40-70 cm; lunghezza coda 8-10 cm
1,5-6,5 kg.
Europa e Transcaucasia. In Europa è assente nella Penisola Iberica, in Islanda, in Sardegna e nelle Baleari, introdotta in Irlanda e Svezia. E’ stata inoltre introdotta con successo in varie parti del mondo: America settentrionale e meridionale, Asia e Oceania. In Italia è presente su tutto il territorio nazionale, esclusa la Sardegna e la parte più elevata delle Alpi.
Mantello grigio-fulvo, più scuro o tendente al nerastro sul dorso. Parti ventrali biancastre, coda bianca nella parte inferiore, nera superiormente. Orecchie lunghe con la punta nera. Corpo slanciato, dorso arcuato e zampe posteriori notevolmente più lunghe di quelle anteriori che la rendono adatta al salto e alla corsa. Conduce vita solitaria e solo durante il periodo dell’estro maschi e femmine si incontrano. L’attività riproduttiva si estende per molti mesi e dove le condizioni climatiche sono favorevoli possono verificarsi fino a cinque parti all’anno. E’ in grado di adattarsi a una grande varietà di ambienti, soprattutto aperti: prati, pascoli, incolti erbacei, brughiere, margini di boschi, coltivi ecc., dal livello del mare fino a 2000 m. di altitudine. Gli ambienti meno favorevoli sono comunque quelli con umidità elevata, le boscaglie e le foreste molto estese e le coltivazioni che, oltre ad essere sottoposte a massivi trattamenti con prodotti chimici ad elevata tossicità, presentano un utilizzo a monocolture semplici. Si nutre prevalentemente di parti verdi di graminacee e leguminose, cui si aggiungono in inverno, frutta, bacche, semi ecc. Essendo ghiotta anche di corteccia può produrre danni anche consistenti a frutteti e vivai. Conduce vita notturna e crepuscolare e trascorre le ore del giorno in uno dei numerosi giacigli, ben riparati nella vegetazione, che essa appronta nel suo territorio.
In molti paesi europei, soprattutto a partire dagli anni ’60, si è assistito a una costante diminuzione della densità e dei carnieri di Lepre comune. Tale fenomeno, attribuito sia ad una riduzione quali-quantitativa degli ambienti favorevoli sia all’aumento della pressione venatoria, è risultato particolarmente drammatico nel nostro Paese (Spagnesi e Trocchi, 1992). In Italia l’evoluzione della diffusione della Lepre è stata caratterizzata da due principali periodi: il primo, collocabile tra i primi anni ’50 e la metà degli anni ’60, in cui si è assistito ad un sostanziale incremento numerico; il secondo, che va dalla fine degli anni ’60 ai nostri giorni, in cui le popolazioni di Lepre hanno conosciuto un lento ma progressivo regresso, culminato con l’attuale condizione di crisi generalizzata, che vede lo status della specie fortemente condizionato dalle immissioni a scopo di ripopolamento e dal prelievo venatorio. Le ragioni del decremento della Lepre vanno ricercate nelle modificazioni intervenute in tempi più o meno recenti nelle tecniche agricolturali e negli ambienti agricoli, che hanno determinato un abbassamento della qualità media degli ecosistemi agrari. In particolare vanno sottolineati tutti gli aspetti collegati alla ricomposizione fondiaria, con il conseguente aumento delle dimensioni medie degli appezzamenti, lo sviluppo delle monocolture, la riduzione degli indici di frammentazione, la quasi scomparsa delle siepi, dei boschetti e delle altre parcelle a vegetazione spontanea. In anni recenti la crisi dell’allevamento bovino con la conseguente contrazione delle superfici coltivate a medica e prato stabile ha aggravato ulteriormente la situazione. Come per altre specie di interesse venatorio, non va peraltro sottovalutato il ruolo avuto dall’aumento della pressione venatoria verificatosi a partire dagli anni ’50 e ‘60 in coincidenza con l’aumento e la diffusione del benessere ad ampi strati della popolazione. Esistono anzi esempi del fatto che opportune limitazioni al prelievo venatorio (ad esempio attraverso la costituzione di una adeguata rete di aree protette) consentono la sopravvivenza di buone popolazioni di Lepre anche in presenza di agricoltura specializzata ed estrema semplificazione del paesaggio agricolo (Ferri, 1988). Non mancano neppure all’estero esempi di aree sottoposte ad agricoltura intensiva e prelievi venatori programmati in grado di sostenere densità e produttività più che soddisfacenti (Spittler, 1992).
