De arte venandi cum avibus
Il capolavoro di Federico II, il Liber de arte venandi cum avibus è stato scritto scritto tra il 1240 e il 1250 in latino ed è stato tradotto in italiano soltanto nel 2000. Manuale per l’allevamento e l’addestramento, e nel quale egli si rivela esperto in nutrizione, medicina, custodia e addomesticamento dei rapaci.
Riportiamo alcuni brani dal Liber:
V, 173 “Il lanario differisce dal pellegrino per il fatto che il lanario attacca la traina (pelle di lepre o di uccello riempita di paglia, usata per addestrare il falcone alla caccia) peggio e più timidamente del pellegrino, e ha bisogno di un maggior numero di esercitazioni alla traina rispetto al pellegrino. I lanari, nel volo, sono meno veloci dei pellegrini”.
II, 63 “Chi voglia imparare l’arte della caccia con gli uccelli per essere in grado di nutrirli, custodirli, addomesticarli, portarli, insegnare loro a cacciare altri uccelli mandandoli a caccia e, se necessario, curarli, occorre che unisca, alle qualità che verranno indicate, la scienza (le conoscenze teoriche e pratiche) contenute in questa opera. Quando avrà appreso tutto in modo sufficiente, più degnamente e a giusto titolo potrà fregiarsi dell’appellativo di falconiere. Sia egli di media statura perché, se fosse troppo alto, si stancherebbe facilmente e sarebbe meno agile, se fosse troppo basso, compirebbe movimenti eccessivamente rapidi sia a piedi che a cavallo”.
II, 64 “Sia di media costituzione, in quanto per l’eccessiva magrezza non potrebbe tollerare le fatiche e il freddo, d’altro canto una corporatura massiccia e l’eccessiva pinguedine gli impedirebbero di compiere sforzi, gli renderebbero più intollerabile i caldo ed egli sarebbe più pigro e più lento di quanto quest’arte richieda. Non trascuri l’arte (della falconeria) né l’esercizio (che comporta il praticarla), la ami, invece, e sia perseverante tanto da non interromperne la pratica assidua fino alla vecchiaia, perché tutto dipenderà dalla passione che mostrerà verso quest’arte. Trattandosi di un’arte che richiede un lungo apprendistato e poiché, nel praticarla, si manifestano sempre aspetti nuovi, il falconiere non dovrà mai interrompere l’esercizio, ma perseverare tutta la vita per potersi impadronire di quest’arte in modo sempre più compiuto”. Il falconiere deve essere “dotato di un’intelligenza completa, di buona memoria, non deve essere troppo giovane, non deve soffrire il sonno, non sia goloso, non sia ubriacone, non sia iracondo, non deve essere pigro o negligente, non sia vagabondo”.
II, 256 “Il cappuccio è un oggetto fatto di cuoio, confezionato sulla forma della testa dei falchi, che serve a contenere la loro testa fino al collo, lasciando scoperti il becco e le narici. È meglio che venga confezionato con un cuoio non troppo duro né troppo morbido” e ancora: II, 257 ”La parte del cappuccio che copre la sommità del capo, deve presentare uno o più fori che servono a far sì’ che il cappuccio non riscaldi troppo la testa (del falco) e che i vapori che salgono dalla testa possano uscire completamente: Questi fori li abbiamo aggiunti Noi alla forma originaria del cappuccio dopo averne sperimentata l’utilità”.
