Coccidiosi nei Rapaci

La Coccidiosi
Di:
Dott. Antonio Di Somma e  Dott. Maddalena Garlinzoni

La coccidiosi e’ una malattia parassitaria conosciuta dai falconieri sin dall’antichita’ ed e’ probabilmente la piu’ conosciuta e nominata fra tutte le malattie dei falchi. Forse e’ anche sovradiagnosticata poiche’ molti soggetti vengono considerati infetti dai loro trainers solo dal sintomo classico della diarrea o addirittura solamente in caso di scarse performances agonistiche .

I coccidi sono un gruppo di parassiti largamente diffusi in tutto il mondo animale e sono numerose le specie di coccidi che parassitano gli uccelli. Il ciclo del parassita e’ abbastanza dibattuto in campo specialistico internazionale, non esistendo uniformita’ di vedute . La maggior parte degli  autori considerano il parassita a ciclo diretto, cioe’ il rapace contrae la malattia dal contatto diretto con le feci di un altro animale contenenti le occisti del parassita. Secondo altri studiosi, invece, e’ possibile anche il ciclo indiretto tramite un ospite intermedio che il rapace ingerisce dal terreno (ciclo identico a quello  del Serratospiculum seurati). Le specie di coccidi piu spesso implicate sono del genere Caryospora (neofalconis e megafalconis) ma sono ritenuti patogeni anche i generi Eimeria, Isospora e Frankelia. Nell’ambito degli uccelli rapaci i falconidi sono particolarmente sensibili alla coccidiosi e l’infestazione e’ favorita dalla scarsa igiene delle falconiere e dalla partecipazione dei falchi a battute di caccia e a raduni ( in cui non e’ possibile la perfetta igiene dei blocchi dalle deiezioni dei rapaci.). Sono numerose le specie di coccidi riconosciute patogene per i rapaci. Questi parassiti sono in grado di resistere nell’ambiente esterno per mesi sotto forma di oocisti (forma di resistenza del parassita), queste vengono inattivate dall’esposizione alla luce solare diretta mentre sopravvivono perfettamente in ambienti caldo umidi e al riparo dalla luce. L’ottima resistenza delle oocisti nell’ambiente esterno rende difficilissima l’eradicazione della malattia dagli allevamenti e da tutti gli ambienti ad alta concentrazione di animali. Le oocisti sono diffuse nell’ambiente tramite le feci dell’ospite e, per rendersi conto del grado di contaminazione ambientale raggiungibile, basti pensare che si possono trovare fino a 500.000 oocisti per grammo di feci. L’animale assume le oocisti tramite cibo e acqua contaminati dalle feci e il parassita si localizza nel piccolo intestino. Gli uccelli giovani, i soggetti stressati o comunque defedati per qualsiasi motivo sono piu’ suscettibili a risentire della presenza del parassita mentre gli animali sani e ben curati ,di solito, sviluppano una parziale immunita’. Logicamente gli animali in addestramento nelle fasi iniziali (e quelli comunque sottopeso) risentono maggiormente degli effetti della coccidiosi.