La distribuzione regionale interessa praticamente la totalità delle tavolette (Fig. 12-I), a conferma del fatto che la Lepre possiede un’ampia valenza ecologica ed è quindi in grado di adattarsi a tipologie ambientali assai diversificate, tanto che risulta abbastanza difficile individuare un habitat ottimale per la specie. Tuttavia una presenza così diffusa sul territorio deve essere messa in relazione anche alle regolari e massicce immissioni a scopo venatorio. In provincia di Forlì-Cesena la Lepre è risultata uniformemente presente sul territorio, pur con notevoli variazioni locali e stagionali della densità. A differenza di quanto rilevabile in altre province, la specie risulta abbondante in tutte le stagioni solo nelle aree demaniali, ad altitudini superiori a 7-800 m. (Gellini e Matteucci, 1992). In provincia di Ferrara la popolazione viene considerata complessivamente stabile, seppure con episodi locali di forti oscillazioni, come osservato nell’area del Mezzano nel periodo 1990-93 (AA.VV., 1994). In provincia di Bologna la Lepre risulta presente in tutta la provincia, dalla pianura alla montagna, anche se lo status risulta pesantemente condizionato dall’attività venatoria (AA.VV., 1994). In provincia di Modena (Ferri, 1992) la Lepre viene da sempre considerata selvaggina di elezione e la sua tutela viene considerata un importante obiettivo gestionale. Grazie a una oculata gestione delle Zone di produzione della specie, essa è presente in tutto il territorio provinciale con densità variabili, ma in genere relativamente soddisfacenti, anche senza il ricorso all’allevamento o alla importazione di esemplari dall’estero. Le densità maggiori si rilevano in pianura, dove tuttavia si segnalano mortalità molto elevate a causa di alcune pratiche agricole. In provincia di Parma (AA.VV., 1994) la Lepre risulta presente in tutto il territorio. Il suo status è stato analizzato utilizzando i dati di cattura e in funzione dei comprensori ambientali in cui è stato suddiviso il territorio. Nel comprensorio di bassa pianura, nonostante la Lepre sia la specie da più tempo oggetto di gestione attiva, si è assistito negli ultimi anni a una diminuzione, collegabile probabilmente a una perdita di vocazionalità che ha dimezzato i valori di densità della specie. Nel comprensorio di alta pianura e collina, pur essendosi osservato un declino negli ultimi tre anni, si rileva una migliore produttività media. Nel comprensorio della montagna, dove la Lepre non viene considerata di particolare interesse gestionale, sono stati riscontrati i valori più bassi, anche se si sottolinea che i dati sono di difficile comparazione a causa delle maggiori difficoltà nelle operazioni di cattura. In provincia di Piacenza (AA.VV., 1994) la Lepre viene considerata la specie più diffusa tra quelle che fanno parte della piccola selvaggina. L’areale interessa l’intera provincia ad eccezione delle porzioni fortemente antropizzate o completamente boscate, tuttavia lo status è profondamente influenzato dall’attività venatoria, infatti le presenze più o meno abbondanti verificabili nel periodo precedente l’apertura della caccia (dovute ai ripopolamenti), non sono generalmente riscontrabili alla sua conclusione. Le popolazioni hanno mostrato negli ultimi dieci anni un calo progressivo che ha portato, a livello provinciale, al dimezzamento del numero dei capi catturati annualmente.
