Il periodo di massimo interesse per la falconeria è quello compreso tra il Trecento e il Cinquecento. La maggior parte dei manoscritti di trattati dedicati alla materia risale, infatti, a questo periodo. Al limitatissimo vocabolario dell’antichità, il Medioevo contrappone un’autentica inflazione classificatoria. Federico II nel trattato De arte venandi cum avibus considera cinque tipi di falchi (girofalci, sacri, gentiles peregrini, gentiles, layneri), ma la serie completa delle denominazioni medievali dei rapaci da caccia sfiorava la trentina, con una capillarità degna dei moderni ornitologi. Nei trattati la qualifica di nobilissima avis tocca al girifalco, protagonista della caccia alla gru, reputata la più spettacolare e degna dei sovrani. Meno prezioso del girifalco, il falco pellegrino era il rapace più diffuso per la caccia ad alto volo. Come indica il suo nome, il pellegrino era un uccello migratore e veniva catturato mentre, dalla Scandinavia, viaggiava verso sud. È, infatti, dall’Europa del nord che provenivano i rapaci migliori e meglio quotati sul mercato.
L’altro centro di distribuzione europeo erano le Fiandre e fiamminghi erano non solo i p
rincipali mercanti, ma anche molti dei falconieri professionisti stipendiati nelle corti europee. Il falconiere doveva prestare attenzione all’igiene e alla morale personale: non mangiare né aglio né cipolle, lavarsi regolarmente, non essere goloso, bevitore, lussurioso, pigro, irascibile. Gli accessori del falconiere erano il guanto che proteggeva mano e avambraccio (di solito il sinistro per gli Europei e il destro per gli Arabi), un bastoncino per carezzare le piume dell’uccello e una sacca contenente i pezzetti di carne per ricompensare il rapace dopo il buon esito del volo.
In precedenza l’unico sistema era la temporanea cucitura delle ciglia (“cigliatura”), che convisse a lungo con il cappuccio (lo stesso Federico II non consiglia la sostituzione, ma solo l’abbinamento delle due tecniche). Le prime lezioni di caccia avvenivano con l’ausilio di esche che potevano essere uccellini handicappati o legati oppure una pelle di lepre riempita di paglia con un pezzetto di carne attaccato sul dorso. Nella seconda fase si passava a uccelli in piena efficienza liberati allo scopo. L’ultima e più complicata parte dell’addestramento era la collaborazione con i cani. Entrambi gli animali dovevano abituarsi alla reciproca vicinanza. I cani, in particolare, dovevano apprendere, nel caso della piccola selvaggina, a bloccare le prede sulle quali il falco si era abbattuto limitandosi a tenerle ferme ed evitando di portarle via.
Lo spettacolo dell’uccellagione risiedeva soprattutto nella contemplazione del volo. L’alto volo era il regno del falco, mentre per la caccia a basso volo si impiegavano l’astore e lo sparviero, il primo preferito in Germania, il secondo in Italia. L’astore, menzionato nelle leggi germaniche, è probabilmente il primo uccello a essere stato usato in Europa. Come sottolineò Pietro de’ Crescenzi, la principale caratteristica dello sparviero, una replica in formato ridotto dell’astore, era quella di volare “il più possibile radente alla terra in modo da non essere visto agli uccelli che vuole prendere. Il volo di questo uccello è molto rapido e di solito esso cattura la preda all’inizio del suo sforzo, mentre dopo il suo volo si fa più lento”. Nei trattati francesi del XIV secolo lo sparviero era l’uccello delle dame che si dilettavano nella caccia alle allodole. In letteratura l’associazione con la dama contribuì a fare dello sparviero una sorta di spalla dei protagonisti nelle scene galanti. La simbologia del rapace, e questo è significativo, legando la donna allo sparviero e il giovane nobile al falco, suggerisce la presenza di una gerarchia, per quanto sfumata, anche nel discorso amoroso: il sesso maschile stava all’alto volo del falco, come il femminile al basso volo dello sparviero.
Rimedi e scongiuri
I trattati di falconeria sono assai attenti alla salute dei rapaci. Questo aspetto veterinario stava particol
armente a cuore all’anonimo compilatore del Trattato del governo de’ falconi, un’antologia trecentesca in volgare che raggruppa brani scelti da testi precedenti. I rimedi sono un miscuglio di esperienza pratica e di pittoresco: per i calcoli gastrici (sintomo: il rifiuto del cibo) somministrare garofani ben tritati; per la febbre (sintomo: il piede caldo) un preparato a base di aloe, grasso di gallina e aceto; contro i pidocchi un bagno in acqua dove sono stati cotti dei lupini oppure una pomata composta di mercurio, saliva, cenere e grasso di maiale. In qualche caso era ritenuta utile una formula di scongiuro, come il verso Volatilia tua sub pedibus tuis, i tuoi uccelli (Signore) tieni sotto i tuoi piedi, da recitare quando il falco metteva le penne.
Dopo la cattura i piccoli falchi venivano rinchiusi in un casotto dove regnava la penombra: stavano appollaiati su una pertica e ricevevano il cibo sempre dalla stessa persona. Gli adulti vivevano invece in una “falconiera”. Stavano legati a pertiche o a un blocco di pietra e il falconiere alloggiava nei pressi e trascorreva molto tempo vicino a loro. La falconiera, stranamente, è un luogo mai descritto con cura nei trattati, che invece dedicano grandi attenzioni alla “muta”, la stanza dove i falchi alloggiavano durante il periodo del cambio del piumaggio, quando era sconsigliato farli uscire a caccia. Scrisse Adelardo di Bath: “Quando metti gli astori in muta prepara la muta in modo che essa riceva la luce del sole per tre ore ogni giorno e che non ci piova dentro”. Ancora più preciso è Bragadino: “La muta deve avere una grande finestra laterale per ricevere il vento chiamato buora, che è moderatamente freddo (…). Questa muta deve essere più illuminata di quella per astori e sparvieri. Al suo interno devono esserci pertiche di legno ben pulite sulle quali legare la zampa se necessario. Il suolo deve essere coperto di sabbia e di sassolini di fiume o di mare e al centro deve trovarsi un pozzetto d’acqua circondato da tre o quattro blocchi di marmo ben puliti”.
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