Nidi artificiali per rapaci

INTRODUZIONE

cassetta nido gheppioMolte specie di rapaci selvatici utilizzano volentieri nidi artificiali appositamente e correttamente collocati per loro, tra queste ricordiamo il Gheppio comune (Falco tinnunculus), il Falco Pellegrino (Falco peregrinus), il Barbagianni (Tyto alba) e la Civetta (Athene noctua). Le popolazioni delle suddette specie sembrano godere ormai di buona salute, mostrando trend altamente positivi in gran parte del territorio italiano, ma uno dei problemi che maggiormente affligge i rapaci, oltre che la persecuzione diretta, è quello della perdita dell’habitat e dunque anche dei siti idonei alla nidificazione. Per questo motivo l’installazione di cassette nido artificiali spesso si dimostrerà un valido supporto alle popolazioni in difficoltà. Con questo articolo si vuole brevemente illustrare le modalità di costruzione e montaggio dei nidi artificiali per Gheppio, Pellegrino, Civetta e Barbagianni.

ISTRUZIONI GENERALI

Non esiste un modello standard di nido artificiale per gli uccelli: ogni specie ha le proprio esigenze e dunque la forma, dimensione, collocazione e caratteristiche generali della cassetta nido varierà da specie a specie. Ma ci sono alcune caratteristiche valide per tutte le specie: impermeabilità, protezione dai predatori e dalle intemperie, assenza di disturbo. I modelli di nido artificiale per uccelli possono in genere essere suddivisi in due categorie principali: nidi semi aperti e nidi chiusi.

MATERIALI

Indubbiamente il legno è il materiale migliore da usare: legno nuovo o vecchio, morbido o duro, non è importante. Lo spessore delle tavole di legno da usare deve essere, in media, di circa 2 cm. Non è per forza necessario comprare il legno per costruire i nidi artificiali, ma può essere usato legno di riciclo, per esempio quello degli imballaggi. Dopo la costruzione l’ esterno del nido (solo quello!) dovrebbe essere trattato con sostanze impermeabilizzanti specifiche per il legno (che possono essere reperite in una qualsiasi ferramenta o negozio specializzato in bricolage), che daranno alla struttura una vita più lunga ed una maggiore resistenza ai fattori atmosferici.

GESTIONE GENERALE E COLLOCAZIONE

Altezza: l’altezza del suolo può essere variabile, in funzione delle esigenze specie-specifiche. Specie come il Pellegrino usano nidi artificiali collocati ad almeno 30-40 metri dal suolo, ma un Barbagianni può nidificare su nidi artificiali collocati anche a terra o vicinissimi al suolo. L’importante è che il nido sia comunque ben protetto e non raggiungibile dai predatori.

Aspetto:  se non c’è un rifugio naturale dove collocare il nido, è meglio montarlo facendo in modo che l’apertura di entrata del nido sia esposta a sud-est, per evitare la luce diretta del sole e la pioggia battente. Il nido inoltre dovrebbe essere collocato in posizione leggermente obliqua al fine di evitare l’entrata della pioggia battente diretta.

Fig. 1: Il disegno mostra come “posizionare” un nido artificiale per proteggere la nidiata all’interno della cavità artificiale in caso di pioggia battente diretta (tratto da: http://www.cisniar.it/)

Predatori:  Sono numerose le specie di predatori che possono danneggiare la covata o la nidiata di un nido artificiale, soprattutto in ambiente urbano (gatti, martore, faine, serpenti, Corvidi, ecc). Non esistono soluzioni definitive a questo problema, l’importante è usare un po’ di buon senso e qualche piccolo trucco durante la costruzione e collocazione del nido. Posizionare il nido in un luogo poco visibile ai predatori e difficile da raggiungere, magari ponendo delle protezioni (con rete metallica, per esempio) che impediscano ai predatori terrestri di arrampicarsi e raggiungere il nido.

Fissaggio: Alcuni autori consigliano di usare i chiodi per fissare il nido direttamente agli alberi o ai rami, mentre altri preferiscono consigliare l’uso di corde o altri tipi di legature. Entrambi i metodi sono funzionali, sebbene sia sempre consigliabile di evitare di danneggiare gli alberi con i chiodi o se si usa del fil di ferro troppo stretto per legare il nido. In ogni caso, una manutenzione annuale, alla fine del periodo riproduttivo è importante per mantenere la stabilità, funzionalità e pulizia del nido artificiale.

Numero e densità :  Il numero di nidi artificiali da posizionare dipende dalla specie. Nel caso dei rapaci, poiché le loro popolazioni sono poco dense, trattandosi di predatori ai vertici delle catene alimentari, i nidi dovranno essere montati ad una distanza piuttosto elevata. Difficilmente due coppie di Civetta o di Gheppio nidificheranno a poche decine di metri di distanza.

Manutenzione annuale e pulizia:  Deve essere eseguita solo alla fine della stagione riproduttiva (il periodo migliore è tra Ottobre e Novembre). Tutti i nidi devono essere controllati, svuotati dalla sporcizia eventualmente accumulatasi, e disinfettati (non usate insetticidi, usate solo acqua bollente). I nidi devono essere lasciati comunque per tutto l’anno, poiché spesso i rapaci li utilizzano come dormitori e riparo durante la stagione invernale.

Nota: se non volete costruire da voi i nidi artificiali potete acquistarli direttamente dalla CISNIAR (http://www.cisniar.it/nidi%20artificiali.htm), un gruppo specializzato di esperti che esegue studi e ricerche su questo interessantissimo campo.

CASSETTA NIDO PER GHEPPIO COMUNE

IntroduzioneNon è una specie rara, anzi, fortunatamente, sta divenendo comune praticamente ovunque. E’ comunque una presenza molto piacevole da attirare con un nido artificiale ben costruito e ben collocato.
Nido in naturaI Gheppi comuni non costruiscono nidi, come, del resto, quasi tutte le altre specie di rapaci, ma, in natura, depongono le uova usando nidi abbandonati di Corvidi, cavità negli alberi o nicchie sulla roccia o su edifici.

MisureSi consulti la Fig. 3CollocazioneLa cassetta può essere fissata direttamente ad un albero (al tronco) oppure ad una struttura artificiale (edificio, torre, serbatoi).HabitatGli ambienti migliori sono la campagna aperta, le aree coltivate ma anche le aree urbane periferiche.AltezzaLa cassetta nido per Gheppi va collocata ad una altezza di almeno 6 metri dal suolo.EsposizioneL’entrata deve essere esposta ad est e tutto il nido deve essere posizionato leggermente inclinato.

MaterialeLegnoFondoSabbietta, con uno spessore di circa 5 cmLinks http://www.cisniar.it/cassetta_per_gheppio.htm

http://www.linz.at/umwelt/natur/falken/Enisthil.htm

http://www.lincstrust.org.uk/factsheets/nestbox/kestrel.php

Fig. 2: Schema costruttivo (tratto da: http://www.linz.at/umwelt/natur/falken/Enisthil.htm)

Fig. 4:  Un esempio di montaggio “interno” del nido artificiale per Gheppi

(tratto da: http://www.linz.at/umwelt/natur/falken/Enisthil.htm).

Nota: assicurarsi che davanti al nido ci sia sempre un piccolo spazio che i giovani potranno utilizzare per esercitarsi al volo prima dell’involo.

CASSETTA NIDO PER FALCO PELLEGRINO

Nido in naturaIn natura il sito preferito dai Pellegrini come nicchia per il nido è senza dubbio costituito da sporgenze o cavità nella roccia, posizionate in alte falesie o pareti.
MisureSi veda la Fig. 5
CollocazioneEdifici, Serbatoi, Torri
HabitatAmbiente urbano o zone agricole ove siano presenti strutture alte almeno 30-40 metri
AltezzaDai 30 ai 60 metri di altezza dal suolo, in funzione dell’altezza della struttura dove viene collocato il nido
EsposizioneEst, Sud-est
MaterialeLegno
FondoGhiaietta o sabbia, di almeno 5 cm di spessore.
Links http://www.kodak.com/eknec/PageQuerier.jhtml;jsessionid=O3Q4LZVLVMUCNQHIO3JXWIY?pq-path=2017&pq-locale=en_US&_requestid=85505

 

 

Fig. 5:

 

Fig. 6: Altro esempio di modello di nido artificiale per Pellegrino

Fig. 7: Nido artificiale per Falco pellegrino montato su un serbatoio.

Fig. 8: immagine tratta dalla webcam Kodak posizionata su un nido artificiale per Falco Pellegrino.

Nell’immagine a fianco: la torre della Kodak dove è collocato il nido artificiale

CASSETTA NIDO PER CIVETTA

IntroduzioneCome già detto nell’introduzione la Civetta è uno Strigiforme ormai molto comune ovunque, ma spesso soffre del grosso problema della mancanza di nicchie adatte per la riproduzione.
Nido in naturaCavità su alberi, rocce o strutture artificiali (fienili, abitazioni ecc.)
MisureLunghezza totale: 75 cm; Larghezza e altezza: 20 cm; Diametro del foro di entrata: 7 cm (Nota: i due fori di entrata non devono essere allineati, ma collocati in una posizione diagonalmente opposta,
CollocazioneSu alberi o su strutture artificiali
HabitatGiardini, coltivi, campagna aperta
AltezzaVariabile, da 2 a 5-7 metri dal suolo, in funzione della struttura o dell’albero su cui viene montato
EsposizioneEst, Sud-Est
MaterialeLegno
FondoUno strato di segatura alla base, sopra la quale deve essere collocata della paglia o del fieno.
Links http://www.steenuilgroningen.nl/redirect.html?bouwtekening_eng

 

Fig. 9: Schema di costruzione della cassetta nido per Civetta

(tratto da: http://www.steenuilgroningen.nl/redirect.html?bouwtekening_eng).

Fig. 10: Collocazione corretta di una cassetta nido per Civetta

(tratto da: http://www.steenuilgroningen.nl/redirect.html?bouwtekening_eng).

CASSETTA NIDO PER BARBAGIANNI

IntroduzioneIl Barbagianni soffre in natura degli stessi problemi della Civetta e, in alcune aree agricole troppo “modernizzate” sta praticamente scomparendo del tutto. A livello sperimentale in alcune aree agricole si stanno portando avanti dei programmi di installazione di nidi artificiali per Barbagianni per il controllo naturale dei roditori nocivi.
Nido in naturaCavità di alberi o strutture artificiali (fienili, soffitte,campanili, edifici abbandonati).
MisureSi veda la Fig. 11
CollocazioneScegliere una posizione ben riparata e nascosta, quanto più buia possibile, non esposta alla luce diretta solare. I luoghi più idonei per la collocazione sono sicuramente le strutture artificiali (fienili, soffitte, campanili, torri, ecc.), a cui il Barbagianni possa accedere direttamente o attraverso cavità murarie già esistenti o appositamente predisposte.
HabitatCampagna aperta, coltivi.
AltezzaCome per la Civetta
EsposizioneEst, Sud-Est
MaterialeLegno
FondoCome per la Civetta
Links http://www.cisniar.it/nido_per_barbagianni.htm

http://www.lincstrust.org.uk/factsheets/nestbox/barnowl.php

Fig. 11: Schema di costruzione (tratto da: http://www.cisniar.it/).

CASSETTA NIDO PER ALLOCCO

IntroduzioneL’Allocco (Strix aluco) è un comune abitante dei nostri boschi, dove generalmente non ha problemi per trovare una buona cavità per la nidificazione. Ma gli allocchi possono anche vivere nei giardini con pochi alberi e sarà quindi utile fornire loro una struttura artificiale per la riproduzione
Nido in naturaCavità nei tronchi degli alberi, ben nascoste e buie.
MisureSi consulti la Fig. 13
CollocazioneTronchi di alberi
HabitatBoschi e giardini alberati
Altezza4-7 metri dal suolo
EsposizioneCome in figura 12. Est, Sud-Est
MaterialeLegno
Fondo
Links http://www.lincstrust.org.uk/factsheets/nestbox/tawnyowl.php

http://www.cisniar.it/nido_per_allocco_a_camino.htm

Fig. 12: Come installare un nido artificiale per Allocchi (1: sul tronco principale, con inclinazione di 45 gradi; 2: su un ramo laterale, inclinato;

3:ad una biforcazione tra due rami, sempre in posizione inclinata).

 

Fig. 13: Schema di costruzione e misure (tratto da: http://www.cisniar.it/).

Addestramento dei Rapaci Notturni

 

L’ordine degli Strigiformi assomma una serie di specie accomunate da particolari caratteristiche e che vengono comunemente definiti “rapaci notturni” (“owls”). Essendo anche questi dei “rapaci”, anche se abbastanza diversi dai classici rapaci diurni, non è difficile che qualche falconiere decida di acquistarne uno e tentare di addestrarlo. Conosco anche delle persone a cui piacciono solo i rapaci notturni e li addestrano o li allevano con successo. Le cose sono anche facilitate dal fatto che oggi molti allevamenti di rapaci producono numerose specie di notturni, dalle più comuni come i Gufi reali alle più rare; inoltre, in generale, i notturni hanno prezzi sensibilmente più bassi rispetto ai diurni il che ne rende facile la diffusione. Da qualche anno a questa parte ho anche io voluto tentare delle esperienze con i rapaci notturni, non ne ho addestrati molti ma mi sono fatto una idea della corretta metodologia di lavoro con queste specie.

Fig. 1. Giovane femmina Bubo africanus di 2 mesi di età. Già a questa età, anche se il piumaggio non è completo, si può iniziare a portare il rapace fuori. E’ invece presto per iniziare il vero addestramento visto che non è ancora stato raggiunto il peso da adulto. Nella foto sta inghiottendo un topo intero, alimento completo per questa specie e praticamente per tutti i notturni, che consentirà, tra l’altro la produzione della borra, che è fondamentale per una corretta gestione alimentare dei rapaci notturni in cattività.

LA BIOLOGIA DEI RAPACI NOTTURNI

Prima di andare avanti, mi sembra corretto descrivere brevemente alcune caratteristiche biologiche dell’orine Strigiformes, poichè è sempre fondamentale conoscere adeguatamente la biologia delle specie con le quali si lavora.