La Lepre è una specie di origine steppica ed è pertanto tipicamente legata agli ambienti aperti, a dominanza cioè di associazioni di piante erbacee. Nei moderni agro-ecosistemi le associazioni naturali sono ormai in gran parte sostituite da quelle coltivate, alle quali peraltro la Lepre mostra di adattarsi perfettamente, tanto che proprio in questi ambienti artificiali si riscontrano densità maggiori (Spagnesi e Trocchi 1992). Gli studi effettuati in vari contesti ambientali, pur mostrando risultati parzialmente difformi, sono concordi nell’evidenziare una preferenza per i cereali autunno-vernini, gli erbai e le stoppie. Da uno studio effettuato in 83 istituti faunistici pubblici e privati della provincia di Siena (Rosa et al., 1991) è risultato che in primavera i tipi di vegetazione preferiti sono stati i cereali a semina autunnale e i prati da vicenda, mentre vengono evitate le porzioni arate. Durante l’autunno sono state osservate preferenze per le stoppie, i prati da vicenda e i vigneti. Tipologie complessivamente evitate sono state i pascoli, gli incolti, gli arati e le coltivazioni a semina primaverile. Prigioni e Pelizza (1992) in aree di studio della pianura pavese, oltre a preferenze per i cereali autunno-vernini, hanno osservato preferenze per la soia, le aree boscate e gli incolti. Il mais e gli arati sono risultati evitati, mentre i pioppeti artificiali sono stati selezionati positivamente in autunno, ma evitati in primavera. I pascoli sono risultati la tipologia maggiormente utilizzata a scopo alimentare durante tutto l’anno. Gli autori hanno inoltre osservato che le lepri tendono a non utilizzare come ambienti di rifugio gli stessi usati a scopo alimentare. Studi effettuati nell’area del Mezzano (FE) mediante radiolocalizzazione di lepri di allevamento successivamente al rilascio (Zanni et al., 1988) hanno mostrato un uso dell’ambiente parzialmente diverso: il mais e l’incolto sono stati utilizzati in modo significativamente superiore alle disponibilità, mentre un utilizzo inferiore alle disponibilità è stato osservato per bietole, frumento e medica, completamente trascurate sono apparse le colture orticole e la soia. Anche in considerazione del fatto che si tratta di esemplari allevati, gli Autori oltre a sottolineare una notevole variabilità individuale nell’uso dell’ambiente, pongono l’accento sulla necessità di un confronto nella stessa area con individui selvatici. Modificazioni significative nell’uso dell’habitat di soggetti rilasciati sono state osservate, a parità di condizioni ambientali, anche in funzione del tempo trascorso dal rilascio (Giovannini et al., 1988). Spiccate preferenze per le aree boscate sono state rilevate solo in presenza di un forte pascolamento delle zone aperte da parte di altri erbivori (Nilsson e Liberg, 1992).
Nel complesso la Lepre mostra una decisa preferenza per gli ambienti erbacei sia coltivati sia naturali, tuttavia appare in grado di utilizzare alternativamente e in modo ottimale le altre tipologie ambientali disponibili a seconda delle condizioni e delle esigenze legate al periodo stagionale, caratteristica che spiega la capacità di colonizzare e adattarsi con relativa facilità anche ad ambienti caratterizzati da scarsa presenza di coltivi o a dominanza di aree boscate.
Numerosi fattori ambientali influenzano la dinamica delle popolazioni selvatiche, agendo a seconda dei casi sulla natalità, sulla mortalità o su entrambe contemporaneamente. A questi si aggiungono fattori di natura sociale (emigrazione ed immigrazione). Questi ultimi nel caso della Lepre sono relativamente poco importanti, in considerazione dello stretto legame che la specie stabilisce con il proprio territorio, a condizione che l’unità di gestione considerata sia di adeguata estensione e delimitata da confini naturali (Spagnesi e Trocchi, 1992). Il tasso medio annuale di natalità della Lepre è stimato in 7-9 leprotti per femmina con variazioni legate principalmente alla lunghezza del periodo riproduttivo e alla percentuale di sterilità, che può oscillare tra il 15% e il 30% dei capi (Spagnesi e Trocchi, 1992). E’ tuttavia nei fattori di mortalità che vanno individuate le cause principali in grado di condizionare l’incremento utile annuo e quindi la quota di individui prelevabile durante l’esercizio venatorio o per fini di ripopolamento. La mortalità risulta molto variabile su base annuale soprattutto nei giovani ed è in grado di influenzare in modo rilevante il successo riproduttivo delle popolazioni. L’esame dei risultati di numerosi studi effettuati in vari paesi europei (cfr. Spagnesi e Trocchi, 1992 per una trattazione bibliografica dettagliata) mostra una ampia variabilità dei dati: in Polonia sono state osservate nella stessa area variazioni del tasso di mortalità comprese tra il 34% e l’87% nel corso di cinque anni di studio (media 60%); in Danimarca, in una popolazione non sfruttata venatoriamente e in assenza di mammiferi predatori, sono