La storia recente: la falconeria e la sua regolamentazione legale

Falcon on gloveI discorsi storici e filosofici intorno all’arte della Falconeria sono d’obbligo, ma in concreto, nella storia degli ultimi decenni il primo problema di chi si accosta alla falconeria è di non andare oltre la legge, poiché com’è noto tutti i rapaci diurni sono protetti da regole che partono dalla legislazione internazionale ed arrivano alla normativa delle ASL locali.

Per dirla tutta, i rapaci diurni sono stati oggetto di tutela da parte dei sovrani di tutte le epoche sino al XIX secolo, per motivi non tanto animalisti o ornitologici, quanto egoisti e commerciali.

Poi sono diventati animali “nocivi” e oggetto di sterminio da parte di tutti, poi vittime dei veleni che nel dopoguerra sono stati indiscriminatamente sparsi su ogni tipo di coltura agricola ed infine protagonisti di una protezione ferrea e totale da parte di leggi che punivano con il carcere o altissime ammende che li uccideva, catturava, deteneva ed addirittura li “disturbava” semplicemente osservandoli troppo insistentemente! Dalle stelle alle stalle ed infine in Paradiso!

Alla faccia dell’auspicabile equilibrio che la giurisprudenza dovrebbe generalmente avere.

Per cui se nel 1890 un cacciatore uccideva un falcone, lo esibiva con orgoglio ed era un benefattore, nel 1990 per la stessa uccisione sarebbe andato in galera come l’ultimo dei delinquenti.

Naturalmente i falconieri hanno sempre protetto i rapaci, come minimo per interesse di categoria…, ma dal proteggere un animale ad incarcerare chi non lo fa… ne passano di ragioni.

Potenza del Diritto e del protezionismo ambientale moderno.

I falconieri, fino agli anni ’70, hanno prelevato dalla natura i loro falconi ed in tempi passati l’abilità nella cattura di uccelli da preda integri e perfetti nel piumaggio, era considerata una caratteristica fondamentale del bravo falconiere.

Le leggi di protezione, legittime dal punto di vista della conservazione delle specie, hanno stimolato la strada della riproduzione in cattività ed hanno aperto una nuova era della falconeria moderna.

Negli anni settanta la quasi scomparsa del Falco peregrinus anatum dall’America del Nord, a causa dei pesticidi, fece nascere un movimento di naturalisti e falconieri il cui scopo fu quello di riprodurre in cattività e reintrodurre in natura i falconi in pericolo di estinzione.

Si chiamò Peregrine Fund ed ancora oggi esiste ed opera monitoraggi scientifici sulla popolazione selvatica del pellegrino in tutto il Mondo, in collaborazione con le Università di molti paesi.

I falconieri nord americani ed europei collaborarono strettamente e salvarono la specie dalla scomparsa nel continente americano.

Oggi il falco pellegrino è stato depennato in America dall’elenco delle specie a rischio e, sotto controllo dello Stato e con particolari permessi, è concessa la sua cattura a Falconieri riconosciuti dal governo.

In Europa le associazioni animaliste e protezioniste hanno sempre strumentalizzato il fatto che i falconieri catturassero i rapaci diurni e lo hanno spesso usato per dare un senso alla loro stessa utilità ed esistenza, ma in realtà alle centinaia di farneticanti denunce verso fantasmagorici “ladri” di nidiacei, negli ultimi 30 anni non sono state dimostrate illegalità commesse da falconieri, poiché nella quasi totalità dei casi si trattava di pregiudizi ideologici.

Da decenni i falconieri acquistano i loro uccelli da allevatori regolarmente autorizzati ed in conformità alla Convenzione di Washington (CITES) che regolamenta il commercio delle specie protette nel Mondo. Il mercato propone spese adeguate a tutte le tasche ed i favolosi prezzi che una volta venivano pagati per i falchi più rari, oggi sono soltanto un ricordo.

I falchi sono nati in cattività da diverse generazioni e possono essere meglio condizionati dal contatto con l’uomo.

Paradossalmente nessun falconiere di oggi sarebbe ritenuto tale da Federico II di Svevia, in quanto incapace di catturare ed addestrare autonomamente un falcone selvatico.