Intanto bisogna dire che non esistono rapporti di parentela tra i rapaci notturni ed i rapaci diurni. Sembrano, per certi versi, molto simili, ma in realtà la loro similitudine è dovuta a dei coadattamenti alla predazione (artigli, becchi) e non ad una origine filogenetica comune. Il rapporto di parentela che corre per esempio tra un Gufo reale (Bubo bubo) ed un’Aquila reale (Aquila chrisaetos) non è molto dissimile dal rapporto di parentela che corre tra una quaglia ed una gazza.

Altro aspetto da considerare è la vista: molti di voi penseranno che per addestrare e far volare liberi i notturni bisognerà operare nelle ore notturne, ma ciò in realtà non è vero. Questi animali di giorno ci vedono benissimo sebbene siano adattati ad una certa sensibilità visiva notturna. Certo, bisogna dire che alcune specie di giorno possono essere infastidite dalla luce eccessiva, e sarà necessario evitare di farli lavorare in condizioni di luminosità non eccessiva, evitando le giornate fortemente soleggiate, almeno nelle ore centrali. In effetti, da questo punto di vista, si può fare una comoda distinzione basandosi sul colore degli occhi. Tanto più l’iride è gialla e tanto più la specie è idonea a lavorare anche di giorno e viceversa, tanto più è di colore scuro e tanto meglio la specie è adattata alla vita notturna e sarà infastidita dalla luce troppo forte (ma ci vede lo stesso, il problema è che è infastidita dalla luce, poiché i suoi occhi hanno una specie di sistema di amplificazione della luce, bisognerebbe dunque portarlo fuori solo quando il sole non è abbagliante). Da questo punto di vista il Bubo africanus prima citato si presta ottimamente, i suoi occhi ad iride gialla gli permettono infatti di lavorare in tutte le condizioni di luce, oltre che rendere l’animale particolarmente bello.

Sempre parlando della luce-buio, è da considerare l’importanza fotoperiodico di questo fattore. Infatti, sebbene i notturni possano tranquillamente lavorare anche di giorno, in realtà la luce diurna ne inibisce l’attività; si noterà infatti che durante la mattinata questi animali sono molto passivi e restii a lavorare. La luce agendo sul loro sistema nervoso, ne rallenta le attività. Allora le ore migliori sono la prima mattinata e, soprattutto il tardo pomeriggio, quando cioè il sole è ormai all’orizzonte.

Le tecniche di caccia di questi rapaci sono sostanzialmente diverse rispetto ai rapaci diurni; i notturni hanno, abbiamo detto, una vista molto sviluppata, ma non tanto al fine di individuare prede molto distanti (come nei diurni, cioè grazie ad un elevato numero di coni nella fovea) ma bensì al fine di riuscire a “vedere” ben anche al buio (cioè grazie ad un elevato numero di bastoncelli nella retina; si ricordi che i coni sono le cellule dell’occhio sensibili ai colori ed i bastoncelli sono sensibili alla luce). Ma non è tanto grazie alla vista che essi riescono a cacciare le loro prede di notte, la vista serve loro solo a volare tranquilli nel buio senza andare a sbattere contro gli alberi. Invece il senso che permette loro di individuare con precisione una preda è l’udito. Non mi dilungo a spiegarne i meccanismi, comunque è l’udito estremamente sviluppato anch’esso (gli Strigiformes, sono tra gli uccelli quelli che ci sentono meglio, è infatti risaputo che gli uccelli di norma hanno un udito poco sviluppato a differenza dei Mammiferi). Ma, a differenza della vista, individuare il punto preciso in cui si trova una preda solo con l’udito, richiede una complessa elaborazione di dati da parte del cervello, per cui il notturno, appollaiato sul suo posatoio, valuterà per lungo tempo (alcuni minuti o più) il modo migliore di approccio alla preda prima di attaccarla, basandosi anche sulla copertura del buio, sulla sua mimetizzazione e sulla sua silenziosità, per cui la preda rimane completamente ignara di quello che sta succedendo. Questo è uno dei motivi che spiega la notevole “passività” dei rapaci notturni rispetto ai diurni.

Fig.2. Maschio giovane di Bubo africanus durante i primi addestramenti indoor.

Infatti la maggior differenza, a livello applicativo, tra notturni e diurni e che è poi il principale fattore che determina le loro difficoltà di addestramento è appunto la “passività”. I rapaci notturni sono uccelli dal metabolismo lento e, soprattutto, dai movimenti e dalle reazioni lente. Uno dei motivi è quello spiegato sopra. Non essendo animali dal volo agile, devono valutare con precisione il modo di approcciare sulla preda (o sul cibo posto sul pugno) per cui, almeno nelle prime fasi di addestramento, ci faranno sudare molto per convincerli a venire al pugno o ad inseguire il logoro al traino. Questa è, secondo me, la principale differenza tra l’addestramento di un rapace notturno e quello di un diurno. Se già con i diurni si fa una certa fatica per convincerli al salto sul pugno e sul logoro, questa fatica sarà amplificata nei notturni. Bisognerà sfruttare al meglio intanto la nostra stessa pazienza, e poi anche le tecniche di controllo del peso, della fame ed il condizionamento etologico.

Fig.3.Maschio adulto di Bubo bubo. La loro dimensione è ragguardevole rispetto a molte altre specie di rapaci notturni.

QUALE SCEGLIERE?

Possono essere addestrati per il volo libero molte specie di rapaci notturni sebbene non tutte le specie dovrebbero essere usate per l’addestramento. Il motivo di ciò è che per es. una specie molto rara in cattività o anche allo stato selvatico non dovrebbe essere addestrata ma bensì sarebbe meglio tenerla per progetti di riproduzione in cattività e cioè per attività più conservative.

La cosa migliore da fare è addestrare solo rapaci notturni allevati a mano e non allevati dai genitori (il che li fa simili a quelli catturati dallo stato selvatico). Qualcuno che ci ha provato potrebbe ribattere che addestrare rapaci notturni allevati dai genitori è la stessa cosa che nei rapaci diurni. Invece ciò non è assolutamente vero; in base a molte esperienze fatte si è infatti visto che tali individui rischiano più facilmente di morire per lo stress dell’addestramento e se ciò non avviene comunque saranno molto selvatici e sempre stressati e sofferenti a causa dell’addestramento. Essi dovranno essere abbassati molto di peso e questo è sbagliato. Non è giusto tentare di ammansire e assoggettare un rapace notturno “selvatico” (cioè parent reared). Tra l’altro ciò è anche una cosa inutile visto che oggi i rapaci notturni che si possono tenere in cattività devono essere nati in cattività e dunque è facilissimo ottenerli allevati a mano. Nel caso di specie particolarmente rare che sono quindi difficili da ottenere vale il discorso fatto prima.

I rapaci notturni anche da questo punto di vista sono molto diversi dai diurni. Ciò è dovuto al fatto che essi tendono ad essere più calmi e docili se allevati a mano rispetto ai diurni. Bisogna però ricordare che più un rapace notturno è calmo e mansueto e più esso sarà noioso e lento nel modo di agire, ma allo stesso tempo bisogna anche dire che se un rapace notturno non è calmo ciò non significa che esso non sia quieto. La scelta migliore, come detto sopra, è un imprintato cioè allevato a mano. Con esso ci risparmieremo di abituarlo al pugno perché sarà una cosa assolutamente naturale.

image009.jpg (36941 byte)Fig.3.Coppia di Bubo virginianus in voliera. Sono rapaci molto belli, anche grazie al colore dell’iride (giallo) anche se non troppo grossi.

Come per i diurni anche per i notturni il neofita non dovrebbe scegliere le specie più piccole. Più, infatti, un uccello è piccolo e più sarà facile abbassare eccessivamente il suo peso (anche per errore) a tal punto da ucciderlo. I migliori per i neofiti sono i rapaci notturni di medie dimensioni (per es. il Gufo reale maculato africano, Bubo africauns, che è di dimensione ragionevole ed ha anche un buon temperamento). Effettivamente un Gufo reale europeo è eccessivamente grosso (le femmine delle sottospecie nordiche possono arrivare a 4 kg) e se, da un lato, colpisce per questa sua molte, dall’altro lato per il neofita è un rapace abbastanza ostico. Come detto prima la grossa mole ne rende difficile il controllo del peso e dunque lo rende svogliato e ostile a lavorare, inoltre nel periodo riproduttivo possono diventare aggressivi. E’ meglio quindi farsi prima una adeguata esperienza con i notturni di medie dimensioni.

Anche questi rapaci sono molto grossi, pur non raggiungendo le dimensioni di alcune ssp di Gufo reale. Purtroppo il clima italiano non è idoneo alla loro vita in cattività: sono moltissimi i casi di morte a causa di stress climatico con conseguente indebolimento del sist. immunitario. Per cui è sconsigliato il loro acquisto e soprattutto l’addestramento (almeno nelle regioni meridionali, diciamo dall’Emilia Romagna in giù).

ATTREZZATURE

Sarebbe buona cosa procurarsi dall’allevatore il rapace notturno che abbiamo scelto nei primi mesi dell’estate così che si abbia più tempo per giocare con lui nella voliera. Ovviamente prima di ricevere l’animale sarebbe opportuno organizzarsi con la voliera, il veterinario, le fonti di cibo e tutta l’attrezzatura necessaria.

Normalmente un rapace notturno non deve essere tenuto legato al blocco ma sciolto in voliera. Anzi sarebbe opportuno vietare legalmente tale sistema (il blocco) per tenere in notturni addestrati.

Infatti la ragione primaria per cui si preferisce legare al blocco i rapaci diurni è che essi tendono a sbattere nelle pareti di rete e dibattersi facendosi così male e rovinandosi le penne. Ma questo con i notturni non accade mai soprattutto se la voliera è ben costruita. Il tenere i notturni in voliera inoltre è molto più etologicamente salutare per loro, fanno quello che vogliono quasi come se fossero liberi; e se il problema è lo spazio, ricordate che i notturni essendo animali molto passivi, hanno bisogno, normalmente, di poco spazio in voliera (anche allo stato selvatico sono animali che hanno degli home ranges solitamente ridotti)

Per quando riguarda l’attrezzatura da usare ne serve di meno rispetto ai diurni, per il fatto che non dobbiamo legarli al blocco.

image013.jpg (58728 byte)Fig. 5. Femmina adulta di Bubo africanus. Si noti il “disco facciale” (la faccia è praticamente piatta) che funge da parabola amplificatrice di suoni, intensificandoli. Le orecchie, non visibili nella foto perché protette dalle penne, si trovano ad una altezza diversa tra destra e sinistra e questo perché così i suoni ricevuti possono essere elaborati dal cervello anche in funzione del ritardo di ricezione tra destra e sinistra permettendo così al rapace di capire l’esatta posizione della preda.

Dal momento in cui il nostro rapace avrà raggiunto il piumaggio completo, esso porterà sempre i geti Aylmeri per tutto il tempo che lo voleremo. Però sarebbe poi meglio togliere i braccialetti nel periodo della muta e metterli poi nuovi anche per una questione di sicurezza (perché col tempo si rovinano). La sola eccezione sono i rapaci notturni di dimensioni eccessivamente piccole ai quali non si metterà niente, e li addestreremo solo in voliera; oppure si potranno usare dei geti facilmente rimovibili così che possiamo metterli e toglierli solo per la sessione di addestramento; ma terminato il periodo di addestramento questi rapaci notturni piccoli non dovranno più portare geti.

Per quanto riguarda i campanelli si veda dopo. Useremo poi la solita lunga (che ci servirà a legare l’animale al guanto durante i primi addestramenti), la filagna, la borsa e il logoro. Per quanto riguarda il logoro, questo sarà diverso da quello solitamente usato per i diurni (si veda il paragrafo successivo).

Fig. 6. Bubo africanus, dorme. I rapaci notturni passano molto tempo a dormire. Questa femmina dormiva sia di giorno che di notte e le ore di attività si limitavano solo a 3-4 al giorno.

PERCHÉ ADDESTRARE I NOTTURNI, LORO USO A CACCIA ED IL LOGORO

Come al solito, mi pongo la classica domanda: perché addestrare un rapace notturno? Le risposte possono essere:

1)Per dimostrazioni di volo ed esibizioni, nel caso di centri pubblici di falconeria.

2)Semplicemente per il volo libero, senza fini venatori. Per avere un animale domestico, alla stregua di un cane, da portarci in giro quando passeggiamo per prati e boschi.

3)Per andarci a caccia.

Per quanto riguarda i punti 1 e 2 potremo usare molte specie tra cui il bellissimo (ed economico) Barbagianni, ma anche il Gufo comune, l’Allocco, il Gufo delle nevi, l’Allocco di Lapponia o il Gufo reale africano o il virginiano ma anche il gufo reale europeo. In questi casi non ci interessa la caccia attiva ai Vertebrati, e sarà sufficiente preparare l’animale al richiamo al pugno e alla pertica (nel caso dei centri di dimostrazione), o a seguirci. Ovviamente è importante anche l’addestramento al logoro, ma in questi casi si può usare anche un logoro a forma di topo. Il traino al logoro è infatti molto bello da vedere in una dimostrazione di volo in un centro pubblico di falconeria, ma ci aiuterà anche a richiamare giù un Gufo che non vuole muoversi dall’albero in cui si è appollaiato.

Per quanto riguarda il punto 3, il problema maggiore nell’usare i notturni a caccia è che se si legge un qualsiasi libro sulla loro storia naturale si vedrà che a parte alcune specie specializzate in pesci o altri cibi, tutti gli altri mangiano soprattutto topi, arvicole e insetti. Solo per alcune specie di Gufi reali si troverà che mangiano prede più grosse, ma comunque sarà molto difficile ad addestrarli a tali prede.

Questo non significa obbligatoriamente che non si può cacciare con i notturni, solo che ci sono delle tecniche sicuramente migliori della caccia con un Gufo addestrato (che deve comunque essere condotta in ore di poca luminosità ambientale). Comunque se è questo che volete, provate.

