Itinerario di caccia col falco: Andalusia

di: Engel Simonelli

Cnv0012

 

FALCONERIA  IN ANDALUSIA

Cnv0046In Spagna esistono diverse riserve dedicate esclusivamente alla caccia con il falco ( e talvolta con i galgos-levrieri spagnoli). La caratteristica di questi “cotos de caza”, a parte la bellezza del territorio, è che la selvaggina (in genere abbondante, dato che i fucili non vi entrano) è rigorosamente autoctona e nata in luogo.

Occorrono ovviamente falchi ben muscolati e smaliziati: le loro prede sanno sfruttare il terreno al massimo, quindi le catture non saranno mai abbondanti come nelle riserve italiane coi fagianacci “pronta caccia”. Ma una pernice rossa o una lepre catturate qui, vi faranno automaticamente qualificare come un vero falconiere cacciatore.

Quest’anno abbiamo testato una nuova riserva di caccia adatta ai falconieri; si tratta di un’antica tenuta nobiliare estesa per 14.000 ettari a sud-est di Siviglia (che dista circa 30 km).Cnv0047.jpg (471648 byte)

E’ in parte gestita da un falconiere francese, Mr. Emmanuel Maugasc, che risiede da trent’anni in Spagna; la casa di caccia, estremamente confortevole, fornisce stanze riscaldate con servizi privati,

servizio di pulizia, falconiere recintate, prima colazione.

Il territorio è molto vario: campi aperti per l’alto volo, uliveti antichi ,ficaie d’india (tane di numerosissimi conigli) e boschi di conifere per il basso volo, pozze d’acqua per la caccia alle anatre.

Selvaggina:

LepreComuneconiglio
Lepri         ++++Conigli      ++++
pernicerossaanatra
Pernici rosse  ++++Anatre        +++

Cnv0017

Tutta la selvaggina è rigorosamente autoctona e nata sul posto; non aspettatevi cacciate facili ! i selvatici sanno perfettamente come ripararsi e dove fuggire, d’altra parte questa è caccia vera, grandi emozioni in un ambiente naturale incontaminato.

Emmanuel, con la sua pluridecennale esperienza (è stato uno dei primi falconieri in Spagna, compagno di volo del grande De la Fuente) e i guardiacaccia vi consiglieranno le zone e le strategie più adatte.

Le lepri e i conigli si cacciano allo schizzo con il falco al pugno, o posizionato sulle querce, a seguire; benché siano velocissime (sono piccole, pesano 3 kg. al massimo) non hanno molti nascondigli, e se il falco ha fiato, sono un’ottima chance.

Aspettatevi comunque inseguimenti fino a 500 mt!

Cnv0018.jpg (84006 byte)Le pernici rosse non vanno cercate con il cane (qui è inutile) ma con gli occhi o al più un binocolo. Una volta individuate, si mette in quota il falco d’alto volo, e si vanno ad alzare a piedi o in macchina. I falconieri spagnoli le cacciano anche con il basso volo (astore o Harris, preferibilmente maschi): se non vengono catturate di prima, seguono il volo, e le catturano al secondo involo, che è sempre più fiacco. Comunque sono dei proiettili viventi, che schizzano a 2 metri dal suolo mettendo a dura prova il coraggio del falcone che deve stoccare cosi’ vicino a terra.

Il torrente di confine della riserva ospita numerose gallinelle d’acqua, e talvolta anatre di passo. L’incontro con l’occhione (preda ambita dagli arabi!) è possibile.

Un pericolo per i falchi è costituito dall’aquila del Bonelli, presente nella zona. Numerosissime le allodole, che i falconieri locali cacciano con lo smeriglio o il gheppio americano.Per rendere l’idea, in una giornata di caccia, potete alzare 10 lepri e 10 brigate di pernici.

VIAGGIO

1)      Con la vostra macchina:sono 2000 Km (due giorni vi viaggio) ; se ve la sentite……

2)      In macchina: Genova – Barcellona traghetto +altri 1000 Km : meno stancante, con la notte in traghetto

3)      In aereo: Milano- Siviglia o Malaga, poi auto a noleggio ; attenzione! Le compagnie aeree non permettono più di due animali in cabina, nel trasportino standard (informarsi prima!)

