Nidi artificiali per rapaci

INTRODUZIONE

cassetta nido gheppioMolte specie di rapaci selvatici utilizzano volentieri nidi artificiali appositamente e correttamente collocati per loro, tra queste ricordiamo il Gheppio comune (Falco tinnunculus), il Falco Pellegrino (Falco peregrinus), il Barbagianni (Tyto alba) e la Civetta (Athene noctua). Le popolazioni delle suddette specie sembrano godere ormai di buona salute, mostrando trend altamente positivi in gran parte del territorio italiano, ma uno dei problemi che maggiormente affligge i rapaci, oltre che la persecuzione diretta, è quello della perdita dell’habitat e dunque anche dei siti idonei alla nidificazione. Per questo motivo l’installazione di cassette nido artificiali spesso si dimostrerà un valido supporto alle popolazioni in difficoltà. Con questo articolo si vuole brevemente illustrare le modalità di costruzione e montaggio dei nidi artificiali per Gheppio, Pellegrino, Civetta e Barbagianni.

ISTRUZIONI GENERALI

Non esiste un modello standard di nido artificiale per gli uccelli: ogni specie ha le proprio esigenze e dunque la forma, dimensione, collocazione e caratteristiche generali della cassetta nido varierà da specie a specie. Ma ci sono alcune caratteristiche valide per tutte le specie: impermeabilità, protezione dai predatori e dalle intemperie, assenza di disturbo. I modelli di nido artificiale per uccelli possono in genere essere suddivisi in due categorie principali: nidi semi aperti e nidi chiusi.

MATERIALI

Indubbiamente il legno è il materiale migliore da usare: legno nuovo o vecchio, morbido o duro, non è importante. Lo spessore delle tavole di legno da usare deve essere, in media, di circa 2 cm. Non è per forza necessario comprare il legno per costruire i nidi artificiali, ma può essere usato legno di riciclo, per esempio quello degli imballaggi. Dopo la costruzione l’ esterno del nido (solo quello!) dovrebbe essere trattato con sostanze impermeabilizzanti specifiche per il legno (che possono essere reperite in una qualsiasi ferramenta o negozio specializzato in bricolage), che daranno alla struttura una vita più lunga ed una maggiore resistenza ai fattori atmosferici.

GESTIONE GENERALE E COLLOCAZIONE

Altezza: l’altezza del suolo può essere variabile, in funzione delle esigenze specie-specifiche. Specie come il Pellegrino usano nidi artificiali collocati ad almeno 30-40 metri dal suolo, ma un Barbagianni può nidificare su nidi artificiali collocati anche a terra o vicinissimi al suolo. L’importante è che il nido sia comunque ben protetto e non raggiungibile dai predatori.

Aspetto:  se non c’è un rifugio naturale dove collocare il nido, è meglio montarlo facendo in modo che l’apertura di entrata del nido sia esposta a sud-est, per evitare la luce diretta del sole e la pioggia battente. Il nido inoltre dovrebbe essere collocato in posizione leggermente obliqua al fine di evitare l’entrata della pioggia battente diretta.

Fig. 1: Il disegno mostra come “posizionare” un nido artificiale per proteggere la nidiata all’interno della cavità artificiale in caso di pioggia battente diretta (tratto da: http://www.cisniar.it/)

Predatori:  Sono numerose le specie di predatori che possono danneggiare la covata o la nidiata di un nido artificiale, soprattutto in ambiente urbano (gatti, martore, faine, serpenti, Corvidi, ecc). Non esistono soluzioni definitive a questo problema, l’importante è usare un po’ di buon senso e qualche piccolo trucco durante la costruzione e collocazione del nido. Posizionare il nido in un luogo poco visibile ai predatori e difficile da raggiungere, magari ponendo delle protezioni (con rete metallica, per esempio) che impediscano ai predatori terrestri di arrampicarsi e raggiungere il nido.

Fissaggio: Alcuni autori consigliano di usare i chiodi per fissare il nido direttamente agli alberi o ai rami, mentre altri preferiscono consigliare l’uso di corde o altri tipi di legature. Entrambi i metodi sono funzionali, sebbene sia sempre consigliabile di evitare di danneggiare gli alberi con i chiodi o se si usa del fil di ferro troppo stretto per legare il nido. In ogni caso, una manutenzione annuale, alla fine del periodo riproduttivo è importante per mantenere la stabilità, funzionalità e pulizia del nido artificiale.

Numero e densità :  Il numero di nidi artificiali da posizionare dipende dalla specie. Nel caso dei rapaci, poiché le loro popolazioni sono poco dense, trattandosi di predatori ai vertici delle catene alimentari, i nidi dovranno essere montati ad una distanza piuttosto elevata. Difficilmente due coppie di Civetta o di Gheppio nidificheranno a poche decine di metri di distanza.

Manutenzione annuale e pulizia:  Deve essere eseguita solo alla fine della stagione riproduttiva (il periodo migliore è tra Ottobre e Novembre). Tutti i nidi devono essere controllati, svuotati dalla sporcizia eventualmente accumulatasi, e disinfettati (non usate insetticidi, usate solo acqua bollente). I nidi devono essere lasciati comunque per tutto l’anno, poiché spesso i rapaci li utilizzano come dormitori e riparo durante la stagione invernale.

Nota: se non volete costruire da voi i nidi artificiali potete acquistarli direttamente dalla CISNIAR (http://www.cisniar.it/nidi%20artificiali.htm), un gruppo specializzato di esperti che esegue studi e ricerche su questo interessantissimo campo.

CASSETTA NIDO PER GHEPPIO COMUNE

IntroduzioneNon è una specie rara, anzi, fortunatamente, sta divenendo comune praticamente ovunque. E’ comunque una presenza molto piacevole da attirare con un nido artificiale ben costruito e ben collocato.
Nido in naturaI Gheppi comuni non costruiscono nidi, come, del resto, quasi tutte le altre specie di rapaci, ma, in natura, depongono le uova usando nidi abbandonati di Corvidi, cavità negli alberi o nicchie sulla roccia o su edifici.

MisureSi consulti la Fig. 3CollocazioneLa cassetta può essere fissata direttamente ad un albero (al tronco) oppure ad una struttura artificiale (edificio, torre, serbatoi).HabitatGli ambienti migliori sono la campagna aperta, le aree coltivate ma anche le aree urbane periferiche.AltezzaLa cassetta nido per Gheppi va collocata ad una altezza di almeno 6 metri dal suolo.EsposizioneL’entrata deve essere esposta ad est e tutto il nido deve essere posizionato leggermente inclinato.

MaterialeLegnoFondoSabbietta, con uno spessore di circa 5 cmLinks http://www.cisniar.it/cassetta_per_gheppio.htm

http://www.linz.at/umwelt/natur/falken/Enisthil.htm

http://www.lincstrust.org.uk/factsheets/nestbox/kestrel.php

Fig. 2: Schema costruttivo (tratto da: http://www.linz.at/umwelt/natur/falken/Enisthil.htm)

Fig. 4:  Un esempio di montaggio “interno” del nido artificiale per Gheppi

(tratto da: http://www.linz.at/umwelt/natur/falken/Enisthil.htm).

Nota: assicurarsi che davanti al nido ci sia sempre un piccolo spazio che i giovani potranno utilizzare per esercitarsi al volo prima dell’involo.

CASSETTA NIDO PER FALCO PELLEGRINO

Nido in naturaIn natura il sito preferito dai Pellegrini come nicchia per il nido è senza dubbio costituito da sporgenze o cavità nella roccia, posizionate in alte falesie o pareti.
MisureSi veda la Fig. 5
CollocazioneEdifici, Serbatoi, Torri
HabitatAmbiente urbano o zone agricole ove siano presenti strutture alte almeno 30-40 metri
AltezzaDai 30 ai 60 metri di altezza dal suolo, in funzione dell’altezza della struttura dove viene collocato il nido
EsposizioneEst, Sud-est
MaterialeLegno
FondoGhiaietta o sabbia, di almeno 5 cm di spessore.
Links http://www.kodak.com/eknec/PageQuerier.jhtml;jsessionid=O3Q4LZVLVMUCNQHIO3JXWIY?pq-path=2017&pq-locale=en_US&_requestid=85505

 

 

Fig. 5:

 

Fig. 6: Altro esempio di modello di nido artificiale per Pellegrino

Fig. 7: Nido artificiale per Falco pellegrino montato su un serbatoio.

Fig. 8: immagine tratta dalla webcam Kodak posizionata su un nido artificiale per Falco Pellegrino.

