La novella del Falcone (Dal Decameron )

Giovanni Boccaccio: il Decamerone
(giornata V, novella 9).

LA NOVELLA DEL FALCONE (Dal Decameron )

decameroneViveva una volta a Firenze un giovane nobile e ricco che si chiamava Federigo degli Alberighi. Federigo era una brava persona, e di carattere molto gentile.

Un giorno Federigo è andato ad un banchetto dove c’erano persone della sua età e della sua condizione. Durante il banchetto ha incontrato una donna bellissima, Giovanna, e si è innamorato subito di lei. Da quel giorno Federigo pensava solo a Giovanna e al modo di potere conquistare la sua attenzione.

Per attirare l’attenzione della bella donna Federico ha cominciato a dare ricevimenti e a organizzare giostre. Ma Giovanna,  che era sposata, non ha voluto mai restituire le cortesie dell’innamorato.  Federigo continuava a farle la corte, finché ha speso tutti i soldi che aveva. E’ diventato così povero che non poteva più vivere nella città di Firenze ed è dovuto andare ad abitare in una piccola casa in campagna. Viveva così molto poveramente, e mangiava la selvaggina che riusciva a prendere con l’aiuto di un falcone.

Un giorno il marito di Giovanna è morto e la bella donna è rimasta vedova. Giovanna pensava di dedicare tutta la sua vita e tutto il suo affetto all’educazione del suo unico figlio. La madre e il figlio andavano sempre a passare l’estate in una villa che avevano in campagna. Per caso questa villa era situata proprio vicino alla casa dove abitava Federigo. Il figlio di Giovanna così ha conosciuto Federigo e andava spesso a caccia con lui. Al ragazzo piaceva molto il bellissimo falcone che aveva Federigo  e voleva chiedergli in regalo il falcone,  ma era troppo timido.

Un brutto giorno il ragazzo si è ammalato gravemente. Una madre vuole fare di tutto per confortare il figlio. Così Giovanna gli ha chiesto:

“Figlio mio, desideri qualcosa?”

E il giovane ha risposto: “C’è una cosa sola che può farmi piacere: il falcone di Federigo.”

Giovanna è rimasta un po’ a pensare e poi ha deciso di andare personalmente da Federigo a chiedere in regalo il falcone per il figlio malato. Molti anni erano passati da quando lei aveva rifiutato così severamente l’amore di Federigo.

All’inizio, Federigo era molto sorpreso di vedere Giovanna, poi pensava che quello era davvero il momento buono per mostrare alla donna che l’antico amore non era ancora morto. L’ha pregata di rimanere a pranzo con lui. Giovanna ha accettato,  e sperava di trovare durante il pranzo il momento giusto per fare la sua richiesta.

Il pranzo era molto povero. Non c’era sulla tavola che un uccello dalla carne molto dura. Alla fine del pranzo Giovanna ha voluto confessare a Federigo il vero motivo della sua visita. Quando però è arrivata a chiedere il falcone per il figlio malato, Federigo è diventato bianco e ha risposto: “Giovanna, io ti ho sempre amata e ti amo anche adesso. Per invitarti a pranzo ho dovuto uccidere il mio falcone.  Tu lo hai mangiato ora, qui, con me.”

Il figlio di Giovanna è morto poche settimane dopo. Solo allora la madre, che con la morte del figlio era rimasta completamente sola, ha accettato finalmente il tenace amore di Federigo e l’ha sposato.

Il Falco pellegrino e il DDT

uova falco pellegrino rotte

DATI STORICI E RECENTI

testaritagliataIl Pellegrino (Falco peregrinus) è una specie a distribuzione cosmopolita. Le massime densità si rinvengono in Spagna, Gran Bretagna, isole del Mare di Bering e in alcune zone dell’Australia. Storicamente ha sempre dimostrato grande stabilità demografica. Nelle Isole Britanniche, di cui si dispone ampia documentazione, la popolazione nidificante si è mantenuta attorno alle 800 coppie dai tempi della Regina Elisabetta I alla Seconda Guerra Mondiale. Alcuni siti sono rimasti addirittura occupati per l’intero periodo.

Prima del 1940 era presente in Nord America con una popolazione minima di 7000 coppie per la maggior parte localizzate in Alaska e Canada settentrionale e in Europa con circa 8000, con le popolazioni più rappresentative in Scandinavia, Spagna, Gran Bretagna e Francia. Nell’immediato secondo dopoguerra iniziò un sensibile declino e all’inizio degli anni ’70, momento del minimo storico, furono stimate soltanto alcune centinaia di coppie in Nord America e meno di un migliaio in Europa. La situazione per le restanti parti dell’areale non è ben documentata.

Attualmente la popolazione mondiale è complessivamente in aumento. Alla fine degli anni ’80 era già presente in Nord America con 1200 coppie e in Europa con oltre 4000. Mentre in alcuni Paesi ha ormai completamente recuperato o addirittura superato i livelli pre-bellici (Gran Bretagna e Svizzera), in altre aree la ripresa è considerevolmente più lenta (Nord Europa).

Cause del declino. All’inizio degli anni ’60, in Europa e Nord America ebbero inizio specifiche ricerche per il controllo dei siti storici di Pellegrino. Ovunque risultò evidente un rilevante declino delle popolazioni indagate. Nella parte orientale degli Stati Uniti, dove nidificavano oltre 300 coppie prima del 1940, non fu trovato un solo nido attivo. I risultati portarono alla conclusione che la specie si era praticamente estinta al di sotto della fascia della foresta boreale ad est del Mississippi. In Europa, la popolazione fenno-scandinava passò da oltre 2000 coppie prima del 1950 a poche decina di coppie nel 1975. Altre popolazioni scomparvero completamente, come quella di oltre 500 coppie nidificante su albero che andava dalla Germania agli Stati Baltici. Per alcuni anni ci si domandò che cosa potesse aver causato un simile collasso su vasta area.

Nel tempo divenne sempre più evidente che i pesticidi organoclorici erano stati la causa del crollo delle popolazioni alla scala globale. Il DDT cominciò ad essere utilizzato come insetticida nel 1945 e diventò in pochi anni la sostanza maggiormente impiegata a tale scopo nel mondo. La scelta derivò dal suo ampio spettro d’azione. Agendo sia contro gli insetti responsabili delle patologie vegetali, sia contro quelli dannosi alla salute umana, trovò largo impiego oltre che come fitofarmaco in campo agricolo, anche come mezzo per combattere particolari malattie veicolate da insetti come la malaria. Inoltre, poiché sostanza chimicamente stabile, i suoi effetti risultarono sorprendentemente persistenti nel tempo. All’inizio, tutto questo si dimostrò apparentemente vantaggioso.