Miniature dal Liber de arte venandi cum avibus. Nel Medioevo la caccia con i rapaci era considerata un’attività nobile e, presentarsi con cavallo, falco e cane, significava dichiarare il proprio rango.È sintomatico che nell’archivio imperiale quaranta documenti hanno per oggetto i falconi, ed elencano più di una cinquantina di falconieri reali. I falchi venivano presi in Germania, in Puglia, a Malta, in Sicilia (a Pantelleria, Ustica, Favignana, Lampedusa). I falchi di Domenico Vazzana provengono dall’allevamento di Luriano in Toscana e dall’Inghilterra.
curiosità: Etimologia della parola falco o falcone: in grecophàlkon (in Esichio); sembra doversi connettere al latino falx, falce per via delle unghie e delle larghe ali falcate (nel latino tardo si dissero falcones “que’ che avevano il pollice del piede curvato”, simile perciò al greco drèpanis-rondine di muro, che combina con drepanis-falce. Presso i Longobardi e gli Anglosassoni il falco è chiamato wealhheafoc, che è quanto dire astore gallico o celtico. Uccello di rapina diurno dalle vase ali, con becco adunco ed acuti artigli; in senso figurato: Persona assai furba e maliziosa, o più spesso Uomo che insidia le donne. Nel medioevo in cui fioriva la caccia al falcone, si diè il nome di Falcone o Falconetto ad armi da getto, da tiro per similitudine ai falchi, che si precipitano sulla preda; ed il nome posteriormente passò alle armi da fuoco (moschetto) {da Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana}.Falco era il dio Horus egizio, dio degli spazi aerei, i cui occhi erano: il sole e a luna, simbolismo celeste e solare insieme.
L’arte della falconeria e il de arte venani cum avibus
In alto: falconiere con falco sul pugno; l’altro col falco sul blocco , il terzo incede a cavallo. In basso: il falconiere tiene il falco sul blocco e annoda la lunga all’anello posto sotto il blocco fissato al terreno per mezzo di una punta; il falconiere alimenta il falco; l’altro lo tiene sul pugno guantato, l’ultimo lo invita al bagno, agitando bastoni nella tinozza.
L’arte antichissima di cacciare per mezzo di uccelli rapaci trae la sua origine nell’Asia, e più esattamente in Cina. I primi documenti storici risalgono circa al 3000 a.C., e si riferiscono fondamentalmente ad una caccia da carniere, in cui lo scopo principale era quello di soddisfare bisogni alimentari. In questa caccia si usavano dei falconidi appartenenti al genere “accipiter”, come sparvieri e astori. Caratteristica principale degli accipitridi è il volo molto rapido dovuto alle ali corte e alla coda lunga, che gli permettono una grande agilità e la possibilità di cacciare anche dal basso. Per questa ragione e per la facilità con cui si lasciano addestrare, in quanto non hanno bisogno di essere cigliati o incappucciati (ambedue pratiche per tranquillizzare gli uccelli rapaci), e soprattutto per la possibilità che si ha di poterli lanciare all’inseguimento di mammiferi come conigli, vennero adoperati largamente sin dall’inizio. Le loro immagini sono nelle monete greche e nei mosaici romani, il loro mito nelle cacce dei Marajà. Il loro furto veniva punito con leggi emanate da Carlo Magno, obbligando alla restituzione di animali di egual valore E’ solo in periodo successivo, non sappiamo esattamente quando, che cominciarono ad usarsi i falconi veri e propri; uccelli appartenenti al genere falco come girfalchi, falchi pellegrini, falchi sacri, falchi lanari. Si iniziò nelle steppe dell’Asia centrale e della penisola Arabica, e vennero usati in un primo momento solo come accipitrini facendoli partire dal pugno dei falconieri per andare direttamente sulle prede. Successivamente si cominciò ad usarli nel “tenere a monte”, cioè a rimanere in alto volando ad un centinaio di metri di altezza per poter poi picchiare sulle prede a delle velocità entusiasmanti.
E’ a questo punto che nacque qualcosa di diverso. Non era così semplice cacciare, come si faceva con gli accipitrini, ma bisognava raffinare la tecnica e aumentare le conoscenze. I falconi per poter cacciare hanno bisogno di grandi spazi, le loro azioni risultano molto più complesse, si elaborano traettorie che si estendono su aree vastissime. L’addestramento alla caccia risulta molto più complicato e richiede molto tempo, pazienza e applicazione. E’ necessario l’uso della ciliatura o del cappuccio, ed è indispensabile l’aiuto dei falconieri, strozzieri e aiutanti. La falconeria conquista le immagini astratte del pensiero, migrando dal concetto di caccia pura a quello di un livello superiore, dove l’uomo sfida se stesso attraverso i falchi nella capacità di controllo della natura: “l’alto volo”.
