La strana storia di Amedeo Arpa

Una passione che dura da quarant’anni, cominciata con un’aquila in cima al monte di San Fermo.

amedeo arpaUno che prepara la strada per quelli a venire, Amedeo Arpa. Come quando arrivò qui a costruire la sua casa, una cupola in cima a una collina, con la gente a chiedersi che cosa ci fosse andato a fare fin lassù. «Poi hanno fabbricato anche più in alto», ironizza. Parallelepipedi in muratura, però, mica un emisfero. Uno che traccia il cammino, e a sé riserva quel tanto di stravaganza che non si osa emulare. Settantatre anni compiuti, oggi la sua scommessa è quella che si porta dietro da una vita: la falconeria, attività per adepti che in Italia prova a farsi largo. «Ci saranno 250 falconieri, iscritti alla federazione intendo – spiega lui, presidente della Federazione italiana falconieri da tanti anni quanti non rammenta più – Va meglio in Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, ma qui è uno sport in ascesa. Anche grazie a me», scherza, dosando compiacimento e modestia. Quarant’anni sono ormai passati. Era il 1968, con sé aveva soltanto un’aquila e della falconeria nemmeno i rudimenti. «La facevo volare da qui», ricorda, sporgendosi dal terrazzo che un tempo si affacciava sul verde dei prati, oggi guarda su aree residenziali e industriali. «Tra noi si era instaurata un’intesa e una fiducia reciproca. Morì fulminata un brutto giorno, posandosi sul traliccio dell’alta tensione. Non potrò dimenticarla mai, come capita con il primo amore». Circolare lo spiazzo da cui il rapace – un esemplare maschio di rara bellezza, lo descrive chi ne fu padrone – spiccava il volo, circolari il perimetro e le finestre della casa, il tavolo al centro del quale, in inverno, si apre il fuoco del camino. Attorno, dipinti e fotografie, libri e riviste, soggetti privilegiati gli animali. Passione che, assieme a pittura e scultura, nel 1970 finì per preferire alla professione di imprenditore edile cominciata con il fratello. Sue statue, in acciaio inox, sono custodite in Danimarca, Belgio, Germania, Iraq, Egitto, Francia, Svizzera, Stati Uniti; altre si ammirano nel giardino di casa, dove pure ospita cani, piccioni, pesci, un pavone. Nelle voliere, quattro falchi d’alto volo, eredità di un amore cresciuto piano. «La passione arriva poco per volta», sfugge ulteriori chiarimenti, a proteggere un’arte accessibile a pochi e incompresa ai più. «È una passione silenziosa e privata – ammette – Richiede intuito e sensibilità». Ventisei gli anni che gli è capitato di veder vivere un falco, 24 i giorni utili ad addestralo alla caccia. Tutte le istruzioni in un trattato di falconeria «secondo soltanto a quello di Federico II», sorride, alludendo al volume da lui compilato nel 1998, 192 pagine di informazioni e idee scritte sette secoli dopo il “De arte venandi cum avibus” del re di Sicilia. Per intuire le sensazioni, però, serve ascoltare la sua voce. «L’alto volo è lirico – si lascia andare – È una passione sconvolgente. Addestrare un falco richiede disponibilità di tempo, pazienza, consapevolezza: si deve conoscere il falco come si conosce un amico, sforzarsi di pensare come lui». Possedere un falco non è un gioco; non significa contemplarlo in una gabbia o godere delle sue performance acrobatiche, mortificandone però l’istinto di predatore. «Il falco deve conservare integro il suo spirito, libero di volare tra le nuvole e scendere a terra con la sua preda». Trecento chilometri orari in picchiata, una «precisione sbalorditiva» nel puntare fagiani, starne, pernici grazie a un occhio che, rapportato a quello umano, ha un diametro di sedici centimetri. «Portare a caccia il falco è un dovere. La caccia è una ricerca, la preda il compenso – spiega Arpa, scansando la repulsione di chi affianca la caccia con il falco a quella con la doppietta – Il falco agisce secondo natura. In questo senso, chiunque è cacciatore quando va alla ricerca di quel che desidera. Alcuni, invece, condannano la caccia con il falco come un retaggio di un periodo buio e violento». Dimenticata con l’avvento della polvere da sparo, la pratica è infatti un ritorno al passato. «Risale al Medioevo. Preti, cardinali, papi andavano a caccia con il falco. È l’unico animale a essere entrato in una chiesa». Oggi i falchi sono impiegati negli aeroporti, nelle discariche, negli allevamenti ittici: per predare gli uccelli che potrebbero creare danni agli aerei infilandosi nelle turbine, per allontanare gabbiani e corvi dai rifiuti o dai pesci. «Ma guai a farli volare per soldi o per soddisfare la curiosità della gente. Un falco non è un hobby esibizionista», mette in guardia Arpa. Precursore anche nell’allevamento e nella riproduzione con metodi naturali – «Nel 1980 venne alla luce in cattività, per la prima volta in Italia, una femmina di falco “biarmicus erlangerii”: il fortunato allevatore ero io» – oggi si limita ai suoi quattro falchi e si occupa delle nuove leve. «Insegno agli allievi – precisa – Per chi vuole imparare, a Milano c’è anche una scuola di falconeria». Dalla Regione Lombardia ha ricevuto il permesso di addestrare i falchi al di fuori della stagione venatoria: li porta a volare a Gironico, applicando a ogni animale, com’è uso, un trasmettitore radio che permetta di localizzarlo nel caso si allontani e perda. Infine ci sono i raduni. «È il momento culminante della vita associativa. Ci si incontra, si scambiano esperienze, il giovane fa domande e spesso trova giuste risposte, sbaglia e viene corretto». Condivisione e confronto, nessuna competizione. «Svilirebbe il senso e il valore di un’arte».