Ormai soltanto falconieri di una certa età possono ricordare di aver addestrato falchi “selvatici” durante la loro gioventù, ma non rimpiangono le difficoltà affrontate.

Sinceramente bisogna ammettere che l’addestramento dei falchi nati in voliera e le loro prestazioni di volo sono cose molto differenti rispetto al maneggiamento dei falchi nati in natura e magari catturati adulti, ma i tempi della vita moderna e le normative sulla gestione della caccia di oggi non potrebbero essere compatibili con la falconeria dei secoli scorsi.

In Europa, con varie sfumature da un paese all’altro, generalmente per praticare la falconeria intesa come caccia con il falco, è indispensabile essere muniti della licenza di caccia.

In Italia La legge quadro 157/92 sulla gestione della fauna selvatica e del suo prelievo, prevede che il falco sia una dei mezzi di caccia consentiti, insieme all’arco ed, ovviamente, al fucile.

Detenere un falco, senza farlo volare, è ammesso dalla legge se il falco è regolarmente acquistato da un allevamento autorizzato, secondo la regolamentazione della CITES.

La deontologia della Falconeria, non prevede che un nobile falcone passi la vita appollaiato su un trespolo alla stregua di un pappagallo (senza voler togliere nulla ai simpatici cugini variopinti…), comunque se qualcuno volesse possedere semplicemente un falco, non avrebbe bisogno di licenza di caccia, così come coloro che collezionano armi, non devono necessariamente avere il porto d’armi, ma personalmente così come non riuscirei a tenere chiuso in una vetrina una doppietta Holland & Holland per guardarla soltanto… allo stesso modo ritengo che i falchi siano fatti per volare.

Entrare nel dettaglio delle leggi è un durissimo percorso, perché i decreti internazionali, europei, italiani, le leggi regionali, quelli provinciali e le normative sanitarie locali che dovremmo citare ed analizzare ci occuperebbero troppo spazio e tempo… Per chi volesse concretamente provare a mettere il piede all’interno della falconeria, il consiglio è quello di rivolgersi a qualche associazione di falconieri ed affiancare un praticante.

Non è consigliabile il “fai date”…, si potrebbe in buona fede sconfinare nell’illecito e poichè “la legge non ammette ignoranza”, è meglio non ignorare e farsi guidare da chi conosce le regole del gioco.

Amedeo Traverso

www.lacaccia.net

Addestramento del falco

Autour des palombes Accipiter gentilis Northern GoshawkPer chi pratica la caccia con il fucile, il momento in cui il selvatico frulla davanti al cane fermo è la fine di una tensione emotivamente forte, sebbene positiva, che si concretizza con lo sparo liberatorio e la caduta o la fuga della preda.