Ovviamente solo alcune specie si prestano ad essere addestrate alla caccia. Solo i Gufi reali di maggiori dimensioni possono catturare conigli e lepri. Le ssp. nordiche del Gufo reale europeo (per es. il sybiricus) normalmente raggiungono delle dimensioni notevoli che permettono loro di attaccare anche grosse prede.

E per addestrare i notturni alla caccia bisogna fare molto lavoro con il logoro così detto “dummy rabbit” cioè rassomigliante ad un coniglio o lepre. Sarà necessario usare anche conigli morti se se ne ha la possibilità in modo tale che il Gufo inizi a conoscere le sue prede già dalla giovane età ed ancora prima delle prime fasi di addestramento. Si vedrà comunque che un rapace notturno non ha le stesse capacità di agilità di volo di molti rapaci diurni. Bisogna sempre perseverare, infatti la pazienza è la chiave per l’addestramento di qualsiasi animale o uccello.

Il metodo generale di addestrare un notturno alla caccia è lo stesso usato per le Poiane codarossa o di Harris o altri Buteo o Accipiter. Bisogna preparare l’animale ad essere trasportati sul pugno, al richiamo sul pugno, al richiamo dagli alberi, a seguirci, e soprattutto ad inseguire il logoro. A questo punto è solo questione di esperienza e di provare e riprovare. La parola chiave è perseveranza e pazienza.

Inoltre è meglio non usare le campanelle altrimenti si rovinerebbe la straordinaria silenziosità di volo dell’animale che è poi la sua principale arma vincente nella caccia visto che non si tratta di animali veloci. Va benissimo allora usare la radiotrasmittente. Ma come si fa a ritrovare un rapace notturno al buio senza la comodità delle campanelle? Ottima idea è l’uso delle Starlight usate dai pescatori da attaccare ai geti. Si è visto che funzionano a meraviglia permettendoci di vedere il nostro rapace anche a vari km di distanza. Possono essere utili anche per la ricerca notturna dei rapaci diurni quando si perdono. Le Starlight non pesano più di un grammo (nei loro modelli più piccoli) e pensate quanto sarebbero utili nelle ricerche notturne.

PROCURARSI IL RAPACE

Moltissimi allevatori oggi, anche in Italia, riescono a riprodurre con facilità varie specie di rapaci notturni, per trovarne qualcuno magari nella vostra stessa zona, leggete le altre pagine di questo sito. Una volta ottenuto il contatto, assicuratevi che sia un allevatore serio e che i rapaci che alleva siano perfettamente regolari.

Se possibile, fare in modo che il giovane che stiamo comprando stia con i suoi simili per le prime settimane di vita, durante l’allevamento a mano; prendiamolo con noi solo quando avrà un piumaggio abbastanza sviluppato. In questo modo avremo un animale calmo e tranquillo ma allo stesso tempo non completamente imprintato sull’uomo (e penserà di essere ancora un gufo). In questi casi si parla di “double-imprinting” cioè gli oggetti su cui si impronta l’animale sono contemporaneamente due: l’uomo ed i suoi simili.

image017.jpg (40352 byte)Fig. 7. Pulli di Gufo reale europeo (Bubo bubo) di 3 settimane di età. Già a questa età sono molto giocherelloni e bisogna assecondarli. Questi in particolare sono stati allevati sotto un cespuglio, una specie di “owl hacking” permettendogli di abituarsi all’ambiente esterno sin dalla tenera età.

Tenersi in contatto con l’allevatore per avere notizie dell’animale. E non dimenticare di chiedere quale cibo viene usato in maniera da non stressarlo all’arrivo a casa con un cibo che lui non conosce, ma usare il cibo che gli è più familiare e passare poi gradualmente agli altri tipi. Ovviamente come già ripetuto varie volte è bene usare vari tipi di cibo e non una dieta monotona. Poi si scopriranno anche cibi di cui è più o meno ghiotto, in tal caso non usare quelli di cui è più ghiotto per le sessioni di addestramento ma sfruttarli per quando l’animale rifiuta di venire giù da un albero o quando si comporta male. Altra importante informazione è chiedere all’allevatore in che modo ha abituato a mangiare l’animale (se sul pugno, sulla tavolozza, a terra ecc.). Di solito comunque i DOCs (pulcini di pollo di un giorno) saranno il cibo preferito

Fig. 8. Pullus di Gufo reale europeo di 4 gg di età, durante le fasi di allevamento a mano. In questo momento ha appena finito di mangiare ed è entrato nella dura fase della digestione.

ADDESTRAMENTO

Descrivere i protocolli di addestramento non è lo scopo che si prefigge quest’articolo. Ciò richiederebbe anche molto spazio e tempo, che per il momento scarseggiano. Comunque chi voglia approfondire l’argomento mi contatti pure.

In generale la procedura è graduale: si parte prima con l’addomesticare il rapace abituandolo a tutto sin da piccolo (2-3 settimane di età), approfittando del fatto che non è ancora perfettamente in grado di volare; portarlo in giro in quei luoghi dove poi completeremo l’addestramento e dove lo faremo volare libero quando l’addestramento sarà completo, abituarlo alla presenza di altre persone e di cani e altri animali domestici per evitare che da adulto abbia timore di questi animali. Sempre in queste prime settimane passare molto tempo a contatto con lui ed abituarlo a mangiare sul pugno. Tenerlo sempre in voliera, slegato. Quando avrà completato lo sviluppo del piumaggio (anche se non proprio completamente, l’importante è che sappia volare bene ed abbia raggiunto il peso di adulto) si inizierà l’addestramento al pugno, richiamo e logoro, in voliera (addestramento “indoor”), con le stesse metodologie usate per i diurni ma con molta più pazienza. Infine, diciamo pessimisticamente, dopo un mese (quando il rapace avrà quindi circa 2 mesi di età) si inizierà l’addestramento “outdoor” in filagna, durante il quale si ripeteranno gli stessi esercizi fatti in voliera con in più i primi tentativi con il traino al logoro (fargli inseguire il logoro) e gli esercizi per insegnargli a seguirci.

Quando si ha la garanzia che l’animale risponde ai richiami, infine, si toglierà anche la filagna, diciamo, sempre pessimisticamente, dopo un altro mese. Da questo momento il rapace può volare libero ma l’addestratore dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per non perderlo (volarlo in una zona non boscosa, diciamo prato con qualche albero, usare il radio-tracking e le starlight, gestire correttamente il peso e la fame dell’animale ecc.)

image025.jpg (15403 byte)Fig. 8. Femmina adulta di Gufo africanus in volo. Si noti la “morbida” forma delle ali che contribuisce ad attenuare il rumore prodotto. Alla silenziosità contribuisce moltissimo il “velluto” che ricopre tutte le penne di volo e le “frange” che contornano le primarie.

CONCLUSIONI E USO A CACCIA

Cosa dire per concludere? I rapaci notturni sono affascinanti, hanno un modo di fare molto diverso da tutti gli altri uccelli, e in molti loro comportamenti si avvicinano di più ad un cane che non ai rapaci diurni.

Ho osservato che piace loro moltissimo giocare, con qualsiasi cosa, soprattutto se con un topolino finto in peluche. Dargli la possibilità di giocare è fondamentale per fare in modo che l’animale possa maturare correttamente alcuni patterns comportamentali, come le tecniche predatorie.

Non illudersi però di questa domesticità. Non portare questi rapaci a volare nei parchi pubblici, anche perché potrebbero danneggiare persone ed altri animali, soprattutto se si parla dei Gufi reali.

Riguardo al loro volo libero, ricordare che tirare giù un gufo da un albero è molto più faticoso che per un rapace diurno, che questi animali, se persi, si sposteranno soprattutto nelle ore notturne e che il loro piumaggio altamente mimetico, di solito, ne rende difficile l’avvistamento soprattutto quanto di posano sugli alberi (a tal proposito ricordare che i notturni preferiscono sempre appollaiarsi in quelle porzioni di rami più vicine al tronco, sia per una questione mimetica e sia per una questione di peso).

Fig. 9. Femmina adulta di Bubo africanus appollaiata durante le fasi di caccia (di topi!). Notare la mimetizzazione nonostante non sia posata sul ramo dentro l’albero ma davanti ad esso.

Per quanto riguarda, infine, l’uso che se ne può fare a caccia, posto che si tratti di un Gufo reale e che esso sia stato correttamente addestrato al logoro, abituato ai conigli, e ben rispondente ai richiami al pugno, la tecnica che useremo sul campo sarà particolare. Si potrebbe in un primo momento pensare di usare questi animali a caccia come si farebbe con una Poiana codarossa o con un Harris. Questa è infatti la metodologia seguita dalla maggioranza dei “gufieri”. Ma sarebbe meglio usare una tecnica che permetta al notturno di esprimersi al meglio. Come dicevamo in precedenza le armi da caccia di questi animali sono: vista acuta, udito acutissimo e preciso, silenziosità e mimetismo. Allora, la tecnica migliore da utilizzare sarebbe quella di appostarsi assieme al rapace (cosa che esso farebbe naturalmente) ed attendere il passaggio della preda. Il rapace è meglio che non venga tenuto sul pugno, ma bisogna lasciarlo su un ramo, meglio se è lui stesso a sceglierselo. Poi, visto che non ci si può mimetizzare così perfettamente come farebbe il nostro Gufo (bisognerebbe infatti riuscire ad ottenere una perfetta mimetizzazione nel colore, nelle forme, ma anche acustica ed olfattiva, quest’ultima importantissima soprattutto quando si cacciano lepri e conigli) è bene tenersi ad una certa distanza dall’animale, ma tenerlo sempre sotto nostro controllo visivo e radio (a questo proposito è utile usare quelle trasmittenti a zainetto di lunga vita e dotate di sensore di posizione che ci indicherà se l’animale sta appollaiato o se si è spostato, ovviamente bisogna tenere il ricevitore sempre acceso e con le cuffiette). Inoltre, come farebbe sicuramente in natura, il gufo si sposterà un po’ man mano che appura che nelle vicinanze non ci sono prede, questo è molto utile perché ci si sposterà con lui, sempre a distanza, esplorando quindi un’area di una certa estensione, e permettendo al gufo anche di cacciare nella maniera che gli è più congeniale. Un buon consiglio che posso darvi è di cercare delle zone aperte, dove quindi sarebbe difficile cacciare con gli Astori o con gli Harris e di appostarvi col gufo sul pugno in un punto alto sovrastante come ad es. una collina. Questa posizione è la migliore in assoluto. Le prede (conigli e lepri) usciranno allo scoperto senza accorgervi della vostra presenza ed il gufo avrà tutto il tempo di valutare quale preda attaccare. Inoltre da questa posizione il rapace potrà sfruttare la sua arma migliore che è appunto la silenziosità, lasciandosi andare in un volo non battuto ma planato dall’alto e arrivando di sorpresa sulla preda.

image029.jpg (54512 byte)Fig. 10. La stessa femmina di Gufo reale africano della foto precedente. Nei momenti di attesa o di preparazione alla battuta di volo o di caccia, i rapaci notturni, come in questo caso, possono essere tenuti su un blocco (geti, lunga)  adeguato, alla stregua dei falconi.

se avete bisogno di altre informazioni, visitate il forum dedicato ai rapaci notturni: www.rapacinotturni.it

Inseminazione artificiale rapaci

INTRODUZIONE

Sempre più spesso oggi si sente parlare di inseminazione artificiale nei rapaci, ma poche persone sanno veramente che cosa essa sia, o lo immaginano solo vagamente. Altre persone invece sono convinte di saperne abbastanza, quando invece ne sanno ben poco. Io, personalmente, mi sono sforzato negli ultimi anni di acquisire su questo argomento quante più informazioni possibili, sia grazie a lunghe chiacchierate con amici allevatori che la praticano normalmente, sia, soprattutto, studiando su appositi testi, manuali ed articoli scientifici. Per i motivi sopraesposti ho pensato di scrivere questo breve articolo di introduzione alla tecnica dell’inseminazione artificiale, quanto meno per illustrarne le maggiori caratteristiche applicative e fare così in modo che tutti possano sapere di cosa realmente si tratti. Non è mia intenzione soffermarmi nel descrivere esattamente le tecniche per praticarla correttamente, ciò richiederebbe troppo spazio e soprattutto troppo tempo ed energia. Chiunque desiderasse avere delle informazioni più approfondite può leggere lo studio ben più approfondito che ho preparato contattandomi. L’obiettivo che mi sono prefisso è invece quello di mostrare tutti gli aspetti generali relativi all’applicazione di questa tecnica per capire quali in realtà siano i problemi nel metterla in pratica ed i veri vantaggi che essa può dare.

TERMINOLOGIA

La prima cosa che mi preme trattare è un po’ la terminologia. In realtà esistono svariate tecniche diciamo così di “riproduzione artificiale” e di queste solo una, fondamentalmente, è quella praticata con i rapaci, oggi. Per prima cosa dobbiamo tenere presente alcuni fondamenti di biologia:

A)Un essere vivente deriva da un embrione, che si sviluppa e si accresce fino a diventare adulto, anche l’embrione è dunque un organismo vivente;

B)In qualsiasi organismo esistono fondamentalmente due tipi di cellule e cioè le cellule somatiche (che sono diploidi,   cioè contengono una doppia copia di ogni cromosoma) e le cellule germinali (che sono quelle che servono per la riproduzione cioè spermatozoi nei maschi e cellule uovo nelle femmine e sono apolidi cioè contengono una singola copia per ogni cromosoma) (ricordo che i cromosomi non sono altro che il DNA di una cellula aggregato e compattato in una strutture, i cromosomi, di solito visibili in forma di X e localizzati nel nucleo della cellula);

C)Un embrione dunque deriva dall’unione di due gameti, quello maschile, che è lo spermatozoo (e proviene dalle gonadi maschili che sono i testicoli) e quello femminile che è la cellula uovo (e proviene dalle gonadi femminili che sono le ovaie). Lo spermatozoo feconda l’uovo quando vi entra dentro. Ecco perché le cellule germinali sono apolidi, perché quando si uniscono a dare l’embrione, che è già un organismo vivente, si otterrà una cellula diploide che si moltiplicherà miliardi di volte fino a dare l’organismo adulto.

