Caratteristiche e razze dei cani usati per la Falconeria

Tutti i cani da caccia, nelle loro mansioni, sono bravi ma ce ne sono alcuni che sono più bravi a modo loro. Si tratta di una bravura istintiva connessa alla morfologia, al carattere e all’addestramento ricevuto. Tutti assolvono al proprio compito che è quello di aiutare l’uomo in ogni tipo di caccia, ivi compresa quella col falcone.

Il cane da caccia infatti non caccia per se stesso ma per compiacere l’uomo e questo, non dimentichiamolo, possiamo definirlo altruismo.
Per il tipo di caccia col falco d’alto volo alcuni sono più adatti di altri, vuoi per la taglia, per il colore, per il temperamento e per altre caratteristiche.
Poiché chi va a caccia col falcone riserva l’attenzione maggiore al falco, il cane, al momento del via, deve saper fare tutto a memoria.

Un buon cane non deve fare il riporto né rincorrere al frullo, deve fare una ferma sicura e una guidata prudente, essere ubbidiente ai comandi, stare sempre lontano dal falco, almeno a 2 metri, e camminare sempre alla destra del falconiere se tiene il falco in pugno sulla sinistra. Con andatura sostenuta e mai irruente cercherà il selvatico. Trovatolo, la sua postura in ferma deve essere appariscente, scultorea, sicura e alquanto lunga per dare modo al falconiere di scapucciare il falco, lanciarlo e fargli prendere quota.

Al cane è permessa la guidata se il selvatico pedona in avanti ma lo deve fare con la massima attenzione per non sfrullare. Lo sfrullo mentre il falco non è ben posizionato in altezza, è la peggiore cosa che possa capitare a un falconiere, tutta la sua preparazione viene vanificata. Per un cacciatore col fucile lo sfrullo non è un gran danno; se il cane non è molto lontano riesce sempre ad abbattere il selvatico e comunque il fucile può essere ricaricato. Il falco no.

Tra la caccia col falco e quella col fucile, le regole sono molto diverse. La prima e non va mai dimenticata, è che il falco di norma ha la possibilità di fare solo due voli, al massimo tre e lontani uno dall’altro circa un’ora.  Si può dunque capire che non è ammessa una ferma in bianco oppure uno sfrullo; il cane deve essere il più attento e ubbidiente possibile e con quelle determinate capacità venatorie indiscutibili. Non si richiede che svolga un enorme lavoro ma quel poco lo deve svolgere bene ed in modo sicuro.

Il cane che stuzzica maggiormente la vista del pellegrino in volo è senz’altro quello dal mantello bianco. Accertato questo particolare possiamo ora cercare di individuare quali siano i cani più adatti in falconeria senza voler penalizzare nessuno anche perché ogni cane è adatto ad un certo tipo di caccia e a un determinato territorio.

Il Pointer, il cosidetto “signore del vento” per i suoi 60/70 km. all’ora, è a parer mio troppo veloce. Con una simile velocità non può avere una cerca minuziosa, lascia sempre indietro qualcosa. Dopo mezz’ora che corre si eccita e nell’impeto della corsa sfrulla specialmente quando i selvatici sono leggeri e smaliziati, tipo le starne, banco di prova per i cani. Essere irruente è negativo ed avere una passione smodata lo é altrettanto. Il Pointer possiede tutte queste caratteristiche non proprio ideali per la falconeria e una sola positiva: il mantello con molto bianco.

Il Bracco italiano invece è calmo, minuzioso, sicuro nella ferma, fa la guidata in modo accorto, non sfrulla quasi mai e difficilmente ferma in bianco. E’ quindi ottimo per falconeria, sopratutto se ha il mantello arancio con bianco, così da essere facilmente individuabile dal falco alto in volo. Non corre in modo impetuso, al contrario, ha un tratto forse troppo lento. Per questo e per la taglia alquanto grande viene usato poco in falconeria anche se assolve bene il suo compito.