I rapaci, animali selvatici che in natura rifuggono l’uomo devono invece imparare a lavorare insieme a lui a decine e decine di metri dal terreno, pur rimanendo in contatto col falconiere che invece è lì relegato, facendogli conquistare spazi e velocità insperati, proiettandolo in una dimensione fino ad ora sconosciuta Vola il falco, ma vola anche il falconiere. L’etica e l’estetica dominano incontrastate in questo nuovo panorama.
Il vecchio concetto della caccia da carniere è superato per lasciar spazio alla falconeria d’Alto Volo, che diventa la forma più nobile e leale di confronto mai esistito, dove il rapporto uomo-natura raggiunge la sua massima espressione ed armonia. La piramide che è del sistema del governo imperiale, nella falconeria viene rispettata con al vertice il falco, e alla base il falconiere, cavalli e cani, ma tutti rientrano nel più grande dove è Dio al vertice. Il grande trattato di Federico II oltre ad essere il più grande trattato di falconeria mai scritto nella storia e in particolare su quella dei falconi d’alto volo, è sicuramente una delle chiavi più valide per interpretare il pensiero federiciano.
In questa veste, l’arte della falconeria è filo conduttore tra passato e futuro, tra Oriente e Occidente. Due mondi contrapposti per idee e contenuti, così lontani e che pure riescono a toccarsi e a fondersi.
Il “castello” di Siracusa voluto fortemente dall’ultimo imperatore del S.R.I., Federico II di Svevia, e detto poi di “Maniace” ne è una delle prove tangibili, simbolo e sintesi di un sistema in equilibrio. Incastonato nella città che forse più di ogni altra rappresenta l’unione di due grandi civiltà, risultante e massima espressione della Magna Grecia, dove lo spirito dell’antico impero alessandrino, l’epopea dei miti, la filosofia aristotelica e l’ingegno pitagorico operano all’unisono creando quell’armonia che si proietta ne futuro. una visione “moderna” propedeutica alle intuizioni e alle conseguenti sperimentazioni federiciane. Infatti è proprio sul campo, nella vita di ogni giorno, con le opere, con il confronto diretto con la natura che le teorie formulate del pensiero trovano riscontro concreto. La falconeria come strumento principe attraverso il quale il pensiero di Federico II si esprime, ancora vivo nel ripetersi dei gesti, suoni ed emozioni, che attraverso i secoli continuano a portare il loro messaggio di pace, saggezza e volontà di progredire. Dà l’opportunità ad una mente elastica di esercitarsi e speculare nella ricerca continua della verità. Così maturano frutti concreti di evoluzioni intellettive, che nella meraviglia della conoscenza traggono l’energia e la forza dell’essere.Attraverso le pietre di “Maniace”: un unico ambiente, elegantemente e armoniosamente ripartito, emblema di una quadratura che è del pensiero occidentale nella quale si inserisce perfettamente la visione mistica di stampo orientale. Tale sintesi è paragonabile alla visione della mente umana di Federico, in cui scienza, arte natura e cultura si ripartiscono gli spazi in armonia.
La falconeria come pensiero che esprime un sistema e un linguaggio, in cui il metodo e l’approccio ai vari quesiti diventano la ricerca stessa, proiettando l’uomo verso l’avvenire. Il “metodo” è ancora oggi valido ed applicabile per la costruzione di un mondo in cui l’Uomo risulta perfettamente integrato nel contesto naturale orientato verso un’armonia a cui non siamo più abituati e dove tecnologia e modernizzazione fanno da sfondo ad una visione più ampia, promuovendo una tolleranza tra popoli e un rispetto di equilibri naturali capaci di diventare essi stessi volano per il futuro.