In Falconeria c’è tutto ciò che precede lo sparo, ma il frullo corrisponde non già alla fine della tensione, ma, al contrario, all’inizio della cacciata.
L’inseguimento dà vita a lunghi minuti di caccia in cui l’uomo diventa spettatore di ciò che ha pazientemente programmato per mesi, seguendo un sottile filo conduttore fra la sua volontà e la naturale attitudine alla predazione dei due suoi animali, il cane ed il falco.Le emozioni sono forti ed il livello di affiatamento fra i tre componenti la squadra deve essere assolutamente perfetto.
Pena: il disastro… non solo per il fallimento della cattura, che poco importerebbe, quanto per la possibile perdita del falco o addirittura della sua incolumità fisica.
Il legame fra l’uomo ed il falco, animale simbolo della indomita tendenza alla libertà, è veramente rappresentato da un immaginario filo molto sottile che si può rompere in ogni momento.
Il falco non torna dall’uomo per “amicizia” o “sottomissione”, ma soltanto per condizionamento e convenienza.
Per cui basta niente, un parametro che non si incastra alla perfezione nel condizionamento o una opportunità estemporanea, per far decidere al falco di scegliere la libertà.
Questo sottile senso di precarietà è la costante di tutti i voli ed il vero senso della fatalità della nostra vita. Ogni volo è come se fosse il primo o forse l’ultimo… ogni volta.
Come funziona il rapporto fra noi ed i nostri falchi?
Il vero motivo per cui quasi tutti coloro che diventano in seguito Falconieri si avvicinano inizialmente alla Falconeria è proprio per avere un rapporto di collaborazione con il falco.
E’ una ragione ornitofila , più che venatoria.
La caccia viene dopo ed è il passo obbligatorio per avere un rapporto equilibrato e soddisfacente con un falco.
Abituati agli animali “domestici”, parlando di addestramento di falchi, è necessario cambiare decisamente atteggiamento.
Non ci si può aspettare comportamenti che abbiano a che fare con la sfera emotiva. Niente affetto, obbedienza, fedeltà, riconoscenza.
I rapaci, a differenza degli animali addomesticati dall’uomo da secoli, vengono selezionati naturalmente soprattutto in funzione della loro selvaticità e quindi in direzione opposta a quelle della selezione umana, che privilegia i soggetti meno paurosi verso l’uomo e più propensi a farsi sottomettere.
Non sono animali “sociali”, cioè che sfruttano il branco e la collaborazione e non concepiscono la gerarchia ed il concetto di sottomissione interspecifica.
Il risultato è che il normale concetto di “addestramento” che si utilizza con i cani, i cavalli e tutti gli animali che circondano l’uomo da sempre, non funziona con i rapaci.
Punire un cane quando sbaglia, serve a fargli capire che al capo branco (l’uomo) non piace quel comportamento e lui per compiacere il padrone, modifica il suo comportamento, sottomettendosi.
Così, impara a trattenere i suoi bisogni corporali, accetta la mantellina colorata, che tanto piace alla
sua padroncina, non abbaia più, non aggredisce i gatti, sue prede naturali…, insomma diventa un pupazzo nella mani degli amati padroni.
Unico degno rappresentante della razza canina è rimasto il cane da caccia, che ancora può predare, cioè fare quello per cui è stato creato dalla natura.
E naturalmente la maggior parte di coloro che si proclamano “amici del cane”, aborrono la caccia…
Probabilmente cercano nei cani quegli amici che fra gli umani non riescono ad avere, ma chissà , se i cani potessero parlare, cosa direbbero della loro “amicizia”…
Ma torniamo ai rapaci: un rapace non si può punire.
Il rapace divide gli esseri viventi in sole tre categorie. Molto semplice.
Gli esseri viventi che si possono uccidere e mangiare, quelli che non si possono uccidere, ma non sono pericolosi e quelli pericolosi, dai quali fuggire alla vista.
Nel primo gruppo ci sono le prede, nel secondo, per esempio, le mucche, pecore, etc, nel terzo i predatori più forti di lui, per esempio, l’uomo.
Il falconiere per scendere a compromessi con un rapace ha solo una possibilità: passare dalla categoria degli esseri viventi pericolosi, a quella dei non pericolosi.
Per fare questo non si può sbraitare, agitarsi o addirittura “punire”, perché anziché sottomettersi, il rapace avrebbe la conferma che noi siamo pericolosi e più forti di lui e quindi esseri da cui fuggire appena possibile.
Avremo raggiunto così l’esatto contrario dei nostri intendimenti.
Il nostro percorso deve essere capace di convincere il falco che, tramite determinate attività vissute insieme a noi, gli sarà molto più semplice nutrirsi, cioè cacciare.
Bisogna perciò iniziare ad addestrare il falco facendogli capire che non possiamo fargli alcun male, anzi, che gli procuriamo il cibo con estrema facilità.
Quando il falco si convincerà che la nostra presenza significa facile cibo, cercherà di frequentarci il più possibile.
Facile, no?
Assolutamente si, se non ci fossero quelle fastidiose centinaia di eccezioni dovute alla differenza di psiche di ogni falco e di ogni falconiere, a complicare le cose…
Ci sono bellissimi (ed anche numerosi) manuali di falconeria, che descrivono dettagliatamente tutte la mansioni e le metodologie di addestramento. Svelano anche i trucchi… per cui non dovrebbero esserci problemi, seguendo le righe. Ma non è così, altrimenti perché avrebbero definito la Falconeria un’arte?
Allora, a prescindere dal come farlo, il risultato finale dell’addestramento deve essere che il falco deve inseguire e catturare, ma anche tornare correttamente dal falconiere in caso di mancata cattura. E questo avviene soltanto quando il falco acquisisce piena fiducia verso il falconiere, altrimenti fugge e torna selvatico.
Sembra banale, ma …
Qualcuno chiede a volte se il falco “riporta”….
Naturalmente, il falco porta la preda alla sua compagna, come offerta… quando lei gli dà qualcosa in cambio… qualcosa che noi non abbiamo… per cui: niente riporto… quando prende, mangia e possibilmente non vuole nessuno in giro a rompergli le scatole.
Possiamo fare uno scambio… noi diamo una parte di preda a lui ed il resto ce lo teniamo…
Mi pare corretto… un rapporto da pari a pari, nessun padrone, nessun servo…