I segni clinici sono caratterizzati dalla perdita di consistenza delle feci, queste diventano diarroiche e assumono un colore marrone rossastro. Nei casi piu’ gravi le feci sono francamente emorragiche, con parti di mucosa intestinale e presenza di cibo indigerito. Gli animali possono essere letargici, depressi, con scarso appetito e perdere peso. Il piumaggio arruffato e il vomito sono anche indicatori della malattia, cosi’ come la scarsa voglia di volare e la perdita di aggressivita’. L’anoressia e la disidratazione, a cui l’animale va incontro, possono portare a morte in pochi giorni i soggetti piu’ gravemente colpiti, soprattutto i giovani di eta’ dalle 4 alle 24 settimane). Forbes ha compiuto uno studio su smerigli morti improvvisamente in allevamento dimostrando la pericolosita’ della malattia anche in uccelli non stressati. Nella pratica quotidiana, comunque, il ritrovamento delle oocisti nelle feci non e’ sufficiente per la dignosi clinica di malattia, tanto e’ vero che molti falchi con grandi performances vengono ritrovati positivi ad esami di controllo. Il ritrovamento delle oocisti avviene abbastanza facilmente con un esame delle feci istantaneo o per flottazione. Il numero di oocisti ritrovato per campo microscopico da’ una prima idea dell’importanza della patologia. La terapia si basa su farmaci provenienti dalla clinica dei polli o dei colombi: sulfamidici, amprolium, clazuril, toltrazuril. La terapia di clazuril da effettuare una sola volta sembrava il toccasana ma si e’ rilevata di scarsa efficacia. Noi effettuiamo terapia con toltrazuril per 2 giorni consecutivi accompagnata da grandi raccomandazioni di cambiare la sabbia, disinfestare la falconiera, trattare tutti gli animali conviventi e diminuire la promiscuita’. Di solito le raccomandazioni si fermano alle buone intenzioni. I controlli periodici sono indispensabili, specialmente pensando che un animale poco parassitato potrebbe non avere sintomi clinici ma sicuramente mostrare minore efficienza atletica.

La profilassi ambientale e’ indubbiamente il miglior modo per tenere sotto controllo la coccidiosi. Le feci degli animali non devono entrare in contatto con acqua e cibo e il falco non dovrebbe mangiare a terra, ma piuttosto su una apposita piattaforma pulita. Anche l’abitudine di far mangiare l’animale sul pugno con guanto di cuoio e’ sicuramente deleteria, ma riteniamo davvero poco difficilmente eradicabile dalle nostre abitudini. Cominciamo, quindi, a lavare bene i guanti di cuoio o ad usare gli arabi “mangalah” lavabili in lavatrice periodicamente. Il blocco o la pertica, la vasca dell’acqua e la piattaforma devono essere puliti giornalmente, cosi’ come e’ necessario un frequente ricambio della lettiera.

Discusso ,invece, e’ l’argomento del medicinale dato sistematicamente a periodi fissi come mezzo di prevenzione, noi sinceramente siamo contrari preferendo il contatto diretto con l’animale e il racconto del falconiere per le sue prestazioni agonistiche.

In conclusione raccomandiamo grandi e costanti misure igieniche e controlli periodici veterinari per evitare ai nostri falchi crampi addominali e a noi falconieri terribili psicogeni mal di pancia da scarse prestazioni dei nostri beneamati.

Dott. Antonio Di Somma, DVM, Direttore Dubai Falcon Hospital dfh@emirates.net.ae

Maddalena Garlinzoni, DVM, mgarlinzoni@katamail.com

Aspergillosi nei Rapaci

Aspergillosi
Di:
Dott. Antonio Di Somma e  Dott. Maddalena Garlinzoni

aspergillosiL’Aspergillosi e’una malattia conosciuta e temuta dai falconieri gia dai tempi di Federico II, il quale la citava nel famoso trattato ”De arte venandi cum avibus”. In effetti la malattia mieteva vittime specialmente fra i preziosissimi girfalchi bianchi che arrivavano decimati dalle spedizioni di cattura in Groenlandia. I falchi  che sopravvivevano (indeboliti dalla malattia) venivano chiamati i ”falchi con il respiro corto”. In effetti l’Aspergillosi e’stata diffusamente studiata in seguito e si e’ rivelata “malattia oppurtinistica” perche’il fungo che la provoca prospera in determinate condizioni predisponenti al suo sviluppo. L’Aspergillosi viene definita una malattia infettiva ma non contagiosa da un soggetto a un altro.

