Archeologi come i falchi

falchi archeologiNegli scavi di Ercolano, per allontanare piccioni e colombi, poco rispettosi di ville e affreschi antichi, si è ricorsi a questi rapaci. Addestrati a spaventare gli altri volatili senza far loro del male

Si chiamano Airon, Gari e Miura, i tre rapaci “assunti” da qualche settimana dalla Soprintendenza Archeologica di Pompei per tutelare l’antica Herculanum dall’attacco di colombi e piccioni. Gli apparentemente innocui volatili sono, infatti, una delle principali cause di deperimento del sito archeologico più piccolo della visitatissima Pompei ma, per certi versi il più prezioso e fragile.

Qui le colate piroclastiche del 79 d.C. hanno letteralmente imbalsamato la cittadina in un blocco tufaceo che per secoli ha preservato dalla decomposizione legni, stoffe, papiri ed altri materiali. Ma ora queste delicate testimonianze correvano il rischio di essere distrutte dalle numerose colonie di colombi e piccioni che hanno deciso di impiantarsi nell’area, ricca di possibili rifugi e di cibo causa la vicinanza della Ercolano moderna.

Il guano di questi volatili è particolarmente acido e, oltre a sporcare le mura e gli affreschi delle ville romane, li corrode irreparabilmente. Ancora più devastante è l’impatto delle deiezioni su reperti quali travi e strutture lignee, che abbondano nel sito. Per giunta, l’abitudine di colombi e piccioni di beccare alla ricerca di insetti e minerali e per curarsi il becco ha ancora più aggravato il loro impatto sui preziosissimi scavi. Aggiungendo poi la loro cattiva fama di veicoli di infezioni e parassiti potenzialmente pericolosi per l’uomo si capisce perché questa era considerata una vera e propria emergenza dalla direttrice degli scavi Maria Paola Guidobaldi.

La risposta però è stata semplice ed ecologica. I falconidi sono i nemici naturali di questi uccelli, e il ricorso all’antica arte della falconeria è stata la soluzione più praticabile ed efficace. Ogni mattina, insieme ai visitatori, due falconieri entrano negli scavi armati di guanto, cappucci e tre rapaci, pronti ad una serie di voli tra le antiche vestigia. «Il nostro compito», spiega Gianclaudio Amalfitano, mentre con Gari si appresta ad operare, «è spaventare gli ospiti indesiderati, sfruttando il loro istinto di fuga alla vista dei falchi e l’altrettanto istintiva spinta dei falchi ad inseguirli. I rapaci sono addestrati per non uccidere le potenziali prede, anche perché l’alta probabilità d’incappare in un esemplare ammalato potrebbe comportare rischi per la salute dei falchi stessi».

Il falconiere estende il braccio e il falco lascia la presa dal suo polso e si staglia nell’aria, per poi posarsi su una colonna di un antico peristilio. Un verso di richiamo e l’uccello riprende il volo, compie un paio di volute nel cielo e si riposa sul guanto del suo conduttore. Turisti e scolaresche che assistono a scene come questa sembrano interessarsi con curiosità all’insolita visione e, grazie ad un tabellone esplicativo posto all’ingresso, la visita agli scavi si arricchisce di un supplemento di informazioni sull’impiego dei falchi nella “lotta ai piccioni”.

«Una lotta lunga e difficile», spiega il falconiere. «Per cinque giorni alla settimana veniamo nell’area archeologica e facciamo volare i rapaci in luoghi e orari sempre diversi. Altrimenti i colombi si accorgerebbero del trucco: sono molto intelligenti, e capaci di adattarsi al pericolo. L’intervento è programmato per un anno. Poi torneremo di tanto in tanto, per voli “di mantenimento” e per impedire che altre colonie si sistemino nei paraggi».