I Signori del cielo a Siracusa
Vi era per Federico nel rito del falcone che, dopo essersi librato nel cielo, ritornava nel pugno del suo falconiere, la testimonianza dell’esistenza e dell’irresistibilità di forze arcane, capaci di stabilire delle fila invisibili; quelle stesse fila con cui l’imperatore bramava di legare a sé i suoi sudditi(O. Zecchino)
Già nel paleolitico superiore il tema di alcune pitture parietali è la caccia, che rappresenta una delle più antiche pratiche sperimentate esclusivamente per soddisfare esigenze di tipo alimentare. Essa venne subito a far parte dell’aspetto magico-religioso e propiziatorio; trascendendo poi dalla sua funzione originaria, entrò nell’ambito del divertimento e delle manifestazioni di potenza e forza di sovrani e nobiluomini. A tal riguardo le venationes romane praticate negli anfiteatri sono fra gli esempi più clamorosi della sfida diretta tra l’uomo e la belva feroce, spesso attuata con metodi brutali. L’arte venatoria, dall’Oriente all’Occidente, è stata esercitata con le armi più disparate: archi e frecce, pugnali, lance, reti, lacci, trappole e…uccelli, vere e proprie armi viventi! Le origini (3000 a. C. circa) dell’arte di cacciare per mezzo di uccelli rapaci – in particolare sparvieri e astori, falconidi del genere accipiter, (termine usato dai romani per indicare i falchi) – sono da ricercarsi in Oriente (Cina, Persia). Tali volatili vennero impiegati perché, la loro particolare agilità consentiva di praticare una caccia anche di basso volo e, inoltre, non richiedevano necessariamente la ciliatura o l’ incappucciamento. Si trattava comunque di una tecnica venatoria. In un momento successivo, difficilmente inquadrabile cronologicamente, nella penisola Arabica e nell’Asia centrale, cominciarono ad essere impiegati uccelli rapaci del genere falco come falchi pellegrini, falchi sacri, falchi lanari, girfalchi; in un primo momento furono utilizzati per la caccia di basso volo e poi vennero si addestrati a tenere a monte, cioè librarsi in volo sino ad un centinaio di metri di altezza per poter poi picchiare sulle prede a velocità altissime. Questa tecnica venatoria richiese una specializzazione maggiore che mise a punto l’uso della ciliatura o del cappuccio, che avevano lo scopo di non far distrarre il volatile, e un concorso di animali (cani, cavalli) e persone come falconieri, strozzieri ed aiutanti, quest’ultimi impegnati tutti in un paziente lavoro di addestramento. Il falco, animale per sua natura schivo all’obbedienza e al rapporto col genere umano, deve imparare ciò che il falconiere gli insegna: deve, pur essendo in alto nel cielo, rimanere in contatto con l’uomo ed obbedirgli. Attraverso le vibrazioni emanate dal suo rapace, l’uomo può provare l’emozione del volo pur stando a terra. Anche l’ambiente per cacciare doveva corrispondere a determinate caratteristiche come la vastità e la visibilità (praterie, colline, radure boschive, presso corsi d’acqua). “E’ a questo punto che nacque qualcosa di diverso. La falconeria conquista le immagini astratte del pensiero, migrando dal concetto di caccia pura a quello di un livello superiore, dove l’uomo sfida se stesso attraverso i falchi nella capacità di controllo della natura: l’alto volo. Vola il falco, ma vola anche il falconiere. L’etica e l’estetica dominano incontrastate in questo nuovo panorama. Il vecchio concetto della caccia da carniere è superato per lasciare spazio alla falconeria d’Alto volo, che diventa la forma più nobile e leale di confronto mai esistito, dove il rapporto uomo-natura raggiunge la sua massima espressione ed armonia”. Dopo le esperienze arabo-normanne della caccia con il falco, questa tecnica, per la prima volta verrà definita ars – sintesi di conoscenze teoriche e di abilità pratiche – dal re e imperatore Federico II di Svevia (1194-1250).
