Ho cacciato come ai tempi di Federico II

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“ Vedrai ” mi aveva avvertito Giorgio “ il mio amico è un tipo molto particolare e sono sicuro vi piacerà”.
Non avevo alcun motivo per non credergli: avevo conosciuto Giorgio da poco ma lo reputavo una persona seria, molto cauta e …centrata…nei suoi giudizi sulle persone, e questa è una delle ragioni che me lo fanno apprezzare e stimare maggiormente.
“ Sono curioso di incontrarlo” gli avevo risposto al telefono “ e mio figlio Edoardo lo è ancor di più.”
“ Sai Alessandro,” aveva proseguito “ Antonio è la persona più in sintonia con la natura che io abbia mai conosciuto” e aveva iniziato a tracciarne un breve ritratto “ vive in Val Trompia, in un cascinale isolato che pare un gioiello tanto è curato. Lì lui e la moglie allevano molti animali e coltivano con metodi naturali, proprio come si faceva un tempo. Mangiano quello che si produce e producono quello che serve loro. Si fanno i formaggi da soli e cucinano e scaldano con la legna dei loro boschi.”
Questa sua descrizione bucolica, come si fossero fermate le lancette del tempo e ci si trovasse di fronte a membri delle comunità amish che vivono nell’America più tradizionale, mi stuzzicava e, confesso, m’intrigava parecchio.
Quella mattina c’eravamo alzati prestissimo e prima delle cinque e trenta eravamo già in auto. Erano iniziate le vacanze natalizie e avevo promesso a Edo che l’avrei portato con me, sulle colline piacentine.
Avrei raggiunto Giorgio ed altri amici per discutere d’un progetto relativo al mondo venatorio che stavamo sviluppando da qualche tempo, con la passione autentica dei veri cacciatori.
L’incontro era fissato nella magnifica azienda faunistica di cui lui è uno dei gestori.
Si trattava di millecinquecento ettari di terreno, stesi tra dolci e fertili alture coltivate a grano, mais, orzo e inframmezzate da verdissimi prati, pregiati vigneti e vasti frutteti sicuro rifugio per lepri, starne e pernici rosse. Tutt’intorno fitti boschetti di roverella e castagno popolati da cinghiali, daini, cervi, caprioli e delimitati da quelli spettacolari calanchi che ne rendono unico il paesaggio.
Insomma, un autentico paradiso per gli amanti di caccia e natura, due concetti che io credo siano nient’affatto in contraddizione e debbano andare a braccetto.
Io e mio figlio c’eravamo già stati il mese prima per cacciare beccacce, e ci eravamo innamorati di quell’ambiente; tornarci, per di più con la possibilità d’effettuare un’esperienza unica, era cosa da togliere il sonno non solo ad Edo, giustificato in ciò dai suoi undici anni, ma pure al sottoscritto che a passo sostenuto s’avvicina ormai al mezzo secolo.
Giorgio infatti, da gran signore qual è, aveva voluto farci un regalo: avremmo cacciato con un autentico falconiere, erede di quell’arte, nobile ed antichissima, che ha avuto in Federico II uno dei massimi cultori.
Il grande imperatore svevo, vissuto all’inizio del milleduecento scrisse anche un famosissimo trattato “ De arte venandi cum avibus ” che ancor oggi viene considerato la vera e propria “ Bibbia” dei falconieri di tutto il mondo, ed è opera che, dopo quasi ottocento anni, dimostra ancora un’incredibile capacità d’analisi e un’ineguagliabile maestria descrittiva.
La nostra mattinata sarebbe stata tutta dedicata a questa particolarissima disciplina venatoria e, fortuna nostra, pure il tempo ci accompagnava, con la previsione di un sole che avrebbe riscaldato l’aria gelida della notte e aiutato la nostra azione di caccia.
Fummo fortunati e arrivammo puntuali, favoriti dal traffico regolare e dall’assenza della nebbia, abituale spauracchio per coloro che percorrono quel tratto autostradale nei mesi autunnali e invernali.
Il nostro ospite era già pronto, e ci aspettava all’esterno della casa di caccia, un gradevole edificio in pietra e mattoni che s’affaccia sopra un ampio anfiteatro naturale da cui si può godere d’un incantevole panorama.
Avevamo ancora un po’ di tempo perché Antonio sarebbe giunto solo dopo mezz’ora e così Giorgio ne approfittò per farci fare un breve giro dell’azienda, alla ricerca di qualche cervo o capriolo.
Ma ormai il sole era splendente e gli animali, certamente usciti per le pasture notturne protetti dall’oscurità, erano rientrati nei boschi per trascorrere gran parte della giornata.
Il tempo di fare quattro chiacchiere, bere un caffè e arrivò anche il tanto atteso falconiere.