Nell’immagine a fianco: la torre della Kodak dove è collocato il nido artificiale

CASSETTA NIDO PER CIVETTA

IntroduzioneCome già detto nell’introduzione la Civetta è uno Strigiforme ormai molto comune ovunque, ma spesso soffre del grosso problema della mancanza di nicchie adatte per la riproduzione.
Nido in naturaCavità su alberi, rocce o strutture artificiali (fienili, abitazioni ecc.)
MisureLunghezza totale: 75 cm; Larghezza e altezza: 20 cm; Diametro del foro di entrata: 7 cm (Nota: i due fori di entrata non devono essere allineati, ma collocati in una posizione diagonalmente opposta,
CollocazioneSu alberi o su strutture artificiali
HabitatGiardini, coltivi, campagna aperta
AltezzaVariabile, da 2 a 5-7 metri dal suolo, in funzione della struttura o dell’albero su cui viene montato
EsposizioneEst, Sud-Est
MaterialeLegno
FondoUno strato di segatura alla base, sopra la quale deve essere collocata della paglia o del fieno.
Links http://www.steenuilgroningen.nl/redirect.html?bouwtekening_eng

 

Fig. 9: Schema di costruzione della cassetta nido per Civetta

(tratto da: http://www.steenuilgroningen.nl/redirect.html?bouwtekening_eng).

Fig. 10: Collocazione corretta di una cassetta nido per Civetta

(tratto da: http://www.steenuilgroningen.nl/redirect.html?bouwtekening_eng).

CASSETTA NIDO PER BARBAGIANNI

IntroduzioneIl Barbagianni soffre in natura degli stessi problemi della Civetta e, in alcune aree agricole troppo “modernizzate” sta praticamente scomparendo del tutto. A livello sperimentale in alcune aree agricole si stanno portando avanti dei programmi di installazione di nidi artificiali per Barbagianni per il controllo naturale dei roditori nocivi.
Nido in naturaCavità di alberi o strutture artificiali (fienili, soffitte,campanili, edifici abbandonati).
MisureSi veda la Fig. 11
CollocazioneScegliere una posizione ben riparata e nascosta, quanto più buia possibile, non esposta alla luce diretta solare. I luoghi più idonei per la collocazione sono sicuramente le strutture artificiali (fienili, soffitte, campanili, torri, ecc.), a cui il Barbagianni possa accedere direttamente o attraverso cavità murarie già esistenti o appositamente predisposte.
HabitatCampagna aperta, coltivi.
AltezzaCome per la Civetta
EsposizioneEst, Sud-Est
MaterialeLegno
FondoCome per la Civetta
Links http://www.cisniar.it/nido_per_barbagianni.htm

http://www.lincstrust.org.uk/factsheets/nestbox/barnowl.php

Fig. 11: Schema di costruzione (tratto da: http://www.cisniar.it/).

CASSETTA NIDO PER ALLOCCO

IntroduzioneL’Allocco (Strix aluco) è un comune abitante dei nostri boschi, dove generalmente non ha problemi per trovare una buona cavità per la nidificazione. Ma gli allocchi possono anche vivere nei giardini con pochi alberi e sarà quindi utile fornire loro una struttura artificiale per la riproduzione
Nido in naturaCavità nei tronchi degli alberi, ben nascoste e buie.
MisureSi consulti la Fig. 13
CollocazioneTronchi di alberi
HabitatBoschi e giardini alberati
Altezza4-7 metri dal suolo
EsposizioneCome in figura 12. Est, Sud-Est
MaterialeLegno
Fondo
Links http://www.lincstrust.org.uk/factsheets/nestbox/tawnyowl.php

http://www.cisniar.it/nido_per_allocco_a_camino.htm

Fig. 12: Come installare un nido artificiale per Allocchi (1: sul tronco principale, con inclinazione di 45 gradi; 2: su un ramo laterale, inclinato;

3:ad una biforcazione tra due rami, sempre in posizione inclinata).

 

Fig. 13: Schema di costruzione e misure (tratto da: http://www.cisniar.it/).

Addestramento dei Rapaci Notturni

 

L’ordine degli Strigiformi assomma una serie di specie accomunate da particolari caratteristiche e che vengono comunemente definiti “rapaci notturni” (“owls”). Essendo anche questi dei “rapaci”, anche se abbastanza diversi dai classici rapaci diurni, non è difficile che qualche falconiere decida di acquistarne uno e tentare di addestrarlo. Conosco anche delle persone a cui piacciono solo i rapaci notturni e li addestrano o li allevano con successo. Le cose sono anche facilitate dal fatto che oggi molti allevamenti di rapaci producono numerose specie di notturni, dalle più comuni come i Gufi reali alle più rare; inoltre, in generale, i notturni hanno prezzi sensibilmente più bassi rispetto ai diurni il che ne rende facile la diffusione. Da qualche anno a questa parte ho anche io voluto tentare delle esperienze con i rapaci notturni, non ne ho addestrati molti ma mi sono fatto una idea della corretta metodologia di lavoro con queste specie.

Fig. 1. Giovane femmina Bubo africanus di 2 mesi di età. Già a questa età, anche se il piumaggio non è completo, si può iniziare a portare il rapace fuori. E’ invece presto per iniziare il vero addestramento visto che non è ancora stato raggiunto il peso da adulto. Nella foto sta inghiottendo un topo intero, alimento completo per questa specie e praticamente per tutti i notturni, che consentirà, tra l’altro la produzione della borra, che è fondamentale per una corretta gestione alimentare dei rapaci notturni in cattività.

LA BIOLOGIA DEI RAPACI NOTTURNI

Prima di andare avanti, mi sembra corretto descrivere brevemente alcune caratteristiche biologiche dell’orine Strigiformes, poichè è sempre fondamentale conoscere adeguatamente la biologia delle specie con le quali si lavora.

Intanto bisogna dire che non esistono rapporti di parentela tra i rapaci notturni ed i rapaci diurni. Sembrano, per certi versi, molto simili, ma in realtà la loro similitudine è dovuta a dei coadattamenti alla predazione (artigli, becchi) e non ad una origine filogenetica comune. Il rapporto di parentela che corre per esempio tra un Gufo reale (Bubo bubo) ed un’Aquila reale (Aquila chrisaetos) non è molto dissimile dal rapporto di parentela che corre tra una quaglia ed una gazza.

Altro aspetto da considerare è la vista: molti di voi penseranno che per addestrare e far volare liberi i notturni bisognerà operare nelle ore notturne, ma ciò in realtà non è vero. Questi animali di giorno ci vedono benissimo sebbene siano adattati ad una certa sensibilità visiva notturna. Certo, bisogna dire che alcune specie di giorno possono essere infastidite dalla luce eccessiva, e sarà necessario evitare di farli lavorare in condizioni di luminosità non eccessiva, evitando le giornate fortemente soleggiate, almeno nelle ore centrali. In effetti, da questo punto di vista, si può fare una comoda distinzione basandosi sul colore degli occhi. Tanto più l’iride è gialla e tanto più la specie è idonea a lavorare anche di giorno e viceversa, tanto più è di colore scuro e tanto meglio la specie è adattata alla vita notturna e sarà infastidita dalla luce troppo forte (ma ci vede lo stesso, il problema è che è infastidita dalla luce, poiché i suoi occhi hanno una specie di sistema di amplificazione della luce, bisognerebbe dunque portarlo fuori solo quando il sole non è abbagliante). Da questo punto di vista il Bubo africanus prima citato si presta ottimamente, i suoi occhi ad iride gialla gli permettono infatti di lavorare in tutte le condizioni di luce, oltre che rendere l’animale particolarmente bello.

Sempre parlando della luce-buio, è da considerare l’importanza fotoperiodico di questo fattore. Infatti, sebbene i notturni possano tranquillamente lavorare anche di giorno, in realtà la luce diurna ne inibisce l’attività; si noterà infatti che durante la mattinata questi animali sono molto passivi e restii a lavorare. La luce agendo sul loro sistema nervoso, ne rallenta le attività. Allora le ore migliori sono la prima mattinata e, soprattutto il tardo pomeriggio, quando cioè il sole è ormai all’orizzonte.