Sara Bracchetti
La Provincia di Como


Postato 2008-01-14, 22:13:26 da admin

Vigile Falconiere (forse) a Padova

Il problema sono i piccioni, e la soluzione i falchi. Questo è un’articolo pubblicato sul quotidiano locale della Provincia di Padova.Leggi tutto..

Padova
NOSTRA REDAZIONE

Il problema c’è. E comincia ad avere dimensioni preoccupanti. Tali da richiedere una soluzione urgente. Il Comune di Padova ha cercato di trovarne una utilizzando un “metodo naturale”, che consenta cioè di ripristinare l’equilibrio ecologico, senza ricorrere a espedienti drastici.

Paolo VenuleoIl problema sono i piccioni, e la soluzione i falchi. Alle richieste pressanti degli ambulanti di Piazza delle Erbe che ogni giorno devono fare i conti con gli escrementi che i volatili depositano in ogni angolo, infatti, gli assessori Ruggero Pieruz (Commercio) e Ivo Rossi (Arredo urbano) hanno risposto con la proposta di chiedere a Paolo Venuleo, vigile urbano, ma anche falconiere, di dare la disponibilità ad allontanare i colombi utilizzando proprio il suo falco, quello che fa volare ogni pomeriggio e che tratta«come un amico», con tanto di “premi fedeltà”, che consistono in ghiotti bocconcini. Anche in altre realtà sono state avviate campagne analoghe per il contenimento dei colombi nelle città, e ciò vale pure per alcuni aeroporti e certe discariche. In questi casi ai falchi non viene insegnato come andare a caccia, bensì come controllare il territorio, in modo da allontanare gli altri volatili poco graditi che, vedendoli, scappano velocissimamente.

È la prima volta, però, che per questa operazione si ricorre a un agente della Polizia municipale: Paolo Venuleo, infatti, oltre a essere apprezzato per la sua attività di vigile (qualche mese fa ha salvato la vita a un bimbo di 4 anni che stava morendo soffocato per le conseguenze di un incidente stradale), ha ottenuto anche il diploma alla Scuola regionale di falconeria di Marostica.

«Certo – ha commentato il falconiere padovano – quello dei piccioni è un problema grosso, ma per risolverlo bisogna fare un progetto articolato, che parta da un censimento dei colombi per capire quanti sono e dove nidificano. A mio avviso, comunque, non si può pensare di eliminarli del tutto, perché come il mare è dei pesci, il cielo appartiene agli uccelli. Indubbiamente se c’è un predatore come il falco, i piccioni stanno alla larga. Ma c’è da dire che il centro della città può essere però pericoloso per il falco stesso che corre dei rischi per la presenza dei cavi elettrici. E poi non sarebbe uno spettacolo ideale magari per i bambini, o per chi sta passeggiando, vedere un uccello predatore volare in picchiata su un colombo e ucciderlo. Il falco può essere una risorsa importante per risolvere il problema, come peraltro avviene negli aeroporti che possono permettersi la presenza dei falconieri, ma non l’unica. L’idea va studiata e provata. Di sicuro con un solo falco non si risolve il problema».

