PARLARE DI FEDERICO II (1194-1250) in un sito di Falconeria mi sembra doveroso: si tratta infatti dell’autore di un celeberrimo trattato sulla caccia con gli uccelli rapaci, il De arte venandi cum avibus, giunto fino a noi in due redazioni differenti (una di due libri e una di sei), certamente il punto più alto mai raggiunto da questo genere di letteratura.
Il paradosso, però, è solo apparente: lo stesso Federico II, nel proemio alla sua monumentale opera, dichiara senza mezzi termini che l’arte della falconeria “è subordinata alla scienza naturale, poiché fa conoscere le nature degli uccelli” (P. I 6) [La traduzione italiana è fatta sul testo latino edito in Trombetti Budriesi 2000].
La caccia, nel Medioevo, è uno dei territori principali, se non il principale, dove l’uomo può incontrare l’animale, incontrare nel senso di conoscere, e rispettare. La falconeria, in particolare, col suo contatto continuo e delicato, quasi intimo, con animali selvaggi come i rapaci, è per l’uomo medievale esercizio incessante dello sguardo sulla natura, luogo di conoscenza solidamente empirica sulla fauna.
Non a caso l’imperatore introduce i libri dedicati alla falconeria vera e propria – cattura e preparazione dei falchi, addestramento e caccia con il Girfalco, il Falco sacro e il Pellegrino – con un intero libro dedicato agli uccelli in generale, dove si parlerà “delle classificazioni generali degli uccelli, dei diversi spostamenti che compiono per procurarsi il cibo, dei differenti alimenti che consumano, delle migrazioni che fanno verso luoghi vicini e lontani, a causa del caldo o del freddo delle stagioni, della loro riproduzione, dei diversi organi e della loro utilità, della natura del piumaggio, del modo di volare, della capacità di attacco e difesa che hanno, della muta del piumaggio” (I 1).
Lo sguardo di Federico è quello dell’osservatore attento e scrupoloso che non ha niente da invidiare ai moderni ornitologi. Ecco come in pochi tratti descrive le caratteristiche fondamentali dell’aspetto dell’Airone guardabuoi (Bubulcus ibis) nel periodo riproduttivo: “E ci sono uccelli che mutano il colore del piumaggio al tempo dell’accoppiamento, e mutano aspetto in più parti del loro corpo, come gli airones bisi [il latino bisus corrisponde all’italiano bigio, oppure, meglio, al francese beige], le penne e le piume dei quali, durante il tempo dell’accoppiamento, si ricoprono come di un colorazione polverosa e beige, […], [e] al tempo dell’accoppiamento il loro becco e le loro zampe tengono a diventare rossi” (I 220).
La notazione sul mutamento della colorazione di becco e zampe dell’Airone guardabuoi implica una grande esperienza e precisione. La descrizione del becco del Cormorano è un altro esempio appropriato per sottolineare le capacità di osservatore dell’imperatore: “Il genere dei cormorani ha un becco atto a facilitarli nella pesca. Infatti, hanno un becco alquanto lungo e arrotondato, curvo all’estremità, più appuntito di quello del pellicano, dotato di denti sopra e sotto; una membrana aderisce alla parte inferiore del becco, come nei pellicani, ma, in proporzione, non tanto grande come quella” (I 144).
La descrizione dell’aspetto degli uccelli chiamati mergi ci permette subito di identificare questa specie con gli svassi – in particolare molto probabilmente con lo Svasso maggiore (Podiceps cristatus): “Altri hanno piume sollevate sopra il capo, a destra e a sinistra, e, oltre a ciò, [hanno] piume pendenti da un lato e dall’altro della gola verso il collo, come certi svassi” (I 133).
L’imperatore coglie subito l’essenziale e, in tempi in cui non esistevano binocoli o cannocchiali, risaltano in maniera formidabile l’esperienza
e la confidenza col mondo degli uccelli. Senza queste caratteristiche l’imperatore avrebbe difficilmente potuto isolare tra le gru, e identificare, la Damigella di Numidia (Anthropoides virgo), lasciandone una descrizione degna di figurare in una moderna guida ornitologica (Paulus e van den Abeele 2000): “Altre [gru] sono più piccole, di color cenere sul dorso, hanno occhi rossi, le penne sulla nuca lunghe come gli aironi, sulla testa non sono di color rosso né sono prive di penne, ma hanno delle piume bianche alle ginocchia, sul petto sono nere e hanno delle piume sottili come peli, hanno voce rauca, nel resto del piumaggio invero e nella forma delle membra differiscono poco dalle [gru] maggiori” (IV 12).
Lo spirito di osservazione di Federico non si rivolge solo all’aspetto degli uccelli, la sua attenzione si indirizza anche ai principali comportamenti caratteristici di alcune specie. Nel caso degli svassi già citati, l’imperatore mostra di conoscere l’attività notturna di questi uccelli – “di notte escono e volano” per procurarsi il cibo (I 18) -, ne descrive il modo repentino di fuggire “immergendosi interamente sott’acqua” (I 284) – caratteristica questa, poco apprezzata dai cacciatori, tanto che nella zona del Lago Trasimeno il nome attribuito allo svasso è votaborzétte: le borzette svuotate sono naturalmente quelle che contengono la polvere da sparo utilizzata invano contro l’imprendibile uccello – e ne segnala la propensione all’erratismo locale (I 56).