state constatate in un periodo di tredici anni perdite medie del 44% dei giovani maschi e del 56% delle giovani femmine, con tassi complessivamente oscillanti tra il 28% e il 58%; nella ex Germania orientale sono riportate perdite tra i leprotti dell’85-95% in un territorio scarsamente favorevole alla specie, e del 63-88% in uno con caratteristiche di buona idoneità; in Francia studi sulla produttività in varie aree hanno evidenziato una mortalità giovanile media compresa tra il 52% e il 75%. La meccanizzazione agricola può rappresentare localmente un fattore di mortalità molto importante, ad esempio in Polonia è stato stimato che sia imputabile a questa causa una perdita media del 15% dell’incremento annuo. Le condizioni climatiche sembrano rivestire un ruolo rilevante nella dinamica delle popolazioni di Lepre. In Danimarca sono stati rilevati effetti negativi delle precipitazioni nei mesi di giugno e luglio sulla sopravvivenza dei leprotti. In Polonia sono state osservate correlazioni positive tra la densità autunnale delle lepri ed il rapporto precipitazioni di giugno/precipitazioni di aprile. In Germania nel periodo 1956-87 è stata osservata una forte correlazione tra la dinamica annuale dei carnieri e le condizioni climatiche nei mesi di luglio e agosto (Nyenhuis, 1990). Anche la persistenza del manto nevoso e le temperature medie durante l’inverno sono direttamente correlate alla mortalità invernale delle lepri, che si traduce in una minore produttività della specie l’anno successivo. La mortalità invernale appare comunque piuttosto variabile sia localmente sia in anni successivi. In Italia sono state riscontrate mortalità invernali medie del 25% (Verdone et al., 1991). In Francia sono state evidenziate correlazioni tra la quantità totale delle precipitazioni annue e i carnieri di Lepre realizzati tra il 1950 ed il 1971. Le condizioni climatiche possono inoltre svolgere un ruolo rilevante per quanto riguarda l’incidenza di malattie infettive o parassitarie, un fattore di mortalità che può assumere in talune circostanze un’importanza non trascurabile.
Il tasso di mortalità degli adulti durante la stagione riproduttiva sembra invece essere un parametro meno variabile rispetto al precedente, attestandosi nei vari studi condotti attorno al 10-20% (cfr. Spagnesi e Trocchi, 1992). Un fattore non trascurabile di mortalità si può individuare nello sviluppo della rete viaria, che genera conseguenze negative, in particolare un maggior numero di decessi dovuti ad investimenti (Prigioni e Pelizza, 1988) e l’aumento del bracconaggio. La mortalità dovuta al traffico automobilistico in certi casi può raggiungere il 6% della consistenza della popolazione, in altri può rappresentare fino all’11% della mortalità complessiva.
L’importanza della predazione come fattore di mortalità e la sua influenza sulla dinamica delle popolazioni di Lepre risulta spesso, come per altre specie, di non facile interpretazione. Numerose sono le specie, sia di mammiferi sia di uccelli, che esercitano una predazione più o meno regolare sulla Lepre, tuttavia, anche se in talune condizioni mortalità elevate possono essere causate da gatti e cani randagi o comunque vaganti, si può considerare che solo la volpe rivesta un ruolo significativo (cfr. Spagnesi e Trocchi, 1992). In Polonia è stato osservato che la predazione della volpe può ridurre del 10,2% l’incremento annuale della specie (autunno), del 2,9% il numero di riproduttori nella primavera-estate e dell’1,8% la popolazione invernale. In Svezia è stato valutato che la predazione riduce del 12% l’incremento annuo della popolazione di lepri. In un’area di studio della Game Conservancy nello Hampshire (Gran Bretagna) si è potuto constatare che la Lepre rappresenta una delle principali risorse alimentari per la volpe e che la predazione da essa esercitata risulta importante soprattutto sui giovani, in misura tale da condizionare il tasso di sopravvivenza delle lepri. Questi dati sarebbero confermati anche in altri paesi dagli effetti che forti riduzioni della volpe, legate ad esempio all’insorgere di epidemie di rabbia silvestre, hanno avuto sui carnieri di Lepre. Spagnesi e Trocchi (1992), in accordo con Toso e Giovannini (1991), concludono che un’effettiva limitazione della densità di fine inverno delle popolazioni di Lepre da parte della volpe non sia dimostrata, mentre è noto che la densità dei riproduttori è determinata principalmente dalla qualità dell’ambiente. D’altra parte una consistente densità della volpe può in effetti limitare il successo riproduttivo della Lepre, cioè in definitiva la produttività, entrando per questo in conflitto con gli interessi del mondo venatorio. Nel programmare una eventuale azione di controllo della volpe occorre poi tenere sempre presente l’importanza della valutazione del rapporto costi/benefici, tenuto conto della necessità di mantenere tale azione costante nel tempo e di attuarla con mezzi selettivi.