In terra di Sicilia, a Palermo, Federico bambino, cresce in mezzo a parchi lussureggianti e splendide residenze come la Favara, la Zisa, la Cuba e ammaliato sicuramente dagli affreschi del soffitto ligneo della Cappella Palatina con scene di rapaci che catturano le prede, apprese a corte la tecnica della caccia, sia di alto volo che di basso volo da esperti astorieri e falconieri arabi. Egli rimase talmente affascinato dalla caccia al volo da farla diventare un’attività costante sino agli ultimi anni della sua vita. Una notevole quantità di lettere (una quarantina) inviate dall’imperatore ai vari giustizieri, uomini di fiducia e maestri di falconeria, ci informa sullo straordinario interesse e sulle preoccupazioni che Federico nutriva per i propri falchi.
La novella XC, tratta dal Novellino, ci offre uno spunto significativo: Lo ‘mperadore Federico andava una volta a falcone, ed avevane uno molto sovrano, che l’avea caro più d’una cittade. Lasciollo a una grua. Quella montò alta: il falcone si mise alto molto sopra di lei. Videsi sotto un’aguglia giovane: percossela a terra e tanto la tenne che l’uccise: Lo ‘mperadore corse, credendo che fosse una grua: trov’ò com’era. Allora con ira chiamò il giustiziere e comandò ch’al falcone fosse tagliato il capo, perché avea morto lo suo signore. Traspare dalla novella la passione dell’Imperatore per l’arte raffinata della falconeria e, nello stesso tempo il suo concetto assolutistico del potere. L’aquila rappresenta l’emblema del potere di Federico e il falcone il dignitario di più alto rango che ha osato attentare alla vita del suo signore. Benchè il falcone rappresenti per Federico il più nobile fra i falchi e quindi uno tra i rapaci da lui preferiti, egli non esita a giustiziarlo. Così come l’arte dell’addestrare i rapaci, fa si che i falconi volino in alto per cacciare le prede consegnandole al falconiere senza minimamente danneggiarle e poi ritornano con fare docile sul pugno del falconiere, allo stesso modo lo Stato guida i sudditi mediante una legislazione giusta, ma che si rivela inflessibile contro chiunque osi contrastarla. Coloro i quali avevano osato opporsi all’imperatore, pur essendo stati a lui i più vicini (Pier delle Vigne, il figlio Enzo…), subirono trattamenti spietati. L’immagine che possiamo trarre della concezione federiciana della caccia è fondamentalmente diversa da quella dei suoi predecessori – impegnati in un esercizio di forza e cruento – ed essa ci appare ancor più veritiera e credibile perché ci viene proposta dallo stesso imperatore attraverso le sue parole scritte nel De arte venandi cum avibus e non attraverso racconti tramandatici da cronisti e trattatisti. “Ad affrontare la compilazione di quest’opera, chiarissimo M. E., ci ha indotto la tua pressante sollecitazione, il desiderio di correggere gli errori circa quest’arte in modo improprio, senza possederne i fondamenti, seguendo taluni testi erronei e lacunosi, e l’intento di tramandare ai posteri una trattazione sistematica della materia di questo trattato”. Su incitamento del figlio Manfredi, Federico si accinse quindi alla redazione del testo soprattutto per mostrare “le cose che sono, così come sono”.
La traduzione dal latino all’italiano del trattato di Federico II realizzata per la prima volta dalla studiosa Anna Laura Trombetti Budriesi, si configura oggi come uno straordinario mezzo di divulgazione del De arte venandi cum avibus. Essa nasce dalle versioni del manoscritto bolognese (ms. lat. 717 della Biblioteca Universitaria di Bologna) collazionato con il più breve manoscritto vaticano (ms. Pal. Lat.1071); il primo potrebbe essere legato alla prigionia del figlio di Federico, Enzo, a Bologna e il secondo, che contiene solo i primi due libri, alla versione che ne fece l’altro figlio, Manfredi. Come è noto, secondo la tradizione riportata da Salimbene, il manoscritto originale fu perduto durante l’assedio di Vittoria da parte dei parmesi.