Detto questo viene facile capire che il seme non è quello che comunemente si pensa e cioè gli spermatozoi del maschio, ma è, come per le piante, l’embrione (il seme di una pianta non è altro che l’embrione della pianta stessa che si è formato dall’unione del polline con la cellula uovo del pistillo femminile). Il termine INSEMINAZIONE  ARTIFICIALE dunque significa inserire un embrione dentro la femmina. E questa non è la tecnica praticata sui rapaci. L’inseminazione artificiale è una tecnica molto avanzata che viene attualmente usata sull’uomo e che prende il nome di FIVET (Fecondazione in Vitro Embryo Transfer) che significa: si prende una cellula uovo e si mette in un vetrino da microscopio, si prendono poi degli spermatozoi e con una microiniezione vengono inseriti dentro la cellula uovo, il che praticamente imita il processo della fecondazione (per questa viene detta Fecondazione in Vitro o FECONDAZIONE ARTIFICIALE), quindi quello che otteniamo è un embrione; poi si prende questo embrione e lo si inserisce con un apposito strumento dentro l’utero femminile (ecco perché si parla di Embryo Transfer, cioè di trasferimento dell’embrione). La tecnica invece utilizzata per i rapaci e praticamente per tutti gli uccelli compresi quelli domestici (pollame, quaglie, fagiani ecc.)  è abbastanza diversa; essa consiste nel prelevare dal maschio gli spermatozoi e di inserirli artificialmente nella cloaca femminile dove questi risaliranno l’ovidutto fino a raggiungere l’ovaio dove andranno a fecondare le cellule uovo. In questa tecnica dunque l’unica cosa che c’è di artificiale è la copula cioè non è il maschio che monta sulla femmina per inserire il suo sperma della sua cloaca ma siamo noi che lo facciamo. Non si può allora parlare di inseminazione artificiale né di fecondazione artificiale ma si parla di GAMETIZZAZIONE ARTIFICIALE perché appunto è l’uomo che artificialmente inserisce gli spermatozoi (che sono i gameti maschili) nella femmina.

Però come avete visto dal titolo dell’articolo anche io uso il termine di inseminazione artificiale, ma semplicemente perché se dicessi gametizzazione artificiale non mi capirebbe nessuno!

STORIA E GEOGRAFIA

Praticamente le tecniche di gametizzazione artificiale furono applicate già a partire dagli stessi anni in cui iniziarono a svilupparsi le tecniche di riproduzione in cattività dei rapaci. Già nel 1968 si tentò di ottenere sperma da un maschio di Aquila reale allo scopo di fecondare una femmina (Hamerstrom, 1968). Ma i primi incoraggianti risultati, anche perché ottenuti in serie si ebbero a partire dagli anni ’70 ad opera dello staff del Peregrine Fund, che perfezionò la tecnica per i Falchi pellegrini sviluppando delle apposite metodologie (come ad es. le tecniche cooperative). Già a partire da questi anni voglio ricordare i notevoli studi effettuati da David M. Bird alla Mc Gill University in Canada, su un grosso ceppo in cattività di Gheppi americani (Falco sparverius); tali ricerche portarono alla scoperta di numerosi dati che si rivelarono fondamentali per la corretta pratica della gametizzazione artificiale (Bird, 1983, Bird,

1993, Bird and Lague, 1976, Bird, Lague and Buckland, 1975, Bird, Lague and Buckland, 1976).

Oggi la tecnica della gametizzazione artificiale viene praticata soprattutto in centri di riproduzione e zoo allo scopo di gestire correttamente ceppi in cattività di rapaci per conservazione genetica e per programmi di reintroduzione. Ma il più largo uso che se ne fa è da parte di riproduttori privati di rapaci per falconeria, anche perché è l’unico metodo veramente efficace per la produzione di ibridi e per la riproduzione di specie classicamente “difficili”.

PERCHE’ USARLA

La prima cosa che bisognerebbe chiedersi prima di cimentarsi nelle tecniche di gametizzazione artificiale, (e che tutti gli allevatori che le praticano dovrebbero chiedersi) è: perché usare queste tecniche? Vale la pena usarle? Hanno qualche vantaggio da renderne utile l’applicazione?

Queste domande sono il punto di partenza fondamentale. Ragionando un po’ e basandosi sulle esperienze che si hanno finora su questa metodologia si potrebbe rispondere che la gametizzazione artificiale dovrebbe essere utilizzata solo qualora si presentasse una di queste circostanze:

1)      Usata, a posteriori, per ottenere la deposizione di uova fertili da coppie che non si riproducono spontaneamente. Per esempio si prova ad ottenere una riproduzione naturale (che è sempre la migliore) e se non si riesce si gioca la carta della gametizzazione artificiale. Si pensi anche a tutti i rapaci irrecuperabili presso i centri di recupero. Ottenendone una riproduzione, anche grazie alle tecniche di gametizzazione artificiale, si potrebbero creare dei ceppi in cattività A quali scopi? Banca genetica, programmi di reintroduzione o ripopolamento, studi biologici ecc.

2)      Possibilità di produrre ibridi con alte percentuali di successo (ovviamente limitatamente alla compatibilità biologica delle specie coinvolte)

3)      Possibilità di “recuperare” gli imprintati (sull’uomo) oggi tanto usati per la falconeria, ma difficilmente riproducibili con tecniche naturali.

4)      Possibilità di controllare adeguatamente il pool genico di una popolazione in cattività. Questo è soprattutto utile nei progetti di riproduzione in cattività a scopo di Banca genetica e/o di reintroduzione allo stato selvatico. Come si sa infatti in tali progetti una delle proprietà immancabili deve essere la corretta configurazione e gestione genetica degli individui che compongono il ceppo. Bisogna evitare l’imbreeding, la deriva genetica, l’out-crossing e soprattutto mantenere una variabilità genetica tipica di quella specie. Ma trattandosi di una popolazione in cattività e dunque ridotta, con le metodiche di gametizzazione artificiale si può fecondare una femmina con sperma proveniente da vari maschi e, viceversa, usare lo sperma di ogni maschio per fecondare uova di varie femmine. In tal modo si riesce a diffondere uniformemente tutti i geni a tutta la popolazione ed alla fine la progenie ottenuta sarà composta da individui tutti completamente diversi l’uno dall’altro e che condividono praticamente tutti i geni del ceppo in cattività.

5)      Usata a priori per ottenere una “quasi garanzia” di riproduzione in specie classicamente “difficili” da riprodurre in cattività (Astori, Aquile ecc.). In tal caso si acquisiranno gli esemplari con l’obiettivo diretto di riprodurli con tecniche di gametizzazione artificiale.

6)      Possibilità di fecondare molte uova possibilmente da più femmine con un solo maschio, con notevole risparmio di soldi (si usa un solo maschio al posto di due) e di spazio (nello spazio di 3 rapaci si hanno 2 femmine ed un maschio). Ovviamente un obiettivo del genere è raggiungibile solo con la tecnica del prelievo cooperativa e solo dopo accurata selezione dei maschi al fine di trovare quello che produce di più  (ricordate che non tutti gli individui sono uguali, un maschio può produrre più di un altro, semplicemente per una questione di variabilità individuale).

7)      Possibilità, infine, di ottenere riproduzione in spazi ambigui sia perché gli imprintati possono essere alloggiati in voliere più piccole e sia perché si possono anche tenere sul blocco gli individui da riprodurre ( ma questo vale solo per le tecniche di prelievo e gametizzazione con massaggio).Da quanto illustrato sopra risulta che se non si presenta una (o più) di queste esigenze è inutile praticare la gametizzazione artificiale, tenendo anche presente che la riproduzione naturale è sempre la migliore soluzione, perché i rapaci faranno tutto da soli senza impegnarci in procedure complesse. Ma se la riproduzione naturale non è fattibile ci si può giocare questo asso.

Fig.1. Procedimento di gametizzazione di una femmina di Gheppio

comune.

(Falco tinnunculus).

 
 
 
 

LE TECNICHE

Fondamentalmente la procedura di gametizzazione artificiale si divide in due fasi principali: a) Prelievo dello sperma dal maschio b) Inserimento di questo sperma nella cloaca femminile (gametizzazione della femmina).

Per ottenere il prelievo dello sperma, così come per gametizzare la femmina esistono varie metodologie, alcune delle quali simili per maschio e femmina ed altre esclusive, per cui possono essere anche incrociate tra loro, come si vedrà dopo.

Una sintesi delle tecniche utilizzate è illustrata nella tabella che segue:

SESSO

TECNICA

DESCRIZIONE

MASCHIO

MASSAGGIO INVOLONTARI O

Si preleva lo sperma massaggiando delicatamente l’area circostante la cloaca. All’inizio ciò avverrà a prescindere dalla volontà dell’animale che anzi rifiuterà tale trattamento ma successivamente si abituerà e collaborerà con l’operatore.

DONAZIONE VOLONTARIA

Si sfrutta il fenomeno dell’imprinting artificiale che viene artificialmente diretto sull’uomo (allevando a mano i maschi sin da piccoli). Da adulti questi individui copuleranno spontaneamente con l’uomo dando il loro sperma.

ELETTROEIACULAZIONE

Attraverso una stimolazione elettrica dell’area attorno alla cloaca si induce la contrazione dei muscoli e l’eiaculazione

COTTON-FLOCK

Tecnica sperimentale che consiste nell’inserire direttamente nella cloaca il cottonflock allo scopo di assorbire lo sperma.

PRELIEVO CHIRURGICO

Si può praticare solo in casi estremi o su individui selvatici morti. Non usata dagli allevatori privati, ma utile per progetti di riproduzione avanzata.

FEMMINA

MASSAGGIO INVOLONTARIO

Avviene come per i maschi solo che si fa allo scopo di estroflettere l’ovidutto dalla cloaca per inserirvi lo sperma prelevato dal maschio.

GAMETIZZAZIONE VOLONTARIA

Come per i maschi, ma allo scopo di gametizzare.

PROCEDURA CHIRURGICA

Si fa iniettando lo sperma dall’addome per mezzo di un lungo ago. Solo per casi eccezionali e solo per programmi di riproduzione avanzata.

GAMETIZZAZIONE CON COTTON-FLOCK

Sperimentale. Come per il maschio ma il cotton-flock inserito nell’ovidutto è imbevuto dello sperma assorbito dal maschio.

GAMETIZZAZIONE OVULARE

Sperimentale. Consiste nell’iniettare lo sperma direttamente sulle uova deposte “chiare” cioè non fecondate.

 TECNICA DEL MASSAGGIO FORZATO

Metodologia:

Si pratica massaggiano con appositi movimenti della mano tutta l’area attorno alla cloaca allo scopo di rilassare e poi stimolare i muscoli (ed in particolare la muscolatura dei dotti deferenti). Valida sia per il prelievo di sperma dai maschi che per la gametizzazione delle femmine.

Vantaggi:

E’ molto buona nel caso di individui non imprintati e quindi anche di esemplari traumatizzati e non recuperabili. Richiede meno tempo e una minore preparazione degli animali rispetto alla tecnica cooperativa. Permette di sfruttare appieno le coppie. Acquistando una nuova coppia, infatti, si sceglieranno individui potenzialmente idonei ad accoppiarsi naturalmente (con notevole risparmio di tempo e lavoro) ma si potrà procedere in qualsiasi momento alla gametizzazione artificiale se la coppia non vuole riprodursi spontaneamente.

Svantaggi:

Risulta più difficile da praticare dal punto di vista manuale rispetto alla tecnica cooperativa. La qualità e la quantità di sperma ottenuto non sarà mai molto buona proprio perché il maschio che subisce tale trattamento risulterà sempre stressato (più o meno). Lo sperma che si riuscirà a prelevare con questa tecnica infatti risulterà spesso inquinato da urati, soprattutto e la loro presenza ne riduce le capacità fecondanti.

TECNICA DI PRELIEVO COOPERATIVO

Metodologia:

Si usano maschi il cui imprintig sessuale è sull’uomo (cioè allevati a mano sin da piccoli). Una volta adulti questi individui riconoscono nell’uomo un conspecifico e dunque un potenziale partner per la riproduzione, così i maschi copuleranno (eiaculando) sul guanto o sul cappello tenuto dall’allevatore (che saranno ricoperti da una spugna porosa e sterile dove si va a raccogliere lo sperma che verrà poi comodamente raccolto). E le femmine accetteranno la “copulazione” con la mano da parte dall’uomo, estroflettendo volontariamente l’ovidutto e rendendo così più facile le operazioni di gametizzazione. Per ottenere però un tale risultato è necessario che l’allevatore corrisponda adeguatamente i comportamenti corteggiativi sia dei maschi che delle femmine imprintate e per questo è necessario conoscere a fondo i patterns corteggiativi della specie coinvolta. Quindi tale tecnica è valida sia per prelevare lo sperma dai maschi che per gametizzare le femmine.

Vantaggi:

Facilità nell’ottenimento dei risultati, poiché sono i rapaci coinvolti (maschio e femmina) che faranno tutto o quasi da soli, bisogna solo corrispondere i loro comportamenti e operare con le giuste tecniche. Buone o ottime quantità e qualità di sperma ottenuto (poco inquinato)

Svantaggi:

Lo svantaggio principale di questa tecnica è che bisogna passare molto tempo (dico molto cioè almeno 3-4 ore al giorno per ogni individuo) sia con i maschi che con le femmine. Altro svantaggio è che gli animali devono essere imprintati sull’uomo, ma dipende dai punti di vista: da un lato è utile, perché tale tecnica permetterebbe di “recuperare” gli imprintati permettendo di riprodurli, dall’altro lato, quando si vuole acquistare una nuova coppia bisogna scegliere a priori se prendere individui imprintati o no, cioè bisogna decidere da subito se procedere direttamente con la gametizzazione artificiale o con la riproduzione naturale.