La corretta quantificazione del prelievo venatorio richiede la conoscenza e il monitoraggio regolare della dinamica delle popolazioni interessate. A questo scopo è necessario procedere a censimenti, effettuati in momenti opportuni del ciclo annuale, finalizzati alla determinazione della densità o almeno all’acquisizione di indici di abbondanza relativa. Nel caso della Lepre il periodo più indicato per effettuare censimenti si può individuare alla fine dell’attività venatoria (non prima di due settimane dalla chiusura dell’esercizio venatorio, in quanto durante il periodo di caccia le lepri sono indotte a mutare il loro comportamento, divenendo più elusive o concentrandosi all’interno di zone protette) (Spagnesi e Trocchi, 1992), facendolo coincidere con il censimento dei riproduttori di fine inverno (metà febbraio-metà marzo) onde verificare la situazione dopo il prelievo venatorio e la mortalità invernale. La scelta delle tecniche di censimento e delle modalità di attuazione deve tener conto delle caratteristiche etologiche della specie, di quelle orografico-fisionomiche del territorio, nonchè della disponibilità di uomini e mezzi (Meriggi, 1989).
Le tecniche che, nel caso della Lepre, vanno considerate preferibili sia per la semplicità sia per il favorevole rapporto costi/benefici sono il censimento in battuta e il censimento notturno con l’ausilio di una sorgente luminosa, il quale garantisce buoni risultati in zone aperte e/o in periodi con scarsa copertura vegetale e con specie di abitudini spiccatamente notturne come la Lepre. Le battute prevedono l’utilizzo di un numero di operatori proporzionato alle dimensioni del fronte di avanzamento e del grado di copertura vegetale dell’area interessata. Il censimento notturno si effettua percorrendo con un automezzo strade e carrarecce lungo un itinerario prestabilito e illuminando le aree circostanti con fari alogeni mobili. L’illuminazione può avvenire per fasce (automezzo in lento movimento con faro acceso) oppure per punti (automezzo in sosta in punti prestabiliti con rotazione del faro). Per una trattazione dettagliata delle modalità di attuazione si rimanda a Spagnesi e Trocchi (1992). In considerazione del fatto che le battute con fronte molto ampio e su vasti territori risultano spesso difficili da attuare, risulta generalmente preferibile effettuare la battuta su strisce di ridotta larghezza (strip census) su aree campione rappresentative. Quest’ultima tecnica fornisce risultati attendibili e comparabili a quelli ottenibili con il censimento esteso all’intera area di intervento (Pepin e Birkan, 1981).
Oltre ai regolari censimenti, finalizzati alla conoscenza delle popolazioni locali, una mole significativa di dati e informazioni di tipo quali-quantitativo può essere ottenuta annualmente dall’analisi, anche campionaria, dei carnieri venatori. Inoltre, in considerazione del fatto che annualmente molte amministrazioni provinciali organizzano battute per la cattura delle lepri a scopo di ripopolamento, potrebbe essere opportuno razionalizzare e standardizzare a livello organizzativo queste operazioni, finalizzandole non solo al prelievo degli esemplari, ma anche al monitoraggio delle popolazioni.
