Mongolia, il volo dell’Aquila!

aquile_in_kazDalla notte dei tempi si sa dell’esistenza del mal d’Africa ma pochi
sanno della nostalgia delle steppe mongole. Qual’è quel sentimento sorto
da cosi lontano che vela i nostri sguardi di malinconia alla sua sola
invocazione? Da dove viene? Magari quei cavalieri che devastarono
l’Europa accompagnati dal rumore infernale dei loro zoccoli hanno
lasciato nelle nostre vene i loro geni?

È fisico, è cosi forte questa sensazione risentita dal più profondo del nostro essere davanti all’immensità, davanti a questo mare verde infinito, cosi simile però cosi diverso ad ogni onda che viene morire sulla landa. Qui nessun movimento violento soltanto quando Salik* si diverte a giocare con i fili d’erba, sorgente di vita per i cavalli e i greggi dei nomadi, un lento e grazioso movimento fa ondeggiare quel tappeto verde dove si mischiano le armonie del morin khur, il violino a testa di cavallo del popolo mongolo.

Per la terza volta i nostri passi calpestano quella terra magica… quella steppa che sa così bene vestirci di infinite emozioni.
Una iurta spunta come un fungo in mezzo al nulla. Un’altra, molto lontana, appena visibile. Nessun albero. Ciuffi d’erba grigia, esili, in un paesaggio lunare. Laggiù delle colline color ocra oscillano verso le montagne innevate dell’Altai che svettano sopra tre paesi: Mongolia, Russia e Cina. Siamo all’estremo ovest del territorio di Gengis Khan, nella provincia di Bayan Olgi. Questa mattina, sotto il vento che il sole non riesce a riscaldare, gli uomini lasciano le loro tende rotonde, a cavallo, in moto o a piedi. Avvolti in caldissimi capotti, calzando i loro stivali, portano il tradizionale copri capo kazakh in seta tutto foderato di pelle di volpe.
Hanno appuntamento con le aquile, le loro aquile. Oggi l’onore e il saper fare ancestrale dei loro maestri può, con un colpo d’ala, volar via o ottenere il massimo rispetto dal clan dei falconieri.

Occhi pronti ad affrontare l’arsura del sole e capaci di reperire il minimo movimento nell’immensità, i Khazakh cavalcano da diverse generazioni attraverso la steppa. È nella regione dell’Altai che si può incontrare quelli che hanno saputo meglio custodire l’arte della falconeria. I Kazakh catturano le loro aquile da giovani, un solo esemplare per nido e sempre una femmina. L’aquila rimane con loro circa sette anni prima di ritrovare la libertà per permetterle di riprodursi. Anni durante i quali l’uomo e l’uccello dipendono l’uno dall’altro: l’aquila riceve il cibo dalle mani del Kazakh, in compenso il Kazak recupera le prede dell’aquila, soprattutto volpi e marmotte, dalle quali ottiene la pelliccia che indossa o che vende.

A passo di carica, la propria aquila troneggiante sul braccio, tutti i falconieri gallonati iniziano a girare più volte attorno allo stadio improvvisato in quel remoto angolo della steppa e il ritmo della cavalcata si scatena nel seguire la musica. Il torneo è aperto!

falcacavconaquMalgrado la stanchezza, senza dimenticare di fare scintillare nei raggi del sole i loro finimenti d’argento, i cavalli uno ad uno si avvicinano, sanno molto bene che pure da loro dipenderà la vittoria. Per il concorso gli abiti tradizionali sono di rigore e sull’avambraccio destro del suo padrone l’aquila impassibile si lascia ammirare ansiosa di non fare brutta figura con la giuria, si è cosi tanto allenata per quello. Per lei cosi fiera e reale, durante le prossime quarantotto ore non ci sarà riposo e se vuole risentire l’eco della sua vittoria nella steppa sempre sul chi va là dovrà stare per non mancare l’ora della gloria. La concentrazione è al massimo tra le aquile, dalla collina dalla quale devono lanciarsi aspettano con ansia la chiamata del proprio padrone per aprire le ali ed esibirsi nel volo più rapido ed elegante della loro vita, prima di atterrare sul suo braccio. Alcune però faranno di testa loro andando a vagabondare, con grande disperazione dei loro proprietari, nelle montagne dei dintorni. Tifiamo per il nostro preferito, quello del più giovane falconiere, 12 anni, presente con suo padre che gli ha insegnato tutta l’arte della falconeria, come suo padre a sua volta aveva fatto con lui così tanto tempo fa. Rispondendo istintivamente al suo grido, con un velocissimo e maestoso colpo d’ala, andrà a posarsi sul guantone del suo giovane padrone assicurandogli un eccellente punteggio. Dopo una notte passata a confabulare sulle possibilità di ognuno, le aquile, guardando i vari giochi di abilità equestri kazakh, attendono sull’alto della montagna di poter piombare sulla falsa volpe trascinata dal loro padrone dietro al suo cavallo, per dimostrare così la propria abilità a cacciare delle prede.