Studi successivi dimostrarono che il DDT sparso nell’ambiente stazionava per lungo tempo sulla vegetazione e veniva ingerito dai consumatori primari con la biomassa vegetale. In quanto sostanza liposolubile (non solubile nell’acqua), non veniva escreto, ma progressivamente accumulato. Alimentandosi di uccelli contaminati, il Pellegrino andò velocemente incontro al fenomeno del bioaccumulo. I danni maggiori cominciarono così a manifestarsi non tanto nelle specie dei livelli trofici inferiori nei cui tessuti difficilmente si potevano raggiungere quantità tossiche, ma piuttosto nei predatori, per assunzione progressiva di quantità concentrate.

Si scoprì che la concentrazione di DDT nei tessuti del Pellegrino poteva causare la morte diretta dell’animale per avvelenamento acuto se presente al di sopra di una certa
soglia, oppure il danneggiamento dell’apparato riproduttivo nelle femmine. In questo caso, o veniva del tutto impedita la deposizione, o venivano deposte uova con guscio di spessore inferiore alla norma per carenza di calcio, tali da fratturarsi durante l’incubazione. Fu scoperto anche che le popolazioni dell’Alaska e del Canada settentrionale assumevano i pesticidi durante il periodo dello svernamento in America Latina, dimostrando che il DDT poteva essere facilmente veicolato lungo la catena alimentare da un emisfero all’altro.

Mentre in Nord America il DDT fu la sostanza ritenuta maggiormente responsabile dei danni all’ecosistema, in Europa l’Aldrin e il Dieldrin vennero considerati addirittura più tossici. Tali insetticidi, introdotti a metà degli anni ‘50 e utilizzati soprattutto per disinfestare le sementi, si resero responsabili di un gran numero di decessi per avvelenamento diretto. Infatti, poco dopo il loro utilizzo furono notati sensibili decrementi in molte popolazioni di rapaci, mentre l’applicazione di norme più restrittive dopo circa un decennio, segnò la ripresa di quasi tutte le specie fino a quel momento compromesse, in particolare Pellegrino e Sparviere (Accipiter nisus).

Oggi il Pellegrino è considerato la specie-chiave di ogni habitat. Trovandosi al vertice della piramide alimentare costituisce il punto focale del passaggio dell’energia attraverso la comunità, dimostrandosi per questo particolarmente sensibile alle variazioni delle componenti inorganiche e biotiche dell’intero ecosistema.

La fase di recupero. All’inizio degli anni ’70, il futuro del Pellegrino sembrava segnato. Nonostante il DDT fosse già stato bandito in Canada, negli Stati Uniti e nella maggior parte dei paesi industrializzati d’Europa, l’ambiente era rimasto comunque contaminato e le popolazioni di Pellegrino avevano raggiunto valori di densità estremamente bassi. Inoltre, una buona parte degli individui sopravissuti risultava completamente sterile.

Verso la fine del decennio qualcosa cominciò a cambiare. Nel 1977, in Nord America, un Pellegrino rilasciato si accoppiò e si riprodusse con successo. Da allora ad oggi in America settentrionale sono stati reintrodotti circa 4000 Pellegrini, 600 solamente nella provincia dell’Ontario, in Canada. Un numero considerevolmente più basso fu rilasciato anche in alcune grandi città della Germania e negli anni, un po’ ovunque, alcuni individui iniziarono a riprodursi aiutando localmente le popolazioni superstiti ad uscire dalla crisi. Nella parte orientale degli Stati Uniti è risaputo che tutti i Pellegrini oggi nidificanti derivano da individui provenienti dalla cattività. Nel 1981, la popolazione della Gran Bretagna aveva già quasi raggiunto i livelli storici.

IL PELLEGRINO E L’UOMO
peregrine-falconL’uomo è interessato al Pellegrino da circa 3000 anni. Testimonianze storiche dimostrano che la specie era tenuta in alta considerazione in molte culture antiche. In Europa, l’interesse verso il Pellegrino divenne prioritario in epoca medievale con il diffondersi della pratica della falconeria. La specie era considerata in quel periodo uno status-symbol e veniva utilizzata solamente dalle classi nobili. L’inversione di tendenza si verificò circa un paio di secoli fa, quando tutti i rapaci iniziarono ad essere sistematicamente perseguitati.

L’abbattimento diretto è stata certamente una delle principali cause della rarefazione dei rapaci. Dal 1700 in Europa e Nord America iniziò la persecuzione deliberata di tutti i predatori indistintamente con lo scopo prioritario di salvaguardare gli stock di selvaggina. A metà del 1800 l’attività si fece più sistematica e specie ampiamente distribuite come l’Aquila di mare (Haliaëtus albicilla) e il Falco pescatore (Pandion haliaëtus) erano già state eliminate dalle Isole Britanniche nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale. Ancora alla fine degli anni ’60, in Unione Sovietica, venivano uccisi 120000 rapaci ogni anno.

Negli ultimi vent’anni il quadro giuridico è sostanzialmente
cambiato e i rapaci godano ora piena protezione legale nella maggior parte degli stati del mondo. Nonostante tutto, così come ribadito nella III Conferenza Mondiale sugli Uccelli da Preda (Eilat, 1987), gli abbattimenti illegali avvengono ancora con una certa frequenza in Francia e in tutti i paesi dell’Europa mediterranea, Italia compresa. Il giusto consenso potrà essere raggiunto solamente attraverso opportune campagne di informazione indirizzate verso le categorie sociali più coinvolte.

Un altro fattore limitante, in particolare in Europa e Asia, è stata l’incessante richiesta di spoglie e uova per tassidermia e collezionismo, soprattutto nei confronti delle specie più rare. Significativo è l’aneddoto riferito a William Dunbar, famoso collezionista di uova dei primi del 900, che per alcuni anni saccheggiò ripetutamente uno degli ultimi nidi di Falco pescatore scalando di notte le mura del vecchio castello in rovina sul Loch an Eilen nello Speyside, in Scozia.

Il nostro impegno nel mondo moderno.

E’ da circa vent’anni che l’uomo sta aiutando il Pellegrino. Il monitoraggio delle sue popolazioni, lo studio degli effetti dei pesticidi sugli individui, l’allevamento in cattività e la reintroduzione, l’adozione di un quadro legislativo internazionale, rappresentano gli sforzi congiunti di un’unica strategia di conservazione. E’ ammissibile che qualcuno si chieda se tutto questo abbia un senso, considerando che il tasso di estinzione globale sembra essere attualmente di 27000 specie/anno, molte delle quali perdute ancora prima di essere scoperte! Verrebbe da dire che la pulsione sia soprattutto emozionale o estetica. Se anche fosse, il vero problema è un altro.