Recenti studi compiuti in Inghilterra (cfr. Spagnesi e Trocchi, 1992) hanno dimostrato che la densità della Lepre è strettamente e positivamente correlata al grado di parcellizzazione degli appezzamenti agricoli. Così territori agricoli suddivisi in diverse tipologie colturali di qualche ettaro presentano densità di lepri notevolmente superiori ad equivalenti territori utilizzati a monocoltura semplice. Di un certo interesse risulta il fatto che alla Lepre sembrano congeniali ambiti territoriali in cui si pratica la zootecnia, in quanto gli effetti del pascolamento (erbe basse in buona rinnovazione e frequenti zone cespugliate) influiscono positivamente sulla disponibilità alimentare, a condizione che la pressione di pascolamento non sia eccessiva (cfr. Nilsson e Liberg, 1992). Gli effetti negativi della monocoltura, soprattutto dal punto di vista della disponibilità stagionale di risorse trofiche, possono essere mitigati attraverso la predisposizione di fasce verdi a perdere seminate a foraggio di larghezza anche di pochi metri (Frylestam, 1992). Le caratteristiche degli attuali seminativi rappresentano un elemento negativo dal punto di vista trofico; infatti la semina in strutture spaziali compatte e l’uso, molte volte irrazionale ed eccessivo di diserbanti, lascia ben poco spazio ad altre specie erbacee appetite dalla Lepre. Pratiche frequentemente utilizzate come la bruciatura delle stoppie o dei residui di coltivazione possono provocare perdite dirette non trascurabili tra i leprotti, oltre ad avere effetti negativi indiretti sottraendo importanti risorse alimentari.
Anche le moderne tecniche di coltivazione costituiscono un fattore negativo per la Lepre, sia per quanto riguarda la meccanizzazione sia per le caratteristiche dei seminativi. Le operazioni di sfalcio e trebbiatura compiute con macchine dotate di barre falcianti molto ampie e sempre più veloci sono una delle cause di mortalità più importanti per i leprotti. Sono stati compiuti studi al riguardo e si è trovato che, passando da una velocità di sfalcio di 3-4 km/ora ad una di 7-8 km/ora, la mortalità dei leprotti passava dal 17% al 40% (Scarlatescu et al., 1967). Di fatto oggi gli sfalci vengono attuati a più riprese in piena stagione riproduttiva e con l’ausilio di macchine sempre più veloci.
In sintesi, dal momento che gli interventi di miglioramento ambientale devono tendere all’aumento della capacità portante dell’ambiente, è necessario procedere in primo luogo alla realizzazione di interventi volti all’aumento della diversità ambientale e in grado di garantire una sufficiente e costante disponibilità alimentare. Questi obiettivi possono essere raggiunti anche nei territori interessati da uno sfruttamento agricolo intensivo, ad esempio attraverso il razionale utilizzo delle porzioni marginali e meno produttive dal punto di vista agricolo, tutelando e incrementando le fasce di vegetazione naturale o seminaturale e realizzando coltivazioni a perdere. In questo modo si ottengono effetti positivi sulla fauna selvatica limitando al minimo l’impatto economico dovuto alla riduzione del raccolto. Particolarmente importante risulta, a parità di superficie complessiva interessata dai miglioramenti, la dispersione spaziale degli stessi. Tra gli interventi tesi all’aumento della capacità portante può essere incluso anche il foraggiamento artificiale, il quale tuttavia può risultare realmente utile solo in determinate condizioni climatiche (es. persistenza del manto nevoso) per ridurre la mortalità diretta e per evitare che gli animali si allontanino eccessivamente alla ricerca di cibo. Interventi di contenimento della mortalità, soprattutto a carico dei giovani individui, causata da operazioni agricole come la mietitura, lo sfalcio dei foraggi o l’erpicatura, possono essere attuati ad esempio incentivando e promuovendo presso gli agricoltori l’uso di dispositivi meccanici posti davanti alle macchine agricole, così come estremamente utili risultano l’esecuzione delle operazioni in senso centrifugo rispetto all’appezzamento e il mantenimento delle lame ad un’altezza dal suolo non inferiore a 10 cm.