TURISMO

Per gli accompagnatori, sono a un’ora di macchina le città di Siviglia, Cordova, e con poco più si arriva a Malaga e Granada; le bellezze architettoniche di queste città andaluse meritano una visita.

Per informazioni:

Engel Simonelli        tel.  02-94961835

Cell   3333535018    oppure direttamente

Emmanuel Maugasc  tel.0034-952584680

Fax.0034-952593620

Cell.0034609002482     (parla correntemente francese, spagnolo, inglese)

Cnv0050

Vuoi segnalaci anche tu un Itinerario di caccia? usa il form Contatti! Grazie!
 

Falconeria e medioevo

Rappresentazione di falconieri medievali

Come tutti ben sappiamo, la Falconeria non nasce nel Medioevo, ma ben prima. Tuttavia in questo periodo (per alcuni cupo e oscuro e per altri in rivalutazione e pieno di nuovi slanci per il mondo che sarebbe venuto), la Falconeria raggiunge un ottimo livello di diffusione in tutta l’Europa. Successivamente, nel Rinascimento, quest’Arte giungerà alla sua massima espressione, per poi declinare drammaticamente con l’avvento della polvere da sparo.

Ma qual è il ruolo della Falconeria medievale?

Molto difficile immaginarlo con la nostra esperienza di uomini del Duemila.

Nel Medioevo, il Falco era un cosiddetto status symbol, e praticamente nessun nobile era sfornito di uno di questi animali. Gli uccelli non venivano riprodotti ed allevati in cattività. Si trattava infatti di haggard, ovvero animali catturati in natura ed addestrati successivamente. Tali animali avevano qualcosa di estremamente differente dai nostri: nascevano liberi. La loro indole era plasmata dalle difficoltà della vita e dalla necessità di sopravvivere e il loro volo era “tramandato” di generazione in generazione, non solo in modo strettamente biologico, ma anche con una vena “culturale”, ovvero una modalità di trasmissione delle cose apprese, attraverso l’imitazione (frequentissima tra gli animali). Di conseguenza il falco possedeva sì una base istintiva che ne “regolava” il volo, ma vi era tutto il bagaglio “culturale” e frutto dell’esperienza, fatta allo stato selvatico, che veniva tramandato attraverso l’esempio di caccia fornito dai genitori.

Oggi le cose stanno un po’ diversamente, i Falchi sono tutti nati in cattività, e ciò che li porta a volare è fondamentalmente l’istinto. Il Falconiere è a terra, vincolato ad essa, e deve individuare stratagemmi e tecniche atte a stimolare un corretto volo del Falco. Con un buon addestramento, anche un animale nato in cattività potrebbe (anche grazie alla propria esperienza e quella del Falconiere), raggiungere livelli prossimi a quelli di un selvatico.

Tornando al Medioevo, parlare di Falchi era come parlare oggi di automobili, di lusso e non. L’imperatore aveva l’Aquila reale, e poi via via, scalando, venivano i principi, e tutti i vassalli e il clero, ciascuno con un proprio animale adatto al suo ceto sociale.

In realtà, per il clero ci furono alcune limitazioni all’uso dei falconi in alcune epoche. Questi vincoli furono per esempio sanciti nel concilio di Agda nel 506 d.C. e furono poi confermati nei concili di Epaon nel 517 d.C. e di Macon nel 585 d.C.

In pieno periodo di crociate nella Terra Santa, bisogna ricordare come, per esempio, anche gli ordini monastico-cavallereschi (Templari, Ospitalieri, Teutonici) non potessero di fatto praticare alcun tipo di caccia avendo preso i quattro voti fondamentali (povertà, obbedienza, castità e prontezza alle armi).

Abbiamo parlato di Crociate, ed è proprio tramite queste invasioni-conquiste-difese dei territori della cristianità (il commento dipende dai punti di vista di ciascuno di noi), che tra l’Occidente e l’Oriente si verifica un intenso scambio culturale che apporterà numerose modifiche nel modo di pensare, nei commerci, nei rapporti tra i due popoli.