Addestrare i falchi alla caccia: considerazioni

hamblin-mark-goshawk-adult-perched-on-falconers-glove-scotlandIn realtà il termine “addestrare” non è proprio che calzi a pennello, perché rendere “destro,” cioè “capace”, un animale a fare qualcosa che è già nella sua natura, è un po’ come insegnare a nuotare ad una rana.

Forse sarebbe meglio dire “condizionare i falchi al falconiere”. Nessuno può “insegnare ” o “addestrare” un falco alla caccia meglio di quanto i suoi geni abbiano già fatto.
Il falconiere deve far capire al falco che non è pericoloso stare vicino a lui e che anzi può diventare conveniente sfruttarlo per cacciare più facilmente.
Sia praticando la caccia con falchi di alto volo, che con quelli di basso volo, il risultato finale del condizionamento, prima di andare a caccia insieme, è quello di convincere il falco che stando intorno al falconiere prima o poi salterà fuori una possibile e più facile preda.
Se la catturerà, potrà cibarsi della preda oppure di un compenso offertogli dal falconiere, se invece
non sarà possibile catturarla, il falco può sempre contare sul premio di consolazione tornando verso il falconiere.
Il tutto nell’armonia di una squadra (non dimentichiamo il cane, che deve essere interpretato dal falco come un fondamentale elemento) che senza competizione, ma in collaborazione, tende soltanto all’obbiettivo della cattura della preda.
Naturalmente mentre l’uomo ed il cane collaborano sapendo di farlo perché concepiscono il concetto di “branco”, il falco semplicemente li sfrutta come le cornacchie sfruttano i trattori che arando estraggono i vermi dal terreno.
Per cui mentre il cane riporta la preda al padrone per sottomissione, il falco cattura, uccide e si nutre.
Anzi possibilmente cerca di coprire e proteggere la preda da chiunque ed è necessario utilizzare particolare attenzione nel levargliela, sostituendola con un premio di cibo alternativo, per non incrementare la sua tendenza a volare via per non farsela “rubare” dai compagni di caccia.
La prima fase di rapporto con un falco preso dalla voliera dove è nato e che non ha mai avuto contatti con l’uomo, ha come obbiettivo finale di riuscire a convincerlo che stare posato sul guanto del falconiere, vicino al suo viso e farsi toccare dalla sua mano nuda, non è una cosa pericolosa e negativa.
L’uomo è percepito geneticamente come nemico molto pericoloso e vederselo a 20 cm di distanza stimola un irrefrenabile istinto alla fuga. Ma le stringhe di cuoio (chiamiamole “geti”) che tengono le zampe del falco attaccate al guanto, lo fanno tornare sempre al punto di partenza.
Per evitare che lo stress diventi pericoloso, è necessario che prima di cominciare a tenerlo sul pugno, il falco abbia la mente interessata da qualcosa che lo distragga dall’uomo, così da sentirsi meno impaurito. La cosa che più riempie i pensieri di qualsiasi essere vivente (uomo compreso), nel momento in cui manca, è il cibo.
I rapaci più aggressivi verso le prede sono quelli che hanno il metabolismo più veloce e naturalmente sono quelli che l’uomo utilizza di più a caccia. Avere il metabolismo “veloce” per un rapace, come per esempio la femmina di sparviere, vuol dire pesare 280 grammi e mangiare dai 50 gr di carne d’estate, fino ai 90 d’inverno, tutti i giorni, per essere in forma.
E’ facilmente intuibile, come la sua mente sia molto occupata dalla ricerca del cibo perché per fare 90 grammi di piccoli passeriformi (tipo passeri) è necessario catturarne un po’ più di uno… e dato che non tutti gli inseguimenti si concludono in una cattura, ne consegue che le sue giornate siano piuttosto movimentate.
