La vita negli ambienti selvatici pone continuamente ardue sfide, richiede grandi doti naturali, temperamento, capacità di adattarsi alle circostanze e ai tipi di habitat di cui si dispone, alcuni talmente estremi e desolati da sembrare impossibili da affrontare per qualsiasi predatore.
Siamo negli sconfinati e spettrali paesaggi della tundra artica, velati di nebbia e silenzi che sembrano estendersi all’infinito, dove le estati sono brevi e gli inverni lunghi e glaciali, con poche ore di luce a disposizione per cacciare e interminabili notti di inattività e gelo che costringe ad accumulare altissime riserve di energia in un ambiente con la più bassa concentrazione di prede del pianeta, per la maggior parte dell’anno ricoperto da una spessa coltre di neve che inibisce ancor più la vista di scenari già poveri di contrasti.
Lungo le inaccessibili coste scoscese, le potenziali prede sono solo i veloci uccelli marini mentre gli altopiani interni offrono una più ampia gamma di prede per una breve estate, che coincide con la stagione riproduttiva. Durante il lunghissimo inverno l’alimentazione dipende quasi esclusivamente dalle pernici bianche.
Queste condizioni eccezionali hanno plasmato un predatore eccezionale, il più grande, aggressivo e potente falcone al mondo.
La popolazione più numerosa vive nelle aree dove tutt’oggi sussistono le condizioni dell’ultima era glaciale tra Alaska , Canada, Groenlandia, Islanda, Finnoscandia e Siberia.
Il girfalco è un favoloso predatore deserticolo perfettamente adattato alle latitudini artiche.
Il piumino è più fitto rispetto a quello degli altri falchi e ricopre completamente i tarsi; l’acuità visiva è di poco inferiore a quella del falco pellegrino ma in compenso dispone di una migliore visione crepuscolare che gli consente di individuare meglio i contrasti acromatici e di cacciare nell’oscurità invernale.
La scarsità di opportunità predatorie lo hanno reso fortemente territoriale (la coppia domina un territorio esclusivo che può coprire 30 km quadrati), oltre che particolarmente intelligente e strategico; la ricerca della preda viene effettuata solitamente a bassa quota seguendo il profilo del terreno e aggirando gli ostacoli per sfruttare l’effetto sorpresa;
in estate i maschi sono spesso stati osservati catturare piccoli passeriformi alle prime armi nell’area intorno al nido, piccole scorte di energia procurate senza dispendi.
Come tutti i falconi sono specializzati nella caccia aerea di altri uccelli ma si sono perfettamente adeguati anche alla predazione dei mammiferi di piccole e medie dimensioni.
La incredibile adattabilità a questi climi è testimoniata dalle recenti scoperte sulle sue abitudini invernali, rimaste a lungo un segreto: i ricercatori hanno osservato che molti girfalchi dell’alto Artico svernano e trascorrono lunghi periodi di tempo in mare vivendo e cacciando uccelli marini sulla banchisa polare, lontanissimi dalla terraferma.
Il volo del girfalco è veloce e alterna potenti e lenti battiti d’ala a brevi fasi di planata al modo dell’astore, a cui assomiglia per morfologia più che agli altri falconi: l’ala è più ampia e più larga, la coda più lunga, lo sterno più profondo e i muscoli pettorali più sviluppati.
Nonostante il suo notevole peso, l’ampiezza delle ali determina un carico alare inferiore a quello dei pellegrini e solo leggermente più alto rispetto al falco sacro; abbinato alla straordinaria potenza del muscolo pettorale permette al girfalco di sviluppare una velocità in volo orizzontale che può raggiunge una punta massima di 120 km orari. Solo il falco sacro, praticamente la sua variante meridionale, riesce a competere.
Le prede di terra vengono catturate generalmente con le tecniche d’inseguimento sulla coda, come il falco sacro, mentre per catturare gli uccelli marini si comporta come un pellegrino sebbene con un approccio più diretto; le sue picchiate, che possono raggiungere i 200 km orari, partono da quote più basse e sono meno spettacolari ma più persistenti, arrivando a sfiorare il terreno per involare una preda.