Il Breton Epagneul, credo sia giusto definirlo piccolo, grande cane poiché, pur essendo di taglia piccola è attivissimo e veloce. Qualche volta sfrulla a causa del suo galoppo saltellato e la ferma non è molto sicura ed è troppo attivo per stare in compagnia dei falchi. E’ poco usato nell’alto volo.

Lo Spinone italiano – bianco-arancio – di carattere calmo, ottimo per la caccia alle anatre col falco. Non ha paura né dell’acqua né di entrare nei rovi. Minuzioso nella cerca, ha una ferma sicura e non ricorre facilmente al frullo. E’ relativamente veloce, rispetta i falchi e intuisce facilmente ciò che l’uomo vuole da lui. Come il Bracco, sa più cose sul selvatico di quanto vuol far credere. E’ anche prudente nella guidata; in conclusione va bene a caccia col pellegrino.

Il Setter inglese è il soggetto più usato in falconeria per le sue qualità e per la sua bellezza. E’ un cane forte e ubbidiente, sta sempre al fianco del falco del falconiere. La sua andatura è un galoppo veloce ed elastico.Quando è in cerca tiene alta la testa, basta una piccola filata, una piccola traccia e subito realizza una ferma scultorea, perfetta e sicura. Non sfrulla quasi mai, la guidata è prudente, l’allungo mai eccessivo. E’ capace di aggirare il selvatico per bloccargli la fuga nel vicino cespuglio. Ha sempre la situazione sotto controllo e in ogni occasione sa cosa deve fare. Riesce a bloccare il fagiano o la starna e aspettare così l’arrivo del falco che riconosce e rispetta. Non ha il complesso dell’obbedienza e, cosa rara nei cani da caccia, intuisce ben presto che è il falco a catturare il selvatico. Con lui il falco si trova molto bene, sarà per la sua andatura o altri motivi difficili da individuare, ma pare proprio che l’intesa fra i due sia di vecchia data.

Il Setter irlandese e il Gordon, pur avendo le buone caratteristiche dell’inglese, hanno lo svantaggio di essere poco visibili dall’alto per la colorazione scura del mantello.
Un cane, il Setter, che con l’addestramento prima e la passione innata poi, diventa un ottimo, anzi il miglior cane per la falconeria d’alto volo.

 

Amedeo Arpa

Addestramento di harris e astori alla fionda

falco di harrisPuò sembrare strano e anche poco serio utilizzare la fionda da bigattini per addestrare un falco, ma secondo me è un metodo da tenere in considerazione.

Ho incominciato ad usare questo metodo circa 5 anni fa quando la provincia mi affidò un nibbio da reintrodurre. Infatti, come molti sanno, il nibbio è un falco estremamente volatore ed è agilissimo.

Quando lo liberavo lui incominciava a salire ad ali ferme e non si posava quasi mai, allora incominciai a lanciargli prima a mano poi in seguito con la fionda dei pezzettini di carne e lui per poterli prendere era costretto ed effettuare delle manovre incredibili e di conseguenza a muovere le ali. Dopo qualche giorno di questo training aveva acquisito una tale abilità nel legare al volo che i suoi successi erano quasi del cento per cento.

Dall’anno scorso ho voluto applicare questa tecnica ad un maschio di  falco di harris, e devo dire che adesso ha acquisito anche lui una buona tecnica, ovviamente non in attesa in volo come il nibbio ma partendo da un posatoio.

E’ sempre un grosso problema muscolare bene i falchi da basso volo, infatti oltre a volarli al pugno ripetutamente o chiamarli al logoro, non esistono altri sistemi come per l’alto volo, ed è comunque fondamentale come per l’alto volo la forma fisica per la caccia.

Con questo sistema invece si può far muscolare bene il falco abituandolo inoltre a legare al volo. Oltre a questi vantaggi, il falco, si abitua anche a sostare su posatoi alti, cosa importantissima per la caccia, infatti sembra incredibile ma all’inizio dell’addestramento partiva da posatoi medio alti (alberi di pochi metri) adesso invece tende ad andare sulle cime più alte che gli favoriscono la visuale e le picchiate.