Fatte brevi presentazioni saltammo sulle auto e ci dirigemmo verso la zona di caccia prescelta.
Il giro prevedeva di salire in cima ad un poggio e da lì spostarsi verso alcuni campi e coltivi dove Giorgio sapeva essere presenti alcuni voli di rosse e starne. Avremmo cacciato battendo i fianchi di quelle colline e poi in discesa, facilitando così il volo e l’azione del rapace.
Antonio scaricò dall’auto il cane, indispensabile ausiliare per quella forma di caccia, così antica quanto affascinante. Era un setter inglese bianco arancio, tipico e bello anche se piuttosto robusto; il suo padrone, e lo si vedeva chiaramente, non gli faceva certo mancare il cibo.
“ Come si chiama ?” chiese Edo.
“ Sul pedigree c’era scritto Asso, ma non mi piaceva e così l’ho chiamato Assicello” e subito si rivolse al suo compagno in dialetto bresciano, invitandolo a raggiungerlo:
“ Te’, te’ ve’ che Assicel.”
Io e Giorgio sorridemmo pensando che solitamente i cacciatori se cambiano il nome assegnato al loro cane dall’allevatore è per abbreviarlo, renderlo immediato. Lui invece l’aveva allungato.
Quando il setter gli fu vicino Antonio gli mise il beeper al collo.
“ Hai paura vada lungo ? ” l’interrogò il padrone di casa non senza immaginare quale potesse essere la sua azione di caccia. Io, che non sono cinofilo esperto ed ho una setterina dotata di un motore impressionante che caccia sui monti, l’ avevo visto muoversi e immaginavo che Assicel cacciasse con il piglio e le aperture di un bracco italiano, piuttosto che di uno scatenato inglese.
Entrambi sbagliavamo a sottovalutarlo, e il prosieguo dell’avventura lo dimostrò senza alcuna ombra di dubbio.
“ Eh sì, ” aveva risposto Antonio senza curarsi dei nostri sorrisini “ questi cani vanno lontani.”
Ma il beeper, forse dimenticato acceso dall’ultima volta, lo tradì e non s’accese.
“ Pazienza, ” disse lui “ ne farò a meno. Giorgio, datemi una mano voi a tener d’occhio Assicel. ”
E venne il momento tanto atteso.
antonio leone1Antonio aprì nuovamente il portellone posteriore del suo minivan e sopra la gabbia del setter notammo una specie di borsone in cuoio che altro non era se non un trasportino per rapaci. Una cerniera lo chiudeva sulla parte anteriore. Dentro il magnifico uccello.
“ Che bel falco !” esclamò ammirato Edo.
“ No, non è un falco! Questo è un astore ” e lo estrasse dopo aver calzato l’indispensabile guanto in cuoio che protegge dagli artigli del rapace. In realtà, ci disse dopo, lui avrebbe potuto farne a meno, ma era meglio evitare che il predatore alato, spaventato da qualcosa, potesse stringere ferendolo con la potenza della sua stretta. Non lo assicurò, lasciandolo libero perché fosse in grado d’involarsi se fosse frullato qualche selvatico, pizzicandogli solo le zampe tra pollice e indice.
Antonio iniziò con le sue spiegazioni, dimostrandoci subito grandissima preparazione e una cultura in materia veramente notevole. Era per noi la prima prova di quanto quella nobilissima arte venatoria fosse profondamente radicata nel suo animo e di come quel tipo d’addestramento fosse la prova di quale strettissimo rapporto debba legare il cacciatore, d’ogni tipo, ai suoi ausiliari, “quattro gambe” o alati che siano.
Il suo astore era un maschio, e in quella specie il dimorfismo sessuale è particolarmente elevato.
Però, a differenza di gran parte del mondo animale, qui è ribaltato con le femmine più grandi, talvolta imponenti, rispetto al loro compagno; questo capita per molti rapaci diurni come aquile, falchi, sparvieri, gheppi e altri ancora (non le poiane) mentre si “normalizza” con quelli notturni, dove il maschio torna ed essere di maggiori dimensioni.
“ E’ una questione di selezione ” spiegò Antonio “ così facendo maschi e femmine cacciano prede diverse e talvolta in ambienti molto differenti, aumentando le possibilità di sopravvivenza per la loro specie”.
Un altro miracolo di quella natura che nulla lascia al caso e, come in tutte le …serie programmazioni…, prevede sempre almeno un “piano B”.
Il rapace pesava ottocento grammi e, proprio come il simpatico Assicel, pure lui era al limite superiore della taglia. Ma anche questo era voluto e Antonio seppe spiegarlo benissimo:
“ Normalmente i falconieri tengono i loro uccelli …a stecchetto… e lo fanno per acuire il loro istinto predatorio ” e mentre parlava guardava con affetto il suo astore e gli carezzava le piume “ a me non sembra giusto anche perché quando lui caccia ha bisogno di tutta la sua potenza per abbattere la preda.”
L’animale era molto giovane, nato il maggio precedente, e aveva davanti a se una lunga vita che, nel caso di astori tenuti in cattività, può superare agevolmente i quindici anni per arrivare sino a venti.
Ormai, nonostante la ritrosia e la timidezza tipica delle genti di montagna, Antonio era quasi un fiume in piena e continuò a istruire me, Giorgio e il giovane Edo, incantato e rapito da quelle spiegazioni.
Sapemmo quindi che lui aveva allevato ed addestrato altri tipi di rapace, dai velocissimi pellegrini, agli ambiti girifalchi, ai bellissimi lanari per giungere sino ad ibridi tra le varie razze.
“Il pellegrino, ” ci disse “ lo conoscono tutti. E’ un falcone di buone dimensioni che sfrutta la velocità della sua picchiata per abbattere le prede. Io ne ho volati parecchi.”
Intanto Assicel esplorava i medicai e i piccoli gerbidi che li orlavano su più d’un lato.
“E’ un rapace d’alto volo, così come tutti gli altri falconi, e viene rilasciato dal falconiere prima d’individuare la preda. Lui sale in alto sfruttando le correnti termiche ascensionali e vola in cerchio sino a quando la vede e allora si butta giù in picchiata, a velocità folle. Credetemi è uno spettacolo!”