«Non vogliamo avvelenare i colombi – ha aggiunto Pieruz – e neppure sopprimerli. Ci piacerebbe poterli allontanare con questo sistema e quindi nei prossimi giorni contatteremo il nostro vigile falconiere. I problemi non sono solo quelli prospettati dagli ambulanti preoccupati per i troppi escrementi lasciati dai colombi in ogni angolo del mercato, ma anche il fatto che questo guano sta rovinando i monumenti più belli della città».

Giornalista: Nicoletta Cozza

Da parte Mia Complimenti a Paolo Venuleo.

Fox71
Andrea.


Postato 2008-01-28, 21:23:18 da admin

Prete col falco scaccia-piccioni

Sporcano chiese e case, la trovata di don Costantino
di Matteo Del Nobile
Tratto da “Il Centro”

prete_falcoCASTEL FRENTANO. Ibis si libra in volo ed emette il suo verso acuto. Una, due, tre volte. Poi dall’alto di un tetto i suoi occhi scrutano il territorio. All’improvviso ecco nuovamente il verso. Le grandi ali sicure e forti fendono l’aria e il volatile si posa sul braccio del suo falconiere. Così Ibis, un falco di Harris, e don Costantino Parente, parroco del paese, tutti i giorni perlustrano il centro storico.

Il loro obiettivo? Allontanare piccioni e taccole, uccelli simili ai corvi, dai tetti delle chiese e delle abitazioni. In una caccia molto “naturale”. E i primi risultati già sono evidenti. «I piccioni», afferma il parroco, da 30 anni alla guida della comunità di Castel Frentano, «rappresentano uno dei problemi dei centri storici.

L’acidità e la quantità del guano danneggiano gravemente i tetti e le grondaie». La soluzione di utilizzare i rapaci contro i piccioni è già stata adoperata in alcune città d’arte e aeroporti, dove, all’occorrenza, un falconiere libera i falchi nel cielo. «Invece di fare uso d’ultrasuoni o di metodi farmacologici, i falchi rappresentano un deterrente naturale.

I piccioni sentono il verso del rapace, vedono la loro sagoma in volo e questo è sufficiente per allontanarli», sottolinea don Costantino, un prete al passo con i tempi; in paese è conosciuto come il parroco-inventore, perché appassionato di tecnologia. Ibis è nato in cattività, a giugno dello scorso anno, in un allevamento di Reggio Emilia. Ora vive sulla terrazza della casa del parroco, dopo essere stato addestrato.

«E’ regolarmente immatricolato nei registri della Forestale, che vengono a verificare le sue condizioni di salute e d’allevamento», afferma il parroco di Castel Frentano, «il falco deve vivere secondo le regole della falconeria, che prescrivono, oltre a un’alimentazione appropriata, una serie di regole alle quali attenersi. La falconeria non è solo un allevamento ma un’arte, un rapporto tra falco e uomo, codificata da tempo memorabile».

Ibis, il cui nome scientifico è Parabuteo unicinctus, appartiene a una specie che vive nelle zone semi-desertiche dall’estremo sud degli Usa (Texas), fino al Messico, Cile e Venezuela. Sono quei rapaci che spesso si vedono appollaiati sui cactus. Il suo piumaggio è marrone bruciato, ha una lunghezza di 52 centimetri e il suo peso varia da 570 a 1.130 grammi. L’apertura alare raggiunge anche i 130 centimetri.

«E’ intelligente e facile da addestrare», afferma don Costantino, «in libertà, caccia in gruppo, cosa che nessun falco fa mai. E’ inoltre il più ubbidiente e tranquillo falco da pugno che si conosca. Addirittura si fa accarezzare dai bambini». Questa volta a emettere il richiamo, un fischio acuto, è lo stesso falconiere che prende la strada di casa.

Ibis risponde lesto con il suo verso e fendendo l’aria si posa sul suo braccio. Sa che l’aspetta, come ambita gratificazione, un pezzetto di carne, premio per i suoi servigi, patto antichissimo tra falconiere e il suo falco.


Postato 2008-05-01, 20:47:32 da admin