Il vero problema è che siamo quasi 6 miliardi nel mondo. A partire da 10000 anni fa, momento in cui non esistevano più di 5 milioni di esseri umani, con l’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento, l’Homo sapiens si è svincolato con successo dagli ecosistemi locali sottraendosi ai fattori di controllo che regolano la dimensione delle popolazioni di tutte le altre specie sulla Terra. Ha dimostrato le massime capacità di adattamento trasformando consapevolmente l’ambiente in un substrato idoneo a se stesso. Tutto questo grazie ad una strategia di sopravvivenza impostata sulla trasmissione di cultura.

Gli ecosistemi locali sono comunque sistemi aperti, singole componenti integrate di un sistema globale dove il riciclo della materia e il trasferimento dell’energia dipendono da leggi fisiche e biologiche sperimentate dall’evoluzione da più di 3 miliardi di anni. Queste sono le regole della natura alle quali neppure l’uomo può sfuggire. Si sta così pensando ad una pianificazione dei beni e dei servizi improntata sul concetto di sviluppo sostenibile.

Ma cosa vuole dire sviluppo sostenibile? Se un cittadino medio di una nazione economicamente evoluta inserito in una struttura consumistica e produttiva, in termini di impatto ecologico, costa trenta volte di più di un abitante del Bangladesh o di un qualsiasi altro paese del Terzo Mondo, allora sviluppo sostenibile significa commisurato sfruttamento delle risorse biologiche, rinnovabili e limitate, in un contesto sociale di controllo delle nascite ed equa distribuzione della qualità della vita. Questo è l’obiettivo che dovrebbe prefiggersi l’uomo moderno, in un momento in cui il suo futuro non è affatto prevedibile.

A fronte dell’incertezza del futuro, pensare alla conservazione del falco Pellegrino sembra persino ridicolo. Se il Pellegrino potesse però servire come stimolo per una pausa di riflessione (come già accadde nel caso del DDT), per l’accettazione di un modello di vita con meno sprechi ed eccessi, per la rinuncia intenzionale al profitto esclusivo, per un qualche sacrificio in più a vantaggio di un benessere collettivo, allora lo sforzo di voler salvare un falco a tutti i costi non sarebbe stato vano… Noi vogliamo credere che sia così!

Riproduzione in cattività dei Rapaci

Tecniche per la riproduzione in cattività dei Rapaci

By Paolo Taranto

INTRODUZIONE

 

Il termine “rapacicoltura” è stato coniato per indicare tutto l’insieme delle tecniche atte all’ allevamento ed alla riproduzione in cattività delle specie appartenenti a due particolari ordini della classe degli Uccelli: Falconiformi e Strigiformi, che vengono appunto comunemente identificati come rapaci (“raptors”) in funzione delle loro particolari abitudini alimentari. L’evoluzione ha fornito questo gruppo di uccelli delle “attrezzature” necessarie (potenti ed affilati artigli e becchi) ad effettuare una caccia attiva ( e non solo, per esempio gli avvoltoi) ad altri Vertebrati (Anfibi, Rettili, Uccelli, Mammiferi) e  grossi Invertebrati ( Insetti, Anellidi ecc.), e proprio questi adattamenti  nutrizionali pongono i rapaci in cima alle catene alimentari nei vari ecosistemi terrestri. A causa di questa loro particolare posizione di vertice i rapaci sono estremamente sensibili al disturbo ambientale provocato dalla specie umana. Molte delle specie appartenenti ai tre ordini suddetti sono oggi in pericolo di estinzione e la rapacicoltura è, assieme alle tecniche veterinarie, alla riabilitazione, alla falconeria e all’ ornitologia applicata, uno dei principali strumenti per il management e la protezione delle popolazioni selvatiche.

Elenco di alcune specie appartenenti a ciascuno dei tre ordini:

ACCIPITRIFORMI

STRIGIFORMI

Poiana comune

Civetta

Nibbio reale

Gufo reale

Sparviere

Gufo virginiano

Aquila reale

Gufo comune

Aquila del Bonelli

Allocco

Albanella pallida

Assiolo

Falco pellegrino

Civetta delle nevi

Gheppio

Barbagianni

 

I primi sforzi di riprodurre in cattività gli uccelli da preda, e quindi la data di nascita della rapacicoltura, possono essere fatti risalire ai primi anni quaranta ad opera di falconieri ed allevatori privati che ottennero i primi consistenti ed incoraggianti risultati con il Gheppio europeo (Falco tinnunculus) e con il Gheppio americano (Falco sparverius), oggi le specie di uccelli da preda più facili da riprodurre in cattività. In particolare la prima nascita di un Falco pellegrino (Falco peregrinus peregrinus) allo stato captivo si ebbe nel 1942 in Germania e fu seguita da successive nascite nel 1967 in Germania ed in Inghilterra. A partire dai primi anni settanta un po’ in tutto il mondo si assistette alla nascita di centri di recupero rapaci, centri di studio e ricerca oltre che di riproduzione in cattività e si ebbe un incremento di interesse da parte di ornitologi e naturalisti alla protezione degli uccelli da preda; ciò anche in seguito alla presa di coscienza dell’immane danno arrecato dai composti organoclorinici (DDT) alle popolazioni selvatiche. Nel 1982 già 17 specie di Falconiformi e numerose altre specie di Accipitriformi e di Strigiformi venivano riprodotte in cattività con soddisfacenti risultati.

 

Oggi la situazione è notevolmente migliorata e le tecniche e le attrezzature avanzate di cui dispone la rapacicoltura consentono l’ottenimento di eccellenti risultati. In tutto il globo fioriscono i centri di recupero, di studio, e di riproduzione in cattività oltre che le manifestazioni e le dimostrazioni di volo per la sensibilizzazione del pubblico (anch’essa un importante strumento di management). In cima alla classifica ci sono il Nord America ( con il Peregrine Fund, la Raptor Research Fundation, il Birds of Prey Center dell’università del Minnesota, la North American Falconer’s Association, il Canadian Wildlife Research Center ecc.), l’Inghilterra ( con il National Birds of Prey Center, il Welsh Hawking Center, il British Falconer’s Club, ecc.) e la Germania. Mentre la situazione italiana non è delle migliori: pochi centri di ricerca e di riproduzione in cattività, pochi sforzi, pochi allevatori e riproduttori privati. Ma io sono del parere che, anche grazie a queste pagine e con una adeguata divulgazione, si possa dare un input a tutti gli  ornicultori e falconieri italiani a diventare degli esperti rapacicultori.