Le tecniche di caccia di questi rapaci sono sostanzialmente diverse rispetto ai rapaci diurni; i notturni hanno, abbiamo detto, una vista molto sviluppata, ma non tanto al fine di individuare prede molto distanti (come nei diurni, cioè grazie ad un elevato numero di coni nella fovea) ma bensì al fine di riuscire a “vedere” ben anche al buio (cioè grazie ad un elevato numero di bastoncelli nella retina; si ricordi che i coni sono le cellule dell’occhio sensibili ai colori ed i bastoncelli sono sensibili alla luce). Ma non è tanto grazie alla vista che essi riescono a cacciare le loro prede di notte, la vista serve loro solo a volare tranquilli nel buio senza andare a sbattere contro gli alberi. Invece il senso che permette loro di individuare con precisione una preda è l’udito. Non mi dilungo a spiegarne i meccanismi, comunque è l’udito estremamente sviluppato anch’esso (gli Strigiformes, sono tra gli uccelli quelli che ci sentono meglio, è infatti risaputo che gli uccelli di norma hanno un udito poco sviluppato a differenza dei Mammiferi). Ma, a differenza della vista, individuare il punto preciso in cui si trova una preda solo con l’udito, richiede una complessa elaborazione di dati da parte del cervello, per cui il notturno, appollaiato sul suo posatoio, valuterà per lungo tempo (alcuni minuti o più) il modo migliore di approccio alla preda prima di attaccarla, basandosi anche sulla copertura del buio, sulla sua mimetizzazione e sulla sua silenziosità, per cui la preda rimane completamente ignara di quello che sta succedendo. Questo è uno dei motivi che spiega la notevole “passività” dei rapaci notturni rispetto ai diurni.

Fig.2. Maschio giovane di Bubo africanus durante i primi addestramenti indoor.

Infatti la maggior differenza, a livello applicativo, tra notturni e diurni e che è poi il principale fattore che determina le loro difficoltà di addestramento è appunto la “passività”. I rapaci notturni sono uccelli dal metabolismo lento e, soprattutto, dai movimenti e dalle reazioni lente. Uno dei motivi è quello spiegato sopra. Non essendo animali dal volo agile, devono valutare con precisione il modo di approcciare sulla preda (o sul cibo posto sul pugno) per cui, almeno nelle prime fasi di addestramento, ci faranno sudare molto per convincerli a venire al pugno o ad inseguire il logoro al traino. Questa è, secondo me, la principale differenza tra l’addestramento di un rapace notturno e quello di un diurno. Se già con i diurni si fa una certa fatica per convincerli al salto sul pugno e sul logoro, questa fatica sarà amplificata nei notturni. Bisognerà sfruttare al meglio intanto la nostra stessa pazienza, e poi anche le tecniche di controllo del peso, della fame ed il condizionamento etologico.

Fig.3.Maschio adulto di Bubo bubo. La loro dimensione è ragguardevole rispetto a molte altre specie di rapaci notturni.

QUALE SCEGLIERE?

Possono essere addestrati per il volo libero molte specie di rapaci notturni sebbene non tutte le specie dovrebbero essere usate per l’addestramento. Il motivo di ciò è che per es. una specie molto rara in cattività o anche allo stato selvatico non dovrebbe essere addestrata ma bensì sarebbe meglio tenerla per progetti di riproduzione in cattività e cioè per attività più conservative.

La cosa migliore da fare è addestrare solo rapaci notturni allevati a mano e non allevati dai genitori (il che li fa simili a quelli catturati dallo stato selvatico). Qualcuno che ci ha provato potrebbe ribattere che addestrare rapaci notturni allevati dai genitori è la stessa cosa che nei rapaci diurni. Invece ciò non è assolutamente vero; in base a molte esperienze fatte si è infatti visto che tali individui rischiano più facilmente di morire per lo stress dell’addestramento e se ciò non avviene comunque saranno molto selvatici e sempre stressati e sofferenti a causa dell’addestramento. Essi dovranno essere abbassati molto di peso e questo è sbagliato. Non è giusto tentare di ammansire e assoggettare un rapace notturno “selvatico” (cioè parent reared). Tra l’altro ciò è anche una cosa inutile visto che oggi i rapaci notturni che si possono tenere in cattività devono essere nati in cattività e dunque è facilissimo ottenerli allevati a mano. Nel caso di specie particolarmente rare che sono quindi difficili da ottenere vale il discorso fatto prima.

I rapaci notturni anche da questo punto di vista sono molto diversi dai diurni. Ciò è dovuto al fatto che essi tendono ad essere più calmi e docili se allevati a mano rispetto ai diurni. Bisogna però ricordare che più un rapace notturno è calmo e mansueto e più esso sarà noioso e lento nel modo di agire, ma allo stesso tempo bisogna anche dire che se un rapace notturno non è calmo ciò non significa che esso non sia quieto. La scelta migliore, come detto sopra, è un imprintato cioè allevato a mano. Con esso ci risparmieremo di abituarlo al pugno perché sarà una cosa assolutamente naturale.

image009.jpg (36941 byte)Fig.3.Coppia di Bubo virginianus in voliera. Sono rapaci molto belli, anche grazie al colore dell’iride (giallo) anche se non troppo grossi.

Come per i diurni anche per i notturni il neofita non dovrebbe scegliere le specie più piccole. Più, infatti, un uccello è piccolo e più sarà facile abbassare eccessivamente il suo peso (anche per errore) a tal punto da ucciderlo. I migliori per i neofiti sono i rapaci notturni di medie dimensioni (per es. il Gufo reale maculato africano, Bubo africauns, che è di dimensione ragionevole ed ha anche un buon temperamento). Effettivamente un Gufo reale europeo è eccessivamente grosso (le femmine delle sottospecie nordiche possono arrivare a 4 kg) e se, da un lato, colpisce per questa sua molte, dall’altro lato per il neofita è un rapace abbastanza ostico. Come detto prima la grossa mole ne rende difficile il controllo del peso e dunque lo rende svogliato e ostile a lavorare, inoltre nel periodo riproduttivo possono diventare aggressivi. E’ meglio quindi farsi prima una adeguata esperienza con i notturni di medie dimensioni.

Anche questi rapaci sono molto grossi, pur non raggiungendo le dimensioni di alcune ssp di Gufo reale. Purtroppo il clima italiano non è idoneo alla loro vita in cattività: sono moltissimi i casi di morte a causa di stress climatico con conseguente indebolimento del sist. immunitario. Per cui è sconsigliato il loro acquisto e soprattutto l’addestramento (almeno nelle regioni meridionali, diciamo dall’Emilia Romagna in giù).

ATTREZZATURE

Sarebbe buona cosa procurarsi dall’allevatore il rapace notturno che abbiamo scelto nei primi mesi dell’estate così che si abbia più tempo per giocare con lui nella voliera. Ovviamente prima di ricevere l’animale sarebbe opportuno organizzarsi con la voliera, il veterinario, le fonti di cibo e tutta l’attrezzatura necessaria.

Normalmente un rapace notturno non deve essere tenuto legato al blocco ma sciolto in voliera. Anzi sarebbe opportuno vietare legalmente tale sistema (il blocco) per tenere in notturni addestrati.

Infatti la ragione primaria per cui si preferisce legare al blocco i rapaci diurni è che essi tendono a sbattere nelle pareti di rete e dibattersi facendosi così male e rovinandosi le penne. Ma questo con i notturni non accade mai soprattutto se la voliera è ben costruita. Il tenere i notturni in voliera inoltre è molto più etologicamente salutare per loro, fanno quello che vogliono quasi come se fossero liberi; e se il problema è lo spazio, ricordate che i notturni essendo animali molto passivi, hanno bisogno, normalmente, di poco spazio in voliera (anche allo stato selvatico sono animali che hanno degli home ranges solitamente ridotti)

Per quando riguarda l’attrezzatura da usare ne serve di meno rispetto ai diurni, per il fatto che non dobbiamo legarli al blocco.

image013.jpg (58728 byte)Fig. 5. Femmina adulta di Bubo africanus. Si noti il “disco facciale” (la faccia è praticamente piatta) che funge da parabola amplificatrice di suoni, intensificandoli. Le orecchie, non visibili nella foto perché protette dalle penne, si trovano ad una altezza diversa tra destra e sinistra e questo perché così i suoni ricevuti possono essere elaborati dal cervello anche in funzione del ritardo di ricezione tra destra e sinistra permettendo così al rapace di capire l’esatta posizione della preda.

Dal momento in cui il nostro rapace avrà raggiunto il piumaggio completo, esso porterà sempre i geti Aylmeri per tutto il tempo che lo voleremo. Però sarebbe poi meglio togliere i braccialetti nel periodo della muta e metterli poi nuovi anche per una questione di sicurezza (perché col tempo si rovinano). La sola eccezione sono i rapaci notturni di dimensioni eccessivamente piccole ai quali non si metterà niente, e li addestreremo solo in voliera; oppure si potranno usare dei geti facilmente rimovibili così che possiamo metterli e toglierli solo per la sessione di addestramento; ma terminato il periodo di addestramento questi rapaci notturni piccoli non dovranno più portare geti.