Pur avendo origini antichissime, l’allevamento della Lepre si è sviluppato assumendo importanza commerciale solo negli ultimi decenni. In Francia la produzione annuale complessiva ha raggiunto i 200.000 capi negli anni ‘80 (Fiechter, 1988) e in Italia da una indagine svolta dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica è emersa nel 1982 la presenza di 608 centri di produzione tra pubblici e privati (Trocchi, 1983). Le ragioni di questo incremento vanno ricercate nell’incremento del numero dei cacciatori, nella diminuita produttività degli ambienti naturali e, non ultimo, nell’onerosità economica dell’acquisto di lepri di importazione, operazione tra l’altro criticabile anche per altre ragioni (Spagnesi e Trocchi, 1992).
In questa sede non si ritiene di dovere approfondire gli aspetti tecnici legati all’allevamento (alimentazione, profilassi delle patologie ecc.), per i quali si rimanda a testi specifici. Ci si limita pertanto a prendere in considerazione le problematiche relative al ripopolamento, riassumendo i risultati ottenuti con l’utilizzo di esemplari allevati.
Un primo dato riguarda l’opportunità dell’utilizzo di strutture di ambientamento sul territorio prima del rilascio, infatti le ricerche svolte sull’argomento specifico (Fiechter et al., 1978; Fiechter, 1980; Fiechter, 1988) indicherebbero che il tasso di sopravvivenza degli individui immessi risulterebbe indipendente, o addirittura influenzato negativamente, dall’uso di tali strutture. In Francia studi effettuati in varie regioni hanno evidenziato, nel corso della prima stagione venatoria, tassi di ripresa degli esemplari rilasciati piuttosto modesti: dal 3,6% a un massimo del 13,86%. Durante la seconda stagione venatoria viene riportato un tasso di ripresa dello 0,62% (Fiechter, 1988). Nello studio effettuato da Fiechter (1988) la mortalità dei soggetti immessi è risultata elevata già nella prima settimana successiva al rilascio (oltre il 50%), per raggiungere il 79% dopo sei settimane, mentre la dispersione è risultata generalmente limitata e la quasi totalità dei soggetti rilasciati è stato rinvenuto in un raggio di due chilometri dal punto del rilascio.
Non sono numerosi in Italia i dati disponibili sul successo di esperienze di ripopolamento con soggetti allevati. Audino e Forano (1985) riportano per la provincia di Cuneo risultati migliori di quelli rilevati in Francia: su un totale di 100 capi rilasciati in tarda estate in tre aree è stato osservato nel gennaio successivo un tasso medio di ricattura del 42,3%. Risultati abbastanza positivi vengono riferiti anche da Zanni et al. (1988), che attraverso radiolocalizzazione di 10 esemplari di allevamento rilasciati nell’area del Mezzano (FE) hanno osservato un tempo medio di sopravvivenza di 99,7 giorni, con un solo decesso riscontrato nei primi due mesi. Le cause di mortalità sono state ricondotte non tanto a problemi di ambientamento o ad alterazioni comportamentali, quanto a fattori legati all’attività umana. Uno studio del tutto analogo, svolto presso il fondo di proprietà dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (Giovannini et al., 1988) con le stesse metodologie, ha evidenziato un andamento della mortalità pressochè identico a quelli osservati in Francia. Angelici et al.(1993), nel corso di uno studio condotto nel Lazio, hanno verificato su 777 lepri di allevamento rilasciate una percentuale di ricattura molto bassa (0,9%). Sempre nel corso dello stesso studio è stata accertata, attraverso radiolocalizzazione di 15 soggetti marcati, una dispersione mediamente molto limitata, in accordo con altri studi similari, nonchè una mortalità decisamente elevata (80% complessivamente, 50% nei primi 10 giorni), dovuta quasi esclusivamente a predazione. E’ necessario peraltro sottolineare che prove sperimentali effettuate con piccoli contingenti non autorizzano conclusioni di tipo generale, in quanto i risultati sono soggetti ad ampie oscillazioni (cfr. Spagnesi e Trocchi, 1992: 220).
Dati sull’efficacia di ripopolamenti con lepri di cattura locale sono pressochè inesistenti in Italia. Spagnesi e Trocchi (1992), riportano i risultati dell’immissione di lepri di cattura in un’area ad alta densità della specie: la sopravvivenza delle lepri rilasciate a un anno di distanza è risultata del 5%, contro il 28,3% della popolazione autoctona. Gli stessi autori riportano che in Francia nel corso della prima stagione venatoria sono stati rilevati tassi di ripresa per le lepri di cattura del 4,4%; in Polonia le percentuali di sopravvivenza delle lepri rilasciate sono risultate inversamente correlate alla densità della popolazione autoctona.