I falconidi si dividono in due tipologie: rapaci a volo alto, come il falco pellegrino, il girifalco, il lanario e il falco sacro, e a volo basso, come l’astore e lo sparviero. I primi attaccano la preda in volo, i secondi colpiscono al suolo. «Li impieghiamo entrambi», spiega Amalfitano. «Se impiegassimo solo falchi a volo alto, i piccioni si metterebbero a razzolare al suolo, certi che essi non si lancerebbero mai in picchiata per colpirli. Se impiegassimo solo quelli a volo basso, i piccioni continuerebbero imperterriti a svolazzare in zona. Inoltre, con i rapaci a volo basso, più portati ad inseguire le prede tra gli ostacoli, possiamo stanare i piccioni che nidificano e si nascondono tra i ruderi».

I guasti arrecati dai colombi al patrimonio di Ercolano sono in alcuni punti assai evidenti. Magnifiche pareti affrescate di rosso pompeiano e mura con la struttura caratteristica dei vari tipi di opus romano appaiono striate del guano degli uccelli. Ercolano, a differenza di Pompei, ha conservato molti dei piani superiori dei fabbricati, e le travi lignee in vari punti sono state attaccate dal becco dei volatili.

Una volta scacciati gli ospiti indesiderati, la pulizia e la recinzione delle aree bonificate garantiranno migliore fruibilità e protezione al sito archeologico, tra le maggiori attrazioni turistiche della Campania e dell’intero Paese. L’impiego dei falchi fa parte di un progetto più ampio di tutela di Ercolano, sponsorizzato dalla Soprintendenza Archeologica di Pompei, unitamente a The Packard Humanities Institute e alla British School in Rome.

I primi ad impiegare i rapaci per bonificare un’area dai volatili sono stati gli aeroporti con il problema del bird strike, ossia della numerosa presenza di uccelli che rischiano di venire ingeriti dalle turbine degli aerei con conseguenze a volte catastrofiche. Ma ora anche gli amministratori delle città in cui i volatili minacciano il patrimonio artistico stanno cominciando ad adottare lo stesso metodo (vedi anche lo scorso numero de Il Carabiniere, pag. 124).

Tra l’altro, l’uso dei rapaci per scacciare gli sgraditi volatili sembra avere minori controindicazioni e costi dell’uso di veleni o di impianti ad ultrasuoni. «Ai piccioni», aggiunge il falconiere, «si sta affiancando il problema dei gabbiani. Molte colonie ormai non si nutrono più di pesca, ma preferiscono il facile saccheggio delle discariche, con serie conseguenze sulla salute. I falchi possono essere una soluzione, ma, a differenza dei piccioni, i gabbiani sono portati ad organizzarsi in branco e ad attaccare. Bisogna perciò adottare falconidi femmina, più grandi dei maschi e capaci di intimorirli».

Nelle pause tra i voli, i falconieri sono spesso avvicinati dai visitatori, che approfittano dell’occasione per saperne di più sull’addestramento e la vita dei falchi. «La falconeria», spiega Gianclaudio Amalfitano, «è un’arte antichissima, ed ancora oggi il testo base è il De arte venandi di Federico II di Svevia, appassionato falconiere. Questo tipo di caccia è andata scomparendo, ma in piccoli circoli è rimasta come attività sportiva, ed oggi la necessità di trovare una soluzione ecologica al problema dell’infestazione da uccelli l’ha riportata in auge. Addestrare un falco significa innanzitutto guadagnarne la fiducia: i rapaci sono animali fieri, che non si sottomettono all’uomo come gli animali domestici. Ed è un lavoro di pazienza, che inizia col volatile giovane e non finisce mai».

Nel corso delle spiegazioni, il falco si aggrappa al pugno del suo conduttore e ruota la testa di 360 gradi. Ogni tanto accenna un battito d’ali e, guardando bene intorno, si scopre che è stato attratto da qualche piccione svolazzante. «Il suo istinto», commenta il falconiere, «è meglio di un radar. L’importante è portarlo al lavoro non tanto sazio da non avere stimolo a cacciare, ma neanche così affamato da spingerlo a mangiare la preda». Il conduttore alza di nuovo il braccio al cielo e l’uccello, un’arma perfetta per la caccia selezionata dalla natura, si leva in volo. Il suo piumaggio bruno si confonde con le mura dell’antica Herculanum e si vedono i piccioni fuggire lontano.