Per quanto riguarda i campanelli si veda dopo. Useremo poi la solita lunga (che ci servirà a legare l’animale al guanto durante i primi addestramenti), la filagna, la borsa e il logoro. Per quanto riguarda il logoro, questo sarà diverso da quello solitamente usato per i diurni (si veda il paragrafo successivo).

Fig. 6. Bubo africanus, dorme. I rapaci notturni passano molto tempo a dormire. Questa femmina dormiva sia di giorno che di notte e le ore di attività si limitavano solo a 3-4 al giorno.

PERCHÉ ADDESTRARE I NOTTURNI, LORO USO A CACCIA ED IL LOGORO

Come al solito, mi pongo la classica domanda: perché addestrare un rapace notturno? Le risposte possono essere:

1)Per dimostrazioni di volo ed esibizioni, nel caso di centri pubblici di falconeria.

2)Semplicemente per il volo libero, senza fini venatori. Per avere un animale domestico, alla stregua di un cane, da portarci in giro quando passeggiamo per prati e boschi.

3)Per andarci a caccia.

Per quanto riguarda i punti 1 e 2 potremo usare molte specie tra cui il bellissimo (ed economico) Barbagianni, ma anche il Gufo comune, l’Allocco, il Gufo delle nevi, l’Allocco di Lapponia o il Gufo reale africano o il virginiano ma anche il gufo reale europeo. In questi casi non ci interessa la caccia attiva ai Vertebrati, e sarà sufficiente preparare l’animale al richiamo al pugno e alla pertica (nel caso dei centri di dimostrazione), o a seguirci. Ovviamente è importante anche l’addestramento al logoro, ma in questi casi si può usare anche un logoro a forma di topo. Il traino al logoro è infatti molto bello da vedere in una dimostrazione di volo in un centro pubblico di falconeria, ma ci aiuterà anche a richiamare giù un Gufo che non vuole muoversi dall’albero in cui si è appollaiato.

Per quanto riguarda il punto 3, il problema maggiore nell’usare i notturni a caccia è che se si legge un qualsiasi libro sulla loro storia naturale si vedrà che a parte alcune specie specializzate in pesci o altri cibi, tutti gli altri mangiano soprattutto topi, arvicole e insetti. Solo per alcune specie di Gufi reali si troverà che mangiano prede più grosse, ma comunque sarà molto difficile ad addestrarli a tali prede.

Questo non significa obbligatoriamente che non si può cacciare con i notturni, solo che ci sono delle tecniche sicuramente migliori della caccia con un Gufo addestrato (che deve comunque essere condotta in ore di poca luminosità ambientale). Comunque se è questo che volete, provate.

Ovviamente solo alcune specie si prestano ad essere addestrate alla caccia. Solo i Gufi reali di maggiori dimensioni possono catturare conigli e lepri. Le ssp. nordiche del Gufo reale europeo (per es. il sybiricus) normalmente raggiungono delle dimensioni notevoli che permettono loro di attaccare anche grosse prede.

E per addestrare i notturni alla caccia bisogna fare molto lavoro con il logoro così detto “dummy rabbit” cioè rassomigliante ad un coniglio o lepre. Sarà necessario usare anche conigli morti se se ne ha la possibilità in modo tale che il Gufo inizi a conoscere le sue prede già dalla giovane età ed ancora prima delle prime fasi di addestramento. Si vedrà comunque che un rapace notturno non ha le stesse capacità di agilità di volo di molti rapaci diurni. Bisogna sempre perseverare, infatti la pazienza è la chiave per l’addestramento di qualsiasi animale o uccello.

Il metodo generale di addestrare un notturno alla caccia è lo stesso usato per le Poiane codarossa o di Harris o altri Buteo o Accipiter. Bisogna preparare l’animale ad essere trasportati sul pugno, al richiamo sul pugno, al richiamo dagli alberi, a seguirci, e soprattutto ad inseguire il logoro. A questo punto è solo questione di esperienza e di provare e riprovare. La parola chiave è perseveranza e pazienza.

Inoltre è meglio non usare le campanelle altrimenti si rovinerebbe la straordinaria silenziosità di volo dell’animale che è poi la sua principale arma vincente nella caccia visto che non si tratta di animali veloci. Va benissimo allora usare la radiotrasmittente. Ma come si fa a ritrovare un rapace notturno al buio senza la comodità delle campanelle? Ottima idea è l’uso delle Starlight usate dai pescatori da attaccare ai geti. Si è visto che funzionano a meraviglia permettendoci di vedere il nostro rapace anche a vari km di distanza. Possono essere utili anche per la ricerca notturna dei rapaci diurni quando si perdono. Le Starlight non pesano più di un grammo (nei loro modelli più piccoli) e pensate quanto sarebbero utili nelle ricerche notturne.

PROCURARSI IL RAPACE

Moltissimi allevatori oggi, anche in Italia, riescono a riprodurre con facilità varie specie di rapaci notturni, per trovarne qualcuno magari nella vostra stessa zona, leggete le altre pagine di questo sito. Una volta ottenuto il contatto, assicuratevi che sia un allevatore serio e che i rapaci che alleva siano perfettamente regolari.

Se possibile, fare in modo che il giovane che stiamo comprando stia con i suoi simili per le prime settimane di vita, durante l’allevamento a mano; prendiamolo con noi solo quando avrà un piumaggio abbastanza sviluppato. In questo modo avremo un animale calmo e tranquillo ma allo stesso tempo non completamente imprintato sull’uomo (e penserà di essere ancora un gufo). In questi casi si parla di “double-imprinting” cioè gli oggetti su cui si impronta l’animale sono contemporaneamente due: l’uomo ed i suoi simili.

image017.jpg (40352 byte)Fig. 7. Pulli di Gufo reale europeo (Bubo bubo) di 3 settimane di età. Già a questa età sono molto giocherelloni e bisogna assecondarli. Questi in particolare sono stati allevati sotto un cespuglio, una specie di “owl hacking” permettendogli di abituarsi all’ambiente esterno sin dalla tenera età.

Tenersi in contatto con l’allevatore per avere notizie dell’animale. E non dimenticare di chiedere quale cibo viene usato in maniera da non stressarlo all’arrivo a casa con un cibo che lui non conosce, ma usare il cibo che gli è più familiare e passare poi gradualmente agli altri tipi. Ovviamente come già ripetuto varie volte è bene usare vari tipi di cibo e non una dieta monotona. Poi si scopriranno anche cibi di cui è più o meno ghiotto, in tal caso non usare quelli di cui è più ghiotto per le sessioni di addestramento ma sfruttarli per quando l’animale rifiuta di venire giù da un albero o quando si comporta male. Altra importante informazione è chiedere all’allevatore in che modo ha abituato a mangiare l’animale (se sul pugno, sulla tavolozza, a terra ecc.). Di solito comunque i DOCs (pulcini di pollo di un giorno) saranno il cibo preferito

Fig. 8. Pullus di Gufo reale europeo di 4 gg di età, durante le fasi di allevamento a mano. In questo momento ha appena finito di mangiare ed è entrato nella dura fase della digestione.

ADDESTRAMENTO

Descrivere i protocolli di addestramento non è lo scopo che si prefigge quest’articolo. Ciò richiederebbe anche molto spazio e tempo, che per il momento scarseggiano. Comunque chi voglia approfondire l’argomento mi contatti pure.

In generale la procedura è graduale: si parte prima con l’addomesticare il rapace abituandolo a tutto sin da piccolo (2-3 settimane di età), approfittando del fatto che non è ancora perfettamente in grado di volare; portarlo in giro in quei luoghi dove poi completeremo l’addestramento e dove lo faremo volare libero quando l’addestramento sarà completo, abituarlo alla presenza di altre persone e di cani e altri animali domestici per evitare che da adulto abbia timore di questi animali. Sempre in queste prime settimane passare molto tempo a contatto con lui ed abituarlo a mangiare sul pugno. Tenerlo sempre in voliera, slegato. Quando avrà completato lo sviluppo del piumaggio (anche se non proprio completamente, l’importante è che sappia volare bene ed abbia raggiunto il peso di adulto) si inizierà l’addestramento al pugno, richiamo e logoro, in voliera (addestramento “indoor”), con le stesse metodologie usate per i diurni ma con molta più pazienza. Infine, diciamo pessimisticamente, dopo un mese (quando il rapace avrà quindi circa 2 mesi di età) si inizierà l’addestramento “outdoor” in filagna, durante il quale si ripeteranno gli stessi esercizi fatti in voliera con in più i primi tentativi con il traino al logoro (fargli inseguire il logoro) e gli esercizi per insegnargli a seguirci.