Con l’incontro-scontro con i turchi (ricordiamoci che le Crociate furono combattute contro le popolazioni arabe guidate dalle popolazioni turche dei selgiuchidi e degli “ortochidi”), si verifica anche lo scambio delle tecniche tra quelle che sono le due direttrici della Falconeria, una che passa per l’Asia e l’Arabia, e l’altra che giunge fino in Europa.

Grandissimo vantaggio che introducono gli arabi è quello dell’utilizzo del cappuccio, mentre in Europa era prassi comune la tecnica della ciliatura, ovvero la legatura delle palpebre dell’animale, effettuata in modo tale che queste potessero essere chiuse o più o meno aperte. Dopo questo addestramento, la ciliatura non veniva più effettuata e l’utilizzo del cappuccio non era più necessario.

Per quanto riguarda il ruolo politico, la Falconeria fu fondamentale in molte occasioni in cui venivano stipulati trattati, accordi ed altre importanti decisioni. Poteva anche essere utilizzata come dote di nozze durante gli sposalizi regali.

Dame e signori del Tardo Medioevo

Alcuni nobili e alcuni regnanti arriveranno addirittura a vietare la cattura di questi uccelli, forse più per un fine egoistico e d’orgoglio, che non protezionistico. Le pene cui si era sottoposti in caso di abbattimento o cattura di un Falco senza autorizzazione, erano veramente severe e commisurate alla mentalità medievale.

Perché il Falco e la Falconeria sono entrate a far così parte della cultura dell’uomo? Come mai i falconi hanno assistito alle dispute umane, dalle desolate distese della Mongolia, fino alle Crociate e alle guerre in Europa? Cos’è che questi animali provocavano e provocano nell’animo umano?

Questa è una domanda cui difficilmente si può rispondere.

Il Falco è visto come un essere quasi sovrannaturale. In lui si intuisce a colpo d’occhio una “cattiveria” e “freddezza” dei lineamenti della testa, della sua forma, degli artigli. Questa aggressività viene inoltre associata alla sua natura di predatore, alla sua picchiata e al suo modo perfetto di volare e di abbattere prede talvolta molto più grosse di lui.

Ma forse, come è sempre stato negli uomini, il Falco è un essere volante, e tutto ciò che è in aria ha sempre affascinato l’animo umano. Quindi, il volo, il “coraggio” (se così si può dire per i falchi), l’abilità, la fisionomia, hanno portato questo animale a entrare nella mente dell’uomo, a diventare l’esempio della cavalleria e della nobiltà.

Quest’influenza sulle attività umane è innegabile, sia dal punto di vista sociale che politico.

FEDERICO__IILa figura alata dei rapaci è riuscita a tramutarsi in un’immensità di simbologie, stemmi e racconti.

è difficile riuscire ad immaginare cosa significasse nel XIII secolo la parola Falconeria. Si trattava di qualcosa estremamente radicato nella cultura di allora. Molto spesso, anzi, sempre, questa forte influenza è trascurata a livello scolastico e tra le persone in generale. L’unico accenno che, in alcuni licei, ancora si fa, è relativo a poche righe sul De Arte venandi cum avibus di Federico II di Svevia in alcuni testi di letteratura italiana.

Oggi la parola Falconeria è in alcuni casi addirittura sconosciuta. Certi chiedono persino “che cos’è. E’ incredibile osservare il “declino” che, in alcuni paesi, quest’Arte ha tristemente subito. Gradualmente è cambiata la mentalità, l’uomo ha scoperto nuovi simboli e occupazioni, nuovi passatempi e, pian piano, gli orgogliosi falconi sono stati sempre più messi da parte.

Addirittura, proprio nel nostro secolo, è successo qualcosa di assolutamente inconcepibile ed opposto a ciò che si verificava in epoca medievale. I Falchi sono stati difatti perseguitati volontariamente o involontariamente. Essi sono stati considerati “nocivi” in base a criteri assolutamente infondati e falsi, che erano e sono imperniati sull’ignoranza di alcune persone. Ancora oggi una vecchia tradizione venatoria è propensa a considerarli “animali nocivi” perché sottraggono e spaventano la selvaggina. Capirete benissimo che il termine “nocivo” è quanto di più complicato esista da definire. Nocivo a chi? Per chi? La questione è piuttosto relativa.