ELETTROEIACULAZIONE

Metodologia:

Questa tecnica non è pericolosa come si potrebbe pensare perché non vengono usati voltaggi troppo alti (che potrebbero provocare la morte dell’ uccello per arresto cardiaco) tanto che gli elettrodi possono essere toccati anche a mani nude. Questa tecnica è stata usata soprattutto con gli Psittaciformi (pappagalli) e con i rapaci è ancora in via di sperimentazione.Vengono usati due elettrodi, ben lubrificati. Uno ha la forma di un proiettile calibro 22 ed è posizionato sul coprodeo. L’altro è posto in buon contatto elettrico con la pelle nella regione bassa dei reni. Lo scopo è quello di provocare una leggera stimolazione delle testi dei dotti deferenti. I dotti dovrebbero contrarsi in breve tempo eiaculando così il seme. Ovviamente questa tecnica può essere applicata solo ai maschi.

Vantaggi:

Permette di ottenere sperma con facilità senza bisogno di apprendere le complesse tecniche del massaggio ma, allo stesso tempo, senza dover dedicare tutto quel tempo agli animali (come per gli imprintati).

Svantaggi:

Come detto è ancora una tecnica sperimentale, sulla quale si sa poco. E prima che divenga popolare sarà bene studiarla a fondo. La qualità del sperma, inoltre, di solito, non risulta quantitativamente elevata come per la tecnica cooperativa.

GAMETIZZAZIONE OVULARE

Procedura:

Anche questa metodologia è sperimentale. Secondo quanti la hanno sperimentata si dovrebbero ottenere il 30% di uova correttamente fecondate. Consiste nell’iniettare lo sperma direttamente all’interno delle uova chiare deposte dalle femmine (per esempio il primo uovo che è sempre chiaro) in una apposita zona dell’uovo, in modo da centrare il disco germinale.

Vantaggi:

Permette di recuperare le uova chiare che andrebbero altrimenti perdute. Inoltre si risparmierà di dover apprendere la tecnica del massaggio per gametizzare le femmine o di dover perdere tempo con quelle imprintate.

Svantaggi:

E’ una tecnica sperimentale, ma da quello che si è visto l’unico svantaggio è di “perdere” inutilmente del sperma(anche se comunque se ne userà di meno, visto che non c’è pericolo che esso si disperda nell’ovidutto prima di arrivare alla cellula uovo) per quel 70% di uova che non verranno fecondate (perché abbiamo detto che la percentuale di fecondazione è del 30%). La cosa migliore, comunque, sarebbe di  usarla come tecnica additiva, oltre alle altre tecniche di gametizzazione delle femmine.

 

Fig.3. Apparecchiatura per l’elettroeiaculazione felina, ma adattabile ai rapaci.

 

Fig. 4. Come avviene la copulazione per il prelievo cooperativo dello sperma. A sinistra: figura tratta dal Peregrine Fund che illustra il particolare cappello da utilizzare, circondato, come si vede, da una apposita guaina ricoperta da spugna a cellule chiuse dove si raccoglierà lo sperma. A destra: foto di un giovane maschio di Gheppio comune, imprintato sull’uomo, durante i suoi primi tentativi di copulazione con l’uomo. Ovviamente non riesce ancora ad eiaculare e la testa non è coperta dall’apposito cappello.

 

 

 

LA PROCEDURA GENERALE

Comparando tutte le tecniche descritte troviamo che la tecnica migliore da usare è quella cooperativa. Ma bisogna tenere conto che per un processo completo di gametizzazione artificiale si possono usare due tecniche diverse cioè, per esempio, ottenere lo sperma con la tecnica cooperativa e gametizzare le femmine con la tecnica forzata. Questo perché la tecnica cooperativa, a parte la facilità, dà il grande vantaggio di potere ottenere discrete quantità di sperma puro e poco inquinato, quindi è soprattutto nei maschi il vantaggio di questa tecnica; solo così si può usare un solo maschio (razzatore) per coprire e fecondare le uova di più femmine, con notevole risparmio di spazio e soldi.

Un altro interessante punto da affrontare è la diluizione dello sperma. I rapaci producono delle ridotte quantità di liquido seminale (sperma) per esempio un Pellegrino produrrà nelle migliori condizioni 95 μl (microlitri, cioè milionesimi di litro) di sperma ed un Gheppio americano ne produrrà 12μl. Queste quantità sono troppo esigue per cui danno problemi sia perché non sempre si riuscirà a fecondare un uovo con tali quantità e sia perché risulta difficile il maneggiamento dello sperma in così ridotte quantità. Ecco il motivo per cui lo sperma appena prelevato deve essere diluito. Inoltre la diluizione è l’unico metodo che ne permette la conservazione in frigo fino anche a 75 ore. Per diluire lo sperma si usano delle soluzioni (“semen extensor”) quali per esempio la soluzione di Ringer al 50% oppure altre realizzate con apposite formule come ad esempio

Cloruro potassico                                                           0,2 g

Cloruro calcico                                                              0,2 g

Cloruro di magnesio                                                      0,1 g

Glucosio                                                                         5 g

Citrato sodico 7,7 g

Glutammato monosodico                                              23 g

Cisteina                                                                          0,02 g

Per un litro di acqua distillata

Per quanto riguarda la conservazione diciamo che lo sperma diluito al 50% in volume con una soluzione delle suddette e conservato a 4 C˚ in frigorifero può essere conservato anche per 3 giorni, ma si deve considerare che per ogni ora che passa lo sperma perderà capacità fecondante e la cosa migliore è allora di usarlo subito, o, comunque appena possibile. Sono state sperimentate, già a partire dal 1980, anche le tecniche di congelamento (criopreservazione) dello sperma dei rapaci, alla stregua degli uccelli domestici (Brock, M.K. and D.M. Bird. 1991). I risultati ottenuti inizialmente non superavano il 30% di uova schiuse correttamente dopo gametizzazione con sperma congelato, ma dagli ultimi esperimenti effettuati (in cui è stato usato il DiMetilSolfOssido, DMSO) ho letto che si riesce a raggiungere anche il 70% di schiudibilità. La tecnica del congelamento non è difficile di per sé (oggi in Italia moltissimi centri sarebbero in grado di congelare efficacemente sperma di rapaci), la difficoltà consiste nello studiare ed usare la giusta soluzione per la diluizione dello sperma; tanto più questa metterà “a loro agio” gli spermatozoi e tanto maggiore sarà la capacità fecondante dello sperma dopo congelamento.

pipetta per inseminazione artificiale

Fig. 5. Microcapillare contenente sperma di Falco pellegrino, appena

prelevato e diluito.

LE PROBLEMATICHE

Come accennato prima, l’obiettivo di questo articolo è quello di illustrare gli aspetti generali e non le tecniche pratiche.

Dicevamo che i passaggi fondamentali sono il prelievo dello sperma dal maschio da un lato e l’immissione di questo nell’ovidutto femminile attraverso la cloaca, dall’altro.

Perché un maschio possa produrre sperma e dunque affinché ci sia possibile raccoglierlo con le tecniche elencate nella tabella precedente esso deve:

a)  essere sessualmente maturo, cioè avere raggiunto l’età della maturazione sessuale e

b)  essere in estro, cioè trovarsi in quella condizione biologica, legata strettamente al fotoperiodo, nella quale i suoi testicoli, sotto stimoli ormonali (a loro volta originatisi da stimoli fotoperiodici ed etologici) producono cellule spermatiche che sempre sotto effetto degli ormoni sessuali, maturano, in vari stadi, in spermatozoi.Ora, se questo maschio viene tenuto in una normale voliera e se questa voliera è costruita adeguatamente, lo stimolo fotoperiodico non mancherà. Il problema è lo stimolo etologico, che non mancherà solo nel caso in cui il maschio sia imprintato sull’uomo e quindi metta in pratica le sue parate nuziali con l’allevatore. Ma se da questo maschio si intende prelevare sperma con la tecnica del massaggio, esso non può essere tenuto da solo in voliera. Deve bensì essere tenuto in una voliera con all’interno anche una femmina, nella speranza che, se anche mancassero i comportamenti corteggiativi (o non venissero corrisposti dalla femmina) il maschio riesca ad avere un sufficiente stimolo etologico per potere produrre spermatozoi maturi. Questo appena descritto è un concetto estremamente importante, perché se il maschio non ha prodotto sperma, è inutile continuare ad insistere con i massaggi nella speranza che questo sperma venga eiaculato. Inoltre, uno dei vantaggi dell’inseminazione artificiale, che sarebbe quello di poter fecondare più uova di più femmine con lo sperma di un solo maschio, si annullerebbe anche perché, come abbiamo detto prima, la quantità e qualità di sperma ottenuto dai maschi con la tecnica del massaggio forzato non sono adeguate alla fecondazione di più femmine.Allo stesso modo, anche la femmina deve essere sessualmente matura ed entrare nella fase di estro. Per le femmine si può capire subito se possano essere idonee alla gametizzazione artificiale o meno, perché esse DEVONO deporre le uova, anche in assenza del maschio. Una femmina che depone uova (e spesso accade anche alle femmine addestrate per falconeria che depongono le uova al blocco o nella voliera di muta) sarà idonea alla gametizzazione artificiale, altrimenti è inutile anche provare (magari si può attendere l’anno successivo).

A questo punto sorge un ulteriore problema: abbiamo un buon maschio che produce sperma e ci permette di prelevarlo, e abbiamo una buona femmina che depone uova (chiare, per ora, ovviamente). Sembra facile allora: prendiamo il spermae nella massima igiene e con una adeguata tecnica lo inseriamo nell’ovidutto della femmina. Ma quando vogliamo, nella realtà, procedere con questa operazione vedremo che i problemi sono dietro la porta. Lo sperma non può essere conservato per molto tempo (vedi dopo) e mantiene la sua vitalità solo nei primi minuti in seguito al prelievo. Più ore lo conserviamo e più esso perderà le sue capacità di fecondare un uovo. Il fatto è che non sempre è possibile operare in maniera così lineare, perché se possiamo prelevare dal maschio lo sperma solo poche volte al giorno (di solito una) ma possiamo scegliere noi a che ora, invece per gametizzare la femmina dobbiamo operare entro un certo arco di tempo che in un certo senso è determinato dalla femmina stessa. La femmina infatti potrà essere gametizzata solo entro e non più tardi di 4 ore dopo la deposizione dell’ultimo uovo. Partendo dall’inizio, allora, perdiamo il primo uovo che essa depone, a questo punto entro al massimo le 4 ore bisogna procedere a gametizzare la femmina. Nell’arco di queste sei ore allora bisogna prelevare lo sperma dal maschio. Ma operando così si corrono dei rischi. Molto spesso accade che l’uovo venga deposto durante la notte, e allora, a parte il fatto che spesso ci si accorge solo in mattinata della deposizione avvenuta, comunque se l’uovo viene deposto, poniamo, alle 23:30 noi non possiamo entrare di notte nella voliera del maschio e tentare di prelevare lo sperma. In questo caso bisognerebbe avere sempre pronta nel frigorifero una dose di sperma prelevata nel tardo pomeriggio del giorno prima, da usare in una eventualità del genere. Bisogna, inoltre, alzarsi durante la nottata almeno una volta per controllare l’eventuale deposizione di un nuovo uovo. Si sono spesso avuti dei casi di gametizzazione della femmina anche fino a 12 o più ore dopo la deposizione dell’ultimo uovo, ma con tale procedura si rischia o di rompere l’uovo quasi maturo che si trova sull’ovidutto (che è un problema molto grave perché può portare a peritoniti ed altri danni non da poco) oppure di “saltare” l’uovo per cui il successivo uovo non sarà fecondato e lo sarà invece quello deposto ancora dopo.

Fig.6. Estroflessione volontaria dell’ovidutto di una femmina di Falco pellegrino, al Peregrine Fund

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Addio alle mani legge 157 del 92

Interpretazione della Legge 157/92

Cass., Sez. Terza, n. 139 del 10/12001

mani

 

1992, n. 157, che punisce l’esercizio della caccia con mezzi vietati, atteso che siffatto mezzo, non essendo compreso fra quelli consentiti tassativamente indicati dall’art. 13 della stessa legge, rientra tra quelli vietati ai sensi del comma 5 di quest’ultima disposizione, che considera tali tutti quelli non espressamente ammessi.
La sentenza è stata emessa in un procedimento contro un soggetto che aveva catturato dei nidiacei da utilizzare come richiami; la Cassazione ha detto che non sussiste il reato di incrudelimento verso animali, ma i reati di uccellagione e di impiego di mezzi di caccia vietati.La giurisprudenza della Cassazione in materia di mezzi di caccia consentiti sta aprendo inusitati scenari repressivi che forse sfuggono ai più, ma che giungeranno ad essere sconvolgenti (nel senso che molti resteranno letteralmente sconvolti).

La prima avvisaglia si è avuta con la sentenza n. 8322 del 23/07/1994. In essa la Cassazione affermava che una ricetrasmittente usata per tenere in collegamento i cacciatori è un mezzo di caccia. È vero che poi con sent. n. 1920 del 24/09/99 correggeva il tiro affermando correttamente che sono tali solo i mezzi di abbattimento indicati specificamente, ma già con sent. n. 7756 del 04/07/2000 affermava che i richiami vivi sono mezzi di caccia non previsti.

Il tragico è che, per chi non conosce nulla della caccia e della sua storia, questa interpretazione trova un apparente appiglio persino nella legge sulla caccia! Vediamo perché.

L’art. 13 L. 157/9, intitolato ai mezzi di caccia, elenca i mezzi di caccia consentendo solo fucili di determinato calibro, l’arco ed il falcone e vietando ogni altro mezzo.

L’art. 21 stabilisce poi dei divieti particolari tra cui “prendere piccoli di uccelli”, “usare richiami vivi”, “usare trappole, reti, tagliole, lacci, ecc.”