Quando si ha la garanzia che l’animale risponde ai richiami, infine, si toglierà anche la filagna, diciamo, sempre pessimisticamente, dopo un altro mese. Da questo momento il rapace può volare libero ma l’addestratore dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per non perderlo (volarlo in una zona non boscosa, diciamo prato con qualche albero, usare il radio-tracking e le starlight, gestire correttamente il peso e la fame dell’animale ecc.)

image025.jpg (15403 byte)Fig. 8. Femmina adulta di Gufo africanus in volo. Si noti la “morbida” forma delle ali che contribuisce ad attenuare il rumore prodotto. Alla silenziosità contribuisce moltissimo il “velluto” che ricopre tutte le penne di volo e le “frange” che contornano le primarie.

CONCLUSIONI E USO A CACCIA

Cosa dire per concludere? I rapaci notturni sono affascinanti, hanno un modo di fare molto diverso da tutti gli altri uccelli, e in molti loro comportamenti si avvicinano di più ad un cane che non ai rapaci diurni.

Ho osservato che piace loro moltissimo giocare, con qualsiasi cosa, soprattutto se con un topolino finto in peluche. Dargli la possibilità di giocare è fondamentale per fare in modo che l’animale possa maturare correttamente alcuni patterns comportamentali, come le tecniche predatorie.

Non illudersi però di questa domesticità. Non portare questi rapaci a volare nei parchi pubblici, anche perché potrebbero danneggiare persone ed altri animali, soprattutto se si parla dei Gufi reali.

Riguardo al loro volo libero, ricordare che tirare giù un gufo da un albero è molto più faticoso che per un rapace diurno, che questi animali, se persi, si sposteranno soprattutto nelle ore notturne e che il loro piumaggio altamente mimetico, di solito, ne rende difficile l’avvistamento soprattutto quanto di posano sugli alberi (a tal proposito ricordare che i notturni preferiscono sempre appollaiarsi in quelle porzioni di rami più vicine al tronco, sia per una questione mimetica e sia per una questione di peso).

Fig. 9. Femmina adulta di Bubo africanus appollaiata durante le fasi di caccia (di topi!). Notare la mimetizzazione nonostante non sia posata sul ramo dentro l’albero ma davanti ad esso.

Per quanto riguarda, infine, l’uso che se ne può fare a caccia, posto che si tratti di un Gufo reale e che esso sia stato correttamente addestrato al logoro, abituato ai conigli, e ben rispondente ai richiami al pugno, la tecnica che useremo sul campo sarà particolare. Si potrebbe in un primo momento pensare di usare questi animali a caccia come si farebbe con una Poiana codarossa o con un Harris. Questa è infatti la metodologia seguita dalla maggioranza dei “gufieri”. Ma sarebbe meglio usare una tecnica che permetta al notturno di esprimersi al meglio. Come dicevamo in precedenza le armi da caccia di questi animali sono: vista acuta, udito acutissimo e preciso, silenziosità e mimetismo. Allora, la tecnica migliore da utilizzare sarebbe quella di appostarsi assieme al rapace (cosa che esso farebbe naturalmente) ed attendere il passaggio della preda. Il rapace è meglio che non venga tenuto sul pugno, ma bisogna lasciarlo su un ramo, meglio se è lui stesso a sceglierselo. Poi, visto che non ci si può mimetizzare così perfettamente come farebbe il nostro Gufo (bisognerebbe infatti riuscire ad ottenere una perfetta mimetizzazione nel colore, nelle forme, ma anche acustica ed olfattiva, quest’ultima importantissima soprattutto quando si cacciano lepri e conigli) è bene tenersi ad una certa distanza dall’animale, ma tenerlo sempre sotto nostro controllo visivo e radio (a questo proposito è utile usare quelle trasmittenti a zainetto di lunga vita e dotate di sensore di posizione che ci indicherà se l’animale sta appollaiato o se si è spostato, ovviamente bisogna tenere il ricevitore sempre acceso e con le cuffiette). Inoltre, come farebbe sicuramente in natura, il gufo si sposterà un po’ man mano che appura che nelle vicinanze non ci sono prede, questo è molto utile perché ci si sposterà con lui, sempre a distanza, esplorando quindi un’area di una certa estensione, e permettendo al gufo anche di cacciare nella maniera che gli è più congeniale. Un buon consiglio che posso darvi è di cercare delle zone aperte, dove quindi sarebbe difficile cacciare con gli Astori o con gli Harris e di appostarvi col gufo sul pugno in un punto alto sovrastante come ad es. una collina. Questa posizione è la migliore in assoluto. Le prede (conigli e lepri) usciranno allo scoperto senza accorgervi della vostra presenza ed il gufo avrà tutto il tempo di valutare quale preda attaccare. Inoltre da questa posizione il rapace potrà sfruttare la sua arma migliore che è appunto la silenziosità, lasciandosi andare in un volo non battuto ma planato dall’alto e arrivando di sorpresa sulla preda.

image029.jpg (54512 byte)Fig. 10. La stessa femmina di Gufo reale africano della foto precedente. Nei momenti di attesa o di preparazione alla battuta di volo o di caccia, i rapaci notturni, come in questo caso, possono essere tenuti su un blocco (geti, lunga)  adeguato, alla stregua dei falconi.

se avete bisogno di altre informazioni, visitate il forum dedicato ai rapaci notturni: www.rapacinotturni.it

Inseminazione artificiale rapaci

INTRODUZIONE

Sempre più spesso oggi si sente parlare di inseminazione artificiale nei rapaci, ma poche persone sanno veramente che cosa essa sia, o lo immaginano solo vagamente. Altre persone invece sono convinte di saperne abbastanza, quando invece ne sanno ben poco. Io, personalmente, mi sono sforzato negli ultimi anni di acquisire su questo argomento quante più informazioni possibili, sia grazie a lunghe chiacchierate con amici allevatori che la praticano normalmente, sia, soprattutto, studiando su appositi testi, manuali ed articoli scientifici. Per i motivi sopraesposti ho pensato di scrivere questo breve articolo di introduzione alla tecnica dell’inseminazione artificiale, quanto meno per illustrarne le maggiori caratteristiche applicative e fare così in modo che tutti possano sapere di cosa realmente si tratti. Non è mia intenzione soffermarmi nel descrivere esattamente le tecniche per praticarla correttamente, ciò richiederebbe troppo spazio e soprattutto troppo tempo ed energia. Chiunque desiderasse avere delle informazioni più approfondite può leggere lo studio ben più approfondito che ho preparato contattandomi. L’obiettivo che mi sono prefisso è invece quello di mostrare tutti gli aspetti generali relativi all’applicazione di questa tecnica per capire quali in realtà siano i problemi nel metterla in pratica ed i veri vantaggi che essa può dare.

TERMINOLOGIA

La prima cosa che mi preme trattare è un po’ la terminologia. In realtà esistono svariate tecniche diciamo così di “riproduzione artificiale” e di queste solo una, fondamentalmente, è quella praticata con i rapaci, oggi. Per prima cosa dobbiamo tenere presente alcuni fondamenti di biologia:

A)Un essere vivente deriva da un embrione, che si sviluppa e si accresce fino a diventare adulto, anche l’embrione è dunque un organismo vivente;

B)In qualsiasi organismo esistono fondamentalmente due tipi di cellule e cioè le cellule somatiche (che sono diploidi,   cioè contengono una doppia copia di ogni cromosoma) e le cellule germinali (che sono quelle che servono per la riproduzione cioè spermatozoi nei maschi e cellule uovo nelle femmine e sono apolidi cioè contengono una singola copia per ogni cromosoma) (ricordo che i cromosomi non sono altro che il DNA di una cellula aggregato e compattato in una strutture, i cromosomi, di solito visibili in forma di X e localizzati nel nucleo della cellula);

C)Un embrione dunque deriva dall’unione di due gameti, quello maschile, che è lo spermatozoo (e proviene dalle gonadi maschili che sono i testicoli) e quello femminile che è la cellula uovo (e proviene dalle gonadi femminili che sono le ovaie). Lo spermatozoo feconda l’uovo quando vi entra dentro. Ecco perché le cellule germinali sono apolidi, perché quando si uniscono a dare l’embrione, che è già un organismo vivente, si otterrà una cellula diploide che si moltiplicherà miliardi di volte fino a dare l’organismo adulto.