antonio_leone_0003Il setter avvertì qualche emanazione e rallentò la sua azione, Antonio spostò il braccio per favorire la visione dell’astore che intanto seguiva l’azione allungando il collo e sollevando il suo becco adunco.
Ma sfortunatamente il setter aveva sentito le rosse troppo lontano, e gli uccelli pedinarono davanti a lui che così non poté bloccarle. Raggiunsero un piccolo salto che sormontava una stradina sterrata e da lì si buttarono verso valle, involandosi così veloci e lontane che io fui l’unico a vederle partire. Che fossero selvaticissime, e pure ottime volatrici, lo testimoniò la traiettoria della loro fuga che ci sembrò infinita.
Rammaricati per l’occasione sfumata decidemmo d’abbassarci, ispezionando alcuni piccoli boschetti e lunghe siepi spinose dove le nobili pernici potevano trovare un facile rifugio.
Antonio completò la sua spiegazione e ci disse d’aver scelto l’astore perché gli piaceva il suo tipo d’azione. A differenza dei falconi gli astori, e così pure gli sparvieri, sono uccelli con ali più corte che li rendono capaci di seguire le prede anche tra la vegetazione fitta. Sono definiti rapaci di basso volo e cacciano le loro prede lanciati direttamente dal pugno del falconiere.
E in effetti ricordavo di come il tecnico faunistico del mio comprensorio alpino m’avesse spiegato come i galli forcelli venissero più frequentemente predati a terra, e tra i boschi, dall’astore che nei cieli dall’imponente aquila reale o dalle più diffuse poiane.
Proseguimmo la ricerca dei selvatici con Assicel che ormai ci dimostrava d’aver preso confidenza con quel tipo di terreno, e non lasciava inesplorato alcun angolo.
Non passò molto che al bordo d’uno scosceso prato il cane segnò nuovamente l’incontro. Si bloccò perentorio vicino una siepe spinosa, subito sopra una stradina sterrata. Ci precipitammo verso il cane e quando lo raggiungemmo Antonio si disse certo che lì ci fosse qualche selvatico. L’astore capì anche lui, nonostante non vi fosse il suono del beeper a confortarlo in ciò.
“ Vedi ” disse lui “ si sta preparando alla caccia” e aprì il pugno con cui lo teneva stretto all’altro braccio, quello che calzava il guanto.
Ma il cane faticava a risolvere l’azione visto l’intrico di spine che proteggeva il selvatico. Cercammo di incitarlo e Assicel capì, entrando nel piccolo forteto. Lo superò e attraversò anche lo sterrato bloccando nuovamente a ridosso d’un’altra siepe che sormontava un esteso campo.
Forzò nuovamente e un frullo improvviso ruppe quel silenzio favorendo in tutti noi l’improvviso rilascio di tutta la nostra …adrenalina venatica.
Una coppia di rosse saettò via, quasi fosse una freccia scagliata da un arco al massimo della tensione. Partì anche l’astore, gettandosi dietro alle due pernici rosse.
Ma i selvatici avevano un buon vantaggio e attraversarono rapidamente il pratone scosceso per rifugiarsi nel bosco che riempiva il fondovalle.
“ Non le ha prese!” esclamò Antonio mettendosi a correre verso il basso per recuperare il suo prezioso uccello che nel frattempo s’era incovato su qualche pianta.
Io, Edo e Giorgio la prendemmo con calma e li seguimmo.
“ Senti come grida papà ” disse mio figlio “ sembra arrabbiato!”
Ricordavo d’aver letto come i primi beeper riproducessero il verso dell’astore proprio perché, questo si diceva, in questo modo gli uccelli avrebbero evitato d’involarsi troppo presto, restando schiacciati al suolo.
Intanto Antonio aveva quasi raggiunto il fondovalle e cercava d’individuare il rapace.
Noi arrivammo poco dopo, ma Antonio aveva già superato un piccolo ruscello ed era entrato nel bosco lungo una stradina che lo costeggiava per poi tagliarlo dirigendosi verso il crinale.
Sentimmo nuovamente rumore d’ali e grida di morte.
“ L’ha presa, l’ha presa ” urlò Antonio.
Quando pure noi superammo quelle due dita d’acqua ci si presentò una scena inconsueta: l’astore stava a terra, a bordo stradina, tenendo tra gli artigli la rossa, mortalmente ghermita.
“ Stava andando via di pedina ” disse “e lui l’ha vista dalla cima dell’albero.”
Giorgio aveva seguito bene l’azione e raccontò d’aver notato l’astore fiondarsi giù dalla pianta e, con una curva velocissima, coprire con le sue ali la povera penice che correva sullo sterrato.
Il rapace gridava come un ossesso e con il becco adunco tentava di strappare piume e brandelli di carne per mangiarli. Antonio lo fece fare e poi lo bloccò, ad evitare che rovinasse la preda.
“ Loro cacciano per cibarsi ” spiegò “e dunque deve prendersi qualche soddisfazione pure lui.”
Dalla cacciatora estrasse la carcassa d’un’altra pernice che s’era portato da casa e l’uccello riprese il banchetto.
Intanto arrivò anche Assicel e lui prese a complimentarsi con il prezioso setter.
“ Vedi Alessandro” riprese “ nella falconeria che piace a me il cane è l’elemento più importante, ed è lui che scova il selvatico. Il rapace completa l’azione così come la fucilata nella caccia che fate voi. Ma ” continuò “senza il cane facciamo poco e non ci divertiamo nemmeno.”
Prese la funicella e vi assicurò l’astore che s’era risistemato sul robusto guanto protettivo. Poi tutti insieme risalimmo verso le auto.
Avevamo chiuso una magnifica cacciata, realizzata proprio come si faceva prima che venissero scoperte polvere da sparo e armi da fuoco, e quando cacciatori e imperatori come Federico II percorrevano i boschi e le campagne europee in groppa ai cavalli, con stuoli di servitori al seguito e i loro magnifici rapaci sul braccio.
Stavo completando il mio pezzo quando m’arrivò una telefonata di Giorgio:
“ Ricordi il mio amico Antonio?”
“ Sì, ” risposi io “ perché?”
“ Quel fenomeno ” proseguì lui “ ha partecipato in Friuli ad un importante raduno internazionale di caccia con cane e falco. Pensa,” concluse “ caso unico ha vinto in entrambe le sezioni.”
Che dire in più: bravo!
E pure Federico II si sarebbe complimentato con Antonio Leone.