Oltre a questo, involontariamente, i rapaci hanno dovuto subire il massacro che ha comportato il DDT, pericolosissima molecola che comportava seri danni epatici e riproduttivi (come l’assottigliamento del guscio delle uova).

Ancora oggi, sullo stretto di Messina, ogni anno si deve porre molta attenzione ad una bizzarra tradizione che porta all’abbattimento dei Falchi pecchiaioli che lì transitano durante il periodo migratorio.

Come si sia arrivato a tanto non si sa. Il Falco, la simbologia del potere e del coraggio, si è tramutato in pochi secoli in un animale come altri e, per alcuni anni, in un animale addirittura in pericolo d’estinzione. Forse una mancanza di cultura, associata all’allontanamento dell’uomo dalla natura, ha portato a cambiare il modo di vedere questi stupendi animali.

Certo è che la Falconeria, per fortuna, è comunque riuscita a salvarsi. Sicuramente non raggiungerà mai più i livelli e le influenze del passato, e questo è normale, perché le cose cambiano, alcune altre prendono il sopravvento su quelle passate e tutto è giusto e naturale.

Oggi i Falchi, anche se in minor numero, continuano a volare. Probabilmente il vero ruolo dei Falconieri del 2000 è proprio quello di conservare questa tradizione che è nata nella notte dei tempi, mantenere elevato il rispetto per la Falconeria che, al giorno d’oggi, rischia d’essere messa a repentaglio. La Falconeria come fine a sé stessa e per il piacere del Falconiere, come anche scuola per importanti valori, e non come spettacolo e negazione di quella signorilità e simbologia cavalleresca di cui tanto era carica un tempo.

La Falconeria va conservata, ampliata e diffusa, correttamente e con i giusti e sani principi che caratterizzano la falconeria con la F maiuscola.

Vedete… Il rapporto tra uomo e falco è qualcosa di indescrivibile. Adesso mi viene in mente un paragone, magari un po’ azzardato. L’uomo e il falco sono come due nemici in una delle tante battaglie medievali. Prendete le crociate e i due schieramenti, franco e turco. Tra loro c’erano tensioni, battaglie, conquiste, capitolazioni di castelli e fortezze… Ma spesso ci si rendeva conto che il motivo della battaglia era in fondo lo stesso da ambo le parti. In quelle terre si conobbero uomini che si odiavano e che, contemporaneamente, si rispettavano. In alcuni casi tutto questo divenne anche una solida alleanza.

Per esempio quando Zengi va ad assediare Damasco nel 1139, i damaschini resistono con vigore sotto il comando dell’anziano visir, il capitano Unur (Aynard nella sua forma francesizzata). Unur fa appello ai Franchi per la difesa della città. L’ambasciatore Usama viene inviato da re Folque e, tra loro, nascerà una solida ed importante alleanza che verrà poi danneggiata dagli stessi Franchi che arrivarono con la seconda crociata e dettero retta alla Mélisende, moglie dell’ormai deceduto re Foulque.

Si racconta quindi che Usama fece visita a re Foulque a San Giovanni d’Acri, il baluardo cristiano nelle terre d’Oriente. Qui si fermarono ad osservare un grande falco con tredici penne timoniere, di proprietà di un genovese che lo aveva addestrato per la caccia alle gru. Re Folque regalò questo falco ad Usama. Era un mezzo per confermare la loro alleanza, mezzo che oggi può apparire strano, ma che allora era di fondamentale valore.

Di conseguenza, uomo e falco sono due nemici, due caratteri troppo differenti per comprendersi fino in fondo. Tra l’uomo ed il falco c’è rispetto, anche se, a differenza dei cavalieri medievali, questo rispetto è manifestato solamente da parte dell’uomo. Il falco fa il suo interesse, è un animale molto “orgoglioso”, senza sentimenti o attaccamento al suo “padrone” (se di padrone si può parlare). Eppure è proprio per questo motivo che noi lo ammiriamo e continuiamo ad addestrarlo.