Diminuire la ciccia ad un cane (che ha una digestione lenta ed un metabolismo proporzionato), lo rende molto più attivo e recettivo verso i richiami del padrone e verso la ricerca della selvaggina; diminuire la razione giornaliera ad un falco decuplica la sua attenzione verso il cibo, diminuendo di conseguenza la sua attenzione alle altre situazioni esterne, come la paura per la presenza dell’uomo.
Per cui in falco con un buon appetito tenderà a presentarsi come più “calmo” verso l’uomo, ma anche più pronto e deciso verso le prede.
Offrire cibo sul guanto ad un falco e farglielo consumare ripetutamente ogni giorno senza dargli conseguenze negative, lo convince pian piano che tutto sommato quel nemico potenziale che era il falconiere, può diventare fonte di facile nutrizione, senza effetti collaterali controproducenti.
Dopo qualche giorno il falco si tranquillizzerà senza aver bisogno di sentire lo stimolo dell’appetito.
La fase iniziale del buon rapporto con il falconiere è fondamentale soprattutto per i falchi di basso volo, che si utilizzano a caccia senza cappuccio, seguendo l’azione del cane a vista, tenuti sul guanto per ore.
Questi falchi (astori, sparvieri , falchi di Harris etc) devono abituarsi a stare rilassati a stretto contatto con l’uomo, concentrandosi esclusivamente sull’azione di caccia. I falchi d’alto volo, si portano sul guanto incappucciati e si scappucciano sul campo.
Si involano dal guanto alzandosi il più velocemente possibile per raggiungere una quota utile per la picchiata e hanno meno problemi di contatto ravvicinato con il falconiere, ma di contro hanno la possibilità di allontanarsi molto essendo completamente liberi e devono avere un ottimo senso del collegamento con il cane e l’azione di caccia.
La seconda fase riguarda il ritorno del falco al richiamo del falconiere. E’ anche questa fase molto legata al condizionamento.
Dopo avere raggiunto un buon rapporto fra il falco ed il suo “posatoio umano”, cioè il guanto, è indispensabile abituarlo a raggiungere in cibo offerto dal falconiere da distanze sempre maggiori.
Il condizionamento è completo se al richiamo visivo del cibo, il falco associa un richiamo acustico, di solito il fischietto usato in cinofilia, e vola velocemente verso il falconiere non appena viene richiamato.
Oltre che sul guanto, il cibo viene offerto al falco anche su un oggetto di cuoio, di solito guarnito di un paio di ali essiccate di uccelli che possono essere preda del falco (fagiano, piccione, cornacchia etc) che si chiama “logoro”.
Il logoro è l’attrezzo fondamentale per il falconiere, soprattutto per i falchi di alto volo.
E’ talmente importante ed talmente utilizzato che si “logora” in breve tempo… da qui il nome classico.
Mentre il guanto è tenuto fermo dal falconiere, durante il richiamo del falco, il logoro si fa roteare legandolo ad una corda lunga circa 1 metro e mezzo e, pur essendo assolutamente chiaro al falco che non si tratta di un uccello vero, la sua attrattiva è notevolmente superiore.
La terza fase riguarda il condizionamento del falco con l’azione di caccia.
Non può esserci altro modo per affrontare questa parte della falconeria, che non sia l’andare a caccia. Si può cominciare a fare vedere qualcosa al falco rilasciando prede gabbiamole, allo stesso modo in cui si cominciano a far incontrare le quaglie di voliera ai giovani cani da ferma, ma i rilasci “dalla borsa”, il “bagging”,come dicono gli anglosassoni, non può essere troppo prolungato e facile, bisogna al più presto portare il giovane falco in situazioni di caccia reali, con lunghe ricerche ed occasioni rare e da non perdersi, che il più delle volte portano a lunghi inseguimenti senza risultato, ribattute e nuovi tentativi, sino all’agognata cattura.
In questo modo il falco entra veramente nella vera essenza della falconeria, in simbiosi con cane e falconiere.

Amedeo Traverso

www.lacaccia.net