Detto questo viene facile capire che il seme non è quello che comunemente si pensa e cioè gli spermatozoi del maschio, ma è, come per le piante, l’embrione (il seme di una pianta non è altro che l’embrione della pianta stessa che si è formato dall’unione del polline con la cellula uovo del pistillo femminile). Il termine INSEMINAZIONE  ARTIFICIALE dunque significa inserire un embrione dentro la femmina. E questa non è la tecnica praticata sui rapaci. L’inseminazione artificiale è una tecnica molto avanzata che viene attualmente usata sull’uomo e che prende il nome di FIVET (Fecondazione in Vitro Embryo Transfer) che significa: si prende una cellula uovo e si mette in un vetrino da microscopio, si prendono poi degli spermatozoi e con una microiniezione vengono inseriti dentro la cellula uovo, il che praticamente imita il processo della fecondazione (per questa viene detta Fecondazione in Vitro o FECONDAZIONE ARTIFICIALE), quindi quello che otteniamo è un embrione; poi si prende questo embrione e lo si inserisce con un apposito strumento dentro l’utero femminile (ecco perché si parla di Embryo Transfer, cioè di trasferimento dell’embrione). La tecnica invece utilizzata per i rapaci e praticamente per tutti gli uccelli compresi quelli domestici (pollame, quaglie, fagiani ecc.)  è abbastanza diversa; essa consiste nel prelevare dal maschio gli spermatozoi e di inserirli artificialmente nella cloaca femminile dove questi risaliranno l’ovidutto fino a raggiungere l’ovaio dove andranno a fecondare le cellule uovo. In questa tecnica dunque l’unica cosa che c’è di artificiale è la copula cioè non è il maschio che monta sulla femmina per inserire il suo sperma della sua cloaca ma siamo noi che lo facciamo. Non si può allora parlare di inseminazione artificiale né di fecondazione artificiale ma si parla di GAMETIZZAZIONE ARTIFICIALE perché appunto è l’uomo che artificialmente inserisce gli spermatozoi (che sono i gameti maschili) nella femmina.

Però come avete visto dal titolo dell’articolo anche io uso il termine di inseminazione artificiale, ma semplicemente perché se dicessi gametizzazione artificiale non mi capirebbe nessuno!

STORIA E GEOGRAFIA

Praticamente le tecniche di gametizzazione artificiale furono applicate già a partire dagli stessi anni in cui iniziarono a svilupparsi le tecniche di riproduzione in cattività dei rapaci. Già nel 1968 si tentò di ottenere sperma da un maschio di Aquila reale allo scopo di fecondare una femmina (Hamerstrom, 1968). Ma i primi incoraggianti risultati, anche perché ottenuti in serie si ebbero a partire dagli anni ’70 ad opera dello staff del Peregrine Fund, che perfezionò la tecnica per i Falchi pellegrini sviluppando delle apposite metodologie (come ad es. le tecniche cooperative). Già a partire da questi anni voglio ricordare i notevoli studi effettuati da David M. Bird alla Mc Gill University in Canada, su un grosso ceppo in cattività di Gheppi americani (Falco sparverius); tali ricerche portarono alla scoperta di numerosi dati che si rivelarono fondamentali per la corretta pratica della gametizzazione artificiale (Bird, 1983, Bird,

1993, Bird and Lague, 1976, Bird, Lague and Buckland, 1975, Bird, Lague and Buckland, 1976).

Oggi la tecnica della gametizzazione artificiale viene praticata soprattutto in centri di riproduzione e zoo allo scopo di gestire correttamente ceppi in cattività di rapaci per conservazione genetica e per programmi di reintroduzione. Ma il più largo uso che se ne fa è da parte di riproduttori privati di rapaci per falconeria, anche perché è l’unico metodo veramente efficace per la produzione di ibridi e per la riproduzione di specie classicamente “difficili”.

PERCHE’ USARLA

La prima cosa che bisognerebbe chiedersi prima di cimentarsi nelle tecniche di gametizzazione artificiale, (e che tutti gli allevatori che le praticano dovrebbero chiedersi) è: perché usare queste tecniche? Vale la pena usarle? Hanno qualche vantaggio da renderne utile l’applicazione?

Queste domande sono il punto di partenza fondamentale. Ragionando un po’ e basandosi sulle esperienze che si hanno finora su questa metodologia si potrebbe rispondere che la gametizzazione artificiale dovrebbe essere utilizzata solo qualora si presentasse una di queste circostanze:

1)      Usata, a posteriori, per ottenere la deposizione di uova fertili da coppie che non si riproducono spontaneamente. Per esempio si prova ad ottenere una riproduzione naturale (che è sempre la migliore) e se non si riesce si gioca la carta della gametizzazione artificiale. Si pensi anche a tutti i rapaci irrecuperabili presso i centri di recupero. Ottenendone una riproduzione, anche grazie alle tecniche di gametizzazione artificiale, si potrebbero creare dei ceppi in cattività A quali scopi? Banca genetica, programmi di reintroduzione o ripopolamento, studi biologici ecc.

2)      Possibilità di produrre ibridi con alte percentuali di successo (ovviamente limitatamente alla compatibilità biologica delle specie coinvolte)

3)      Possibilità di “recuperare” gli imprintati (sull’uomo) oggi tanto usati per la falconeria, ma difficilmente riproducibili con tecniche naturali.

4)      Possibilità di controllare adeguatamente il pool genico di una popolazione in cattività. Questo è soprattutto utile nei progetti di riproduzione in cattività a scopo di Banca genetica e/o di reintroduzione allo stato selvatico. Come si sa infatti in tali progetti una delle proprietà immancabili deve essere la corretta configurazione e gestione genetica degli individui che compongono il ceppo. Bisogna evitare l’imbreeding, la deriva genetica, l’out-crossing e soprattutto mantenere una variabilità genetica tipica di quella specie. Ma trattandosi di una popolazione in cattività e dunque ridotta, con le metodiche di gametizzazione artificiale si può fecondare una femmina con sperma proveniente da vari maschi e, viceversa, usare lo sperma di ogni maschio per fecondare uova di varie femmine. In tal modo si riesce a diffondere uniformemente tutti i geni a tutta la popolazione ed alla fine la progenie ottenuta sarà composta da individui tutti completamente diversi l’uno dall’altro e che condividono praticamente tutti i geni del ceppo in cattività.

5)      Usata a priori per ottenere una “quasi garanzia” di riproduzione in specie classicamente “difficili” da riprodurre in cattività (Astori, Aquile ecc.). In tal caso si acquisiranno gli esemplari con l’obiettivo diretto di riprodurli con tecniche di gametizzazione artificiale.

6)      Possibilità di fecondare molte uova possibilmente da più femmine con un solo maschio, con notevole risparmio di soldi (si usa un solo maschio al posto di due) e di spazio (nello spazio di 3 rapaci si hanno 2 femmine ed un maschio). Ovviamente un obiettivo del genere è raggiungibile solo con la tecnica del prelievo cooperativa e solo dopo accurata selezione dei maschi al fine di trovare quello che produce di più  (ricordate che non tutti gli individui sono uguali, un maschio può produrre più di un altro, semplicemente per una questione di variabilità individuale).

7)      Possibilità, infine, di ottenere riproduzione in spazi ambigui sia perché gli imprintati possono essere alloggiati in voliere più piccole e sia perché si possono anche tenere sul blocco gli individui da riprodurre ( ma questo vale solo per le tecniche di prelievo e gametizzazione con massaggio).Da quanto illustrato sopra risulta che se non si presenta una (o più) di queste esigenze è inutile praticare la gametizzazione artificiale, tenendo anche presente che la riproduzione naturale è sempre la migliore soluzione, perché i rapaci faranno tutto da soli senza impegnarci in procedure complesse. Ma se la riproduzione naturale non è fattibile ci si può giocare questo asso.

Fig.1. Procedimento di gametizzazione di una femmina di Gheppio

comune.

(Falco tinnunculus).

 
 
 
 

LE TECNICHE

Fondamentalmente la procedura di gametizzazione artificiale si divide in due fasi principali: a) Prelievo dello sperma dal maschio b) Inserimento di questo sperma nella cloaca femminile (gametizzazione della femmina).

Per ottenere il prelievo dello sperma, così come per gametizzare la femmina esistono varie metodologie, alcune delle quali simili per maschio e femmina ed altre esclusive, per cui possono essere anche incrociate tra loro, come si vedrà dopo.

Una sintesi delle tecniche utilizzate è illustrata nella tabella che segue:

SESSO

TECNICA

DESCRIZIONE

MASCHIO

MASSAGGIO INVOLONTARI O

Si preleva lo sperma massaggiando delicatamente l’area circostante la cloaca. All’inizio ciò avverrà a prescindere dalla volontà dell’animale che anzi rifiuterà tale trattamento ma successivamente si abituerà e collaborerà con l’operatore.