Forse è proprio questa diversità e questa voglia di conoscere che porta l’uomo e il falco ad avere un legame che dura da più millenni.

Probabilmente questo legame durerà ancora a lungo. Ma la cosa dipende solo dai Falconieri. Siamo come un’enorme collana distesa nel tempo, di cui noi non siamo che un anello che dovrebbe pensare a consentire il legame degli anelli che verranno dopo di noi. Tutto questo perché la Falconeria continui a volare nei cieli futuri.

 

Bibliografia essenziale

A. Arpa, Trattato di Falconeria.

René Grousset, La Storia delle Crociate, edizioni Piemme.

Federico II scienziato e padre della Falconeria in Italia

PARLARE DI FEDERICO II (1194-1250) in un sito di Falconeria mi sembra doveroso: si tratta infatti dell’autore di un celeberrimo trattato sulla caccia con gli uccelli rapaci, il De arte venandi cum avibus, giunto fino a noi in due redazioni differenti (una di due libri e una di sei), certamente il punto più alto mai raggiunto da questo genere di letteratura.

Il paradosso, però, è solo apparente: lo stesso Federico II, nel proemio alla sua monumentale opera, dichiara senza mezzi termini che l’arte della falconeria “è subordinata alla scienza naturale, poiché fa conoscere le nature degli uccelli” (P. I 6) [La traduzione italiana è fatta sul testo latino edito in Trombetti Budriesi 2000].

La caccia, nel Medioevo, è uno dei territori principali, se non il principale, dove l’uomo può incontrare l’animale, incontrare nel senso di conoscere, e rispettare. La falconeria, in particolare, col suo contatto continuo e delicato, quasi intimo, con animali selvaggi come i rapaci, è per l’uomo medievale esercizio incessante dello sguardo sulla natura, luogo di conoscenza solidamente empirica sulla fauna.

Non a caso l’imperatore introduce i libri dedicati alla falconeria vera e propria – cattura e preparazione dei falchi, addestramento e caccia con il Girfalco, il Falco sacro e il Pellegrino – con un intero libro dedicato agli uccelli in generale, dove si parlerà “delle classificazioni generali degli uccelli, dei diversi spostamenti che compiono per procurarsi il cibo, dei differenti alimenti che consumano, delle migrazioni che fanno verso luoghi vicini e lontani, a causa del caldo o del freddo delle stagioni, della loro riproduzione, dei diversi organi e della loro utilità, della natura del piumaggio, del modo di volare, della capacità di attacco e difesa che hanno, della muta del piumaggio” (I 1).

Lo sguardo di Federico è quello dell’osservatore attento e scrupoloso che non ha niente da invidiare ai moderni ornitologi. Ecco come in pochi tratti descrive le caratteristiche fondamentali dell’aspetto dell’Airone guardabuoi (Bubulcus ibis) nel periodo riproduttivo: “E ci sono uccelli che mutano il colore del piumaggio al tempo dell’accoppiamento, e mutano aspetto in più parti del loro corpo, come gli airones bisi [il latino bisus corrisponde all’italiano bigio, oppure, meglio, al francese beige], le penne e le piume dei quali, durante il tempo dell’accoppiamento, si ricoprono come di un colorazione polverosa e beige, […], [e] al tempo dell’accoppiamento il loro becco e le loro zampe tengono a diventare rossi” (I 220).

La notazione sul mutamento della colorazione di becco e zampe dell’Airone guardabuoi implica una grande esperienza e precisione. La descrizione del becco del Cormorano è un altro esempio appropriato per sottolineare le capacità di osservatore dell’imperatore: “Il genere dei cormorani ha un becco atto a facilitarli nella pesca. Infatti, hanno un becco alquanto lungo e arrotondato, curvo all’estremità, più appuntito di quello del pellicano, dotato di denti sopra e sotto; una membrana aderisce alla parte inferiore del becco, come nei pellicani, ma, in proporzione, non tanto grande come quella” (I 144).

