Si dice che il cane sia il nostro migliore amico. Ma per Cecilia Boretto non è così: il suo compagno di strada è un falco. Una passione che per lei, 31 anni, di Moncalieri, è diventata anche un lavoro: la falconiera. “I rapaci sono sempre stati una mia passione ma mai avrei immaginato di finire a occuparmene in prima persona ogni giorno” spiega. La sua speciale carriera è iniziata nel 2013, sette anni fa, quando è entrata a lavorare al parco Zoom di Cumiana. Si è messa in gioco in una professione insolita quando ancora le donne, nel settore, erano pochissime: “La maggior parte dei falconieri, di tradizione, è composta da uomini. Negli ultimi dieci anni ci sono più donne, però: nel parco siamo quasi tutte ragazze, tranne il responsabile”.
Prima studiava Scienze dei Beni Culturali, curriculum archeologico, all’Università di Torino: “In realtà non ho mai preso la laurea. All’ultimo anno, per passione, ho cominciato a seguire un corso di falconeria in Lombardia. Era più che altro un modo per approfondire temi che mi piacevano – racconta – Intanto vedevo amici e colleghi provare la strada dell’archeologia ma non c’era spazio, solo molto precariato. Così ho provato a mandare un curriculum al parco e sono stata immediatamente chiamata”. Inizialmente la giovane moncalierese non aveva un suo falco personale: a Zoom si lavora con tanti rapaci diversi. Aquile, falchi, avvoltoi. La “regina” è Argentera, un’aquila cilena. Poi ci sono tre cicogne, Athos Porthos e Aramis. Il falco della 31enne invece si chiama Atreyu: “È il nome dell’indiano che aiuta il protagonista de “La storia infinita” a salvare Fantasilandia” spiega Boretto.
La falconiera lo ha acquistata per 700 euro, seguendo le regole nazionali, un paio d’anni dopo aver intrapreso questa carriera. Lo tiene a casa, in una voliera. Vola libero e indisturbato, mangia fagiano, quaglie e pollo. “È il cibo che troverebbe in natura se cacciasse da solo”. Ormai è addestrato e con la sua falconiera ha un rapporto speciale: “Ogni animale ha un suo carattere. Al parco, dove siamo diverse falconiere, non è semplice: c’è chi preferisce una persona e chi un’altra, bisogna saper entrare in contatto. Il mio falco a casa ormai è abituato con me”. Essere donna, è scontato dirlo, non crea problemi nel lavoro, anche se qualche visitatore del parco ogni tanto si stupisce: “Certo è un lavoro faticoso. Ma col tempo abbiamo anche notato che le ragazze sono più precise e più empatiche con gli animali, che i falchi hanno meno paura con le donne e sono più diffidenti con gli uomini”.
Il suo falco personale è un fidato compagno. Una volta è anche fuggito: era piccolo, aveva meno di un anno. Era stato portato a volare nella zona della centrale termoelettrica di Moncalieri. A un certo punto si era dileguato: “Non lo trovavamo più, ero nel panico. Sia perché temevo potesse essere predato, sia perché rischiava di non mangiare. Ci abbiamo messo tre giorni a ritrovarlo: quando mi ha vista si è avvicinato subito a me, quasi come dire “finalmente sei tornata”, era spaventato anche lui”, spiega ancora preoccupata.
L’episodio risale a cinque anni fa: il falco comunque ha un gps, quindi non è mai uscito dal “radar”. Ma non è possibile farlo tornare a casa se si allontana.
Tra le attività più particolari che Boretto svolge ci sono le rievocazioni storiche. Assieme a un’associazione di Varese propone pacchetti completi dove si mettono in scena le abitudini medievali: non è teatro, non è spettacolo. È tutto storicamente corretto: “Il mio maestro falconiere ha studiato approfonditamente il “De arte venandi cum avibus” di Federico II e abbiamo riprodotto tutti gli abiti e i ruoli. La dama durante il medioevo non andava a caccia direttamente però dal cavallo normalmente scappucciava il suo falco e lo controllava, anche se poi lo gestiva un falconiere esperto” spiega. Le rievocazioni la portano a girare l’Italia e il mondo: dal palio di san Gimignano a quello di Rho, fino a Siviglia e, prossimamente, Praga.
Nella Giornata internazionale della donna, domenica, non lavora ma sarà a cacciare. È per lei un giorno come un altro: “Quand’è l’8 marzo?
Nemmeno me lo ricordo. Penso di non averlo mai festeggiato in vita mia” dice con tranquillità. Non va a caccia nel senso tradizionale, bensì porta il rapace in riserve apposite perché impari a predare: “Vado a caccia per lui, perché deve mantenere la sua natura. Deve saper cacciare anche perché deve riuscire a sopravvivere, qualsiasi cosa accada”.
E così la sua domenica sarà dedicata ad Atreyu. “In ogni caso penso che l’8 marzo sia un giorno in cui prendere coscienza rispetto a ciò che non abbiamo, ai diritti che ci mancano come donne. Per quello va bene. Per festeggiare e basta, forse no”.
fonte: repubblica.it
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