E’ molto importante lanciare i pezzettini non direttamente sotto il falco in attesa perché lanciandosi in picchiata verticale,senza pompare con le ali, secondo me acquisisce meno velocità rispetto ad una picchiata obliqua pompando al massimo.. Cambiare comunque angolazione ad ogni tiro è consigliabile per evitare che si abitui alle traiettorie. E’ altresì importante che ci sia erba alta sotto perché, qualora sbagliasse la presa non si abitui ad aspettare che il cibo cada a terra, infatti se al disotto ci fosse erba bassa lui vedrebbe il cibo dove cade.

Un’altra regola fondamentale da rispettare è di non stancare troppo il falco, con questo tipo di addestramento il falco tende ad affaticarsi in fretta, di conseguenza quando incomincia a tenere il becco aperto bisogna interrompere l’esercizio. Ho notato infatti che se è stanco guarda il pezzettino cadere e dopo con calma scende a cercarlo a piedi.

Penso che tale tecnica possa essere provata anche con altri tipi di falchi e non solo da basso volo. Applicata ai falconi, penso, potrebbe essere valida per abituarli a tenere a monte. Questa stagione proverò e vi saprò dire.

Saluti a tutti

Paolo Caprioglio

QUI DUBAI, E’ ITALIANO L’UOMO CHE CURA I FALCHI DEL SULTANO

Il falco vola alto in cerca della preda da catturare con un colpo di artiglio, mentre il suo falconiere lo attende trepidante. Potrebbe essere una scena tratta dal basso medio evo italiano, mentre invece è un momento quotidiano della vita sportiva di Dubai. Qui la caccia con il falco ha più tifosi e appassionati della nazionale di calcio e tra loro c’è l’intera famiglia reale. Una passione vera e sanguigna, condivisa dallo Sceicco H.H. Hamdan Bin Rashid Al Maktoum a tal punto da fargli aprire un ospedale pubblico gratuito per i rapaci: il Dubai Falcon Hospital.

E’ un efficiente nosocomio dotato delle più moderne attrezzature che tra le molte perle ne annovera una veramente speciale per noi di Qui Italia: il direttore sanitario. E’ il Dottor Antonio Di Somma quarantasettenne veterinario di Napoli che, lasciata la clinica di proprietà, ha affrontato una avventura che definire inusuale è poco.

“Ho trovato questo lavoro su internet, in una mailing list per falconieri e mi sono subito lanciato. – come un falco ci verrebbe da dire – Ho deciso senza tentennamenti e pensare che il giorno della mia partenza è coinciso con quello dell’attacco americano all’Afghanistan. Ora sono pienamente soddisfatto della mia scelta, mi trovo bene e i rapporti sono ottimi”.

Lo incontriamo nell’ospedale mentre sta visitando un falco insieme ad un altro veterinario italiano specializzando, la Dottoressa Garlinzoni.

La pulizia e le dotazioni mediche farebbero invidia a più di qualche struttura italiana dedicata agli esseri umani. In ambienti dove l’aria è perennemente condizionata a temperatura stabile, una dietro l’altra si susseguono, infatti, una sala operatoria, una di radiologia, tre di terapia intensiva, dodici di degenza (di cui quattro in sabbia e otto con superficie solida) e una per la muta. Senza dimenticare, poi, il gabinetto di microbiologia molecolare, un intero reparto di quarantena e le tante grandi gabbie d’accoglienza all’aperto, dove la sabbia viene cambiata una volta l’anno. Ma non basta, sta per essere realizzata una speciale camera di muta all’aperto, la prima al mondo dotata di vetri che facciano passare la luce ma non il caldo, con aria condizionata regolata da sensori termici; il tutto per un solo falco.

“L’importante sono le performance del falco, per assurdo la cura delle malattie va in secondo piano – ci dice sorridendo Di Somma – è come avere a che fare con dei centometristi, le cui prestazioni vengono misurate con il cronometro. Molte volte la cosa più difficile non è comprendere i problemi del rapace ma fare accettare al falconiere professionista che l’addestramento è sbagliato. Per dialogare con loro abbiamo imparato delle parole arabe, ma abbiamo il traduttore per le “situazioni difficili”.