Per quanto concerne il ripopolamento con soggetti di importazione, ancor prima dell’efficacia è necessario porre l’accento sui rischi, sottolineati da numerosi autori, legati sia all’inquinamento genetico delle popolazioni locali sia alla possibile introduzione di forme patogene sconosciute localmente e pertanto potenzialmente estremamente pericolose. I dati disponibili relativamente alla sopravvivenza delle lepri di importazione (cfr. Spagnesi e Trocchi, 1992) non sembrano differire complessivamente da quelli osservati nel caso delle lepri allevate o di cattura locale.
Sulla base dei dati disponibili e delle esperienze condotte, Spagnesi e Trocchi (1992) concludono che: “In sintesi, dall’analisi delle esperienze di ripopolamento brevemente descritte si può trarre la conferma che il solo ricorso alle operazioni di ripopolamento non consente di risolvere i problemi della gestione delle popolazioni di Lepre, queste rappresentano anzi una pericolosa illusione per il mondo venatorio, che invece deve ricercare strumenti di intervento tesi al miglioramento degli ambienti naturali e alla razionale gestione delle popolazioni locali”.
La caccia può costituire una delle principali cause di mortalità per le lepri e, se non opportunamente regolamentata, può condurre alla scomparsa locale della specie (Spagnesi e Trocchi, 1992). Secondo gli stessi autori, considerazioni relative alla mortalità, legata a fattori sia naturali sia artificiali, inducono a ritenere che sulle popolazioni selvatiche raramente si verificano le condizioni per realizzare un prelievo superiore al 50% delle lepri presenti in autunno, di conseguenza è facile immaginare le conseguenze negative nel caso in cui la pressione venatoria venga esercitata in assenza di piani di prelievo formulati sulla base della conoscenza dei principali parametri della popolazione. Tale condizione purtroppo deve essere considerata la norma nella gran parte dei nostri territori. La corretta entità del prelievo deve essere stabilita annualmente sulla base dell’incremento effettivo della popolazione all’inizio della stagione venatoria. Questo dato può essere ottenuto attraverso l’accertamento della consistenza dei riproduttori in primavera e del rapporto juv/adulti prima dell’inizio della stagione venatoria. In considerazione del fatto che il tasso di mortalità degli adulti nel periodo riproduttivo tende ad essere piuttosto costante, si ritiene possa essere mediamente fissato in condizioni normali nel 20% della consistenza di fine inverno. Il verificarsi di anomali fenomeni di mortalità nel corso della stagione riproduttiva deve essere valutato allo scopo di quantificare le opportune correzioni. Come è già stato sottolineato, decisamente più variabile su base annuale risulta il tasso di mortalità dei leprotti, che, di conseguenza, deve essere considerato il principale fattore nella quantificazione dei piani di prelievo annuali. Un modello semplificato di tipo conservativo per il calcolo del prelievo annuale in una popolazione di lepri è stato proposto già all’inizio degli anni ‘80 (Pepin 1981 in Spagnesi e Trocchi, 1992):
P = Rx (J + 1) – 1 | R |
y |
dove:
P = entità del prelievo
R = numero di riproduttori a fine inverno
x = % di sopravvivenza degli adulti nel periodo riproduttivo
J = numero di juv. per adulto all’inizio della stagione venatoria
y = % media di sopravvivenza delle lepri nel periodo invernale
Il rapporto juv./adulti può essere valutato in modo attendibile, oltre che attraverso censimenti della popolazione, anche attraverso l’esame di un primo campione di lepri abbattute attuando un piano di prelievo prudenziale. Sulla base del dato osservato è poi possibile stabilire il piano definitivo.
AA.VV., 1994 – Piano Faunistico della provincia di Bologna. Amm. Prov. di Bologna
AA.VV., 1994 – Piano Faunistico della provincia di Ferrara. Amm. Prov. di Ferrara.
AA.VV., 1994 – Piano Faunistico della provincia di Parma. Amm. Prov. di Parma.
AA.VV., 1994 – Piano Faunistico della provincia di Piacenza. Amm. Prov. di Piacenza.
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