Scritto da Alessandro Bassignana

fonte: cacciando.com

La Falconeria può essere diseducativa?

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Fauconnerie2Assolutamente NO! La Falconeria è un mezzo di caccia assolutamente non invasivo, non inquinante, a zero impatto ambientale. Il Falco, se in perfetta salute, ben addestrato e muscolato, cattura, altrimenti no. Semplice vero? Non ci sono Feriti, non ci sono spargimenti di piombo, non ci sono spari…. Tutto è nel pieno rispetto della Natura! Ci viene contestato l’uso del cappuccio che copre il capo dei nostri rapaci. Secondo le perverse fantasie degli animalisti i falconieri provano piacere nel privare della vista i propri falchi.. Ma stiamo scherzando?? Il cappuccio è uno strumento tanto antico e indispensabile, che il suo uso si è tramandato fino ad oggi. E’ fatto in morbida pelle fatta su misura a seconda del tipo di rapace e del suo sesso. Lo utilizziamo per preservare il rapace da stress durante un tragitto in macchina, sull’aereo, in mezzo a troppe persone o a cose a cui il rapace non è abituato e quindi teme. Il Cappuccio è sagomato sulla testa dell’animale con tale perfezione che riesce a respirare, a mangiare, sbadigliare, dormire e a rigurgitare la borra. Siccome questi animali vivono con noi e sono soggetti alla vita di tutti i giorni, preferiamo incappucciare i nostri rapaci piuttosto che vederli sbattere spaventati da qualcosa che era evitabile calzando un semplice cappuccio. La prima cosa a cui teniamo è la salute del nostro falco senza la quale non reagisce all’addestramento, non vola, non è partecipe falco con cappuccioalla vita, non caccia. Veniamo accusati di affamare i nostri falchi. E’ vero, i nostri animali devono essere a “peso di volo” cioè quel peso che permette all’animale di essere così forte da volare ed essere competitivo sulla preda ma al contempo anche determinato nell’inseguimento e nella caccia perchè ha fame. Crudeli? Assolutamente no! In Natura i falchi si nutrono a piacimento ma sapete quando iniziano a cacciare? Quando hanno Fame e il loro peso di volo diminuisce! La stessa cosa succede in falconeria. Un falco in Natura che si è appena nutrito e che ha fatto “buon gozzo” e che quindi si è nutrito a volontà è capace di rimanere immobile sul ramo per buona parte della giornata facendo qualche sporadico spostamento se infastidito da qualcosa o qualcuno. Fino a quando il gozzo non sarà completamente vuoto, anche dopo diversi giorni dall’ultima cattura, il falco non attaccherà le prede. Nel momento in cui il suo peso inizierà a scendere grazie al movimento e al mantenimento della temperatura corporea che bruciano calorie, il rapace tornerà a cacciare, proprio come succede con i rapaci addestrati. Non a caso, prima dell’entrata in vigore delle leggi sulla tutela dei rapaci, i falchi che venivano catturati, venivano pesati e, nella stragrande maggioranza dei casi, il loro peso di volo dopo l’addestramento e l’ammansimento con l’uomo era lo stesso di quando volavano liberi. Veniamo accusati di tenere i falchi legati. Anche perch_trolly1in questo caso servono delle considerazioni in merito. I falchi li teniamo legati durante il periodo di addestramento e solo per una parte della giornata perchè per l’altra volano liberi. I falchi rimangono legati per 4 mesi che corrispondono ai mesi di caccia, per il resto siamo attrezzati con voliere appositamente studiate e attrezzate per consentire al rapace di volare libero a suo piacimento. Ricordo anche che questi animali, una volta che hanno il gozzo pieno, sono come i rettili, non hanno esigenze motorie quindi se ne rimangono belli placidi, con la zampetta tirata su su tra le piume a dormicchiare o a fare il bagno. Anche a noi falconieri piacerebbe tenere il falco libero ma dovremmo vivere in una casa sperduta in mezzo al nulla.. e poi ancora! I rapaci, anche se nati in cattività, come tutti gli mewsanimali, si possono spaventare e di conseguenza allontanare, anche di chilometri andando in contro ad altri pericoli. Non è meglio per la loro incolumità che siano legati e in un posto a loro dedicato con un comodo posatoio e una vasca con acqua fresca? Forse non si mettono i finimenti al cavallo per poi riporlo nella scuderia? Veniamo accusati di rubare uova e piccoli dai nidi. Non rinneghiamo le nostre origini e ricordiamo che , da millenni i rapaci venivano catturati o presi dai nidi. Anche in questi casi, non si depredava mai totalmente il nido ma si lasciavano la metà dei nidiacei nel nido in modo che la coppia riproduttiva potesse portare avanti la nidiata. Dopo l’entrata in vigore delle leggi sulla protezione dei rapaci, grazie alle tecniche di allevamento in cattività, e’ cessata la necessità di approvvigionarsi dalla fauna in libertà  ma vi è stato qualche sporadico caso di bracconaggio e saccheggio ad opera di mercanti e collezionisti che fermamente condanniamo e dai quali prendiamo le distanze. Altra cosa importantissima è di NON confondere il termine “Falconeria” con gli “spettacoli con i rapaci”. La falconeria, o caccia col falco, ha origini antichissime, nata come necessità di procacciarsi il cibo e recentemente riconosciuta dall’UNESCO come “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità da tramandare ai nostri figli” che ha come scopo la predazione del selvatico col falco nel suo ambiente naturale. Una tradizione di 4000 anni che ha poco a che fare con gli Spettacoli con i Rapaci, fenomeno recente, con scopi diversi e spesso mal interpretati.  Affermare “la falconeria è diseducativa” quando in realtà si parla degli spettacoli, che tra l’altro, nella maggioranza dei casi, non lo sono, si incorre in errore. Chi utilizza il termine Falconeria quando parla degli spettacoli, lo fa sbagliando e danneggiando un termine che ha origine storica. Ricordiamo invece a chi ci giudica e a chi ci accusa, molto spesso senza conoscere profondamente l’argomento.. che le tecniche di falconeria vengono utilizzate con successo nei centri di recupero rapaci di tutto il mondo e che sono stati i falconieri ad interessarsi e a salvare la scomparsa del falco pellegrino ad opera del DDT in America. Quindi…smettiamola col dire sciocchezze, la falconeria NON è diseducativa ma un Patrimonio Culturale. Noi amiamo i nostri falconiererapaci, li conosciamo più di chiunque altro ed entrano a far parte della nostra famiglia; con la nostra Passione, non servono i binocoli come consigliano gli animalisti, ma serve solo la curiosità di un bambino per provare, con i propri occhi, la magia e le estreme soddisfazioni e difficoltà di questa Arte! Solo se praticata con estrema Passione, costanza e Amore per gli animali sa regalare Grandi Emozioni e soddisfazioni che ci ripagheranno ampiamente per il duro lavoro.