Già, perché se il falconiere parla, magari in arabo, il rapace invece sta zitto e allora come si fa a comprendere le eventuali magagne? “ In primis c’è l’esperienza (il famoso occhio clinico ndr) qui effettuiamo visite a circa 780 falchi l’anno a queste poi vanno sommate quelle di controllo, che vengono svolte ogni 10 giorni durante la stagione di caccia (settembre/gennaio). Poi ci sono le analisi cliniche.

Molte sono le endoscopie per diagnosi di aspergillosi (un fungo pericoloso che porta alla morte il volatile), quelle per la chlamidiosi (malattia provocata da un batterio delle vie respiratorie); non mancano inoltre le indagini parassitarie nell’intestino e quelle funginee. Per finire, c’è il controllo del peso, della pianta dei piedi e ovviamente delle piume. Il checkup completo prevede l’analisi del sangue e le lastre toraciche”.

Altro che sistema sanitario italiano, viene da pensare. Non sempre, comunque, bisogna scoprire patologie occulte, alcune volte vanno affrontati anche casi d’urgenza. “Di interventi chirurgici ne facevo molti di più in Italia, per fortuna. Spesso mi trovo a risolvere problemi d’ala e in questo caso procedo alla sostituzione”. Sostituzione? “Se un’ala si rompe ne innestiamo una nuova, conservata da una muta precedente. E’ come un trapianto di capelli, dura due ore e richiede una anestesia gassosa. E’ un lavoro che svolge con competenza il mio tecnico di chirurgia Hamed, che opera con l’ausilio di altri tre tecnici aggiunti”.

Premesso che un falco può costare da 120 mila lire fino ad oltre 70 milioni e che una volta lanciato può accadere che nel tornare sbagli falconiere, come si fa a riconoscerlo? “La tecnologia ci aiuta molto, ogni falco ha un microchip impiantato nel petto con una iniezione che lo rende distinguibile al passaggio di una apparecchiatura di rilevazione”.

In breve, si tratta di una specie di ferro da stiro dotato di un led alfanumerico capace di legge i numeri di serie trasmessi dal microchip, che poi vanno confrontati con quelli di una banca dati mondiale.

Il Dottor Antonio di Somma non solo è un affermato professionista, ma è anche un appassionato falconiere al quale carpire i segreti di questo antico sport. “Precisiamo: è un’arte che ha radici millenarie, praticata da 2000 anni prima di Cristo. Una pietra miliare in proposito è il libro di Federico Secondo di Svevia “De arte venandi cum avibus”. Il falco per prima cosa deve essere ammansito e poi abituato alla presenza del falconiere, non lo si addomestica e non è possibile insegnargli la “dominanza” del capo branco. E’ un animale solitario, si basa tutto sullo stimolo della fame e con lui l’unica leva è il mangiare. Al falco vanno fatte piccole cortesie, gli va dato un boccone minuto e poi gli va tolta la preda. Ma attenzione, il rapace deve sempre rimanere “selvatico”, poiché se avviene l’imprinting può divenire molto pericoloso perché, in questo caso, perde il rispetto riconoscendo l’uomo come un simile e non mantenendo la distanza di sicurezza”.

Insomma non è semplice addestralo, l’unica cosa da fare ci sembra mettergli il cappuccio sulla testa per tenerlo tranquillo, un piccolo trucco che funziona dato che è un rapace diurno. Ma anche questa “semplice” operazione ci appare assai difficoltosa. Non resta che osservare la padronanza dello staff del Dottor Di Somma nel maneggiare i volatili; un lavoro che fluisce tranquillo ma che, curiosamente, viene improvvisamente interrotto dall’arrivo di tre criceti e di un cagnolino. C’è un po’ di eccitazione, tutti si avvicinano e scrutano con curiosità i nuovi arrivati; il primario sorride e ci dice: “E’ sempre così, qui gli animali domestici non sono diffusi e quando ci vengono portati in ospedale avviene lo stesso che in Italia accadrebbe all’arrivo di un coccodrillo in astanteria. Ma non c’è problema nel curarli.” Che dire? Paese che vai, usanze che trovi.