nei giorni e nei periodi più tiepidi sfruttano le correnti ascensionali, cacciano ad altezze superiori e sopra un’area più vasta rispetto alle giornate fredde e nuvolose o di pioggia o nebbia, elementi questi ultimi che inibiscono più di altri il raggio d’azione.
Ciò che attira maggiormente l’attenzione sono il piumaggio bianco o chiaro (il bianco del collare e delle bande alari del colombaccio sono ottimi punti focali per il falco in picchiata),
le vocalizzazioni in volo ( come quelle delle allodole), i comportamenti anomali che possano tradire una qualche forma di debolezza, come malattia, giovinezza o vecchiaia.
La scelta della preda dipende ovviamente dalle specie disponibili, che variano in base all’habitat e alla stagione eppure, anche tenuto conto della disponinilità, una specie risulta essere in assoluto la preferita, la “controparte” per eccellenza: il piccione e il suo relativo selvatico, il colombaccio.
Una preda velocissima, resistente e con grandi abilità di virata e di manovra, insomma un osso duro.
Anche questo, secondo me, rende l’idea di che pasta siano fatti i pellegrini.
Lara Flisi

Falco Pellegrino

UNA VITA VISSUTA PERICOLOSAMENTE

falco pellegrino
falco pellegrino
In base ai territori e alle prede che hanno a disposizione, i falchi pellegrini sfruttano diverse tipologie di caccia, come l’agguato, l’inseguimento orizzontale, l’inserimento in grandi stormi e occasionalmente perfino la caccia a terra, ma sono soprattutto le specifiche richieste dalla tecnica della caduta controllata che hanno definito le sue incredibili caratteristiche fisiche.
Come sanno bene gli ingegneri aeronautici, il volo ad alta velocità presenta sfide davvero estreme e il falco pellegrino è perfettamente equipaggiato per affrontarle tutte.
La caratteristica conformazione “a V”,
con le ali particolarmente strette e appuntite che aderiscono completamente al corpo e la coda corta che contribuisce a minimizzare l’attrito, è ciò che di meglio offre l’evoluzione in termini di aerodinamicità.
Questi uccelli resistono a una forza gravitazionale molto superiore rispetto ai piloti di aerei, che possono gestire fino a 8 – 9 G, oltre i quali sverrebbero.
Pellegrini e girfalchi possono resistere fino a 25 G, cioè 25 volte il loro peso che la forza di gravità spinge contro il corpo.
falco pellegrino
falco pellegrino
Ovviamente il falco non resta nella posizione di massima velocità durante tutta la picchiata o si schianterebbe al suolo, quindi deve mutare la forma del corpo in base
all’ attrito che incontra nelle diverse fasi della curva di caduta.
Prima di entrare in posizione di massima penetrazione e quando inizia ad uscirne la resistenza dell’aria è maggiore e le ali vengono posizionate a forma di C, con le primarie orientate verticalmente e leggermente staccate dal corpo, in modo che parte della portanza venga scaricata lateralmente.
Subito prima dell’impatto il falco decelera rapidamente allineando la punta delle primarie all’asse del corpo in una forma a M, mantenendo una velocità sufficiente per non stallare e avere eventualmente la possibilità di rimontare per un secondo attacco.
Per poter eseguire queste trasformazioni morfologiche in condizioni così estreme la muscolatura pettorale è particolarmente massiccia e la
chiglia, uno sterno adattato al volo, è particolarmente sviluppata in modo da consentire una maggiore area di attaccatura dei muscoli e maggiore potenza di propulsione nella battuta iniziale.
falco pellegrino
falco pellegrino
Una forma estremamente aerodinamica non è ancora sufficiente per mantenere un perfetto assetto di volo, serve anche una superficie liscia che non crei problemi di attrito e sufficientemente rigida da rimanere compatta anche sotto una forte pressione.
Le penne remiganti del pellegrino, fondamentali per la manovrabilità nella fase finale della picchiata, sono più rigide rispetto a quelle degli altri rapaci e particolarmente liscie lungo i bordi per favorire le manovre necessarie con minimi spostamenti del corpo.
Le piccole piume presenti sul dorso inoltre vengono alzate leggermente per permettere all’aria di fluire ancora più uniformemente lungo la parte superiore del corpo.
Per seguire visivamente i cambiamenti di direzione di una preda il falco deve girare la testa perchè gli occhi sono fissi e incassati nel cranio, ben protetti dall’anello sclerotico e dalla cresta ossea superiore.
Oltre che dalle normali palpebre, un’ulteriore protezione è fornita da una terza palpebra trasparente, la membrana nittitante.