Federico Lavanche

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Caccia col falco al beccaccino in Irlanda

Grant Hagger & Martin Brereton con i suoi Pointer Inglesi. Foto: Eoghan Ryan
Grant Hagger & Martin Brereton con i suoi Pointer Inglesi. Foto: Eoghan Ryan

Di tutte le specie da piuma cacciabili, il beccaccino è, per certi aspetti, una delle più elusive e suggestive, essendo da sempre una delle più difficili da catturare.
E’difficile da localizzare, si mimetizza magistralmente e resta immobile quando si sente braccato. Non si invola fino all’ultimo secondo.
Cacciare il beccaccino (snipe , in inglese) ,da cui proviene la parola inglese sniper (cecchino), suppone un impegno ed una vera e propria sfida.
Nel libro The Art and Practice of Hawking (Arte e Pratica della Falconeria), scritto nel 1900, l’autore Michell, si riferisce alla caccia al beccaccino molto brevemente. Afferma che si pensa che una buona coppia di smerigli possa cacciare il beccaccino e che un tal successo si ottenne in epoca passata. Ma si deve dubitare molto che uno smeriglio o più possano catturare un beccaccino inglese completamente mutato. Proseguendo nella lettura del libro, quando si parla di altre prede catturate coi rapaci, afferma che occasionalmente il beccaccino, una volta involato, viene catturato da pellegrini centrati, con voli concentrici, non appena la preda parte.

Il falco pellegrino di Grant. Foto: Eoghan Ryan
Il falco pellegrino di Grant. Foto: Eoghan Ryan

Partendo dal presupposto che la prima picchiata è la più pericolosa, se il beccaccino si da alla fuga, difficilmente potrebbe essere catturato anche da una coppia dei migliori terzuoli.
In un solo caso si racconta di una femmina di shaheen che abbia cacciato il beccaccino con successo.
Secondo tutti i riferimenti storici, la caccia al beccaccino con gli uccelli da preda è difficile, quasi impossibile, più una rarità che una attività che possa essere praticata con regolarità.
Di fatto, testimonianze anteriori confermano che il beccaccino è tanto difficile da cacciare che sono necessari due dei migliori falchi, volati in coppia, per avere anche una minima possibilità concreta e costante di catturare.
Il libro di Michell fu scritto cento anni fa, ma vi furono annotate e registrate molte delle gesta più significative dei falconieri britannici (ed in minor misura irlandesi ed europei) di epoche antecedenti il suo tempo, raccontategli da falconieri anziani.
Ma corriamo rapidamente in avanti di cento anni, fino ad arrivare all’anno 2000, in Irlanda…
Forse, la prima volta che ho sentito parlare con reale interesse della caccia al beccaccino, fu tra il 2000 e il 2001.
Il falconiere irlandese Richard Brown, che ebbe occasione di vivere e lavorare negli Stati Uniti per poi tornare in Irlanda, viveva nella contea di Kerry, nell’estremo nord-est dell’Irlanda.
In quel luogo la quantità di beccaccini era notevole e questo falconiere stava provando ad insidiare con differenti rapaci questi tanto difficili quanto veloci animali.

Ibrido pellegrinoXsmeriglio con beccaccino. Foto: Eoghan Ryan
Ibrido pellegrinoXsmeriglio con beccaccino. Foto: Eoghan Ryan

Nel 2001 Richard scrisse un articolo sulla rivista annuale dell’Irish Hawking Club, intitolato “Reflections on Conditioning Three Falcons for Waiting on Flights” (il titolo poteva essere tradotto come “Riflessioni sul condizionamento di tre falchi nel volo a monte”). L’obiettivo, in ognuno dei tre casi, era quello di preparare il falco ad applicarsi con costanza al difficile volo al beccaccino. Nel suo articolo Richard rifletteva sull’addestramento, in tre tempi differenti, di una femmina di pellegrino imprintata, un terzuolo di pellegrino x prateria e un terzuolo di pellegrino, con l’obiettivo di cacciare il beccaccino.
In precedenza si era concentrato sulla caccia alle cornacchie con una femmina di pellegrino, un sacro maschio ed un ibrido sacro x pellegrino.
Con i tre falchi coi quali aveva sperimentato la caccia al beccaccino, il più promettente fu il terzuolo di pellegrino, dato che al termine della sua prima stagione di caccia insediava questi limicoli con le sue picchiate, seppure non con costanza e, comunque, nella maggior parte dei casi, non ne scaturisse un’azione che rappresentasse una concreta minaccia per una preda così veloce.

Beccaccini appena catturati. Foto: Andrea Meloni
Beccaccini appena catturati. Foto: Andrea Meloni

In questo stesso periodo, durante una giornata di caccia della IHC (Irish Hawking Club, il principale club di falconeria irlandese), stavamo chiacchierando con un piccolo gruppo di falconieri e Richard uscì dicendo che il giorno che fosse riuscito a fare la sua prima cattura a questa specie, avrebbe scritto un libro sulla caccia al beccaccino. Suppongo che fosse una conseguenza delle difficoltà e della sfida rappresentata da quel tipo di caccia. Uno o due anni più tardi Richard tornò negli Stati Uniti.
Nel 2004 Robert Hutchinson, un falconiere inglese che viveva in Irlanda, ed il suo amico Martin Brereton, un falconiere irlandese, invitarono alcuni compagni di falconeria dall’Inghilterra per andare a caccia in Irlanda. Il gruppo era formato da tre falconieri con Perlin (ibrido pellegrino x smeriglio): Grant Hagger, il cui perlin aveva catturato più di 500 prede, Simon Higham, il cui falco fino a quel momento aveva fatto 339 catture, delle quali 116 in quella stagione (compreso un gallo cedrone che pesava tre volte lui) e Liebenhals Greg, con un perlin alla seconda stagione.