L’Aspergillosi e’una delle patologie respiratorie piu’frequenti negli uccelli tenuti in cattivita’e nei rapaci acquista particolare pericolosita’sia riguardo alla mortalita’che ai problemi di scarsa performance di volo nei soggetti che sopravvivono. La malattia e’ causata dall’inalazione delle spore prodotte da alcuni miceti, in particolar modo da Aspergillus fumigatus, tristemente famoso anche in medicina umana. Le spore sono un po’ovunque nell’ambiente vegetale e, una volta inalate, possono colpire diversi tratti dell’apparato respiratorio (polmoni, sacchi aerei, siringe). Nel punto di colonizzazione si possono vedere con l’esame endoscopico piccole bianche fioccose colonie che producono aerosacculite e malessere generale per rilascio di tossine. La malattia non e’ trasmissibile da soggetto a soggetto, il suo insorgere e’ legato allo stato immunitario e alla recettivita’ dell’animale alla malattia stessa. L’aquila reale, lo smeriglio, i girfalchi e in generale tutti gli uccelli originari dei paesi piu’ freddi (tipica la malattia nei pinguini) si sono dimostrati particolarmente sensibili alla malattia un volta trasferiti in climi piu’ umidi e temperati. L’insorgere e l’evoluzione dell’Aspergillosi sono fortemente legati allo stato immunitario dell’animale,  per cui sono predisponenti tutte le cause di immunodepressione, tra cui: stress di qualsiasi natura (lunghi viaggi, cambio della temperatura ambientale, stress psicologici), prolungate terapie antibiotiche, terapie cortisoniche. Sono molto importanti anche le condizioni ambientali in cui vive l’animale: scarsa ventilazione, illuminazione insufficiente, materiale vegetale in decomposizione e scarsa igiene della falconiera, sono tutti fattori che concorrono all’insorgere e alla gravita’della malattia.

L’Aspergillosi puo’ presentarsi, per sintesi, in due forme: acuta e cronica. La forma acuta, meno frequente, insorge nei giovani soggetti oppure in uccelli adulti immunodepressi o che hanno inalato grandi quantita’ di spore provenienti  da ambiente fortemente contaminato. I soggetti colpiti da Aspergillosi acuta possono andare incontro a morte in pochi giorni con una sintomatologia varia e non sempre riconoscibile, provocata specialmente dalle tossine del micete. La forma cronica si puo’ avere in tutti i rapaci: nella fase precoce di questa, i sintomi non sono riferibili all’apparato respiratorio ma l’animale presenta segni di generico malessere: calo delle prestazioni atletiche, diminuito appetito, cambiamento della voce, perdita di peso. La diagnosi di sospetto si basa  sui segni clinici unitamente al risultato degli esami ematologici che mostrano in genere leucocitosi e neutrofilia. E’ comunque fondamentale effettuare l’esame radiologico e specialmente endoscopico dei sacchi aerei e anche della trachea che, unitamente all’isolamento del micete, danno la diagnosi di certezza. La prognosi dipende dalla gravita’ dei sintomi e dall’appartenza dell’animale a una categoria a rischio. Di solito, se diagnosticata al suo insorgere, un mese di terapia puo’salvare la vita dell’animale e il suo futuro di buon volatore. Se la malattia e’diagnosticata con sintomi gravi gia’in atto si puo’cercare solo di salvare l’animale con terapie prolungate e controlli incessanti in seguito. La malattia infatti non da’stato di immunita’nei soggetti guariti i quali sono invece piu’ propensi di altri alle ricadute.

Prognosi da riservata a infausta nei casi in cui vi sono segni clinici gravi: importante difficolta’ respiratoria (dispnea), notevole perdita di peso, vomito, anoressia, segni di insufficienza renale in genere (feci verdi pastello).

In alcuni soggetti si ha la formazione di un unico granuloma che occlude le vie aeree, sopratutto a livello della siringe, se la massa e’rimovibile chirurgicamente e non c’e’ ulteriore coinvolgimento dell’apparato respiratorio la prognosi e buona. La terapia e’ farmacologica oltre che chirurgica. Moltissimi farmaci sono citati in letteratura: amphotericina B in vena, itraconazolo, ketoconazolo e fluconazolo per via orale; enilconazolo, amphotericina B e clotrimazolo per inalazione.Tutti i medicinali provengono dalla medicina umana ed alcuni di loro sono molto meglio sopportati dai pappagalli che dai nostri rapaci. Comunque quasi tutti vanno somministrati per il periodo di un mese in via continuativa, prima di sospendere la terapia e’ necessario sottoporre il soggetto ad un nuovo esame endoscopico. Superfluo sottolineare l’importanza del controllo veterinario in corso di terapia cosi’ prolungate. Esistono altre molecole utilizzabili nella terapia dell’aspergillosi, ma si sono dimostrate meno efficaci o addirittura tossiche. Nei casi in cui si rende necessario ricorrere alla terapia chirurgica e’ sempre necessario associare anche la terapia farmacologica.