L’art. 28 stabilisce che di fronte a certe infrazioni la polizia giudiziaria procede al sequestro “delle armi, della fauna selvatica e dei mezzi di caccia, con esclusione del cane e dei richiami vivi autorizzati”. L’art. 30 lett. h punisce infine chi esercita la caccia con mezzi vietati oppure per chi usa richiami vietati. Da queste norme risulta evidente che il legislatore ha, come sul dirsi, straparlato perché:


le trappole e le reti, che sono certamente mezzi di caccia, li ha inseriti nell’art. 21 invece che nell’art. 13 senza considerare che trappole e reti non esauriscono di certo l’elenco dei mezzi vietati ;

nell’art 13 vieta espressamente ogni mezzo di caccia non previsto in esso articolo, ma poi definisce all’art. 28 mezzi di caccia anche i richiami, ma ne autorizza l’uso.

nell’art. 28 accomuna il cane da caccia ai richiami senza accorgersi che sulla qualificazione dei richiami si potrebbe discutere, ma che senza dubbio la legge non considera il cane un mezzo di caccia; se così fosse l’uso del cane sarebbe sempre e comunque vietato perché né l’art. 13 né altra norma ne autorizza l’impiego!

Orbene, ritornando alla realtà (che è regolata e non creata dal diritto) non vi può essere dubbio sul fatto che, in senso tecnico, i mezzi di caccia sono solamente quegli arnesi o strumenti o animali che servono all’abbattimento o alla cattura di un selvatico: armi da fuoco, armi da lancio, trappole, lacci, reti, panie, falcone, furetto, cane che insegue e sbrana il selvatico, ma non certamente le cose che servono per cacciare, per andare sul luogo di caccia, per cercare la selvaggina, per trovarla una volta uccisa, ecc. Ed il motivo è semplice: mentre i mezzi di caccia sono limitati ed individuabili, tutte le altre cose sono infinite e non determinabili. Nel momento in cui io vado a caccia, tutto ciò che ho con me, dalla macchina, ai compagni, al vestiario, al cibo, serve per cacciare, ma non è essenziale per la cattura dell’animale, tanto che le stesse identiche cose potrei portar

le per fare un’escursione, per fotografare gli animali, per fare il guardacaccia. Quale pazzo si sognerebbe di sostenere che un binocolo è un utile attrezzo sportivo che improvvisamente diviene vietato se viene trovato in mano ad un soggetto che ha intenzione di catturare un animale? La stessa cosa vale per i radiotelefono: esso è uno strumento generico utilizzato dagli escursionisti e il fatto che venga utilizzato da un cacciatore non muta la sua natura e sostanza.


Se fossero vere certe affermazioni della Cassazione si giungerebbe a soluzioni a cui di certo non sarebbe giunto neppure il più incallito animalista:

– chi va a caccia dovrà lasciare a casa il cellulare (così utile in caso di incidente) perché può servire esattamente come la ricetrasmittente per avvisare i compagni che c’è un cinghiale in giro.

– il cannocchiale è meglio dimenticarselo perché può servire ad uccidere la selvaggina e la legge non ne parla.

– il cane serve indubbiamente per stanare e braccare la selvaggina e non è previsto tra i mezzi di caccia; è vero che la legge dice che sono vietati i segugi nella caccia al camoscio, ma in altro articolo, diverso da quello sui mezzi di caccia (art. 13 L. 157/92) e perciò il cane non è espressamente consentito.

– le civette e le anatre di plastica e simili arnesi servono ad attirare la selvaggina e quindi sono mezzi di caccia non previsti.

– la giacca verde serve per mimetizzarsi e quindi è vietata.

 

Conclusione ovvia per le persone sensate dovrebbe essere perciò la seguente: lo strumento che serve per sua natura all’abbattimento o alla cattura di animali è vietato se non è specificamente autorizzato dalla legge; ogni altra cosa che ha un uso generico, può essere vietata per la caccia solo in base ad una specifica disposizione, come avviene per i richiami vivi.


Tutto questo lungo discorso, utile per comprendere il problema dei radiotelefoni, è superfluo per controbattere la sconvolgente affermazione che le mani sono un mezzo di caccia proibito .. perché la legge non le autorizza! Affermazione di fronte a cui l’onesto cittadino inizia veramente a dubitare del proprio equilibrio mentale e comincia a chiedersi se un buco temporale non lo ha trasportato nel pianeta delle scimmie, dove tutto funziona al contrario; naturale conseguenza quando si giudica senza comprendere le norme che si applicano, senza fare un’analisi dei precedenti storico-legislativi, oppure in base a proprie personali convinzioni, con spregio della realtà e del buon senso.

Perché se le mani sono un mezzo di caccia, allora lo sono anche i piedi, le scarpe, i bastoni da passeggio, ecc.

Facciamo alcune ipotesi:

Ho sparato ad un fagiano che è a terra ferito; non posso torcergli il collo (uso delle mani), non posso tagliargli la testa (uso di coltello); secondo la Cassazione posso solo sparargli un secondo colpo di fucile; se ho finito le cartucce lo devo lasciare agonizzante sul posto e raccoglierlo solo quando è morto; se è ferito e lo raccolgo con le mani è evidente che caccio con un mezzo proibito.

Sono alla ricerca di funghi e di sotto i piedi mi schizza una lepre; chi convincerà il guardacaccia e la Cassazione che non cercavo di catturarla a calci?

Raccolgo dei sassi e mi diverto a vedere quanto lontano li tiro; sarò condannato per caccia alle rondini con mezzi vietati?

Vado a caccia in compagnia di mio figlio che mi aiuta a far uscire i merli dai cespugli; dove sta scritto nella legge che posso farmi aiutare a cacciare da un compagno?

Il mio bambino crede che i merli si prendono con il sale sulla coda; se va nel bosco con un pacco di sale, è in regola? E io risponderò di istigazione a delinquere?

Come può essere che sia reato più grave il raccogliere con le mani un passerotto caduto dal nido, che lo sparare una fucilata dentro al nido? E se raccolgo il passerotto con una paletta, questo è mezzo proibito?

Siccome i mezzi di caccia vietati non possono essere portati in atteggiamento di caccia, che cosa ne faccio delle mani quando vedo un fagiano; me le taglio? Oppure a cacci

a ci possono andare solo i mutilati?


Mi avrebbe detto Totò: “ma mi faccia il piacere!”

L’utilizzo del Cavallo Siciliano Indigeno per la caccia col falcone

cavalloNon è facile entrare nel mondo dei falchi e della falconeria ma una volta introdotti si rimane affascinati; è un’arte piena di difficoltà e d’imprevisti e non c’è dubbio che, praticandola a cavallo, gli ostacoli aumentano notevolmente anche se ciò provoca maggiori emozioni al falconiere, il quale porta nel suo bagaglio genetico quel carattere indistruttibile di sentimento, di nostalgia, d’amore per il passato medievale.

E’ una cultura che risale ad epoche antichissime, come numerose testimonianze di vari paesi vengono a dimostrare: addestrare falchi o altri uccelli di rapina, utilizzandoli per la cattura della preda.


Il mondo orientale ha detenuto nel passato questo primato d’addestramento: la raffinatezza del pensiero culturale, la perspicacia, la pazienza, l’astuzia sono caratteri genetici tipici dei popoli del Sol Levante; i cavalieri Mongoli ne sono una testimonianza, in quanto ne furono i primi artefici e gli Arabi hanno altrettante tradizioni antiche; i Cinesi nel 200 a.C. adottavano tecniche di ammaestramento e tutta l’area del Medio Oriente è stata la culla della falconeria.

Nell’alto Medioevo, con l’invasione dell’Europa, da parte di popoli scesi dal nord della Siberia, questa nuova tecnica della caccia farà la sua apparizione e dal 1500 al 1600 verrà eletta al grado di “istituzione”.


Per tutto il lungo periodo medievale e parte del rinascimento il falco veniva considerato un volatile di pace, un mezzo di riappacificazione fra due popoli in contrasto fra loro, merce di scambio fra cristiani e mussulmani nel periodo delle crociate. Protetto per mille e più anni nel corso della storia dell’uomo, in cui leggi severe venivano applicate a chi uccideva o rubava i piccoli dai nidi, con l’avvento della polvere pirica e la nascita delle riserve di caccia e la conseguente loro gestione, la falconeria avrà una fase decrescente lenta e conclusiva.

Come poter considerare un arte simile senza la presenza del cavallo, entità indispensabile per la vita e l’attività dell’allora cavaliere – falconiere, un animale sempre pronto a sopperire alle necessità dell’ esistenza quell’epoca.

falconierecavalloI cavalli in generale sono animali intelligenti che imparano ad accettare un volatile che plana su di essi o un falcone che al volo, rapido e repentino si porta ad appollaiare sul pugno del cavaliere, ma vi sono dei cavalli che non accettano il rapace, che si intimoriscono, così dicasi pure di quei cavalli eccessivamente nevrili. La taglia media è di per se un fattore positivo in quanto il cavaliere può montare e smontare da sella con maggiore facilità.


Riferito al Cavallo Siciliano Indigeno, erede dell’antico equus siculo, per il suo passato ancestrale, per l’utilizzo che nei secoli se ne è fatto in questo genere di sport, accetta il rapace ed associa alla sua conformazione elegante, sobria e nell’insieme corretta, un ottimo sviluppo delle masse muscolari, un giusto equilibrio fra l’attitudine e la sua costituzione, un temperamento calmo e nello stesso tempo contenutamene nevrile, un portamento fiero di cavallo nobile e sicuro di sé, impavido a qualsiasi pericolo, con spalle ed anche che si muovono liberamente e con la destrezza e l’abilità di piegar bene i garretti.

Egli assicura tranquillità al cavaliere ed al falcone, in modo da non arrecare danno ad entrambi. Senza dubbio un cavallo equilibrato, di altezza media, 1.55 – 1.58, ricco di energia, di fondo, di velocità necessaria qualora lo si volesse utilizzare per sostenere le fatiche della caccia, ottimo per galoppare attraverso le campagne, di muoversi con destrezza su suoli impervi, di saltare o di superare con facilità gli ostacoli che incontra.

falconiereacavallosicilianoLa storia della Sicilia ci dà una immagine chiara ed eclatante della falconeria, terra in cui si sviluppò notevolmente questo tipo di caccia: in questa isola amata dal grande Federico II, il falco sarà addestrato per quest’attività con

il cavallo, il quale avrà un ruolo preponderante. L’Imperatore aveva una predilezione per i falchi, congiunta a quella dei cavalli ed importò dal Nord Africa, dalla regione un tempo chiamata Cirenaica molti cavalli ed altrettanti ne fece giungere dal Nord Europa

e li innestò sui cavalli siciliani. Esperto cultore equestre dell’addomesticamento, dell’addestramento, dell’arte e della cura medica veterinaria, li domava non prima dei quattro anni, li preparava per la caccia e per la cavalleria del suo esercito, li voleva di mantello morello o baio scuro e il suo cavallo preferito era un morello.


Il “Tractatus de arti venerandi cum avibus ” scritto dal Sovrano è un chiaro esempio di un trattato dottrinale sulla falconeria, ricco d’informazioni scientifiche, d’insegnamenti e di conoscenze.

Resta mitica la capacità di questi energici predatori dell’aria di divenire amici sinceri dell’uomo, fedeli esecutori della sua volontà, simbolo di forza e di potere. Si racconta che Federico amasse un falco fra tanti che ne possedeva e quando il falco prediletto abbatté un’aquila, sommo emblema del potere di un sovrano, ordinò di metterlo a morte per dare un esempio ai suoi sudditi.


Il significato simbolico dei falchi li renderà di incalcolabile valore .

Nel 1336 il Duca di Nevers e dei suoi amici gentiluomini furono fatti prigionieri da Bagaratte nella battaglia di Nicropoli (oggi Emmaus a 11 km. da Gerusalemme) senza alcuna alternativa di riscatto; solo quando furono offerti 12 falchi dal Duca di Bergogna essi furono rilasciati.

In Francia la falconeria fu tenuta sempre in grande considerazione da Carlo Magno e da Francesco I, che aveva ai suoi ordini cinquanta falconieri e trecento falchi.

In Italia fu celebre la falconeria dei Medici a Firenze. In Persia il re manteneva più di ottocento falchi impiegandoli per caccia grossa, selvaggina come cinghiali, antilopi, asini selvatici.


federicoiiMolte leggende si narrano sui falchi: nel 1500 il Sovrano Carlo V metterà a disposizione degli Ospedalieri l’isola di Malta chiedendo come compenso simbolico annuale un falcone di caccia, di cui l’isola è ricca; l’originale “contratto” darà vita alla leggenda del “falco maltese”, dovuto allo smarrimento di un falco d’oro tempestato di gemme, inviato dagli Ospedalieri all’Imperatore per ricambiare il suo gesto.

All’inizio del XX secolo l’atteggiamento dell’uomo verso i falconi appare oramai completamente rovesciata ed il pellegrino ed i suoi parenti, considerati animali nocivi dai cacciatori di selvaggina e dai guardiacaccia, diverranno oggetto di una caccia follemente distruttiva. Dopo la fase discendente, in cui pochi la praticavano, l’Italia ha ripreso fiato, energia, riacquistando molti appassionati e creandosi molte associazioni che praticano questo particolare tipo di sport.

In questa Sicilia dal sole caldo, dai vivi e colorati profumi della natura, terra di falchi che planano e nidificano tra le montagne rocciose possenti e minacciose e di cavalli che, allo stato brado pascolano indisturbati negli ubertosi campi ricchi di essenze erbacee pregiate, la cultura federiciana dell’isola accoglie con diletto il ritorno di un’antica arte, su di una base prettamente zoologica e di pieno rispetto per le leggi della natura.


Oggi la falconeria viene riproposta dall’ENGEA in un aspetto nuovo, prettamente professionale: il rilancio del falcone con il cavallo, come attività di lavoro, come attività professionale del mondo equestre, potendosi così inserire nelle tante sacre e festività che periodicamente si svolgono non solo nell’isola ma in tutto il territorio nazionale.