La descrizione dell’aspetto degli uccelli chiamati mergi ci permette subito di identificare questa specie con gli svassi – in particolare molto probabilmente con lo Svasso maggiore (Podiceps cristatus): “Altri hanno piume sollevate sopra il capo, a destra e a sinistra, e, oltre a ciò, [hanno] piume pendenti da un lato e dall’altro della gola verso il collo, come certi svassi” (I 133).

L’imperatore coglie subito l’essenziale e, in tempi in cui non esistevano binocoli o cannocchiali, risaltano in maniera formidabile l’esperienza
e la confidenza col mondo degli uccelli. Senza queste caratteristiche l’imperatore avrebbe difficilmente potuto isolare tra le gru, e identificare, la Damigella di Numidia (Anthropoides virgo), lasciandone una descrizione degna di figurare in una moderna guida ornitologica (Paulus e van den Abeele 2000): “Altre [gru] sono più piccole, di color cenere sul dorso, hanno occhi rossi, le penne sulla nuca lunghe come gli aironi, sulla testa non sono di color rosso né sono prive di penne, ma hanno delle piume bianche alle ginocchia, sul petto sono nere e hanno delle piume sottili come peli, hanno voce rauca, nel resto del piumaggio invero e nella forma delle membra differiscono poco dalle [gru] maggiori” (IV 12).

federico_II_SveviaLo spirito di osservazione di Federico non si rivolge solo all’aspetto degli uccelli, la sua attenzione si indirizza anche ai principali comportamenti caratteristici di alcune specie. Nel caso degli svassi già citati, l’imperatore mostra di conoscere l’attività notturna di questi uccelli – “di notte escono e volano” per procurarsi il cibo (I 18) -, ne descrive il modo repentino di fuggire “immergendosi interamente sott’acqua” (I 284) – caratteristica questa, poco apprezzata dai cacciatori, tanto che nella zona del Lago Trasimeno il nome attribuito allo svasso è votaborzétte: le borzette svuotate sono naturalmente quelle che contengono la polvere da sparo utilizzata invano contro l’imprendibile uccello – e ne segnala la propensione all’erratismo locale (I 56).

L’imperatore si avvicina con altrettanta curiosità e amorosa pazienza alle stranezze e apparenti mostruosità della natura. Quando gli portano in dono una nidiata di un uccello chiamato praenus (forse si tratta della pispola, Anthus pratensis) si accorge che tra i pulcini ve ne è uno, orribile e deforme, che nell’aspetto quasi non somiglia nemmeno ad un uccello: bocca grande, privo di penne e molti lunghi peli sparsi sul capo che gli scendono sugli occhi e sul becco. Decide allora cum diligenti custodia, accuratamente, di nutrire di persona questi nidiacei, incuriosito da quel singolare pulcino. Risulterà naturalmente che si tratta di un giovane Cuculo. L’esperimento si trasforma subito in una lezione di metodo: ex quo, da questa esperienza – dichiara l’imperatore – si può ricavare, e dunque dimostrare, che il Cuculo non fa il nido ma depone le uova nei nidi altrui (I 93) (Paulus, van den Abeele 2000).

La voglia di conoscere di Federico II si spinge anche oltre, andando a indagare alcuni luoghi comuni estremamente diffusi nel Medioevo. Uno di questi, trasmesso dai bestiari, affermava che gli avvoltoi rintracciassero le carogne di cui si nutrono attraverso l’olfatto. Federico II decide di verificare questa notizia. Per prima cosa ordina che alcuni avvoltoi siano ciliati, cioè siano loro cucite le palpebre secondo il metodo usato dai falconieri per addestrare i loro rapaci. Così, momentaneamente accecati, ma con l’olfatto integro, come sottolinea correttamente Federico, alcuni individui vengono posti davanti a della carne, il risultato è che questi uccelli non riescono a sentirne l’odore e di conseguenza non riescono a nutrirsi, dunque ne deriva che questo genere di uccelli non si procura il cibo grazie all’odorato. Inoltre l’imperatore cerca la conferma del carattere charognard degli avvoltoi ponendo di fronte ad alcuni individui affamati un pollo vivo, e constatando che né lo catturano né lo uccidono (I 41).