Per quanto riguarda la profilassi dell’aspergillosi e’  bene operare un trattamento preventivo per i soggetti  a rischio in determinati momenti predisponenti della loro vita. E’ quindi buona norma sottoporre le specie piu’ sensibili e gli animali sotto stress a un controllo del veterinario che decidera’ se iniziare un ciclo di itraconazolo, farmaco che a giuste dosi  e’ ben tollerato per un periodo di due settimane. Infine un avvertimento: portare il falco dal veterinario specialista ai primi sintomi di malessere, meglio una visita inutile che una terapia iniziata in ritardo o quando e’ ormai addirittura troppo tardi. In Italia l’interessamento dei veterinari per la medicina aviare e’ in continuo crescendo per cui il corretto trattamento e, specialmente, la qualita’ della vita del nostro amatissimo rapace dipende in principal modo dalla sensibilita’ del suo falconiere e dall’identificazione della unita’ sanitaria specialistica. Siamo sicuri che le associazioni dei falconieri, numerose e sempre disponibili, saranno di grandissimo aiuto e supporto logistico. Noi in particolare saremo lieti di rispondere a eventuali quesiti e dubbi.

Antonio Di Somma DVM Direttore Dubai Falcon Hospital  dfh@emirates.net.ae

Maddalena Garlinzoni DVM mgarlinzoni@katamail.com

Bunblefoot nei rapaci

bumblefoot

Da centinaia di anni questa patologia è conosciuta dai falconieri di tutto il mondo e rappresenta uno dei principali problemi dei rapaci, soprattutto falconidi ma non solo, tenuti in cattività ed allevati sia per la riproduzione che per la caccia. In letteratura se ne trova traccia sin dal testo sacro della falconeria scritto da Federico II, il “ De Arte Venandi Cum Avibus”. Bumblefoot o pododermatite è un termine generale per ogni condizione infiammatoria o degenerativa del piede degli uccelli e può andare da un modico arrossamento dei cuscinetti accompagnato da edema ad ascessualizzazione profonda e cronica accompagnata da modificazioni ossee (osteomielite).

Le considerazioni da fare per la prevenzione del bumblefoot sono:

  • Appropriate dimensioni, forma e tipo delle pertiche

  • Materiali adeguati per la costruzione delle voliere e dei loro posatoi e prevenzione dei danni traumatici al piede

  • Nutrizione adeguata sia per tipo che per quantità

  • Pulizia delle gabbie, attrezzature e posatoi

CLASSIFICAZIONE E CAUSE DEL BUMBLEFOOT

Innanzitutto bisogna ben tenere presente che l’evoluzione della malattia dipende strettamente dalla causa che l’ha determinata e dalla specie considerata.

Spesso le lesioni da bumblefoot di grado da I a III, non sono ancora considerate come gravi lesioni del piede dai falconieri, per cui è raro osservarle in un rapace alla visita clinica. Vengono quindi spesso osservate lesioni gravi, di grado IV o V quando per il recupero dell’animale sarà necessario non solo la terapia medica ma anche quella chirurgica.  Le lesioni infatti possono procedere molto velocemente se non trattate adeguatamente in tempo. Ovviamente le prognosi sono tanto più favorevoli quanto prima viene intrapreso il trattamento delle lesioni.

Solitamente le lesioni da Bumblefoot da grado I a III sono determinate da una non corretta gestione degli animali, quindi pertiche inadatte, sovrappeso e materiale di costruzione delle voliere potenzialmente pericoloso ( legature della rete che possono ferire il piede) e spesso ( ma non sempre) con un miglioramento delle condizioni di allevamento e alcune terapie mediche regrediscono più o meno velocemente.