BENEDETTO SALAMONE di CASALENI

Responsabile ENGEA Provincia di Messina

Falconeria altezza al potere

Nel 429, quando i Vandali giunsero nell’Africa del nord, Sant’Agostino notò come loro tratti distintivi l’abbondanza di cani, falchi e concubine. Se le concubine destavano scandalo i falchi, semplicemente, erano una sorpresa. Greci e Romani, infatti, non praticavano la caccia con i rapaci, le cui origini sono asiatiche. Primi tra gli europei, i Germani la conobbero attraverso i turbolenti contatti con gli Unni e gli altri nomadi che dilagarono nelle pianure dal Volga al Danubio tra il terzo e il quinto secolo d.C. Fu un colpo di fulmine. Negli Annales fuldenses (l’anno è l’870) si incontra l’espressione cum falconibus ludere, a suggerire che questa caccia era la più vicina al divertimento puro e, all’estremo opposto di quella alle fiere, la più lontana dalla guerra (la caccia al cinghiale non era ludus, ma tutt’al più exercitius).

La falconeria non è stata fin dall’inizio una pratica riservata ai nobili – Widukindo di Corvey (sec. XI) nelle sue Gesta dei Sassoni, scritto intorno al 965, menziona un soldato turingio che caccia di mattina con il suo falco – ed è solo attorno al Mille che essa diventa davvero segno esclusivo della nobiltà. Una delle prime testimonianze proviene dall’arazzo di Bayeux, narrazione iconografica della conquista normanna dell’Inghilterra, dove i più nobili tra i guerrieri a cavallo sono individuabili grazie al falco al braccio. È l’inizio di un’associazione sempre più articolata dei rapaci con l’espressione simbolica delle gerarchie, che culmina con elenchi non più realistici, ma solo simbolici, come quello contenuto nel Boke of Saint Alban (Inghilterra, sec. XV): l’aquila è per l’imperatore, il girifalco per il re, il falco pellegrino per il conte, lo smeriglio per la dama nobile, l’astore per il proprietario di campagna.

Il periodo di massimo interesse per la falconeria è quello compreso tra il Trecento e il Cinquecento. La maggior parte dei manoscritti di trattati dedicati alla materia risale, infatti, a questo periodo. Al limitatissimo vocabolario dell’antichità, il Medioevo contrappone un’autentica inflazione classificatoria. Federico II nel trattato De arte venandi cum avibus considera cinque tipi di falchi (girofalci, sacri, gentiles peregrini, gentiles, layneri), ma la serie completa delle denominazioni medievali dei rapaci da caccia sfiorava la trentina, con una capillarità degna dei moderni ornitologi. Nei trattati la qualifica di nobilissima avis tocca al girifalco, protagonista della caccia alla gru, reputata la più spettacolare e degna dei sovrani. Meno prezioso del girifalco, il falco pellegrino era il rapace più diffuso per la caccia ad alto volo. Come indica il suo nome, il pellegrino era un uccello migratore e veniva catturato mentre, dalla Scandinavia, viaggiava verso sud. È, infatti, dall’Europa del nord che provenivano i rapaci migliori e meglio quotati sul mercato.

C’erano quattro modi per procurarsi i falconi: l’acquisto, il dono, la cattura di un esemplare adulto, il “ratto” dei piccoli dal nido. L’allevamento non era praticabile in quanto con i falchi era impossibile la riproduzione in cattività (essa è stata ottenuta soltanto da pochi decenni e per mezzo dell’inseminazione artificiale). La modalità di cattura più diffusa prevedeva l’impiego di una doppia gabbia, con la chiusura guidata da un laccio, in cui venivano chiusi degli uccellini che avrebbero attratto il rapace. Il commercio, come si è già detto, partiva dall’Europa settentrionale in direzione sud, difficilmente viceversa. Si sa che i cavalieri dell’Ordine Teutonico gestivano dalle regioni baltiche un fiorente commercio di falchi.
L’altro centro di distribuzione europeo erano le Fiandre e fiamminghi erano non solo i p
rincipali mercanti, ma anche molti dei falconieri professionisti stipendiati nelle corti europee. Il falconiere doveva prestare attenzione all’igiene e alla morale personale: non mangiare né aglio né cipolle, lavarsi regolarmente, non essere goloso, bevitore, lussurioso, pigro, irascibile. Gli accessori del falconiere erano il guanto che proteggeva mano e avambraccio (di solito il sinistro per gli Europei e il destro per gli Arabi), un bastoncino per carezzare le piume dell’uccello e una sacca contenente i pezzetti di carne per ricompensare il rapace dopo il buon esito del volo.

L’addestramento del falco era un perfetto esempio di ricerca dell’equilibrio tra natura e cultura, equilibrio, però, che una volta raggiunto si trasformava nella manifestazione del potere della natura alta e aggressiva su quella bassa e passiva, ovvero in immagine del potere dei nobili sui pauperes. Il falconiere era invitato da un lato a seguire la natura, per esempio nella scelta del cibo, dall’altro a plasmarla in modo da stimolare il rapace ad agire anche contro prede più grandi e diverse da quelle che avrebbe ricercato in libertà. Per disciplinare la natura libera del falco si consigliavano strumenti drastici come la fatica, lasciandolo riposare meno del dovuto, e la fame, fornendo razioni di cibo sempre leggermente ridotte. Il giorno precedente la caccia i falchi erano tenuti a dieta. Un altro mezzo di controllo era la privazione temporanea della vista. Il cappuccio tipico dell’iconografia del falcone pare sia stato introdotto in Europa da Federico II dopo il suo soggiorno in Vicino Oriente nel 1228 e 1229 in occasione della crociata. In effetti, il suo è il primo trattato a parlarne.
In precedenza l’unico sistema era la temporanea cucitura delle ciglia (“cigliatura”), che convisse a lungo con il cappuccio (lo stesso Federico II non consiglia la sostituzione, ma solo l’abbinamento delle due tecniche). Le prime lezioni di caccia avvenivano con l’ausilio di esche che potevano essere uccellini handicappati o legati oppure una pelle di lepre riempita di paglia con un pezzetto di carne attaccato sul dorso. Nella seconda fase si passava a uccelli in piena efficienza liberati allo scopo. L’ultima e più complicata parte dell’addestramento era la collaborazione con i cani. Entrambi gli animali dovevano abituarsi alla reciproca vicinanza. I cani, in particolare, dovevano apprendere, nel caso della piccola selvaggina, a bloccare le prede sulle quali il falco si era abbattuto limitandosi a tenerle ferme ed evitando di portarle via.
Lo spettacolo dell’uccellagione risiedeva soprattutto nella contemplazione del volo. L’alto volo era il regno del falco, mentre per la caccia a basso volo si impiegavano l’astore e lo sparviero, il primo preferito in Germania, il secondo in Italia. L’astore, menzionato nelle leggi germaniche, è probabilmente il primo uccello a essere stato usato in Europa. Come sottolineò Pietro de’ Crescenzi, la principale caratteristica dello sparviero, una replica in formato ridotto dell’astore, era quella di volare “il più possibile radente alla terra in modo da non essere visto agli uccelli che vuole prendere. Il volo di questo uccello è molto rapido e di solito esso cattura la preda all’inizio del suo sforzo, mentre dopo il suo volo si fa più lento”. Nei trattati francesi del XIV secolo lo sparviero era l’uccello delle dame che si dilettavano nella caccia alle allodole. In letteratura l’associazione con la dama contribuì a fare dello sparviero una sorta di spalla dei protagonisti nelle scene galanti. La simbologia del rapace, e questo è significativo, legando la donna allo sparviero e il giovane nobile al falco, suggerisce la presenza di una gerarchia, per quanto sfumata, anche nel discorso amoroso: il sesso maschile stava all’alto volo del falco, come il femminile al basso volo dello sparviero.
Rimedi e scongiuri
I trattati di falconeria sono assai attenti alla salute dei rapaci. Questo aspetto veterinario stava particol
armente a cuore all’anonimo compilatore del Trattato del governo de’ falconi, un’antologia trecentesca in volgare che raggruppa brani scelti da testi precedenti. I rimedi sono un miscuglio di esperienza pratica e di pittoresco: per i calcoli gastrici (sintomo: il rifiuto del cibo) somministrare garofani ben tritati; per la febbre (sintomo: il piede caldo) un preparato a base di aloe, grasso di gallina e aceto; contro i pidocchi un bagno in acqua dove sono stati cotti dei lupini oppure una pomata composta di mercurio, saliva, cenere e grasso di maiale. In qualche caso era ritenuta utile una formula di scongiuro, come il verso Volatilia tua sub pedibus tuis, i tuoi uccelli (Signore) tieni sotto i tuoi piedi, da recitare quando il falco metteva le penne.

Dopo la cattura i piccoli falchi venivano rinchiusi in un casotto dove regnava la penombra: stavano appollaiati su una pertica e ricevevano il cibo sempre dalla stessa persona. Gli adulti vivevano invece in una “falconiera”. Stavano legati a pertiche o a un blocco di pietra e il falconiere alloggiava nei pressi e trascorreva molto tempo vicino a loro. La falconiera, stranamente, è un luogo mai descritto con cura nei trattati, che invece dedicano grandi attenzioni alla “muta”, la stanza dove i falchi alloggiavano durante il periodo del cambio del piumaggio, quando era sconsigliato farli uscire a caccia. Scrisse Adelardo di Bath: “Quando metti gli astori in muta prepara la muta in modo che essa riceva la luce del sole per tre ore ogni giorno e che non ci piova dentro”. Ancora più preciso è Bragadino: “La muta deve avere una grande finestra laterale per ricevere il vento chiamato buora, che è moderatamente freddo (…). Questa muta deve essere più illuminata di quella per astori e sparvieri. Al suo interno devono esserci pertiche di legno ben pulite sulle quali legare la zampa se necessario. Il suolo deve essere coperto di sabbia e di sassolini di fiume o di mare e al centro deve trovarsi un pozzetto d’acqua circondato da tre o quattro blocchi di marmo ben puliti”.

Morfologia dei Rapaci

artigli_335ORIGINE

anatomia

La classe degli uccelli si è originata da quella dei rettili durante l’Era secondaria e fin dall’inizio della sua evoluzione si differenziò nei gruppi sistematici attualmente noti. Tra questi viene collocato l’ordine dei Falconiformi, detti anche rapaci diurni, il cui fossile più antico risale a sessanta milioni di anni fa. Questo esemplare aveva una struttura simile a quella dei Cataridi (Avvoltoi del nuovo mondo), è quindi probabile che i primi uccelli da preda avessero abitudini spazzine o necrofaghe.

 

 

 

 

CARATTERISTICHE FISICHE

peregrine falcon con nomenclaturaI rapaci diurni sono in generale di medie o grandi dimensioni, pur mostrando una notevole variabilità.Tra le non molte specie europee vi sono infatti giganti alati , come l’Avvoltoio monaco, che pesa oltre 10 Kg e ha quasi 3 mt di apertura alare, ed agili falchetti, come lo Smeriglio, di poco più di un etto e neppure sessanta centimetri d’apertura alare.Le femmine sono sovente più grandi dei maschi.
Questa caratteristica è molto accentuata nei rapaci con spiccate attitudini predatorie e che si nutrono principalmente di uccelli (Astori, Sparvieri, Falconi), diminuisce in quelli che catturano in prevalenza roditori, rettili e insetti (Poiane, Biancone, Gheppio), è poco evidente, o addirittura invertita, come nel Grifone, ove il maschio è più grande della femmina, nelle specie con tendenze spazzine o necrofaghe.

Esiste quindi una relazione tra dimorfismo sessuale ed abitudini predatorie.Varie ipotesi si sono fatte ma non completamente dimostrabili : freno all’ aggressività del maschio durante gli accoppiamenti, maggiore possibilità di difendere la prole da parte della femmina, migliore utilizzazione delle prede disponibili.

bc-308-lgLa testa dei rapaci è compatta e aerodinamica. Il becco, appiattito alla base, è caratterizzato dalla mandibola superiore fortemente ricurva e appuntita. Essa, nei Falconidi, è provvista di una protuberanza, chiamata “dente”, che serve a spezzare le vertebre cervicali delle prede. Tuttavia, come norma generale vengono utilizzati gli artigli. Il becco serve soprattutto per spezzettare, pulire e mangiare gli animali presi. Alla base della mandibola superiore vi è la cera di colore giallastro o grigiastro, in cui si aprono le narici. La struttura delle zampe varia notevolmente in relazione alle abitudini delle singole specie: il Biancone, che cattura anche serpenti velenosi, le ha protette da squame molto spesse ; il Falco pescatore le ha provviste di speciali rugosità sotto i polpastrelli per facilitare la presa sui pesci; gli Sparvieri ed i Falconi hanno dita molto lunghe, adatte alla cattura di uccelli in volo; infine gli Avvoltoi, sono provvisti di artigli poco affilati e corti. Le dita sono notevolmente mobili e grazie alla particolare struttura di tendini, si richiudono meccanicamente sia nell’afferrare la preda che sul posatoio. Esse sono armate di artigli, molto sviluppati soprattutto nelle specie che catturano animali vivi. I tarsi sono generalmente nudi, rivestiti da squame gialle o grigiastre, ma in certe specie, come le Aquile, sono “calzati”, cioè ricoperti da penne. Le gambe, eccettuato il Falco pescatore, sono provviste di particolari penne allungate, che formano i “calzoni”.

preview2Gli occhi dei rapaci sono assai sviluppati rispetto alle dimensioni del corpo: quelli dell’Aquila reale sono più grandi di quelli dell’uomo. Le strutture ossee attorno agli occhi forniscono un saldo attacco ai muscoli che regolano l’apertura della pupilla, la curvatura delle lenti e i piccoli movimenti oculari e tutti contribuiscono a localizzare velocemente, a mettere a fuoco con precisione e ad adattarsi bene alle diverse intensità luminose. L’iride può essere scura e brillante come nei Falconi, o più in generale, vivacemente colorata, variando dal marrone al giallo ambra od al rosso aranciato. Nel complesso, mostrano un’espressione selvaggia e fiera. Tutti questi caratteri denotano anche una grande acutezza visiva. Gli uccelli da preda sono infatti capaci di distinguere una forma in movimento a grandissima distanza ed il potere di risoluzione dei loro occhi è probabilmente superiore a quello di tutti gli altri vertebrati. E’ molto probabile che possano anche apprezzare i colori. L’insieme di queste proprietà deriva dalla particolare struttura del cristallino e dal gran numero di cellule sensoriali (coni e bastoncelli) di cui è provvista la retina. In esse vi sono inoltre due fovoee, una rivolta di lato ed una in avanti, dando un campo visivo di 250°, di cui 50° a visione binoculare fondamentale per calcolare le distanze della preda. Gli occhi sono protetti e puliti sia dalle normali palpebre che da una terza palpebra trasparente a scorrimento orizzontale , chiamata membrana nittante. Essa durante il volo è calata sugli occhi impedendone una eccessiva disidratazione ed è anche abbassata durante le lotte. Il forte sviluppo delle arcate sopracciliari, che accentua l’espressione feroce di alcuni Accipitridi ha funzioni protettive.