DONAZIONE VOLONTARIA

Si sfrutta il fenomeno dell’imprinting artificiale che viene artificialmente diretto sull’uomo (allevando a mano i maschi sin da piccoli). Da adulti questi individui copuleranno spontaneamente con l’uomo dando il loro sperma.

ELETTROEIACULAZIONE

Attraverso una stimolazione elettrica dell’area attorno alla cloaca si induce la contrazione dei muscoli e l’eiaculazione

COTTON-FLOCK

Tecnica sperimentale che consiste nell’inserire direttamente nella cloaca il cottonflock allo scopo di assorbire lo sperma.

PRELIEVO CHIRURGICO

Si può praticare solo in casi estremi o su individui selvatici morti. Non usata dagli allevatori privati, ma utile per progetti di riproduzione avanzata.

FEMMINA

MASSAGGIO INVOLONTARIO

Avviene come per i maschi solo che si fa allo scopo di estroflettere l’ovidutto dalla cloaca per inserirvi lo sperma prelevato dal maschio.

GAMETIZZAZIONE VOLONTARIA

Come per i maschi, ma allo scopo di gametizzare.

PROCEDURA CHIRURGICA

Si fa iniettando lo sperma dall’addome per mezzo di un lungo ago. Solo per casi eccezionali e solo per programmi di riproduzione avanzata.

GAMETIZZAZIONE CON COTTON-FLOCK

Sperimentale. Come per il maschio ma il cotton-flock inserito nell’ovidutto è imbevuto dello sperma assorbito dal maschio.

GAMETIZZAZIONE OVULARE

Sperimentale. Consiste nell’iniettare lo sperma direttamente sulle uova deposte “chiare” cioè non fecondate.

 TECNICA DEL MASSAGGIO FORZATO

Metodologia:

Si pratica massaggiano con appositi movimenti della mano tutta l’area attorno alla cloaca allo scopo di rilassare e poi stimolare i muscoli (ed in particolare la muscolatura dei dotti deferenti). Valida sia per il prelievo di sperma dai maschi che per la gametizzazione delle femmine.

Vantaggi:

E’ molto buona nel caso di individui non imprintati e quindi anche di esemplari traumatizzati e non recuperabili. Richiede meno tempo e una minore preparazione degli animali rispetto alla tecnica cooperativa. Permette di sfruttare appieno le coppie. Acquistando una nuova coppia, infatti, si sceglieranno individui potenzialmente idonei ad accoppiarsi naturalmente (con notevole risparmio di tempo e lavoro) ma si potrà procedere in qualsiasi momento alla gametizzazione artificiale se la coppia non vuole riprodursi spontaneamente.

Svantaggi:

Risulta più difficile da praticare dal punto di vista manuale rispetto alla tecnica cooperativa. La qualità e la quantità di sperma ottenuto non sarà mai molto buona proprio perché il maschio che subisce tale trattamento risulterà sempre stressato (più o meno). Lo sperma che si riuscirà a prelevare con questa tecnica infatti risulterà spesso inquinato da urati, soprattutto e la loro presenza ne riduce le capacità fecondanti.

TECNICA DI PRELIEVO COOPERATIVO

Metodologia:

Si usano maschi il cui imprintig sessuale è sull’uomo (cioè allevati a mano sin da piccoli). Una volta adulti questi individui riconoscono nell’uomo un conspecifico e dunque un potenziale partner per la riproduzione, così i maschi copuleranno (eiaculando) sul guanto o sul cappello tenuto dall’allevatore (che saranno ricoperti da una spugna porosa e sterile dove si va a raccogliere lo sperma che verrà poi comodamente raccolto). E le femmine accetteranno la “copulazione” con la mano da parte dall’uomo, estroflettendo volontariamente l’ovidutto e rendendo così più facile le operazioni di gametizzazione. Per ottenere però un tale risultato è necessario che l’allevatore corrisponda adeguatamente i comportamenti corteggiativi sia dei maschi che delle femmine imprintate e per questo è necessario conoscere a fondo i patterns corteggiativi della specie coinvolta. Quindi tale tecnica è valida sia per prelevare lo sperma dai maschi che per gametizzare le femmine.

Vantaggi:

Facilità nell’ottenimento dei risultati, poiché sono i rapaci coinvolti (maschio e femmina) che faranno tutto o quasi da soli, bisogna solo corrispondere i loro comportamenti e operare con le giuste tecniche. Buone o ottime quantità e qualità di sperma ottenuto (poco inquinato)

Svantaggi:

Lo svantaggio principale di questa tecnica è che bisogna passare molto tempo (dico molto cioè almeno 3-4 ore al giorno per ogni individuo) sia con i maschi che con le femmine. Altro svantaggio è che gli animali devono essere imprintati sull’uomo, ma dipende dai punti di vista: da un lato è utile, perché tale tecnica permetterebbe di “recuperare” gli imprintati permettendo di riprodurli, dall’altro lato, quando si vuole acquistare una nuova coppia bisogna scegliere a priori se prendere individui imprintati o no, cioè bisogna decidere da subito se procedere direttamente con la gametizzazione artificiale o con la riproduzione naturale.

ELETTROEIACULAZIONE

Metodologia:

Questa tecnica non è pericolosa come si potrebbe pensare perché non vengono usati voltaggi troppo alti (che potrebbero provocare la morte dell’ uccello per arresto cardiaco) tanto che gli elettrodi possono essere toccati anche a mani nude. Questa tecnica è stata usata soprattutto con gli Psittaciformi (pappagalli) e con i rapaci è ancora in via di sperimentazione.Vengono usati due elettrodi, ben lubrificati. Uno ha la forma di un proiettile calibro 22 ed è posizionato sul coprodeo. L’altro è posto in buon contatto elettrico con la pelle nella regione bassa dei reni. Lo scopo è quello di provocare una leggera stimolazione delle testi dei dotti deferenti. I dotti dovrebbero contrarsi in breve tempo eiaculando così il seme. Ovviamente questa tecnica può essere applicata solo ai maschi.

Vantaggi:

Permette di ottenere sperma con facilità senza bisogno di apprendere le complesse tecniche del massaggio ma, allo stesso tempo, senza dover dedicare tutto quel tempo agli animali (come per gli imprintati).

Svantaggi:

Come detto è ancora una tecnica sperimentale, sulla quale si sa poco. E prima che divenga popolare sarà bene studiarla a fondo. La qualità del sperma, inoltre, di solito, non risulta quantitativamente elevata come per la tecnica cooperativa.

GAMETIZZAZIONE OVULARE

Procedura:

Anche questa metodologia è sperimentale. Secondo quanti la hanno sperimentata si dovrebbero ottenere il 30% di uova correttamente fecondate. Consiste nell’iniettare lo sperma direttamente all’interno delle uova chiare deposte dalle femmine (per esempio il primo uovo che è sempre chiaro) in una apposita zona dell’uovo, in modo da centrare il disco germinale.

Vantaggi:

Permette di recuperare le uova chiare che andrebbero altrimenti perdute. Inoltre si risparmierà di dover apprendere la tecnica del massaggio per gametizzare le femmine o di dover perdere tempo con quelle imprintate.

Svantaggi:

E’ una tecnica sperimentale, ma da quello che si è visto l’unico svantaggio è di “perdere” inutilmente del sperma(anche se comunque se ne userà di meno, visto che non c’è pericolo che esso si disperda nell’ovidutto prima di arrivare alla cellula uovo) per quel 70% di uova che non verranno fecondate (perché abbiamo detto che la percentuale di fecondazione è del 30%). La cosa migliore, comunque, sarebbe di  usarla come tecnica additiva, oltre alle altre tecniche di gametizzazione delle femmine.

 

Fig.3. Apparecchiatura per l’elettroeiaculazione felina, ma adattabile ai rapaci.

 

Fig. 4. Come avviene la copulazione per il prelievo cooperativo dello sperma. A sinistra: figura tratta dal Peregrine Fund che illustra il particolare cappello da utilizzare, circondato, come si vede, da una apposita guaina ricoperta da spugna a cellule chiuse dove si raccoglierà lo sperma. A destra: foto di un giovane maschio di Gheppio comune, imprintato sull’uomo, durante i suoi primi tentativi di copulazione con l’uomo. Ovviamente non riesce ancora ad eiaculare e la testa non è coperta dall’apposito cappello.