Grado I

Desquamazione di piccole aree della superficie plantare del piede clinicamente evidenti per la presenza di aree piccole aree rosee con desquamazione della pelle del piede o della zampa

Grado II

Aree circoscritte, sottili e lisce sulla superficie plantare del cuscinetto metatarsale di uno o entrambi i piedi con io tessuto sottocutaneo evidente al di sotto della pelle che diventa translucente. Non è evidenziabile distintamente la presenza di ulcere.

Grado III

Ulcerazione del cuscinetto plantare metatarsale. In alcuni uccelli si può evidenziare la formazione di un callo.

Grado IV

Nelle ulcere è presente del materiale necrotico. Molte specie con la presenza di ulcere e materiale necrotico mostrano segni evidenti di dolore e disagio

Grado V

Gonfiore ed edema (cellulite) del tessuto che circonda la necrosi. Le dita o anche la zampa possono essere edematose. I detriti necrotici si accumulano nell’area metatarsale con conseguente infezione dei tendini. E’ comune estremo dolore. Può essere interessato l’intero cuscinetto metatarsale. Questa è generalmente una lesione cronica.

Grado VI

Clinicamente sono evidenti i tendini necrotici, come rigonfiamenti a livello delle dita e rottura dei tendini flessori. Solitamente nella guarigione sono comuni l’artrite e la perdita di funzionalità di una o più dita

Grado VII

Osteomieliti

Abrasioni ed escoriazioni sulla superficie plantare del piede si possono realizzare quando i rapaci saltano continuamente da una pertica a una superficie troppo dura, quando si aggrappano con le zampe sulle sbarre della gabbia, sulle maglie della rete o quando sono costretti a rimanere su delle pertiche in cemento. Anche la non corretta distribuzione del peso sulle zampe è in grado di determinare la patologia e lesioni traumatiche ad una zampa possono determinare un bumblefoot secondario sulla zampa controlaterale per eccessivo carico di peso nel tentativo di risparmiare l’arto che causa dolore. Altri eventi traumatici e non, come unghie troppo lunghe, morsi delle prede, lesioni da poxvirus, danni da freddo o ustioni sono anch’essi in grado di far scoccare la scintilla che porterà allo sviluppo di bumblefoot.

Anche se la precisa patogenesi del bumblefoot non è ancora ben compresa sembra che  una riduzione della circolazione verso il piede, e un danno microepiteliale che comportano una incapacità locale di azione del sistema immunitario che permette ai batteri di prendere il sopravvento sull’organismo nonché la riduzione del ritorno venoso dal piede possano effettivamente esserne la causa. L’inattività a cui sono soggetti gli animali tenuti in gabbia è il fattore scatenante, mentre altri fattori predisponenti inducono la formazione del bumblefoot.

TRATTAMENTO MEDICO-CHIRURGICO

Le prevenzione del bumblefoot consiste nel costante monitoraggio delle condizioni dei piedi per segni precoci di ipercheratosi, desquamazioni e lesioni della cute delle zampe nonché arrossamenti , gonfiori e correzione delle cause sottostanti, nonché la corretta scelta dei materiali per costruire gabbie, voliere e falconiere, una dieta bilanciata ed integrata. Data la difficoltà e la lunga durata del trattamento del bumblefoot che richiede continuo monitoraggio veterinario è consigliabile mettere in atto tutti gli accorgimenti possibili per evitare di dover trattare poi una patologia così potenzialmente invalidante.

Gli obiettivi del trattamento del bumblefoot sono:

§         Ridurre l’infiammazione e il gonfiore

§         Instaurare una dieta adeguata

§         Applicare dei drenaggi se necessario

§         Iniziare una terapia antibiotica per eliminare i germi patogeni

§         Trattare adeguatamente la ferita in modo da permettere un rapida guarigione

§         Trattare le carenze alimentari

Possono essere indicati anche l’incisione chirurgica degli ascessi che si possono formare e l’amputazione di alcune dita gravemente danneggiate.