 

GESTIONE DI UN PROGETTO DI RIPRODUZIONE IN CATTIVITÀ

Come tutte le discipline orniculturistiche, anche le tecniche utilizzate nella rapacicultura seguono il classico schema organizzativo, in base alla specie in questione, di seguito illustrato:

-ALLOGGI (HOUSING): locali di allevamento, pertiche, nidi, mangiatoie, ambiente, clima ecc.

-ALIMENTAZIONE (FEEDING): tipi, qualità e quantità dei cibi.

-RIPRODUZIONE (BREEDING): tecniche di propagazione, scelta dei riproduttori, uova, cova, allevamento dei pulcini, ecc.

-GESTIONE GENERALE E MANAGEMENT PERIODICO (GENERAL HUSBANDRY): igiene, aspetti veterinari, tecniche specifiche di addestramento, riabilitazione, selezione genetica ecc.

Quelli sopra elencati sono i principali punti da considerare quando si vuole gestire un programma di allevamento e riproduzione in cattività di una qualsiasi specie animale.

Ma prima di procedere ritengo sia opportuno chiarire altri due importanti concetti, spesso sottovalutati e trascurati: si tratta del concetto di “tipo” di allevamento (cioè obiettivo che si vuole raggiungere) e “tipologia” di animale allevato (nel nostro caso di rapace).

Infatti, se è razionale dire che le tecniche e le attrezzature da utilizzare per l’allevamento e la riproduzione in cattività variano da specie a specie (se non addirittura da una sottospecie ad un’ altra o da un ceppo ad un altro) e ciò è noto alla maggior parte degli allevatori (per i canarini useremo alloggi, cibi, tecniche propagative e di gestione diverse da quelle usate per i pappagallini ondulati), meno considerato invece è il fatto che tali tecniche varieranno anche in funzione sia del “tipo” di allevamento, sia della “tipologia” di animale allevato. Allora, anche nel caso della rapacicoltura, sarà necessario elencare quali “tipi” di allevamento si possono praticare e quali “tipologie”possono essere classificate all’interno della stessa specie di rapace.

Per quanto concerne la classificazione degli allevamenti si ha:

1) ALLEVAMENTO A SCOPO DI REINTRODUZIONE IN NATURA:

Raggruppa le tecniche usate al fine di gestire, prima della eventuale successiva reintroduzione in natura, i rapaci  feriti o traumatizzati (in maniera reversibile o irreversibile), pervenuti ai centri di recupero, o al fine di portare avanti programmi di ripopolamento con rapaci nati da ceppi in cattività. Nel primo caso   non verranno utilizzate tecniche di propagazione, ma nel secondo caso si tenterà di ottenere le  maggiori performance riproduttive, mentre nei casi intermedi si manterranno livelli di produzione medi (allevamenti a scopo conservativo: banche genetiche). In ogni caso però si cercherà di mantenere il pool genico ed il comportamento originari (cioè selvatici) dei rapaci in questione. A tale scopo  si useranno alloggi estremamente spaziosi, isolati dalle attività umane e che riproducano nel modo migliore possibile l’habitat e la nicchia ecologica naturale della specie in questione, in modo da metterla più a suo agio. Mentre per quanto riguarda gli uccelli, di  qualsiasi specie essi siano, è importante che il loro genoma (e quindi il loro adattamento genetico) sia e rimanga puro, cioè essi dovranno provenire direttamente dalla vita selvatica  o dalla vita in cattività purché da poche generazioni.

 

2) ALLEVAMENTO  PER FALCONERIA:

Può includere tecniche altamente riproduttive (nel caso di allevamenti a scopi economici o con obiettivi di selezione artificiale di ceppi particolarmente adatti alla caccia), tecniche mediamente riproduttive (nel caso in cui l’allevatore vuole avere una scorta di rapaci o vuole recuperare le spese), oppure non includere obiettivi propagativi. In generale comunque si ha a che fare con rapaci addestrati e/o imprintati e dunque abituati alla presenza dell’uomo ed alle sue attività. Gli alloggi allora saranno di piccole dimensioni (anche solo pertiche o blocchi da falconeria) e l’alimentazione sarà quella necessaria a mantenere i rapaci nelle perfette condizioni di fitness e peso di volo. Gli uccelli da usare saranno di provenienza prettamente domestica (nati in cattività da un certo numero di generazioni)

 

3) ALLEVAMENTI CON OBIETTIVI VARI:

Comprendono l’allevamento hobbistico, quello a scopo di studi biologici e ornitologici e l’allevamento con obiettivi di sensibilizzazione del pubblico (dimostrazioni di falconeria, giardini zoologici, percorsi didattici ecc.). Sono raggruppati insieme perché hanno in comune le tecniche utilizzate, che saranno infatti intermedie tra quelle del tipo 1 e quelle del tipo 2, le quali costituiscono i due estremi. Gli alloggi saranno proporzionali alle esigenze della specie in questione, così come le tecniche alimentari. Diverse saranno invece le tecniche di management generale e la tipologia del rapace da usare in funzione delle varie esigenze.

 

Per quanto riguarda la “tipologia” di rapace, partiamo da un esempio che ci farà riflettere: quanto saranno diverse le tecniche di allevamento nel caso di un Falco peregrinus peregrinus nato in cattività da 12 generazioni, imprintato sull’uomo ed addestrato, di un pellegrino della stessa sottospecie, ma prelevato ancora allo stadio di uovo da un nido in natura ed allevato in cattività da genitori adottivi della sua stessa specie senza nessun contatto con l’uomo, e di un pellegrino anch’esso della stessa sottospecie ma traumatizzato permanentemente ad un’ala dell’età di 3 anni,  tutti allevati per un programma di studio biologico con obiettivo di riproduzione di medio livello? Per rispondere a questa domanda bisogna considerare i seguenti fattori:

 

A)Provenienza dalla vita selvatica o domestica (wild type o captive type): ha influenza soprattutto sull’adattamento genetico (a lungo termine ed ereditabile) dell’animale alla vita selvatica o  a quella domestica (importante è in tal caso il numero di generazioni nate in cattività da cui proviene l’animale, poiché esso influenza a lungo termine i geni e di conseguenza l’adattamento alla vita in cattività). Rapaci nati in cattività vi vivranno meglio senza stressarsi (si sa che lo stress da adrenalina inibisce la produzione degli ormoni sessuali, fondamentali per la riproduzione) e forniranno perciò delle performances riproduttive migliori (anche perché sono imprintati sull’ambiente e la vita domestica).

 

B)Età: influenza il maggiore o minore adattamento (a breve termine) alla vita domestica, ed è importante soprattutto se il rapace proviene dalla vita selvatica. I giovani sono più sensibili e apprendono più in fretta, dunque adattandosi meglio a nuovi ambienti e modi di vita.