Un’altra credenza diffusa nel Medioevo voleva che un tipo di oche dette bernecle – di colore bianco e nero, forse identificabili con l’Oca facciabianca, Branta leucopsis (Paulus, van den Abeele 2000) – nascessero, nel profondo nord, da vermi generati dalla putrefazione del legno delle navi naufragate. L’imperatore cercò a lungo (diuturnus inquisivimus) di trovare una conferma a queste voci, fino al punto di mandare degli inviati nelle plaghe settentrionali per farsi riportare alcuni pezzi di quel legno. Il legno che gli fu portato, però, aveva attaccato solo delle conchiglie “che i
n nessuna parte somigliavano nell’aspetto ad un’uccello”. La conclusione dell’imperatore sono perentorie “per ciò non crediamo a questa opinione, a meno che non avremo a questo riguardo una prova più convincente”. D’altronde, aggiunge Federico stesso, quasi a mitigare le sue stesse asserzioni, la credenza della nascita delle bernecle dal legno marcio è dovuta, probabilmente, al fatto che tali uccelli vivono in terre lontanissime, e non potendo gli uomini osservare direttamente i loro costumi, propongono le più disparate ipotesi (I 99).

L’onnivora curiosità dell’imperatore non può ignorare infine la struttura dei corpi di quelle perfette, aeree creature che sono gli uccelli; infatti, a lui possono essere attribuite varie scoperte: la struttura dei muscoli del volo, la differente struttura dello stomaco tra uccelli carnivori e granivori, l’assenza della vescica biliare in alcuni uccelli, la descrizione della trachea della gru, piuttosto particolare nell’ambito degli uccelli (Paulus e van den Abeele 2000). L’interesse per l’anatomia aviare, tradisce una volta di più, la volontà di Federico di indagare fino in fondo e spiegare – ma è soprattutto uno spiegarsi – le cause di certi comportamenti e attitudini. Il suono profondo, quasi di tromba, emesso dalla gru, viene chiarito grazie alla particolare struttura della trachea di questo uccello che forma una cassa di risonanza capace di amplificare il suono; la descrizione di quest’organo è precisa come in un moderno manuale di veterinaria (I 208).

Basta poi dare una veloce scorsa a come la materia del primo capitolo sia suddivisa meticolosamente, e siano presentate attività e caratteristiche fisiche degli uccelli, fornite ogni volta di uno o più esempi concreti (solo al colore del piumaggio sono dedicati otto paragrafi: I 119-126), per rendersi conto dell’attenzione dedicata nel De arte venandi ad ogni aspetto, fisico e comportamentistico, degli uccelli.

Le osservazioni di Federico II, pur nella loro eccellenza, non sono le uniche attestazioni ornitologiche medievali: le sculture magnifiche e levigate delle chiese romaniche, i riferimenti sparsi nella poesia e nella prosa – dove compare persino lo scricciolo (bederesc in provenzale) – certe bellissime miniature che ornano i messali., alluminati di uccelli di ogni sorta, spesso rappresentati con mirabile precisione, parlano dell’interesse del Medioevo per gli uccelli, presenze consuete e familiari come forse mai più in seguito.

Bibliografia

Paulus A., van den Abeele B. (2000), Frédéric II de Hohenstaufen, “L’art de chasser avec les oiseaux”. Le traité de fauconnerie “De arte venandi cum avibus”, traduit, introduit et annoté par Anne Paulus et Baudouin Van den Abeele, Nogent-le-Roi, J. Laget, 2000, pp.564 con figg. e tavv. n.t. e f.t. (Bibliotheca cynegetica, 1)
Trombetti Budriesi A.L. (2000), Federico II di Svevia, De arte venandi cum avibus. L’arte di cacciare con gli uccelli, Edizione e traduzione italiana del ms. lat. 717 della Biblioteca Universitaria di Bologna collazionato con il ms. Pal. Lat. 1071 della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi, Roma-Bari, Laterza, 2000 (Collana di Fonti e Studi, 10)
Tratto da: http://www.ebnitalia.it