Eric Witkowski con il suo pellegrino. Foto: Eoghan Ryan
Eric Witkowski con il suo pellegrino. Foto: Eoghan Ryan

Esistevano comunque altri falconieri che volavano terzuoli e femmine di pellegrino tra cui Martin Brereton, che aveva appena iniziato a volare un terzuolo di pellegrino (se non erro in quel momento si trovava nella sua seconda stagione). Martin era famoso per i suoi astori, ma in quel momento è ovvio che, visti i fatti, il suo interesse fosse rivolto al pellegrino ed alla caccia al beccaccino.
Nella prima di queste giornate, il falco di Grant rimase in ala per più di trenta minuti ed ottenne come ricompensa la cattura di un beccaccino. Io me lo persi, ma ebbi la fortuna di essere lì il secondo giorno. Formammo una squadra ed attraversammo la torbiera con alcuni pointer inglesi.
Ricordo alcune picchiate spettacolari ed emozionanti, nelle quali i beccaccini sembravano schivare o cabrare solo all’ultimo secondo, quando i perlin erano sul punto di raggiungerli. Veramente emozionante! Alzammo diversi Beccaccini ed assistemmo a numerose picchiate da grandi altezze. Quelli erano i nostri primi giorni di caccia al beccaccino e, riflettendoci bene, credo che fossimo un po’ fuori controllo, in quanto, procedendo a rastrello, in diverse occasioni alzavamo le prede nelle più svariate direzioni. In occasione di una picchiata vidi una nube di piume in aria, come se il falco avesse legato la preda, per poi vedere con stupore come il beccaccino continuasse il suo volo verso la libertà! Indubbiamente spettacolare! Ed infine il perlin di Greg Lieben catturò l’unico beccaccino della giornata. Tantissime emozioni, immenso entusiasmo ma… una sola cattura! Tre giorni a caccia di Beccaccini per due sole catture!

Beccaccino in volo. Foto: Berta Peinado
Beccaccino in volo. Foto: Berta Peinado

Martin Brereton continuò a cacciare beccaccini a Bog of Allen (le estese torbiere che circondano casa sua nella regione centrale dell’Irlanda) ed ottenne grandi risultati dato che il suo falco continuò a cacciare per diversi anni, raggiungendo più di un centinaio di catture in una sola stagione. E’una persona molto impegnata ed attiva, ostinata nel raggiungere la perfezione nell’arte e nella pratica della Falconeria.
Nel corso degli anni sono stato invitato a partecipare a diverse giornate di caccia organizzate da Martin, ed il suo falco si è distinto come un rapace eccezionale sui beccaccini. Martin è stato una fonte di ispirazione affinché gli altri falconieri si cimentassero nella caccia al beccaccino: in essa si è inserito anche un mio caro amico, Ireneusz Mitkowsky (conosciuto col nome di Eric in Irlanda). Eric è un polacco che viveva ad Edenderry, nella stessa città di Martin, seppure adesso viva nella contea di Kerry, che tra l’altro è il luogo dove il prima menzionato Richard Brown aveva iniziato a cacciare i beccaccini coi suoi falchi. Ho trascorso splendide giornate col mio amico Eric. Nella sua prima stagione, nel 2010, il suo terzuolo di pellegrino cacciò dodici beccaccini, due dei quali nello stesso giorno. Questo significa 12 beccaccini in più di quelli che Martin fece nella sua prima stagione col suo terzuolo.

La cattura. Foto: Eoghan Ryan
La cattura. Foto: Eoghan Ryan

Purtroppo, accadde qualcosa di veramente raro ed il tempo si fece molto freddo, con neve e gelate e temperature sotto lo zero, che spinsero i beccaccini a spostarsi lontano dalle zone aperte e dalle torbiere, verso le coste e le zone di drenaggio con canali che sono molto meno adeguati per la caccia al beccaccino. Comunque ho trascorso splendide giornate di caccia al beccaccino con Eric. Una di queste avvenne al termine di una giornata molto umida, durante una battuta di caccia dell’Irish Hawking Club nella stagione del 2009/10. A causa del maltempo , verso la metà della mattinata del secondo giorno, quasi tutti se ne erano andati, ma l’auto di Eric si ruppe. Quando finimmo di ripararla il tempo era migliorato e ci recammo su uno dei campi che ci avevano detto essere meta dei Beccaccini durante l’inverno. La sua estensione variava dai 5 ai 10 acri (dai 2 a i 4 ettari).
Liberammo il setter irlandese rosso di Eric attraverso i canali e i giunchi e perlustrò tutto il terreno in soli quindici minuti senza trovare la minima traccia dei limicoli. Ad un tratto, mentre tornava su sé stesso per perlustrare la zona restante, il setter si mise in ferma! Appena scappucciato, il terzuolo iniziò a montare, arrivando piuttosto in alto, ma si defilò da noi, sorvolando i campi sopra il paese laddove si riuniva la gente al calare della sera. Il terzuolo si fermò cinque minuti sorando, per poi tornare nuovamente sopra le nostre teste. Appena fu centrato il cane ruppe la ferma e alzò un beccaccino.