I gradi dal I al III generalmente rispondono alla pulizia della ferita e del piede, nonché alla correzione delle tecniche gestionali e carenze dietetiche sottostanti.

Il trattamento conservativo consiste nel cambiamento della dieta e nel rivestimento delle pertiche con materiali adatti (Astroturf®), applicazione topica di medicamenti e se necessario anche il bendaggio della zampa. Sono stati usati molti prodotti topici inclusi degli agenti emollienti, DMSO per le infiammazioni acute e pomate antiemorroidali.

I tipi di bendaggio applicabili sono il semplice bendaggio delle dita, bendaggio interdigitale e bendaggio a palla, nonché l’applicazione di scarpette in poliestere, polimetilmetacrilato imbevute di antibiotico per uso locale e precedentemente sterilizzate, o altri materiali idonei.

Il trattamento del IV grado invece prevede il drenaggio, l’irrigazione e la chiusura della ferita solo quando l’infezione è stata risolta. La prognosi è incerta.

Il trattamento del bumblefoot di V e VI grado deve essere aggressivo, e la prognosi riservata. Nei rapaci la terapia per i gradi IV e V comprende l’applicazione topica di  preparazioni a base di DMSO, contenenti anche antibiotici e cortisonici in giuste proporzioni e il composto così preparato può essere conservato per un certo periodo in frigo per le successive applicazioni.

La risoluzione dei gradi superiori al IV è lenta e la guarigione completa può richiedere anche mesi. Il trattamento iniziale comprende la terapia antibiotica che si dovrà protrarre per 7-10 gg. L’intero piede deve subire una buona disinfezione chirurgica, le ferite devono invece essere lasciate umide e su di esse non deve essere applicata nessuna forza. Un tampone prelevato dai tessuti profondi dove sono presenti gli ascessi deve essere inviato per fare l’esame colturale alla ricerca di batteri e funghi. La ferita deve essere lavata copiosamente con soluzione disinfettanti usate anche per lo scrub chirurgico e lasciata a bagno per 5 minuti, deve poi essere risciacquata con soluzione salina sterile e fasciata con garze imbevute della stessa soluzione usata per la disinfezione, ed applicato il bendaggio. Il secondo giorno deve essere praticata la stessa procedura e la maggiorparte delle operazioni può essere effettuata senza l’anestesia.

Il terzo giorno la maggiorparte del gonfiore si sarà ridotto e l’essudazione dalla ferita cessata. Il materiale fibrotico viene rimosso e il piede preparato sterilmente per la chirurgia. Deve essere fatta un’ampia esposizione dell’area e la parete ascessuale deve essere eliminata. I tendini e i legamenti danneggiati devono essere rimossi completamente se non è possibile la loro ricostruzione chirurgica. La ferita deve essere ampiamente irrorata con soluzione disinfettante usata anche in precedenza e lavata con soluzione salina sterile. Questa verrà poi parzialmente suturata per permettere il drenaggio e bendata con un bendaggio non troppo compressivo. Il bendaggio dovrebbe essere cambiato inizialmente dopo 2-6 ore, poi ogni giorno per una settimana e poi ogni 3 giorni e così sino a 3-4 settimane quando inizierà la guarigione e la ferita potrà essere completamente suturata. Mano a mano che avviene la guarigione il bendaggio verrà sempre più alleggerito sino a toglierlo definitivamente. Ovviamente nel post operatorio i posatoi dovranno essere adeguati.

E’ anche possibile eseguire terapie antibiotiche locali mediante l’applicazione di sferule di polimetilmetacrilato imbevute di antibiotici efficaci ed in grado di resistere ai trattamenti termici necessari per la loro sterilizzazione. Tali tipi di terapie sono utili nel caso di animali particolarmente suscettibili allo stress limitando la manipolazione del paziente.

MARCO BEDIN, Dott. Med. Vet.

Libero Professionista, Fabriano (AN)

Professore a Contratto Università degli studi di Padova, Facoltà di Medicina Veterinaria, C.I.P.

Clinica degli Animali Selvatici e Non Convenzionali

338 4009259 dott.bedin@libero.it