C)Addestramento e/o imprinting: influenza il rapporto con l’allevatore, con l’ambiente, con gli altri esemplari della specie e con la vita in cattività  in maniera più o meno irreversibile ma non ereditaria.

D)Genetica: ha influenza su vari aspetti somatici e/o psicologici (comportamentali) in maniera irreversibile ed ereditaria. Dipende fortemente dalla provenienza dell’animale e dall’eventuale selezione genetica fatta su di esso oltre che dal numero di generazioni nate in cattività da cui esso proviene.

E)Traumi: Ovviamente un rapace non traumatizzato offrirà migliori performances riproduttive in cattività. Questo fattore è fortemente legato all’età ed alla provenienza dell’animale oltre che al suo pool genico (questi rapaci per la maggior parte proverranno dalla vita selvatica e se non rilasciabili cioè irrecuperabili possono essere usati per progetti di conservazione genetica oppure, se riprodotti con le adeguate tecniche, come capostipiti di ceppi in cattività idonei a progetti di reintroduzione).

Traiamo ora delle conclusioni:

–  Bisogna ricordare che deve essere considerato prima il “tipo” (e dunque lo scopo) dell’allevamento  e, in funzione di esso, la “tipologia” di rapace da utilizzare, e non viceversa.

– La classificazione dei tipi di allevamento serve anche a rispondere alla domanda: perché viene praticata e perché è così importante la rapacicoltura?

– La rapacicoltura può essere considerata come un’altra branca dell’ornicoltura sportiva (alla stregua della canaricoltura): in fondo non è così impegnativa come molti pensano, e basta avere le tecniche necessarie ed allevare la giusta “tipologia” e la giusta specie di rapace; indubbiamente l’allevamento di una coppia di aquile reali sarà molto complesso anche per i rapacicultori più esperti, ma l’allevamento di una coppia di Gheppi americani (Falco sparverius) o di Barbagianni (Tyto alba) nati in cattività da molte generazioni (e dunque ben adattati alla vita domestica) sarà  poco impegnativo, molto redditizio  e soprattutto piacevole oltre che utile (a questo proposito mi piace citare una frase di Tom Cade: “Con la riproduzione in cattività dei rapaci, nessuna specie di falcone deve ormai estinguersi”).

– Bisogna infine ricordare che, se il falconiere è obbligatoriamente anche un rapacicultore, non  varrà l’inverso (senza nulla togliere alla falconeria).

Prima di continuare mi preme ricordare che oggi in Italia e praticamente in quasi tutti i paesi del mondo è vietata la cattura dei rapaci selvatici e potranno essere allevati in cattività solo esemplari a loro volta nati in cattività da almeno 2 generazioni. Se avete serie intenzioni di dedicarvi alla rapacicoltura amatoriale, dunque, abbiate cura di acquistare da allevatori referenziati e seri gli esemplari nati in cattività. Oltre che illegale e dannosa, la cattura di rapaci selvatici servirà a ben poco per la riproduzione in cattività, perché, in base a quanto detto prima, questi esemplari si adatteranno scarsamente alla vita in cattività e difficilmente potranno riprodursi spontaneamente. Gli esempi che avete letto sopra su rapaci selvatici in cattività si riferiscono a tecniche non praticabili dai privati (programmi di reintroduzione, recupero di esemplari feriti ecc.)

 

GESTIONE DI UN ALLEVAMENTO AMATORIALE

 

Riassumendo quanto precedentemente detto, la combinazione dei fattori relativi agli alloggi, all’alimentazione, alle tecniche di propagazione ed al management generale varia in funzione del “tipo” di allevamento e della “tipologia” di rapace coinvolta, oltre che della sua specie e tipo, tipologia e specie di rapace dipenderanno dagli obiettivi che ci si è prefissi di raggiungere (falconeria, reintroduzione, allevamento amatoriale, ecc.).

Il punto di partenza, quando si intraprende un progetto di allevamento, è  quello di considerare gli obiettivi che si vogliono raggiungere e la specie da allevare; in funzione di essi si adopererà la giusta combinazione delle tecniche di alloggio, di alimentazione, ecc.

Nelle successive pagine verranno illustrate le linee generali da seguire per gestire un allevamento di “tipo” 3 (amatoriale), punto di partenza prima di occuparsi di tipi più complessi (tipo 1). Lo scopo è quello di trasformare i lettori in potenziali rapacicultori e la speranza quella che presto si diffonda anche in Italia un maggiore interesse verso i rapaci e tutto ciò che ad essi è connesso.

CONCETTI DI BASE PER LA GESTIONE DI UN PROGRAMMA DI ALLEVAMENTO

A

Basare tutto il programma sulle proprie possibilità (di tempo, di spazio, di soldi)

B

Individuare il “tipo” di allevamento  a cui ci si vuole dedicare

C

Quindi la “tipologia” del rapace da usare

D

E dunque la specie

E

Preparare le attrezzature (Housing) per iniziare

F

Reperire il/i rapace/i

G

Gestire l’allevamento ( alimentazione, riproduzione, management generale)

 

Poiché abbiamo già detto che in queste pagine ci occuperemo dell’allevamento amatoriale, non è necessario considerare il passo A della precedente tabella. La scelta della “tipologia” di rapace da usare avverrà di conseguenza: per questo tipo di allevamento useremo infatti esemplari già abituati alla vita domestica (perché nati in cattività da numerose generazioni). La scelta della specie e del numero di individui è invece una opzione dell’allevatore: guidata dai suoi gusti ma anche dalle sue disponibilità.

Giunto a questo punto l’allevatore dovrà prepararsi  materialmente a ricevere i soggetti e considerare dunque l’housing (alloggiamento) e tutte le attrezzature necessarie per iniziare.

 

HOUSING

 

In linea generale: se non si intende procedere alla riproduzione e/o si vuole allevare un solo esemplare, sarà sufficiente usare una normale pertica da falconeria; se invece si ha come obiettivo anche la riproduzione, sarà necessario utilizzare una voliera (interna o esterna).