Maurizio Landi

tratto da www.carabinieri.it


Postato 2005-06-16, 18:41:24 da admin

A Roma sono tornati i pellegrini

falco pellegrinoA Roma i pellegrini sono di casa. Anche i falchi pellegrini, uccelli divenuti rari nel dopoguerra e la cui popolazione italiana era in passato assai rarefatta ma che riappaiono grazie a regole europee sempre più stringenti, per esempio nella vendita di antiparassitari e pesticidi. A Roma già lo scorso anno da ornitologi non professionisti avevano segnalato un nido «spontaneo» di pellegrini (in una cassetta abbandonata dell’Enel sul Policlinico Umberto Primo). Dopo decenni, rimpiazzano (finalmente!) la classica coppia che nidificava sul «Palazzaccio» di Piazza Cavour, e che l’ecologista Fulco Pratesi aveva allora visto scacciare da una coppia di rissose taccole. In questo weekend sono schiuse ben due uova dal secondo nido di pellegrini romani. Alcuni appassionati ornitologi (Umberto Agrimi, veterinario dell’Istituto Superiore di Sanità e l’ornitologo Giacomo Dell’Omo), grazie a una sponsorizzazione di Terna/Enel, hanno posato una cassetta nido sulla facciata della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università, che affaccia sul cimitero Verano. I pellegrini urbani si nutrono di piccoli mammiferi, rettili, e uccelli, soprattutto storni: quando questi migrano verso nord si accaniscono sui rondoni, arrivati verso Pasquetta. Il caso curioso vuole che la coppia neofita di pellegrini romani abbia nidificato proprio sopra le finestre della Presidenza della facoltà. Gli ornitologi romani sperano che il preside Attilio Celant si senta custode privilegiato di tale felice casualità, e promuova una cultura di rispetto e di ammirazione per il lieto evento.

Perché mai gridare di giubilo per il ritorno dei pellegrini? Innanzitutto perché rappresentano una popolazione sentinella di qualità urbana: se riappaiono specie eco-tossicologicamente delicate come i rapaci (al vertice della catena trofica e dunque bioaccumulatori di tossici ambientali) significa che l’ecosistema è in ripresa: in termini di biodiversità (aumento delle specie animali) e di purificazione da agenti chimici man-made che li avevano precedentemente inquinati. Il meccanismo che aveva fatto scomparire i falchi pellegrini da tanti ecosistemi europei era duplice, e dovuto all’accumulo di pesticidi ingeriti da insetti, a loro volta cibo di piccoli uccelli che costituivano la base della dieta dei rapaci, che perciò accumulavano agenti tossici in questa maligna catena. Tali tossici abbassavano la fertilità dei rapaci, e selettivamente interferivano con il delicato processo di formazione del guscio delle uova nelle femmine. Uova dal guscio troppo sottile significavano molto frequenti rotture nel periodo della cova e dunque hanno sterminato progressivamente questi alati conviventi delle nostre campagne e città. La ricomparsa di falchi e nibbi, di gufi, allocchi e civette certifica del recupero ambientale meglio di tante analisi fisico-chimiche sulle acque, le aree e i suoli.

La novità di quest’anno è che tutti possiamo osservare, grazie a webcam posizionate nel nido, la vita quotidiana di genitori e figli pellegrini romani (basta cliccare su http://www.enelbirdcam.com/). Anche la Polizia municipale a Bologna ha messo due webcam in un nido urbano bolognese (http://www.provincia.bologna.it/polizia/webcam/). Spiamoli dal nostro pc, senza disturbarli.