L’imperatore si avvicina con altrettanta curiosità e amorosa pazienza alle stranezze e apparenti mostruosità della natura. Quando gli portano in dono una nidiata di un uccello chiamato praenus (forse si tratta della pispola, Anthus pratensis) si accorge che tra i pulcini ve ne è uno, orribile e deforme, che nell’aspetto quasi non somiglia nemmeno ad un uccello: bocca grande, privo di penne e molti lunghi peli sparsi sul capo che gli scendono sugli occhi e sul becco. Decide allora cum diligenti custodia, accuratamente, di nutrire di persona questi nidiacei, incuriosito da quel singolare pulcino. Risulterà naturalmente che si tratta di un giovane Cuculo. L’esperimento si trasforma subito in una lezione di metodo: ex quo, da questa esperienza – dichiara l’imperatore – si può ricavare, e dunque dimostrare, che il Cuculo non fa il nido ma depone le uova nei nidi altrui (I 93) (Paulus, van den Abeele 2000).
La voglia di conoscere di Federico II si spinge anche oltre, andando a indagare alcuni luoghi comuni estremamente diffusi nel Medioevo. Uno di questi, trasmesso dai bestiari, affermava che gli avvoltoi rintracciassero le carogne di cui si nutrono attraverso l’olfatto. Federico II decide di verificare questa notizia. Per prima cosa ordina che alcuni avvoltoi siano ciliati, cioè siano loro cucite le palpebre secondo il metodo usato dai falconieri per addestrare i loro rapaci. Così, momentaneamente accecati, ma con l’olfatto integro, come sottolinea correttamente Federico, alcuni individui vengono posti davanti a della carne, il risultato è che questi uccelli non riescono a sentirne l’odore e di conseguenza non riescono a nutrirsi, dunque ne deriva che questo genere di uccelli non si procura il cibo grazie all’odorato. Inoltre l’imperatore cerca la conferma del carattere charognard degli avvoltoi ponendo di fronte ad alcuni individui affamati un pollo vivo, e constatando che né lo catturano né lo uccidono (I 41).
Un’altra credenza diffusa nel Medioevo voleva che un tipo di oche dette bernecle – di colore bianco e nero, forse identificabili con l’Oca facciabianca, Branta leucopsis (Paulus, van den Abeele 2000) – nascessero, nel profondo nord, da vermi generati dalla putrefazione del legno delle navi naufragate. L’imperatore cercò a lungo (diuturnus inquisivimus) di trovare una conferma a queste voci, fino al punto di mandare degli inviati nelle plaghe settentrionali per farsi riportare alcuni pezzi di quel legno. Il legno che gli fu portato, però, aveva attaccato solo delle conchiglie “che i
n nessuna parte somigliavano nell’aspetto ad un’uccello”. La conclusione dell’imperatore sono perentorie “per ciò non crediamo a questa opinione, a meno che non avremo a questo riguardo una prova più convincente”. D’altronde, aggiunge Federico stesso, quasi a mitigare le sue stesse asserzioni, la credenza della nascita delle bernecle dal legno marcio è dovuta, probabilmente, al fatto che tali uccelli vivono in terre lontanissime, e non potendo gli uomini osservare direttamente i loro costumi, propongono le più disparate ipotesi (I 99).
L’onnivora curiosità dell’imperatore non può ignorare infine la struttura dei corpi di quelle perfette, aeree creature che sono gli uccelli; infatti, a lui possono essere attribuite varie scoperte: la struttura dei muscoli del volo, la differente struttura dello stomaco tra uccelli carnivori e granivori, l’assenza della vescica biliare in alcuni uccelli, la descrizione della trachea della gru, piuttosto particolare nell’ambito degli uccelli (Paulus e van den Abeele 2000). L’interesse per l’anatomia aviare, tradisce una volta di più, la volontà di Federico di indagare fino in fondo e spiegare – ma è soprattutto uno spiegarsi – le cause di certi comportamenti e attitudini. Il suono profondo, quasi di tromba, emesso dalla gru, viene chiarito grazie alla particolare struttura della trachea di questo uccello che forma una cassa di risonanza capace di amplificare il suono; la descrizione di quest’organo è precisa come in un moderno manuale di veterinaria (I 208).
Basta poi dare una veloce scorsa a come la materia del primo capitolo sia suddivisa meticolosamente, e siano presentate attività e caratteristiche fisiche degli uccelli, fornite ogni volta di uno o più esempi concreti (solo al colore del piumaggio sono dedicati otto paragrafi: I 119-126), per rendersi conto dell’attenzione dedicata nel De arte venandi ad ogni aspetto, fisico e comportamentistico, degli uccelli.
Le osservazioni di Federico II, pur nella loro eccellenza, non sono le uniche attestazioni ornitologiche medievali: le sculture magnifiche e levigate delle chiese romaniche, i riferimenti sparsi nella poesia e nella prosa – dove compare persino lo scricciolo (bederesc in provenzale) – certe bellissime miniature che ornano i messali., alluminati di uccelli di ogni sorta, spesso rappresentati con mirabile precisione, parlano dell’interesse del Medioevo per gli uccelli, presenze consuete e familiari come forse mai più in seguito.
Bibliografia
Paulus A., van den Abeele B. (2000), Frédéric II de Hohenstaufen, “L’art de chasser avec les oiseaux”. Le traité de fauconnerie “De arte venandi cum avibus”, traduit, introduit et annoté par Anne Paulus et Baudouin Van den Abeele, Nogent-le-Roi, J. Laget, 2000, pp.564 con figg. e tavv. n.t. e f.t. (Bibliotheca cynegetica, 1)
Trombetti Budriesi A.L. (2000), Federico II di Svevia, De arte venandi cum avibus. L’arte di cacciare con gli uccelli, Edizione e traduzione italiana del ms. lat. 717 della Biblioteca Universitaria di Bologna collazionato con il ms. Pal. Lat. 1071 della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi, Roma-Bari, Laterza, 2000 (Collana di Fonti e Studi, 10)
Tratto da: http://www.ebnitalia.it