Per quanto riguarda le pertiche, diciamo subito che ne esistono vari modelli, diversi per forme e dimensioni (blocchi, pertiche, piattaforme a muro), ma sceglieremo il modello idoneo in funzione della specie considerata (blocchi per i falconi e pertiche per gli Accipiter, per es.). Si possono reperire presso i fornitori di attrezzature da falconeria, oppure costruirsele  con le proprie mani; in quest’ultimo caso l’unico importante fattore da considerare sarà quello del punto di appoggio del rapace sulla pertica che, per evitare gravi patologie alle zampe (ascessi plantari: bumblefoot), dovrà essere ricoperto con un apposito materiale (erbetta sintetica: Astroturf). Il rapace dovrà stare legato alla pertica per mezzo del classico sistema usato in falconeria: braccialetti, geti, lunga che va ad agganciarsi all’ anellino sulla pertica dotato di girella per evitare gli attorcigliamenti. E’ bene però ricordare che un rapace non può vivere tutta la sua vita legato alla pertica o al blocco. Potremo tenere in pertica solo quei rapaci che avranno ricevuto un addestramento al volo libero e che quindi verranno fatti volare liberi periodicamente (2-3-4 o più volte alla settimana). Del resto è anche inutile e causa di sofferenze tenere un singolo esemplare in una voliera, solo per il piacere di avere un rapace a casa. In conclusione le scelte sono due: o una coppia (da mettere in voliera) o un singolo esemplare ma da addestrare al volo libero, tutte le altre opzioni dovrebbero essere legalmente vietate per evitare inutili sofferenze agli animali.

Fig. 4. Astore addestrato per la falconeria. Si noti la pertica sulla quale viene tenuto che differisce da quelle usate per altri rapaci (vedi figure successive).

Fig. 5. Poiana di Harris (Parabuteo unicinctus) addestrata per la falconeria. Anche in questo caso la pertica sulla quale viene tenuto l’animale è specifica.

Fig. 6. Notare il blocco su cui questo pellegrino addestrato alla caccia viene alloggiato. Questo modello di posatoio viene usato praticamente per tutte le specie del genere Falco. Si noti la copertura con tappetino artificiale

Se abbiamo scelto una coppia, useremo una voliera  e dovremo considerare i seguenti fattori:

Dimensioni: come è facilmente intuibile, in questo tipo di allevamento (amatoriale) le dimensioni minime varieranno solo in funzione della massa corporea della specie allevata.

Come guida si dia un’occhiata alla seguente tabella:

 

SPECIE

DIMENSIONI

Lunghezza

Larghezza

Altezza

GHEPPI AMERICANI, ASSIOLI, CIVETTE, SMERIGLI

2 mt

2 mt

2 mt

BARBAGIANNI,GHEPPI COMUNI, SPARVIERI

3 mt

3 mt

2,4 mt

PELLEGRINI, LANARI, SACRI

3,6 mt

2,4 mt

2,4 mt

POIANE, GUFI REALI,

3 mt

3 mt

3,6 mt

GROSSE AQUILE – AVVOLTOI

9 mt

4,5 mt

4,8 mt

 

Struttura: può essere di vari materiali. Lo scheletro sarà in paletti di legno, metallo, o cemento. Tutta la voliera sarà in parte chiusa con pannelli in legno, metallo o plastica, in parte con rete a maglie metalliche di adatte dimensioni ( si vedano le figure e le foto seguenti).

 

 

Fig. 7. Sezione trasversale schematica della struttura di una voliera per la riproduzione in cattività di piccoli rapaci (Smerigli, Civette, Gheppi comuni e americani, Assioli ecc.)

Le dimensioni sono 2mt x 2mt x 2mt.

A)Parte del tetto coperta solo con rete metallica.

B)Parte del tetto coperta con pannelli di legno, plastica o metallo.

C)Pertiche orizzontali rivestite con Astroturf.

D)Nido (scegliere la forma più adatta alla specie allevata).

E)Piattaforma per il cibo con botola di accesso dall’esterno.

F)Bagnetto.

G)Tronco d’albero che funge da posatoio naturale.

H)Roccia.

I) Fondo ricoperto con 5 cm di ghiaia.

Ambiente interno: sia nelle voliere interne che in quelle esterne, il fondo dovrà essere ricoperto da uno strato di ghiaia (di circa 5 cm), che dovrà essere sostituito periodicamente.

Come posatoi si useranno delle pertiche orizzontali poste a circa 1,5 mt di altezza da terra sempre rivestite con Astroturf o altro materiale idoneo (vedi fig. 9), in sostituzione o in aggiunta si potranno usare dei posatoi naturali, quali piccole rocce, tronchi e rami d’albero.

 

Fig. 8. Vari modelli di nidi artificiali utilizzabili per la riproduzione dei rapaci:

A)Piattaforma per grossi falconi (Pellegrini, Lanari).

B)Nido  a coppa adatto a  Sparvieri, Astori, alcune specie di gufi.

C)Nido a cassetta per Gheppi americani, comuni, Civette, Assioli.

D)Grosso contenitore da nido (1 mt di lato) per Gufi reali e specie affini

  Fig. 9. Falco Pellegrino (Falco peregrinus) femmina del ceppo scozzese (il così detto “scottish”) su un posatoio della voliera da riproduzione (il maschio non è visibile). Si noti la struttura del posatoio a piattaforma, ricoperta con un panno fissato con ganci metallici.

All’interno del locale di allevamento dovrà essere sempre presente inoltre un sito per il nido, scelto tra i modelli più adatti alla specie allevata (vedi fig. 8) , una piccola piattaforma per il cibo (a cui si accede dall’esterno attraverso una botola) ed un bagnetto (costituito da un piccolo contenitore di plastica, metallo o altro materiale) a cui si cambierà l’acqua giornalmente; non dovranno invece essere usati dei beverini, in quanto i rapaci  assumono dal cibo tutta l’acqua di cui hanno bisogno ed eventualmente possono bere dal bagnetto.

In generale, per ciò che riguarda il clima, si dovrà avere la precauzione di porre il locale di allevamento o la pertica (sia esterni che interni) in un luogo che non sia troppo umido né troppo esposto a correnti d’aria o ai venti dominanti della zona. Non sarà necessaria nessuna manipolazione artificiale del clima o al massimo si potrà usare un lampada a raggi IR ( che produce solo calore senza luce per evitare di disturbare il rapace) nei casi in cui la temperatura si abbassi troppo.

Indubbiamente la pulizia e l’igiene saranno fondamentali (in particolar modo nel caso dell’allevamento di animali che si nutrono di carne); per questo si dovranno effettuare delle pulizie ordinarie (cambio dell’acqua del bagnetto e pulizia della mangiatoia ogni giorno, cambio della ghiaia e pulizia delle pertiche ogni mese) e straordinarie (disinfettazione e pulizia completa ogni sei mesi).

 

 

 

 

 

Fig. 10. Alcuni esempi di voliere di tipo Skylight a sinistra e a fronte aperto a destra.

 

 

 

 

 

 

Una volta che l’allevatore si sarà preparato a ricevere il rapace,  dovrà considerare il punto E, cioè come procurarselo: è possibile o acquistarlo qui in Italia presso uno dei pochi allevatori che ci sono oppure ordinarlo all’estero (per ulteriori informazioni leggete le altre pagine del sito o contattatemi).