Oltre a belle immagini in rete, i siti contengono un album delle fotografie della vita nei nidi, informazioni di base su questa specie e soprattutto un calendario interattivo, frequentato da ornitologi professionisti e amatoriali. Il maschio al momento è impegnato nella faticosa opera di reperire il cibo per la femmina e per i pulcini ricoperti di lanugine biancastra: la madre spezzetta il cibo e nutre le loro tenere bocche di rapaci affamati.
Veltroni e Cofferati veglino attenti su questi loro concittadini rapaci, importanti regolatori della fauna urbana; simbolici araldi di una natura che torna vittoriosa in quelle città dove gli amministratori sanno governare l’ecologia.

Enrico Alleva, Daniela Santucci
Fonte: www.ilmanifesto.it
21.04.05

 


Postato 2006-01-18, 17:18:26 da admin

Sempre più webcam nei nidi, così il falco finisce nella rete

La tecnologia internet al servizio di studiosi e appassionati di ornitologia
Da Bologna a San Francisco tutti a spiare la vita del falco pellegrino

ROMA – C’è un nuovo reality show che sta andando fortissimo, ma non va in onda su nessuna tv. Lo potete vedere solo su internet. Protagonista è un uccello, il falco pellegrino, che decine di webcam sparse per il mondo spiano continuamente nell’intimità famigliare del suo nido.

Una volta i grandi documentaristi scientifici per rubare agli animali selvatici qualche attimo della loro vita quotidiana erano costretti a rimanere immobili per ore e ore, mimetizzati in curiosi travestimenti per non dare nell’occhio. Ora la tecnologia ha reso tutto più semplice, regalando a studiosi e appassionati la possibilità di osservare la natura comodamente da casa, 24 ore su 24.

La svolta è venuta con lo sviluppo delle webcam, sempre più piccole e affidabili, e la diffusione dei collegamenti internet a banda larga che permettono di ottenere una qualità dignitosa delle immagini anche sui computer domestici. Così questi piccoli occhi elettronici vengono sempre più usati, soprattutto dagli amanti dell’ornitologia, per sbirciare la vita quotidiana di uccelli difficilmente osservabili altrimenti.

Permettendo inoltre ai semplici appassionati di scambiarsi di ruolo con etologi e naturalisti professionisti. Molte webcam puntate su nidi e tane nascono infatti per iniziativa di associazioni o fondazioni, ma vengono utilizzate dai ricercatori per arricchire le loro osservazioni sulle abitudini e i comportamenti degli animali.

L’animale di gran lunga più spiato è il falco pellegrino, anche per la propensione di questo predatore a non disdegnare la città come habitat per il suo nido. In Italia le webcam che lo controllano giorno e notte sono almeno due. Una è piazzata a Roma sul tetto della facoltà di economia e commercio della Sapienza, mentre l’altra tiene d’occhio una coppia che ha scelto di stabilirsi in una delle torri del distretto fieristico di Bologna.

La webcam della capitale fa parte tra l’altro di un progetto più ampio di monitoraggio degli uccelli attraverso la rete. A sistemare la piccola telecamera in cima all’università è stata infatti l’Enel che deciso di ampliare il suo programma a favore dei volatili aggiungendo alcune webcam all’interno delle cassette fatte costruire alcuni anni fa in cima ai tralicci dell’alta tensione della provincia di Roma.

Rendere possibile ai tanti appassionati di ornitologia l’osservazione da vicino dei predatori è diventata infatti una forma di promozione che anche altre aziende hanno scelto di percorrere. Negli Stati Uniti sia il gigante delle pellicole Kodak sia l’azienda Pacific Gas & Electric hanno sistemato una webcam all’interno dei nidi costruiti sui loro tetti dal falco pellegrino. Un’investimento di pochi spiccioli che ha garantito un grande ritorno: l’iniziativa dell’azienda elettrica di San Francisco ha ottenuto infatti un tale successo da costringere i responsabili del programma a potenziare il server.
www.repubblica.it


Postato 2006-02-05, 19:38:33 da admin