Un tessuto sottile esteso dalla retina al cristallino fornisce ossigeno e sostanze nutritive all’umor vitreo, riducendo la necessità di vasi sanguigni negli occhi; in questo modo la luce appare meno diffusa e la visione risulta molto più nitida.
Falchi e aquile hanno sviluppato il più alto potere di risoluzione spaziale conosciuto nel regno animale.
falco pellegrino
falco pellegrino
Le cellule sensoriali visive, coni e bastoncelli, sono molto fitti: gli esseri umani hanno circa 30.000 coni nella fovea (la parte dell’occhio dove la visione è più nitida), i falchi circa un milione: oltre agli oggetti molto più nitidi e dettagliati riescono anche a percepire un numero di colori e sfumature cromatiche di gran lunga superiore, compresa la gamma delle frequenze ultraviolette.
Inoltre hanno due fovee in ogni occhio, pertanto possono disporre di una visione binoculare che consente di concentrare l’attenzione su più oggetti alla volta e di effettuare regolazioni molto precise e dettagliate in una frazione di secondo,
un pò come vedere il mondo con un obiettivo macro e uno zoom che funzionano contemporaneamente:
la fovea centrale, poco profonda e focalizzata in avanti, consente ai falchi di vedere gli oggetti lontani e di valutarne le distanze.
La seconda fovea, più profonda, ha un aspetto laterale e fornisce informazioni sugli oggetti vicini e posti lateralmente.
Per ridurre il riverbero della luce è presente, nella parte inferiore degli occhi, una barratura più o meno scura, larga e allungata, il mustacchio, che varia in aspetto nelle diverse sottospecie.
Il cervello del pellegrino si è evoluto per fornire una super vista in grado non solo di vedere a una distanza 8 volte superiore a quella umana ma anche di elaborare le immagini a una velocità maggiore rispetto a quella di qualsiasi altro uccello.
La frequenza alla quale lo stimolo luminoso intermittente diventa completamente nitido all’osservatore viene indicata come Flicker Fusion Frequency (FFF); oltre questa frequenza le immagini iniziano ad apparire sfocate, come un treno che si muove troppo velocemente.
In buone condizioni di luminosità, un essere umano può vedere nitidamente fino a 60 Hz, la poiana di Harris a 77 Hz, il falco sacro a 102 Hz e il falco pellegrino fino a 129 Hz.
Nonostante tutti questi accorgimenti il pellegrino non potrebbe supportare le velocità che è in grado di raggiungere senza un sistema respiratorio altamente efficiente che gli permetta di respirare tranquillamente a velocità a cui gli altri uccelli entrerebbero immediatamente in carenza di ossigeno.
falco pellegrino
falco pellegrino
La pressione dell’aria che entra direttamemte nelle narici ad altissima velocità infatti danneggerebbe i piccoli e rigidi polmoni ma viene rallentata da una particolare struttura ossea (tubercolo) che agisce come un deflettore, guidando e curvando a spirale le onde d’urto dell’aria.
La gabbia toracica degli uccelli è poco flessibile perchè deve alloggiare i potenti muscoli del volo che necessitano di un ancoraggio rigido; di conseguenza i polmoni hanno volume fisso e dimensioni ridotte, eppure la loro efficienza è superiore a quella di qualsiasi mammifero.
Questo perchè la respirazione segue un flusso unidirezionale, circolare e continuo grazie alla presenza dei 9 sacchi aeriferi disposti lungo il corpo tra la regione cervicale e quella toracico-addominale che, funzionando come piccoli mantici, mantengono i polmoni costantemente gonfiati anche durante l’espirazione.
Un altro importante fattore limitante del volo degli uccelli dipende dalla capacità del cuore di apportare sufficiente sangue ai muscoli del volo, che bruciano una grande quantità di ossigeno.
falco pellegrino
falco pellegrino
Il falco pellegrino ha una pompa cardiaca in grado di raggiungere i 900 battiti al minuto, consentendo all’ossigeno di raggiungere molto velocemente i muscoli e ritardare così il senso di affaticamento.
Diverse sottospecie di falco pellegrino, soprattutto quelle costiere, vivono benissimo praticando quasi esclusivamente una caccia d’agguato e d’inseguimento.
Per i ricercatori è difficile capire come si sia evoluta una tecnica così difficile, dispendiosa e pericolosa come la caduta controllata, la cui percentuale di successo per i falchi esperti sembra non superare il 20-23%, oltre a risultare mortale o fortemente invalidante in caso qualcosa vada storto.
Forse, in fondo, perchè quegli spericolati pellegrini si divertono così…
Lara Flisi