 

 

 

LA PROCEDURA GENERALE

Comparando tutte le tecniche descritte troviamo che la tecnica migliore da usare è quella cooperativa. Ma bisogna tenere conto che per un processo completo di gametizzazione artificiale si possono usare due tecniche diverse cioè, per esempio, ottenere lo sperma con la tecnica cooperativa e gametizzare le femmine con la tecnica forzata. Questo perché la tecnica cooperativa, a parte la facilità, dà il grande vantaggio di potere ottenere discrete quantità di sperma puro e poco inquinato, quindi è soprattutto nei maschi il vantaggio di questa tecnica; solo così si può usare un solo maschio (razzatore) per coprire e fecondare le uova di più femmine, con notevole risparmio di spazio e soldi.

Un altro interessante punto da affrontare è la diluizione dello sperma. I rapaci producono delle ridotte quantità di liquido seminale (sperma) per esempio un Pellegrino produrrà nelle migliori condizioni 95 μl (microlitri, cioè milionesimi di litro) di sperma ed un Gheppio americano ne produrrà 12μl. Queste quantità sono troppo esigue per cui danno problemi sia perché non sempre si riuscirà a fecondare un uovo con tali quantità e sia perché risulta difficile il maneggiamento dello sperma in così ridotte quantità. Ecco il motivo per cui lo sperma appena prelevato deve essere diluito. Inoltre la diluizione è l’unico metodo che ne permette la conservazione in frigo fino anche a 75 ore. Per diluire lo sperma si usano delle soluzioni (“semen extensor”) quali per esempio la soluzione di Ringer al 50% oppure altre realizzate con apposite formule come ad esempio

Cloruro potassico                                                           0,2 g

Cloruro calcico                                                              0,2 g

Cloruro di magnesio                                                      0,1 g

Glucosio                                                                         5 g

Citrato sodico 7,7 g

Glutammato monosodico                                              23 g

Cisteina                                                                          0,02 g

Per un litro di acqua distillata

Per quanto riguarda la conservazione diciamo che lo sperma diluito al 50% in volume con una soluzione delle suddette e conservato a 4 C˚ in frigorifero può essere conservato anche per 3 giorni, ma si deve considerare che per ogni ora che passa lo sperma perderà capacità fecondante e la cosa migliore è allora di usarlo subito, o, comunque appena possibile. Sono state sperimentate, già a partire dal 1980, anche le tecniche di congelamento (criopreservazione) dello sperma dei rapaci, alla stregua degli uccelli domestici (Brock, M.K. and D.M. Bird. 1991). I risultati ottenuti inizialmente non superavano il 30% di uova schiuse correttamente dopo gametizzazione con sperma congelato, ma dagli ultimi esperimenti effettuati (in cui è stato usato il DiMetilSolfOssido, DMSO) ho letto che si riesce a raggiungere anche il 70% di schiudibilità. La tecnica del congelamento non è difficile di per sé (oggi in Italia moltissimi centri sarebbero in grado di congelare efficacemente sperma di rapaci), la difficoltà consiste nello studiare ed usare la giusta soluzione per la diluizione dello sperma; tanto più questa metterà “a loro agio” gli spermatozoi e tanto maggiore sarà la capacità fecondante dello sperma dopo congelamento.

pipetta per inseminazione artificiale

Fig. 5. Microcapillare contenente sperma di Falco pellegrino, appena

prelevato e diluito.

LE PROBLEMATICHE

Come accennato prima, l’obiettivo di questo articolo è quello di illustrare gli aspetti generali e non le tecniche pratiche.

Dicevamo che i passaggi fondamentali sono il prelievo dello sperma dal maschio da un lato e l’immissione di questo nell’ovidutto femminile attraverso la cloaca, dall’altro.

Perché un maschio possa produrre sperma e dunque affinché ci sia possibile raccoglierlo con le tecniche elencate nella tabella precedente esso deve:

a)  essere sessualmente maturo, cioè avere raggiunto l’età della maturazione sessuale e

b)  essere in estro, cioè trovarsi in quella condizione biologica, legata strettamente al fotoperiodo, nella quale i suoi testicoli, sotto stimoli ormonali (a loro volta originatisi da stimoli fotoperiodici ed etologici) producono cellule spermatiche che sempre sotto effetto degli ormoni sessuali, maturano, in vari stadi, in spermatozoi.Ora, se questo maschio viene tenuto in una normale voliera e se questa voliera è costruita adeguatamente, lo stimolo fotoperiodico non mancherà. Il problema è lo stimolo etologico, che non mancherà solo nel caso in cui il maschio sia imprintato sull’uomo e quindi metta in pratica le sue parate nuziali con l’allevatore. Ma se da questo maschio si intende prelevare sperma con la tecnica del massaggio, esso non può essere tenuto da solo in voliera. Deve bensì essere tenuto in una voliera con all’interno anche una femmina, nella speranza che, se anche mancassero i comportamenti corteggiativi (o non venissero corrisposti dalla femmina) il maschio riesca ad avere un sufficiente stimolo etologico per potere produrre spermatozoi maturi. Questo appena descritto è un concetto estremamente importante, perché se il maschio non ha prodotto sperma, è inutile continuare ad insistere con i massaggi nella speranza che questo sperma venga eiaculato. Inoltre, uno dei vantaggi dell’inseminazione artificiale, che sarebbe quello di poter fecondare più uova di più femmine con lo sperma di un solo maschio, si annullerebbe anche perché, come abbiamo detto prima, la quantità e qualità di sperma ottenuto dai maschi con la tecnica del massaggio forzato non sono adeguate alla fecondazione di più femmine.Allo stesso modo, anche la femmina deve essere sessualmente matura ed entrare nella fase di estro. Per le femmine si può capire subito se possano essere idonee alla gametizzazione artificiale o meno, perché esse DEVONO deporre le uova, anche in assenza del maschio. Una femmina che depone uova (e spesso accade anche alle femmine addestrate per falconeria che depongono le uova al blocco o nella voliera di muta) sarà idonea alla gametizzazione artificiale, altrimenti è inutile anche provare (magari si può attendere l’anno successivo).

A questo punto sorge un ulteriore problema: abbiamo un buon maschio che produce sperma e ci permette di prelevarlo, e abbiamo una buona femmina che depone uova (chiare, per ora, ovviamente). Sembra facile allora: prendiamo il spermae nella massima igiene e con una adeguata tecnica lo inseriamo nell’ovidutto della femmina. Ma quando vogliamo, nella realtà, procedere con questa operazione vedremo che i problemi sono dietro la porta. Lo sperma non può essere conservato per molto tempo (vedi dopo) e mantiene la sua vitalità solo nei primi minuti in seguito al prelievo. Più ore lo conserviamo e più esso perderà le sue capacità di fecondare un uovo. Il fatto è che non sempre è possibile operare in maniera così lineare, perché se possiamo prelevare dal maschio lo sperma solo poche volte al giorno (di solito una) ma possiamo scegliere noi a che ora, invece per gametizzare la femmina dobbiamo operare entro un certo arco di tempo che in un certo senso è determinato dalla femmina stessa. La femmina infatti potrà essere gametizzata solo entro e non più tardi di 4 ore dopo la deposizione dell’ultimo uovo. Partendo dall’inizio, allora, perdiamo il primo uovo che essa depone, a questo punto entro al massimo le 4 ore bisogna procedere a gametizzare la femmina. Nell’arco di queste sei ore allora bisogna prelevare lo sperma dal maschio. Ma operando così si corrono dei rischi. Molto spesso accade che l’uovo venga deposto durante la notte, e allora, a parte il fatto che spesso ci si accorge solo in mattinata della deposizione avvenuta, comunque se l’uovo viene deposto, poniamo, alle 23:30 noi non possiamo entrare di notte nella voliera del maschio e tentare di prelevare lo sperma. In questo caso bisognerebbe avere sempre pronta nel frigorifero una dose di sperma prelevata nel tardo pomeriggio del giorno prima, da usare in una eventualità del genere. Bisogna, inoltre, alzarsi durante la nottata almeno una volta per controllare l’eventuale deposizione di un nuovo uovo. Si sono spesso avuti dei casi di gametizzazione della femmina anche fino a 12 o più ore dopo la deposizione dell’ultimo uovo, ma con tale procedura si rischia o di rompere l’uovo quasi maturo che si trova sull’ovidutto (che è un problema molto grave perché può portare a peritoniti ed altri danni non da poco) oppure di “saltare” l’uovo per cui il successivo uovo non sarà fecondato e lo sarà invece quello deposto ancora dopo.

Fig.6. Estroflessione volontaria dell’ovidutto di una femmina di Falco pellegrino, al Peregrine Fund

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