Grant Hagger con il suo terzuolo e il suo beccaccino appena catturato. Foto: Eoghan Ryan
Grant Hagger con il suo terzuolo e il suo beccaccino appena catturato. Foto: Eoghan Ryan

I successivi dieci o quindici minuti furono un po’ confusi: il terzuolo di Eric si lanciò in un’energica picchiata sul beccaccino, ma poco dopo se ne alzò un secondo ed il pellegrino iniziò a salire e a scendere come uno jojo. Il terreno non era dei migliori dato che attorno era pieno di filo spinato e siepi molto vicine a noi, ed il terzuolo in un paio di occasioni si avvicinò molto pericolosamente ad esse. Per evitare questi ostacoli, il falco era costretto a modificare il proprio volo, dando quelle frazioni di secondo di vantaggio che servivano ai beccaccini per fuggire.
Alzammo forse quattordici beccaccini in quindici minuti e a rinfrancare il fatto di non averne catturato neanche uno, furono i quindici minuti più divertenti di caccia al beccaccino che io abbia mai visto, col falco che fece alcune picchiate veramente impressionanti.
Diversamente, i lanci più spettacolari al beccaccino ai quali io abbia mai assistito, furono quelli dell’anno precedente (2009) e fino ad oggi non ne ho ancora visti di migliori. Conobbi Sergio Zenere, un falconiere italiano, al festival internazionale di Falconeria, in Inghilterra. Sergio mi chiese se ci fosse qualche falconiere irlandese che cacciasse beccaccini. Ci mantenemmo in contatto telefonico e tramite e-mail ed organizzammo un viaggio per farlo venire in Irlanda verso la metà di Novembre, periodo che avrebbe dovuto essere propizio per incontrare i beccaccini in zona ed avere il Pellegrino in buona condizione e forma. Arrivati a casa di Martin Brereton, incontrammo il simpatico Hagger Grant – a breve di rientro in Inghilterra – che si stava trascorrendo sette settimane con Martin. Il nostro primo giorno di caccia al beccaccino sarebbe stato il suo ultimo giorno in Irlanda, dato che sarebbe rientrato in Inghilterra in serata. In questa fase della stagione il pellegrino di due mute di Martin aveva catturato sei beccaccini, mentre il terzuolo di sette mute di Martin ne aveva catturati 20, numero a mio avviso inferiore a quello della stagione precedente.

Osservando i lanci al beccaccino. Foto: Eoghan Ryan
Osservando i lanci al beccaccino. Foto: Eoghan Ryan

Il tempo era perfetto, sereno e senza vento. L’ampia zona di torbiera color bruno si stendeva davanti ai nostri occhi e in lontananza il profilo verde della collina di Croghan si ergeva nel cuore della pianura. Non c’era ombra di dubbio che quello fosse davvero un posto fantastico per i falchi ed in assoluto il migliore per i nostri pellegrini autoctoni.
Grant lanciò il proprio pellegrino e sguinzagliammo 2 dei 3 cani – pointers inglesi – sul terreno. Il falco sembrava in forma, girando in cerchio e salendo con relativa facilità fino ad arrivare ad un’altezza di 150 metri facendo il punto sopra di noi. Continuando a girare e salire si spostò trenta o 40 metri alla mia sinistra (in orizzontale non in verticale) quando un beccaccino si alzò davanti ad uno dei cani, 30 metri alla mia destra. Il terzuolo si chiuse in una goccia perfetta e continuò con potenti battiti d’ala mentre si avvicinava al suolo fino a raggiungere una velocità che potrei solo ipotizzare tra le 100 e le 150 miglia orarie (approssimativamente 160-240 km/h).
Scese con un angolo acuto di circa 70°, e in pochissimi secondi aveva tracciato una “J” nel cielo.
Non arrivò in tempo sul beccaccino, che iniziò a salire molto rapidamente e a volare con giri concentrici attorno a noi e poi nuovamente verso la direzione dalla quale era venuto il pellegrino. Devo ammettere che il terzuolo non si dava per vinto ed inseguì il beccaccino nel cielo. Tuttavia ad un’altezza di circa 80 metri, e quando sembrava ormai essere sul punto di raggiungerlo, a 4 metri di distanza dalla preda, il terzuolo si rese conto che non c’era più partita e mollò, centrandosi sopra il cane che nel frattempo era nuovamente in ferma.
Stavolta, come se si fosse reso conto dell’errore commesso nella precedente occasione, non salì molto (circa 120 metri, potrei stimare) e si mise centrato sul cane. Lanciammo un urlo al cane per farlo muovere dalla ferma ed alzare ed in alcuni secondi il beccaccino si dette alla fuga ed il terzuolo , con una picchiata quasi verticale, scese giù come se fosse sulle montagne russe fino a strappare il beccaccino dal cielo. Aveva raggiunto una tal velocità che il suo istinto naturale sembrava spingerlo a continuare il volo fino a trasportare la preda per quasi 500 metri.

"Alzammo forse 14 beccaccini in 15 minuti ed
a rinfrancare il fatto di non averne catturato
neanche uno, furono i 15 minuti più divertenti
di caccia al beccaccino che io abbia mai visto,
col falco che fece alcune picchiate veramente
impressionanti."

La maggior parte dei falconieri che conosco sarebbe stata tanto ansiosa di sapere dove era il proprio falco che gli sarebbe corsa dietro. Ma non Grant. E’davvero stupefacente vedere un falconiere così rilassato dopo un risultato così eccezionale.
Era tanto disinteressato al resto dell’azione che Grant si voltò verso di noi e disse senza alcuna preoccupazione:
<< Questo lo terrà impegnato per un bel po’, adesso vediamo il falco di Martin in azione >>.
Non fece i tempo a finire queste parole che il falco di Martin si stava dirigendo verso il cielo e i cani correvano in avanti.
Martin ci chiamò entusiasta e ci chiese di restare nei paraggi di modo che se il falco avesse agganciato una preda e non l’avesse trattenuta, avremmo potuto, con un po’ di fortuna trovarla e nasconderla. Sembrava una buona idea. Ad una tratto i suoi due cani si misero in ferma simultaneamente uno a 10 metri dall’altro. Uno dei due si trovava a 15 metri alla mia sinistra, mentre l’altro era quasi alla stessa distanza sulla destra. Il terzuolo si mise esattamente sopra ai cani e … urlo ai cani, beccaccino che si alza in volo, picchiata del pellegrino, preda legata … proprio come il falco di Grant! E questo fu solo il primo giorno. Il mio amico era venuto fino dall’Italia per provare la caccia al beccaccino col falco e in 5 minuti la giornata di caccia era terminata con 3 beccaccini alzati e 2 catturati! Il mio amico Italiano era stupefatto. Non credo che sperasse tanto! I due falconieri avevano fatto si che sembrasse così facile…!
Il giorno seguente dovevo lavorare, e Grant era tornato in Inghilterra. Sergio andò a caccia con Martin. Fece una grande gelata quella notte. Il becco dei beccaccini è morbido in punta e viene utilizzato come sensore durante la ricerca degli insetti nella torba. Non riescono a penetrare il duro terreno gelato, perciò si dirigono verso il fango, nelle zone più protette dei canali e dei fossi di drenaggio, lungo i ruscelli di irrigazione e i fiumi con canali intercalati. Sergio mi raccontò che il falco di Martin rimase in ala per 35 minuti. Ad un certo punto il suo falco si alzò tanto da perdersi di vista, quasi a 300 o 400 metri di altezza. Finalmente, il terzuolo scese fino ad essere visibile e poco dopo ad un’altezza più adeguata alla caccia al beccaccino. Dopo 35 minuti alzarono il primo beccaccino e in quel momento, così come era accaduto il giorno precedente, il falco si trovava in posizione ed altezza perfette per iniziare la sua picchiata verticale, agganciando la sua preda. Almeno in questo giorno Sergio si trovò nel fango per 3 minuti!