L’orecchio dei rapaci è visibile solo negli Avvoltoi con testa e collo nudi, essendo soltanto un piccolo foro tra le piume del capo. Tuttavia l’udito è ben sviluppato, soprattutto nelle specie che cacciano “d’ascolto” nel fitto della boscaglia come lo Sparviero e l’Astore. Un Astore ben addestrato trova il suo maestro nascosto tramite il suono del suo fischietto.

Pesi di volo approssimativi in Falconeria

Tengo a precisare che i pesi di volo sottoelencati sono solamente indicativi poiché ogni rapace pur della stessa specie e sesso differisce notevolmente l’uno dall’altro sia come struttura fisica che come recettività all’addestramento.

Nome Comune

Nome Scientifico

Peso Maschio (gr)

Peso Femmina (gr)

Aquila del Bonelli

Hieraaetus Fasciatus

1.588-1.788

1.872-2.420

Aquila Rapax

Aquila Rapax

2.211-2.551

3.175-4.820

Aquila Reale

Aquila Chrysàetos

2.495-3.629

4.309-5.607

Astore

Accipiter Gentilis

624-907

907-1588

Black Shahin

Falco Pelegrinoides Peregrinator

482

765

Cooper

Accipiter Cooperi Cooperi

340

510

Cooper

Accipiter Cooperi Mexicanus

283

425

Falco di Barberia

Barbary Falcon

680

690

Falco Pellegrino

Falco Peregrinus

510-680

879-1.021

Falco Pellegrino

Falco Peregrinus Calidus

454

680-822

Falco Pellegrino

Falco Peregrinus Pealey

624-680

1.134-1.276

Gheppio

Falco Tinnunculus

213

241

Gheppio Americano

Falco Sparverius

149-177

177-227

Girifalco

Falco Rusticulus

1.106-1.191

1.360-1.588

Gufo Reale

Bubo Bubo

1.701-2.155

2.268-2.722

Harris

Parabuteo Unicinctus

510-680

793-1.198

Lanario

Falco Biarmicus

425-567

680-794

Laggar

Falco Jugger

359-397

567-765

Lodolaio

Falco Subbuteo

177

227

Poiana Comune

Buteo Buteo

680

879

Poiana Coda Rossa

Buteo Jamaicensis

850-1.049

1.304-1.474

Poiana Ferrugginosa

Buteo Regalis

992-1.417

1.474-2.155

Prateria

Falco Mexicanus

425-567

680-907

Sacro

Falco Cherrug

765-907

1.021-1.247

Shahin

Falco Pelegrinoides Babylonicus

425

624

Smeriglio

Falco Columbarius

156-184

198-256

Sparviero

Accipiter Nisius

127-198

227-340

Il peso di volo del falco è fondamentale nella Falconeria perchè da esso deriva il diverso grado di ricettività all’addestramento e aggressività nella caccia. Il falco viene trattato come un atleta: viene alimentato nel migliore dei modi, viene fatto volare il più possibile perchè si muscoli, e il suo peso viene giornalmente rilevato e annotato dal falconiere insieme al giudizio del volo a quel determinato peso. Ricordo al lettore che la cosa a cui tiene di più il Falconiere è fare di tutto per mantenere in perfette condizioni di salute e quindi di caccia il proprio falco.

Glossario usato in falconeria

Questi sono i termini usati in falconeria da migliaia di anni tramandati da maestro ad allievo e così via fino ad oggi.

vocabolario-bowling

Abbassare: dare meno cibo al falco perché possa eseguire prontamente gli esercizi oppure se è troppo grasso come dopo la muta

Ayimeri: geti sfilabili con facilità

Alto volo: il falco è ad una ragguardevole altezza. Si fa con i falconi: pellegrino, lanario, sacro, girifalco

Armare: mettere i geti, il sonaglio, il doppio anello e la lunga

Basso volo: fatto con astore e sparviero che rincorrono la preda

Beccata: pezzettino di carne data al falco con la mano

Carreggiare: il falco cerca di asportare la preda o il logoro

Cavalcare: quando il falco monta e resiste contro vento

Cera: membrana molle alla base del becco

Condizione: il falco è in ottima condizione, pronto all’obbedienza, allo stimolo del cibo

Cortesia: dare al falco un compenso in cibo dopo che ha catturato la preda o dopo che ha eseguito bene un esercizio

Cura: resti di peli e di piume che il falco restituisce dal becco in forma di pallottola

Falconare: andare a volare o cacciare coi falconi o accipitridi

Falconiera: stanza dedicata ai falchi

Flette: quando il falco intercala al volo battuto la pausa o planata

Giardinare: esporre all’aperto il falco su un blocco o su pertica curva

Gozzo pieno: porzione abbondante di cibo

Guarnire: usato per indicare il logoro con carne

Hagard: è un falco vecchio

Imprintato: è il falco che si comporta come se il falconiere fosse il suo genitore

Introdurre: un falco è introdotto quando, dopo le prime lezioni, si mostra docile e dopo aver ucciso la sua prima preda

Lanciare: quando si inizia la caccia con i falconidi gettandoli via dal pugno

Logoro: preda finta guarnita di carne per richiamare il falco

Lasciare: quando si inizia la caccia con gli accipitridi e, aprendo la mano, si lasciano i geti

Mezzo gozzo: mezza porzione di cibo

Monte: il falco vola molto in alto, sopra il falconiere o il cane

Moschetto: è il maschio dello sparviero

Muta: è il cambio di tutte le piume che si verifica annualmente

Nidiaceo: falco nato in cattività a 4 mesi dalla schiusa

Passata: esercizio di volo per muscolare il falco: il falco in volo viene chiamato col logoro; mentre sta per ghermirlo gli viene di proposito ritirato così che lui ritorni in volo. Lo si può ripetere più volte consecutivamente.

Passo: è il falco adulto di età superiore ai due anni. Sono così chiamati perché un tempo venivano catturati all’epoca del passo

Pendolino: quando il falco in volo va su e giù

Picchiata: discesa verticale ad ali semichiuse sopra la preda in volo

Pileo: parte superiore della testa

Remiganti: penne delle ali lunghe e resistenti, atte al volo. Quelle in punta all’ala si dicono primarie e sono le più robuste, quelle interne si dicono secondarie e sono le più deboli e più corte.

Scartare: quando la preda, all’avvicinarsi del falco, fa lo zig zag per sfuggire

Schiumare: il falco passa sopra la preda sfiorandola senza afferrarla

Scivolata: il falco scende sulla preda in picchiata perché è lontana

Sorare: quando il falco, soprattutto d’estate, sale altissimo per rinfrescarsi, gira in tondo planando ed è indifferente ai richiami del falconiere e al logoro

Soro: è il falco del primo anno non ancora mutato

Spirito santo: il falco sta fermo sospeso in aria pur battendo le ali: è una caratteristica del gheppio e di qualche altro falco

Terzuolo: è il maschio dei falconi forse perché pesa 1/3 meno della femmina

Timoniere: penne della coda

Traina: pelle di coniglio impagliata alla quale viene legata della carne e con una corda di 15 mt. La si trascina davanti all’astore o al falcone.

Vivo: piccione o starna o altri uccelli vivi

La Falconeria negli Aeroporti

Da cacciatori ad angeli custodi dei viaggiatori. Come dire: anche i falchi fanno carriera. Alle dirette dipendenze della torre di controllo dell’aeroporto di Ronchi dei Legionari, il rapace si occupa infatti della protezione dei velivoli in partenza e in decollo dallo scalo. Allontanando gabbiani, cornacchie e pavoncelle dalla pista, non c’è più il rischio che qualche pennuto finisca nei motori dei velivoli, con conseguenze più o meno gravi al velivolo. L’aeroporto regionale è uno dei primi in Italia ad avere adottato questo particolare servizio. E non da poco.

Sono infatti ormai dieci anni che gli otto falchi addestrati e diretti da Aldo Miconi di Tarcento (nella foto a sinistra),  tengono a bada gli uccelli. L’impiego dei falchi pellegrini è stato infatti avviato, prima sperimentalmente, poi in pianta stabile, all’inizio del 1987. Con ottimi risultati, tanto che all’estero hanno preso esempio anche da casa nostra per avviare un servizio anti-gabbiani.

Anche l’aeroporto Marco Polo in Venezia adotta l’allontanamento dei volatili a mezzo falchi dove con successo e con piena soddisfazione delle autorita’ aeroportuali opera il falconiere Gianni Di Lenardo, con diversi falchi di basso e alto volo con tecniche adatte ad non disturbare le attività aeroportuali. Un altro Aeroporto che sta sperimentando con successo questa tecnica è quello di Torino Caselle.

Dall’ottobre, dell’anno scorso anche l’aeroporto di New York utilizza i falchi racconta Miconi- e in quattro mesi c’è stato un calo del 65 per cento dei danni riportati dagli aeromobili in transito. E scusate se è poco. Ronchi, si diceva, è l’unico scalo ad adottare l’impiego dei rapaci. Un sistema naturale che però, curiosamente, non trova spazio presso altri aeroporti altrettanto a rischio come Genova, Roma-Fiumicino e Cagliari. In questi dieci anni di attività gli otto esemplari addestrati da Miconi, si sono decisamente guadagnati la pagnotta.

 

Dagli 850 interventi del primo anno racconta Miconi- siamo passati a circa 80. Dopo un periodo di prova, il servizio di protezione delle piste è stato esteso a tutti i 365 giorni dell’anno, dall’alba al tramonto. Da qualche tempo a questa parte, c’è meno lavoro del solito. Pochi stormi di gabbiani: forse gli uccelli hanno imparato la lezione e ora girano al largo. Gli otto falchi, tutti veterani (uno di loro ha raggiunto la veneranda età di sedici anni), vivono all’interno dell’aeroporto. L’allevamento è a Tarcento, a casa Miconi, dove proprio in questi giorni è nato un falchetto pellegrino. Auguri al futuro controllore di volo.
 

 

(L’aeroporto assume il falco)


 

I veri signori dei cieli sono loro, i falchi. Non quei buffi volatili, enormi, lucenti e impacciati che portano tante persone nella loro pancia ma che cadono come piombo se un uccelletto entra nei loro muscoli. E da vero signore dei cieli il falco domina il suo spazio, atterrisce le possibili prede, sgombera il volo a queste goffe ali meccaniche.

 

L’aeroporto del Friuli Venezia Gulia ha deciso di affidarsi, stipulando un contratto di prestazione professionale, a un falconiere, Aldo Miconi, di Tarcento, per il servizio di protezione al volo, promuovendo un esperimento in atto già dal 1988. In quell’anno furono effettuati 700 interventi, cioè i falchi hanno dovuto “mostrare gli artigli” per altrettante volte a gabbiani e altri uccelli di passo, scacciandoli dall’area di volo. Attualmente gli interventi sono circa 50, dovuti, per lo più, alla presenza di poche decine di gabbiani in transito occasionalmente. Un indubbio successo: i falchi ammaestrati (in genere pellegrini) con il loro comportamento predatorio dissuadono gli altri uccelli dall’invadere il loro spazio. Gli attacchi di questi rapaci non sono cruenti, funzionano solo da deterrente. Lo stesso metodo è utilizzato da altri aeroporti nazionali e internazionali.

 

Da uno studio condotto dall’ente di gestione dello scalo internazionale di New York, il “J.F. Kennedy”, è risultato che l’uso dei falchi ha fatto registrare, nel periodo giugno-settembre ’96, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, una riduzione del 66 per cento dei danni riportati sugli aeromobili in transito e causati dai volatili. Ma l’uso dei falchi va completato con delle misure preventive di tipo ambientale, tenendo in considerazione la posizione dell’aeroporto rispetto ai flussi di migrazione dell’avifauna. Queste misure vanno dal miglioramento e pianificazione della vegetazione, al controllo degli insetti (principale cibo di molti uccelli) al miglioramento della raccolta dei rifiuti solidi, alla gestione delle acque stagnanti (habitati ideali per stormi di limicoli).L’uso dei falchi per evitare pericolosi contatti degli uccelli con gli aerei si è dimostrato quindi validissimo a Ronchi dei Legionari, uno scalo posto a poca distanza da importanti aree di passo dell’avifauna, come la laguna di Grado e Marano. All’aeroporto militare di Rivolto, invece, posto sulle magre praterie del medico Friuli, paradossalmente c’è, seppur ridotto, il problema inverso. Infatti gli uccelli che si librano più frequentemente sulle piste di volo delle Frecce tricolori, sono proprio varie specie di falchi, che trovano nei prati sgombri e protetti, cibo in abbondanza. Qui gli altri uccelli si guardano bene dall’avvicinarsi. Ai passeggeri che attendono i voli allo scalo regionale, quindi, capiterà spesso di vedere librarsi in cielo splendidi esemplari di falco pellegrino. Se osservano bene sulla zampa noteranno un anello di riconoscimento e una fettuccia di cuoio. La prima è la “carta d’identità” dell’uccello, la seconda è il “cordone ombelicale” che lo lega al falconiere.Ronchi dei Legionari è un’aeroporto che si sta attrezzando per offrire servizi sempre più a livello europeo, rinnovando e potenziando le sue strutture con le più innovative tecnologie, ma nello stesso tempo un’arte antica e nobile, la falconeria garantisce una migliore sicurezza di volo.
Tratto da:  www.aviomedia.com