“Il falco (come gli altri rapaci utilizzati nelle cacce al volo, soprattutto astori e sparvieri) è dotato di un organismo perfetto: la sua linea è agilmente compatta, dispone di un organismo concepito dalla natura per la lotta e l’assalto, quasi protezione dell’ardimento dell’uomo che, restando a cavallo, lancia la propria arma vivente nello spazio del cielo che rimane interdetto alle sue orme terrene: è un animale alto ed agressivo, simbolo dell’indomabile fierezza del nobile, e, insieme, della sua virilità”. .Il Liber di Federico II si configura quindi come una delle chiavi di lettura più valide per interpretare il suo pensiero, le sue espressioni artistiche come, ad esempio l’ architettura. Se è vero, come è vero, che l’architettura sveva caratterizza da sola la vasta produzione federiciana, un nuovo modo interpretativo di essa è proprio il Liber de arte venandi cum avibus: forse tra le sue pagine, scritte dall’imperatore stesso, è da ricercarsi la spiegazione a quella serie di strutture architettoniche che non si inquadrano esattamente nella tipologia castrense, come il Castello di Siracusa, detto Maniace, ubicato nell’estrema propaggine dell’isola di Ortigia, all’imbocco del Porto Grande. Autore del Liber l’imperatore fu anche l’ideatore, l’artefice massimo del nostro castello: egli dovette intervenire anche nelle fasi di progettazione e sicuramente seguì con puntualità e costanza l’attività di cantiere, come dimostra l’intensa corrispondenza col praepositus aedificiorum Riccardo da Lentini.
L’edificio federiciano di Siracusa rappresenta il simbolo e la summa dell’ordinamento statale dell’impero; trait d’union tra l’Oriente e l’ Occidente, ove i due diversi modi di pensiero si uniscono e si compenetrano, filtro tra due diverse e lontane culture che nella terra di Ortigia, frequentata senza soluzione di continuità attraverso i millenni, trova il suo naturale sostrato. E’ qui che Federico ci impone una riflessione collettiva, tra le mura del suo palacium, aula capitolare, cattedrale, moschea, tempio? Il suo tempio ideale, star gate tra il passato e il suo futuro che è il nostro presente. Ed è stato qui che, il 28 settembre del 2002, per la prima volta, “Federico II è ritornato con i suoi falchi”, come ha scritto Rosa Tomachio! Nell’ambito della manifestazione “Siracusa Sveva”, la dimostrazione di volo di falconi addestrati alla falconeria, curata dal Presidente dell’Accademia Italiana Cavalieri d’Alto Volo, il conte Alduino Ventimiglia di Monteforte, è entrata nel cuore di tutti gli astanti. Abbiamo pensato di presentare alla città questo momento straordinario tra le pietre dell’imperatore più rappresentative, ma è certo che se mai Federico avesse fatto volare i suoi falconi, li avrebbe portati nelle varie falconiere che sicuramente esistevano nel territorio di Siracusa che dalla Torre Vendicari si estende sino al Biviere di Lentini dove numerose, anche se oggi degradate strutture, come torri, domus, dighe e canali ci parlano ancora dei parchi e dei vivai realizzati in un progetto imperiale di rivalutazione del territorio che nulla lasciava all’improvvisazione.“La falconeria come strumento principe attraverso il quale il pensiero di Federico II si esprime, ancor vivo nel ripetersi dei gesti, suoni ed emozioni, che attraverso i secoli continuano a portare il loro messaggio di pace, saggezza e volontà di progredire”(A. Ventimiglia).
Castel Maniace – Falconiere a cavallo scolpito ad altorilievo in uno dei capitelli della Sala ipostila.
Fonte: http://www.stupormundisiracusa.it/Deartevenandicumavibus.htm
di Laura Cassataro
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