 

 

A questo punto, ottenuto l’animale, non rimarrà che gestire l’allevamento nel modo migliore. I fattori da considerare a questo proposito sono l’alimentazione e le eventuali tecniche propagative.

 

 

 

 

 

 

Fig. 11. Coppia di Astòri (Accipiter gentilis) nella voliera di riproduzione. Notare la notevole differenza di dimensioni tra il maschio (in secondo piano) e la femmina (in primo piano) che può raggiungere valori fino al 30%.

 

ALIMENTAZIONE (FEEDING)

 

Trattandosi di uccelli da preda la base alimentare che useremo sarà la carne. Non è così complicato come sembra! Dal punto di vista della qualità dovremo avere la precauzione di usare solo carne molto fresca; conviene acquistarne una buona scorta e congelarla (ma non dimenticare di farla scongelare per tempo prima di somministrarla) ciò aiuterà anche ad uccidere eventuali microrganismi presenti. Anche se può sembrare strano i prezzi non sono proibitivi: per alimentare una coppia di Gheppi americani non spenderemo di più che per alimentare una  buona coppia di canarini. Per i grossi allevamenti di rapaci converrà costruirsi degli stabulari  dove allevare e riprodurre le specie animali da usare come cibo (quaglie, topi,ecc.). Si tratta di animali molto domestici facilissimi da riprodurre e che dunque possono soddisfare pienamente le esigenze di un grosso allevamento di rapaci.

La dieta dovrà essere varia, non bisogna limitarsi sempre allo stesso tipo di cibo; nella tabella seguente sono elencati i principali alimenti da somministrare alle più comuni specie di rapaci:

N

TIPO DI CIBODESCRIZIONESPECIE

1

DOC (PULCINI DI POLLO )Usati soprattutto quando hanno pochi giorni di età (1-3) vengono somministrati interi. Se si usano più grandi, bisogna tagliarli in grossi pezzi, ma senza togliere piume e penne. Sono molto buone anche solamente le teste dei polli adulti (molto economiche e nutrienti)

Tutte le specie

2

QUAGLIEVengono somministrate intere, così come sono. Costituiscono una dieta ad alta percentuale proteica, ma sono piuttosto costose, perciò è meglio usarle di tanto in tanto per variare la dieta.

Solo rapaci diurni (falconi,poiane, sparvieri)

3

PICCIONEMai somministrarlo senza averlo prima congelato, perché c’è il rischio della Tricomoniasi e di altri patogeni di cui i piccioni sono noti portatori. Tagliare via la testa e gli intestini prima di darlo ai rapaci. Può essere usato anche intero.

Soprattutto falconi

4

RATTI E TOPIContengono un’alta percentuale di proteine. Sono molto economici e facili da reperire presso i negozi di animali o i fornitori dei laboratori di ricerca.

Tutti i rapaci ad eccezione di alcuni falconi (pellegrino)

5

CARNE DI MANZOFacilissima da reperire; non bisogna usarla in eccesso perché  poco nutriente; alternarla spesso con altri cibi.

Tutte le specie.

 

Per quanto riguarda la quantità, l’esperienza ci insegnerà subito quali sono le dosi più adatte al nostro rapace; come regola generale all’inizio si può somministrare un eccesso di cibo e togliere immediatamente la parte che il rapace non ha mangiato ( come misura generale una coppia di Gheppi consumerà  una quantità massima di carne pari a circa 1 quaglia al giorno).

Anche nell’alimentazione l’igiene è di primaria importanza; la carne entra subito in putrefazione soprattutto nel periodo caldo, e la cosa migliore da fare è togliere sempre l’eccesso rimasto dopo l’alimentazione e pulire bene la piattaforma del cibo ogni giorno.

Ai rapaci tenuti sulla pertica daremo da mangiare sul pugno.

Tutte le specie di rapaci ma anche molte altre specie di uccelli producono delle borre, cioè dei rigurgiti alimentari composti di tutte quelle parti indigeribili che vengono assunte con l’alimentazione (pelo, penne, ossa ecc.). La produzione di borre nei rapaci ha anche una importante funzione benefica per la pulizia dell’intestino. Somministrare sempre cibo che non può portare alla formazione di borre è pericolosissimo per i rapaci (per es. carne netta di manzo), bisogna sempre alternare questi cibi con altri che permettono la formazione ed il rigurgito di borre (per es. quaglie intere con tutte le penne, topi interi con tutta la pelliccia ecc.).

Ovviamente le esigenze alimentari dei rapaci in cattività cambieranno sia qualitativamente che quantitativamente nei vari periodi dell’anno. Le temperature fredde dell’inverno indurranno l’organismo del rapace ad assumere più cibo per un aumentato consumo energetico dovuto alla termoregolazione. Allo stesso modo la muta e la riproduzione porteranno anch’esse ad un aumento delle esigenze alimentari dal punto di vista quantitativo. Ma nella riproduzione in particolare sarà importante anche l’aspetto qualitativo dei cibi: la femmina deve poter disporre delle proteine e dei grassi necessari per la biosintesi del tuorlo e dell’albume delle uova che si accinge a deporre ma anche dei sali minerali (soprattutto di calcio) necessari a “dotare” queste uova di un guscio (appunto formato per la maggior parte da carbonato di calcio). Tenere in stretta considerazione questi fattori aiuterà a migliorare i risultati ottenibili nella riproduzione (per es. deposizione di un maggior numero di uova e migliore qualità delle uova stesse)

 

Fig. 12. I rapaci notturni sono ghiottissimi di topi!

 

TECNICHE PROPAGATIVE

 

Questa è sicuramente la parte più bella ed interessante della rapacicoltura: la riproduzione.

Le tecniche che sono state sviluppate a questo proposito sono innumerevoli, ma ci limiteremo ad illustrare solo le principali.

Se la coppia è ben affiatata, entrerà in regime riproduttivo non appena il maschio e la femmina saranno divenuti sessualmente maturi. Nei casi più critici, se non si riesce ad ottenere una riproduzione naturale, si possono usare varie complicate tecniche per stimolare la coppia o per farla riprodurre artificialmente, quali, rispettivamente, la somministrazione di ormoni riproduttivi (come il testosterone) oppure l’inseminazione artificiale.

