Lo stile “Coppaloni” o “all’italiana” oltre ad essere uno stile vero e proprio di addestramento o di volo era ed è uno stile “filosofico”, inteso come il vedere ed interpretare le magie della falconeria.
Dal momento che tale Dr Coppaloni, medico farmacista, scultore eclettico e di fama, cinofilo e giudice di cani da gara, allevatore di pointers, non ha mai lasciato uno scritto sul suo operato, viene spesso ricordato ed emulato dai suoi amici ed allievi, non ultimo da Giampiero Del Mastro Calvetti, deceduto pochissimi mesi orsono, che racconta e spiega la persona e l’attività del famoso falconiere.
Coppaloni fu allievo del grande mestro E. Nasturzio, uomo appassionato di cani, cavalli e falchi, il quale gli dette molte indicazioni sull’alto volo, il quale e sua volta, era supportato da certo inglese Mr Frost, assunto come falconiere professionista dal Nasturzio (per la biografia di Frost documentarsi sul libro “Bird in the hand” di Roger Upton).
Le regole o norme base erano:
1) Dopo aver lanciato il falco, mani in tasca finchè il rapace non abbia raggiunto l’altezza di
caccia (in breve: falco in volo mani in tasca)
2) Logoro visto, logoro dato
3) Amare i propri falchi
in pratica queste tre massime semplici ma importanti erano il succo dell’essenza del volo, mentre il resto erano solo delle tecniche che potevano essere adottate alle circostanze
Coppaloni usava solo falchi di cattura rifiutandosi di maneggiare i nidiacei.
Come dice Del Mastro Calvetti, il Coppaloni era sempre alla ricerca di uno stato estatico attraverso lo spettacolo naturale, vista la sua vena e sensibilità artistica.
Anche nella sua attività cinofila come in falconeria, era sempre alla ricerca del soggetto trascinato da una incontenibile passione, dotato di grandi mezzi naturali, ma non coercito da un addestramento eccessivo all’ubbidienza.
Egli sosteneva, come nei cani (supportato dai giudici Colombo e Radice), la supremazia del “puro, folle”, ovvero un soggetto, sia esso cane sia esso falco, che spaziasse mettendo in mostra così le sue doti portate alla massima possibilità accettando il rischio, talvolta, di sfuggire al controllo piuttosto che essere mortificato nel suo slancio da un addestramento repressivo.
In pratica questo modo di vedere e sentire di Coppaloni lo riviveva nel falco esaltandolo ancora di più perchè il filo che collega il falco al falconiere è ancora più tenue di quello che lega il cane e più forte è l’ansia di vedere l’istinto della vita selvaggia riprendere il sopravvento.
Pertanto, falchi di passo, mani in tasca, sudore freddo lasciando che il soggetto salga e combatta col vento, esplorando tutta la volta del cielo a suo piacimento, appena riconoscibile da un falco selvatico, fiduciosi che verrà a piazzarsi in buona posizione per l’attacco ma pronti, qualora un imprevisto dovesse allontanarlo, ad avere nel logoro un mezzo potentissimo di richiamo.
Questo strumento era l’unico artifizio che usava, ma usato come l’estremo mezzo per ristabilire il contatto tra falco e falconiere mentre tutta la comunicazione precedente era solo affidata a gesti impercettibili.
Altra raccomandazione del Coppaloni era di ricercare innanzitutto la purezza dello stile di volo che doveva essere sempre perseguito anche a costo di limitare il numero delle prede qualora fosse necessario.
Coppaloni aveva orrore (o pietà) per il falchi ammaestrati come gli animali del circo. Immaginare una splendida tigre che si aggira nella jungla e poi vederla nella gabbia del suo domatore mentre assume a comando posizioni ridicole e senza più alcuna dignità può spiegare il modo di vedere di Ernesto Coppaloni.
Egli viveva l’amore per il falco come identificazione, cioè il trasferire il proprio “io” in quell’essere lanciato lassù tra le nubi; il falco era il mezzo con cui lo spirito del falconiere si libera di tutti i vincoli materiali e raggiunge l’apice della emozione.
Negli anni ’60 Coppaloni dimostrò il suo stile di caccia durante una riunione di caccia in Spagna, organizzata da Felix Rodriguez de la Fuente, il quale cacciava le pernici a cul levè, ricevendo entusiasmo.
L’allievo Fulco Tosti di Valminuta per ben due anni applicò e mostrò ai falconieri spagnoli il metodo Coppaloni tanto che il grande Felix, alcuni anni dopo, gli mandò a dire per bocca di Del Mastro Calvetti che gli spagnoli avevano imparato il suo metodo.
In altre occasioni di raduni e cacciate sia Coppaloni che i suoi allievi dimostrarono la validità del loro metodo con mirabili voli tanto che il grandissimo falconiere tedesco e pioniere della riproduzione in cattività Renz Waller dichiarò con schiettezza: “i pifferi di montagna vennero per suonare e furono suonati”! riferendosi alla bellezza esaltante di quei voli ed ai falconieri tedeschi che credevano di aver tutto da insegnare.
Duranti i vari raduni nei paesi europei queste dimostrazioni erano frequentissime tanto che fu definito da tutti lo “stile italiano” .
In pratica, lo stile italiano o alla Coppaloni è anche uno stile di vita, filosofico se vogliamo, tanto che moltissimi buoni falconieri di tutto il mondo cacciano con questo spirito.
Per conto mio, ho sempre criticato questo gruppo di falconieri, non per la loro non bravura, anzi, ma per il loro circolo chiuso, dove niente trapelava e dove nessuno poteva entrare a farne parte. Forse l’errore più grosso di Coppaloni e amici è stato proprio quello di non diffondere al di fuori del loro circolo questa allora nuova e valida filosofia.
Giovanni Camerini
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Dei Pointer diceva:
“Lo stile è funzione,risultato congenito propiziato da oculatezza di selezione e di allevamento. Palesato dall’impiego agevola,sul piano pratico,l’espletamento della prestazione migliorandone il rendimento. E’ modo inconfondibile di adoperare i mezzi a disposizione,facilmente,armoniosamente,appassionatamente, favorisce la locomozione prolungando il tempo del lavoro redditizio.
Senza STILE la razza scompare perchè lo stile è la razza”.