Complice una legge unica al mondo, voluta dal governo Prodi, chi in passato ha scampato la naja con la scusa del rifiuto di coscienza alla violenza oggi può pretendere il porto d’armi. E 7mila hanno già rinnegato se stessi.
Milano – Un esercito in marcia. Migliaia e migliaia di obiettori che ora fanno il cammino inverso: dalla pace alle armi. Dalla colomba al fucile. Complice una legge surreale voluta dal governo Prodi nel 2007.
Una norma probabilmente unica al mondo che permette di revocare una scelta, un ideale e uno stile di vita come fossero uno scontrino sbagliato. Da ribattere. Ma sì, oggi in Italia è possibile dissociarsi da se stessi e dunque si può tranquillamente chiedere di mettere fra parentesi, quasi cancellare, quel pezzo della propria vita. Lo consente la legge numero 130 del 6 settembre 2007. Un escamotage, ma anche uno scivolo sfruttatissimo: nel silenzio generale sono già oltre settemila le persone che hanno scritto a Roma e ottenuto il cambiamento di status. Una modifica che non è solo verbale ma permette tutta una serie di attività che all’obiettore erano e sono vietate. Per esempio, impugnare un fucile da caccia. Oppure entrare nei corpi dei vigili, nella polizia o nei carabinieri.
È evidente, anche se mancano statistiche precise, che la gran parte degli ex punta a lasciare l’esercito degli obiettori per ingrossare quello dei cacciatori. I numeri mostrano una progressione sorprendente: 1.258 «istanze di rinuncia allo status di obiettori di coscienza», come si dice in gergo, trattate nel periodo compreso fra il 6 settembre e il 31 dicembre 2007; altre 3.189 nel 2008; 2.957 nei primi otto mesi del 2009. In totale, finora, sono 7.404 gli obiettori che hanno fatto il grande salto e sono diventati ex rinnegando il proprio passato.
Quando l’obiezione era una scelta di frontiera, un atto di coraggio anticonformista e controcorrente nell’Italia del servizio militare obbligatorio. C’è stato un periodo eroico, poi, dal 1972, l’obiezione diventò di fatto un’alternativa alla leva e col tempo si trasformò in un fenomeno di massa. Molti prendevano quella strada per noia o semplicemente per evitare i dodici mesi canonici di naia in qualche caserma. Un mondo che ci siamo lasciati alle spalle nel 2005 quando il reclutamento obbligatorio è finito. Ora ci sono due possibilità complementari e soprattutto su base volontaria: il servizio militare o il servizio civile. Due facce della stessa medaglia, la difesa della patria, non più contrapposte.
Quel che era difficile immaginare era però quella coda, all’italiana, di una stagione di grandi sogni e grandi ideali. Il governo Prodi mette in cantiere una norma che permette di sconfessare con una banalissima domanda, come fosse un modulo, il proprio passato. Il testo passa, l’articolo chiave, il 7 ter, è un’autostrada: «L’obiettore ammesso al servizio civile, decorsi almeno cinque anni dalla data in cui è stato collocato in congedo secondo le norme previste per il servizio di leva, può rinunziare allo status di obiettore di coscienza presentando apposita dichiarazione irrevocabile presso l’Ufficio nazionale per il servizio civile».
Curioso: la scelta fatta da giovani può essere cambiata a posteriori, ma la revoca è, ci si scusi il bisticcio, irrevocabile. In altre parole, si può tornare indietro dal proprio utilizzando quella che a tutti gli effetti appare una sorta di sanatoria sull’orizzonte di grandi ideali. Che, evidentemente, col progredire dell’età si rimpiccioliscono. Ma la maggioranza di centrosinistra è compatta a favore della norma e in aula solo Carlo Giovanardi va all’attacco. Sottolinea l’assurdo di una revoca che diventa definitiva, contraddicendo la libertà di coscienza. Poi va al sodo: «Chi faceva questa dichiarazione sapeva benissimo che avrebbe avuto una limitazione molto piccola: sulla base delle sue convinzioni non avrebbe potuto in seguito andare a caccia o fare il carabiniere. In pratica, avere il porto d’armi. Non so se riuscite a cogliere la contraddizione da Paese di Pulcinella – conclude Giovanardi – la beffa di chi ha fatto l’obiezione di coscienza, non ha prestato il servizio militare e poi, magari, si fa fotografare con sette lepri uccise».
No, i colleghi non riescono a cogliere la contraddizione. E centinaia di obiettori scoprono di aver cambiato il modo di pensare, non condividono più gli orientamenti della giovinezza, vogliono mandare in soffitta quelle ragioni morali, filosofiche, religiose che in passato li avevano spinti su quella via impervia. Si iscrivono all’esercito degli ex e chiedono che lo Stato li consideri tali.
È esattamente quel che sta succedendo un po’ in tutta Italia. C’è stata una stagione in cui c’era la corsa all’obiezione. Con una punta, negli ultimi tempi di centomila domande l’anno. E un totale, fra il 1972 e il 2005, di seicentomila obiettori. Ora c’è la corsa contraria, alla revoca. E tocca proprio a Giovanardi, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al servizio civile, monitorare il fenomeno. «Il mio ufficio – spiega al Giornale – è sommerso dalle istanze di revoca. Domande che vengono accolte in automatico». Una contromigrazione che non ha precedenti.
di Stefano Zurlo
fonte: il giornale.it
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convengo con lei che la rinuncia allo status di obiettore per andare a caccia sia quantomeno una buffonata. come ritengo, ed ho sempre ritenuto, una buffonata avvalersi dell’obiezione per scampare quella che fu la naja. io sono obiettore e lo resterò ma mi pare altrettanto una buffonata non poter andare a sparare ad un piattello ma poter tirare con l’arco e poterlo portare in giro senza problemi.