Grida rauche e selvagge rimbombano nella steppa infrangendosi sui monti circostanti. I Kazakh incitano le proprie aquile a fare valere le loro capacità. Per gli allievi poco attenti sta scoccando l’ora dell’ultima chance. Taluni chiameranno invano con accenti disperati nella voce i loro uccelli, di altri uccelli maliziosi disdegneranno in un primo momento la finta volpe per poi decidersi a catturarla, ma altri ancora, come il nostro beniamino, saranno più fortunati e le loro aquile gli si poseranno sul braccio, agitando con orgoglio le ali e non dimenticandosi di reclamare con grida acute un po’ di carne di coniglio, della quale sono cosi ghiotte, prima di accettare di abbandonare la loro preda.

 

La distribuzione dei premi si farà in un gioioso disordine, mentre lassù una ritardataria aleggia giocando con le correnti salendo e scendendo in un cielo puro. Prende il suo tempo, allarga le ali. Lo sa che è ammirata e temuta nello stesso tempo, questo decuplica il suo sentimento di fierezza e quando meno ce lo aspettiamo si abbatte rapida come un lampo sulla sua preda alla quale non rimane più già che un solo soffio di vita quando si sente sollevata da terra.

Ma è fuori concorso… perché egli è totalmente libero in quella steppa che anche fa viaggiare le nostre emozioni, vera felicità per i nostri sensi.

*Salik: vento in lingua mongola

Scritto da Graziella : angy8@bluewin.ch Fonte: www.vagabondo.net
Postato 2006-02-05, 21:22:56 da admin

Falconieri patentati

VICENZA – Nascerà virtualmente domani a Marostica, nel vicentino, una nuova figura professionale che, in tempi di crisi occupazionale, non avrà che l’imbarazzo della scelta nello scegliere le «aree di crisi» nelle quali operare. Nel corso di una cerimonia ufficiale, avverrà infatti l’investitura dei primi 23 falconieri diplomati, che hanno partecipato al primo corso europeo di qualificazione professionale. Si tratta di un progetto pilota iniziato alla fine del 2004 da un’idea del direttore del Museo Ornitologico di Marostica, Salvatore Foglio e grazie al sostegno della Regione Veneto. Nel campo della falconeria si tratta del primo esempio in Europa di un diploma riconosciuto dallo Stato, con titolo per l’ammissione ai pubblici concorsi, in grado di rispondere alle continue richieste da parte di enti pubblici e privati di formare una figura professionale che possa intervenire in aree a rischio come aeroporti, discariche, allevamenti intensivi, colture agricole e città d’arte.
Per un anno tutti i fine settimana, per complessive 350 ore di lezione teoriche e pratiche, gli aspiranti maestri falconieri provenienti da Veneto, ma anche da Trentino, Lazio e Calabria, hanno appreso a Marostica i segreti di una professione con radici antichissime che oggi può rivelarsi una scommessa occupazionale per il futuro dai molti appeal: la possibilità di svolgere un’attività in proprio a progetto, uno stipendio più che dignitoso, nessuna ricerca affannosa di un datore di lavoro ma, soprattutto, la certezza di poter lavorare all’aria aperta, spesso in contesti architettonici di grande interesse storico. «La Regione Veneto ha indetto un nuovo concorso per altri 25 posti – racconta Foglio – nell’arco di un mese abbiamo già ricevuto oltre 500 domande da tutta Italia; visto che si tratta della prima iniziativa del genere su scala europea, ci stiamo organizzando per ospitare e formare falconieri di tutto il continente».
A dispetto delle credenze comuni, la falconeria è una professione da sempre votata all’incruenza: se ai tempi delle Crociate era proprio il regalo di un falcone a sancire l’armistizio tra cristiani e saraceni, oggi viene usato, come sottolinea Foglio, «sfruttando l’elemento etologico della psicologia animale: dunque nessuna uccisione di altre specie, perchè basta la sua presenza a far allontanare gli ospiti indesiderati». Dai luoghi comuni va bandita anche l’idea che quello del falconiere sia un mestiere prettamente maschile: «intanto perchè l’uccello utilizzato è la femmina – svela Foglio – che vive per almeno 20 anni ed è grande quasi il doppio del maschio, che viene definito ’terzuolò perchè di un terzo più piccolo». E poi perchè la falconeria, almeno in tempi moderni, parla sempre più al femminile. Dei 23 neo patentati falconieri, sette sono donne. «Non è un lavoro prettamente maschile – chiarisce Foglio – anzi le donne hanno una maggiore predisposizione ad ammansire e quindi a sfruttare le doti dell’animale».
Lo conferma anche una delle sette falconiere, Lisa Causin, 28 anni, di Mira (Venezia), una laurea in scienze forestali e un’occupazione a tempo determinato alla Regione Veneto. «All’inizio del corso – sottolinea – avevo solo voglia di capire e di conoscere questo mondo, poi è subentrata la passione e il sogno di trasformarla in una attività lavorativa». L’idea di Lisa, che da aprile diventerà proprietaria del suo primo animale, è di trovare lavoro nel campo della reintroduzione e recupero dei rapaci. Le richieste di personale qualificato vengono gestite per ora dalla struttura di Marostica che fornisce all’interessato l’elenco dei diplomati falconieri ritenuti idonei a svolgere l’attività richiesta. L’ultilizzo dei rapaci si è dimostrato ad esempio l’unico mezzo efficace per tenere lontani altri uccelli: dai gabbiani nelle discariche ai piccioni nei centri storici, per finire con i volatili che creano negli aeroporti il problema del bird-strik
e, la collisione degli uccelli con i motori degli aerei in fase di decollo e di atterraggio che altri sistemi come gli ultrasuoni non hanno risolto in modo definitivo.
Rosanna Codino