In quest’ultimo caso si è giunti  a tecniche molto sofisticate per avere successo: da diversi anni è stata sviluppata in America la tecnica della inseminazione artificiale cooperativa in cui sia il maschio sia la femmina cooperano con l’allevatore, l’uno donando volontariamente il seme, l’altra facendosi inseminare spontaneamente e di sua volontà; ciò grazie ad un particolare imprinting ed addestramento che essi hanno ricevuto, attraverso i quali entrambi riconoscono nell’allevatore il proprio compagno sessuale. In generale però si tratta di tecniche molto complicate e non adatte all’allevatore amatoriale (nel nostro allevamento stiamo preparando delle coppie per quest’ultimo tipo di inseminazione artificiale e ci stiamo accorgendo di quanto sia complesso e difficile); d’altro canto egli non ne avrà bisogno perché utilizzerà sempre e solo rapaci ben adattati alla vita in cattività e che nella maggior parte dei casi si riprodurranno spontaneamente in maniera del tutto naturale.

Una volta effettuate le normali parate nuziali, e avvenute le prime copule, la femmina deporrà le uova nel nido che l’allevatore avrà inserito nella voliera. A questo punto si hanno due opzioni:

-Far procedere la coppia nel normale ciclo riproduttivo

-Utilizzare la tecnica del “double clutching”  (doppia covata) se si vuole ottenere una progenie più numerosa.

La tecnica della doppia covata ha molte varianti (più o meno complesse ed efficienti), che permettono di fare deporre ad una sola femmina anche fino a 14 uova a stagione. La variante che userà l’allevatore amatoriale sarà la più semplice (ma anche sufficientemente redditizia); però è necessario che egli abbia già una certa esperienza nelle tecniche di incubazione artificiale delle uova e di allevamento a mano dei piccoli appena nati ( i rapaci notturni e diurni alla nascita sono inetti e non precoci come i galliformi, per esempio, i cui pulcini già dal primo giorno di vita sono capaci di camminare e mangiare autonomamente). A questo scopo sarà sufficiente una incubatrice del tipo ventilato o no (“forced air” o “still air” incubator) di piccole dimensioni ma ben funzionante. Appena la femmina ha terminato di deporre le uova e le sta già covando da circa 5-6 giorni,  l’ allevatore le preleverà delicatamente dal nido e le porrà in incubatrice alla temperatura ed umidità più adatta alla specie (37,5 C° e 55% di umidità relativa in media) lasciandovele per il  numero di giorni richiesto per la schiusa (numero che varia anch’esso in funzione della specie).

Fig. 14.

Uova appartenenti a varie specie di rapaci in una incubatrice del tipo non ventilato (“still air incubator”).

In poche parole si sta sfruttando il principio biologico della “covata di sostituzione” in base al quale se, in natura, la prima covata va persa (nel nostro caso è stata tolta) la femmina è biologicamente capace di deporre una seconda covata di emergenza, se ovviamente le condizioni alimentari e fotoperiodiche lo permettono; infatti la nostra femmina, nel giro di qualche giorno (anche qui il numero di giorni varia da una specie all’altra per es. nel Falco pellegrino dopo 15 giorni) deporrà un secondo “set” di uova, che l’allevatore le lascerà incubare naturalmente.

Quando sarà passato il necessario numero di giorni, le uova in incubatrice entreranno nella fase del “pipping”,  che può durare da 36 a 60 ore: in questa fase il pulcino inizierà a rompere le membrane interne ed il guscio dell’uovo per uscire aiutandosi con una apposita protuberanza del becco, il cosiddetto “dente del becco” che scomparirà qualche tempo dopo la schiusa. Durante questa fase l’uovo dovrà essere posto in un ambiente adatto all’interno della unità di schiusa (“hatcher”) che sarà un’altra incubatrice tenuta ad una temperatura di  37 C° ed una umidità relativa del 60%.

Fig. 15. Il dente del becco che serve al pulcino per tagliare e rompere le membrane ed il guscio.

 

Alla nascita il pulcino è ricoperto da un fitto piumino ( i rapaci sono semiprecoci: i nidiacei sono ricoperti da piumino come i precoci ma non sono in grado né di camminare né di mangiare da soli) e dovrà essere tenuto ancora per qualche giorno nell’unità di schiusa, abbassando via via la temperatura. Nel frattempo verranno somministrati con l’aiuto di una pinzetta a punte smussate i primi pasti a base di carne di pollo, manzo, quaglia o piccione finemente tritata a cui si aggiungeranno complessi polivitaminici e minerali per aiutare il corretto sviluppo. Già al terzo giorno di vita non sarà più necessario l’uso dell’unità di schiusa e i piccoli rapaci potranno essere tenuti all’interno di adatti contenitori dotati di un sistema di riscaldamento all’ infrarosso (detti “mamme artificiali” o “brooders”).

 

 

 

 

Fig. 16. Pulli di Gufo reale europeo di 20 gg di età. Sono già in grado di inghiottire un topo intero.

 

 

 

 

 

 

Fig. 17. Pulcini di Lanario e Pellegrino di 2 settimane di età. Sono stati appena imbeccati come si può notare infatti il gozzo è pieno e due di loro sono già entrati nella “dura” fase di digestione.

 

 

 

 

 

Alle uova della seconda covata penseranno invece i genitori naturali.

In tutto il ciclo riproduttivo l’allevatore può intervenire in svariatissimi modi per gestire il numero e la qualità dei pulcini prodotti; le tecniche sono innumerevoli ma sono sconsigliate nell’allevamento amatoriale anche perché inutili nella maggior parte dei casi. Tanto per fare qualche esempio, si dia un’occhiata alla sottostante tabella:

TECNICADESCRIZIONE
1CROSS FOSTERIGConsiste nell’uso di genitori adottivi qualora i genitori naturali non siano capaci di allevare la nidiata oppure sia necessario non imprintare i giovani rapaci nati in incubatrice.
2MANIPOLAZIONE DEL FOTOPERIODOÈ utile se si ha a che fare con specie nordiche oppure nel caso in cui si voglia far deporre più di 2 covate alla coppia. Utilizzata anche per ottenere una sincronizzazione del maschio  e della femmina nell’ inseminazione artificiale.
3CLUTCH AMPLIFICATIONConsiste nel togliere le uova man mano che vengono deposte piuttosto che togliere l’intera covata ( con questa tecnica i nostri Gheppi hanno deposto fino a 11 uova in una sola annata).
4THIRDPermette di ottenere fino a tre covate da una sola femmina attraverso vari trucchetti tra cui la manipolazione del fotoperiodo.
5CLUTCHING 1 MULTIPLE CLUTCHING 2In questo caso si ottengono 3 covate, ma si fa in modo che 2 di esse  vengano gestite naturalmente dei genitori, sincronizzando accuratamente i tempi.
6

IBRIDAZIONE

ARTIFICIALE

 

Anche nella rapacicultura si usano le tecniche di ibridologia, sopratutto ricorrendo all’inseminazione artificiale. Gli ibridi più comuni si ottengono all’interno del genere Falco (Girfalco/Pellegrino, Girfalco/Lanar/bkver.gif”>