Terzuolo di Grant Hagar. Foto: Eoghan Ryan
Terzuolo di Grant Hagar. Foto: Eoghan Ryan

Mi ero tenuto libero anche il terzo giorno, nel quale ebbi la fortuna di assistere ad uno spettacolo unico. Ci recammo ad una torbiera poco distante da casa di Martin. Camminammo ai margini mentre i cani lavoravano uno a 50 metri dall’altro, poco distanti da noi, Martin ci chiese di restargli vicino. Procedendo, si alzò un’allodola 4 o 5 metri davanti a me e girò verso sinistra. Ma fu ignorata dal pellegrino, che in quel momento si trovava proprio sopra di me, più o meno a 80 – 100 metri di altezza.
L’allodola era salita di circa 3 metri, ma tutto era avvenuto con tanta rapidità che né Martin né Sergio si accorsero realmente su quale preda il falco stesse picchiando. Fortunatamente i sensi dell’allodola erano più efficaci dei nostri e il fatto che il pellegrino arrivasse a circa 3 metri da terra, restasse un po’in perlustrazione e poi atterrasse mi fece pensare che l’avesse mancata. Aveva forse raggiunto l’allodola? Ripensandoci poteva essere possibile. Ma il pointer inglese di Martin fece la sua prima ferma del giorno e questo fu uno stimolo sufficiente perché il falco si alzasse nuovamente in volo. In un istante il falco salì e salì fino a raggiungere un’altezza di 350 piedi (100 metri). Al grido, i cani ruppero la ferma e il beccaccino si alzò con forza, pochi metri davanti al cane. Con poderosi colpi d’ala si alzò in cerchi concentrici vicino a Martin e me, ad una distanza di non più di 20 metri, ma salendo allo stesso tempo. Il terzuolo picchiò proprio sopra le nostre teste e mi girai per vedere la picchiata verticale e poi verso l’altra per vedere la sua traiettoria e lo vidi agganciare il beccaccino in aria.
Tutto avvenne in meno tempo di quanto serve a leggere questa frase! Martin lanciò un’esclamazione di dissenso perché sperava di avere un po’ di tempo per migliorare la fitness del suo falco: eravamo stati fuori meno di dieci minuti! Il terzuolo, col beccaccino tra gli artigli, continuò per 150 metri ed atterrò su di un piccolo cumulo di torba, iniziando a consumare il meritato pasto. Per l’Italiano, osservare in tre giorni 3 picchiate del falco di Martin su 3 beccaccini con 3 catture significò un inverosimile 100%. Se oltretutto consideriamo i meravigliosi voli di Grant, catturammo in tutto 4 beccaccini su 5 alzati! Niente male, oltre al fatto che fu uno spettacolo incredibile.
Nella sua prima stagione Martin non aveva catturato neanche un beccaccino, ma forse ispirato dagli inglesi e sapendo che era fattibile, vi si era dedicato con fervore. Dedicò 3 anni ad addestrare il suo falco alla caccia al beccaccino in modo costante. In una sola stagione Martin cacciò 136 beccaccini col suo pellegrino che adesso ha 8 anni perciò Dio solo sa quanti altri ne catturerà. Sicuramente più di mille.
Gli ultimi due inverni sono stati più freddi del solito, con temperature sotto lo zero e neve, condizioni per niente buone per i beccaccini. A questo si sommò che il setter irlandese di Eric iniziò a perdere resistenza sul campo e iniziò a tradire falco e falconiere.
Quest’anno Eric ha un nuovo setter e spera di fare una stagione migliore, pari alla prima. Inoltre ha un terzuolo di due mute ed abbiamo impostato un progetto di falconeria insieme, con l’acquisto di un altro terzuolo in comune. Abbiamo addestrato il falco con l’aquilone per farlo stare a monte in modo da tenerlo centrato sopra di noi. Per ora fa il punto a 300 metri di altezza in 7 – 8 minuti ed in questo momento siamo nella fase in cui gli rilasciamo sotto prede in modo da distrarlo dall’aquilone e farlo centrare su falco e cane… E speriamo presto di avere una stagione di emozioni!
Il beccaccino è una bellissima preda.
Speriamo che ci ispiri e che ci tenga impegnati a lungo… con i nostri poderosi pellegrini!

Per maggiori informazioni sulla falconeria in Irlanda potete contattare l’autore tramite e-mail: info@kingdomfalconry.com

Eoghan Ryan, Presidente del’Irish Hawking Club.

Si ringrazia per la traduzione: Iacopo Stefanini

Riproduzione Riservata – Articolo pubblicato sulla rivista di falconeria “La Alcandara” edita dalla AECCA e pubblicato su www.falconeria.org, con il permesso della AECCA