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it

24/2/2006


Postato 2006-02-25, 16:37:05 da admin

L’uomo che sussurra ai falchi per spaventare i piccioni

Enrico Parigi: «Io domatore di rapaci pulisco il cielo di Milano»

enrico_parigi2Ha provato a fare di tutto, il giardiniere, il meccanico, piccoli lavoretti nella moda, sempre con un’unica passione, i rapaci. Un amore nato a 11 anni quando a Pantelleria catturò un gheppio ferito. Non sapeva che quell’uccello avrebbe condizionato tutta la sua vita. Oggi Enrico Parigi, toscano di nascita e milanese di adozione, laureato in scienze naturali, è un falconiere. Di rapaci ne ha più di trenta, che alleva con una dedizione assoluta nelle campagne del Lodigiano, dove si è trasferito un anno e mezzo fa per farli volare in libertà — «perché un falco non si tiene su un trespolo come un pappagallo» — lasciandosi alle spalle, senza rimpianti, 35 anni di vita metropolitana. E loro lo ricambiano con la stessa lealtà, permettendogli di trasformare la sua passione in una professione. Parigi con i suoi falchi viene chiamato sempre più spesso a «ripulire» le piste degli aeroporti e alcune zone della città infestate da piccioni e gabbiani, come i magazzini dell’Amsa e la Fiera, che gli ha fatto un contratto annuale. E il Comune considera il falconiere con la faccia da bambino come un possibile alleato per risolvere il problema dell’aumento indiscriminato dei piccioni attraverso il ripristino dei naturali predatori, falchi e allocchi, oggi quasi spariti dalle città. Una soluzione fra l’altro caldeggiata dall’etologo Danilo Mainardi. Parigi ha le idee chiare al proposito. «Si tratta dell’hacking, pratica sperimentata in America: si fanno nascere i falchi in cattività e si portano in cima a una torre o a un campanile, creandogli un nido artificiale dal quale inizieranno le loro esplorazioni per trasformarsi, nel giro di tre anni, in efficienti cacciatori e rapaci selvatici». A patto che siano rimasti incappucciati, per evitare l’imprinting. «I miei falchi invece mi vedono come uno di loro, mi seguono come le oche di Lorenz ne L’anello di Re Salomone. Qualche volta me li ritrovo in auto» dice indicando le quattro sagome ritte su un posatoio. Sembrano innocui, ma basta fissare l’occhio altero per capire che si è sotto l’osservazione di uno dei più temuti predatori del regno animale. Una piccola macchina da guerra capace però di strane effusioni con l’umano che lo prende in cura. Allarga le ali Sacco, grande più o meno come un polletto, 750 grammi circa, nato in Inghilterra da un incrocio tra un falco pellegrino e un falco sacro. Lì di fronte, il falco Vanzetti piega la testa. Parigi lo accarezza. «Domani, andiamo in città a lavorare», gli sussurra. Intanto si va a volare. Il rapace si gira per farsi attaccare i «geti» in cuoio con il microtrasmettitore che serve non a richiamarlo (basta un fischio) ma a localizzarlo nel caso decidesse di inseguire qualche anatra. «L’altra settimana è partito e si è fatto ritrovare la mattina dopo sul trespolo con l’aria mesta». Il guantone è indispensabile per non farsi martoriare il braccio sinistro quando il rapace vi si appollaia. Parigi lo solleva e parte il volo: la salita a razzo poi la planata, senza un colpo d’ala, in cerca di riposo prima della picchiata a 300 all’ora a stoccare la preda. In questo caso si tratta del «logoro», cioè il premio in carne che l’addestratore gli concede sempre dopo un esercizio ben eseguito. «Il falco può tirar giù un gabbiamo con un solo tocco di sterno, ma non è la caccia a interessarmi», dice riferendosi alla rinascita dell’antica arte venatoria amata da Federico II. I miei falchi sono addestrati per spaventare, non per uccidere. Cerco però di vivere secondo i dettami del re: “ogni giornata senza falconeria è giornata persa”. Il mio sogno? Far conoscere a tutti la meraviglia di questo artista aereo, continuando a coltivare l’impegno ecologico, legato alla cura e alla riproduzione dei rapaci che rischiano l’estinzione, un lavoro che ho già iniziato con il Wwf di Vanzago». Maria Teresa Veneziani

www.corriere.it


Postato 2006-04-30, 16:22:42 da admin