Come i pellegrini, anche i girfalchi attaccano con traiettorie modellate dalla legge di guida di navigazione proporzionale (A), che comanda la virata in proporzione alla velocità angolare della linea di visuale sul bersaglio, con un guadagno di traiettoria ad ogni virata. Tuttavia, questo guadagno è significativamente superiore nei pellegrini rispetto ai girfalchi, che riescono a sviluppare una svolta in planata più lenta e un percorso di intercettazione più lungo; probabilmente questo è dovuto a un adattamento ecologico, perché un basso valore di guadagno di guida diminuisce il rischio di superamento, favorendo l’inseguimento esplosivo su breve distanza così come i lunghi inseguimenti ad alta velocità, le specialità dei girfalchi: l’assalto parte diretto e una volta iniziato non lo abbandoneranno per nessun motivo, continuando ad attaccare con quella determinazione, intensità e facilità d’azione che meravigliosamente li caratterizzano.
Quando incalza la preda, il girfalco sfrutta la strategia dell’inseguimento classico (B) che, manovrando per mantenere l’obiettivo ad un angolo costante del campo visivo, gli fornisce il minimo tempo di intercettazione necessario: la preda resta immobile al centro del campo visivo e diventa sempre più grande e dettagliata man mano che si avvicina; allo stesso modo l’attaccante non si muove dalla prospettiva della preda che, a causa dell’angolo obliquo del percorso del rapace, non riesce a percepirne la posizione esatta.
Grazie alla potenza e alla velocità che riesce a sviluppare, il girfalco insegue la preda secondo la traiettoria più diretta anche per lunghissime distanze, con curve di adattamento poco profonde, arrivando progressivamente a raggiungerla fino a scavalcarla per poi tagliarne repentinamente la traiettoria con un colpo diagonale, ghermendola con gli artigli e finendola a terra con unico colpo di becco; spesso non tenta neanche di afferrarla ma la schianta direttamente al suolo.
Se il primo assalto fallisce insisterà risalendo di potenza sulla coda per poi scaricare tutto il suo peso direttamente sulla preda, con effetti devastanti anche da quote relativamente basse.
Il girfalco si presenta in tre principali varianti cromatiche, chiara, grigia e scura, con una tale presenza di sfumature intermedie (anche all’interno della stessa covata) che per molto tempo gli ornitologi hanno pensato a una vera e propria mutazione morfologica tra sottospecie, riferendosi erronemente ai tre gruppi come ‘forma’ (‘morph o forma chiara’ oppure ‘morph o forma scura’); in altri casi veniva utilizzata la dicitura ‘fase chiara’ o ‘fase scura’, che suggerirebbe però una variazione di colore nel tempo dello stesso individuo.
Nel caso del girfalco si parla sostanzialmente dello stesso falco il cui piumaggio presenta delle semplici varianti cromatiche determinate da connotazioni geografiche specifiche: tutte le popolazioni discendono dalla paleo-sottospecie Falco rusticolus swarthi e sono il risultato dell’isolamento geografico in tre diverse aree separate tra loro durante l’ultima era glaciale, con la variante bianca nella Groenlandia settentrionale, la melanica nella zona del Labrador e l’originale variante grigia limitata all’area eurasiatica. Quando il ghiaccio si ritirò, le popolazioni si sono incrociate fino a produrre l’attuale gamma e distribuzione: la variante bianca, o con uno schema di sbarramento minimo, è quella alto-artica (Groenlandia e nord-est del Canada), la variante grigia è basso-artica (Islanda, Fennoscandia, Russia) e la variante scura è sub artica (Groenlandia e Canada meridionale, Nord degli U.S.).
Il colore nero ė legato al sesso e si presenta principalmente nelle femmine; sembra che risulti difficile per gli allevatori ottenere maschi più scuri del grigio ardesia.
Come gli altri falconi, i girfalchi non costruiscono nidi ma semplicemente sfruttano gli incavi delle pareti rocciose che riutilizzano anno dopo anno; in molti casi possono essere utilizzati più o meno a intermittenza per centinaia e addirittura migliaia di anni.
La datazione al carbonio ha rivelato un nido ancora in uso a Kangerlussuaq, nella Groenlandia centro-occidentale, di un’età compresa tra 2.360 e 2.740 anni.
Il girfalco è da sempre il più ambito tra tutti i rapaci di falconeria.
Grazie alla sua intelligenza ha la capacità di sviluppare un forte legame con il falconiere tanto che nelle prime fasi dell’addestramento si può procedere molto velocemente (tranne che per il volo a monte, che generalmente recepisce con più fatica rispetto al pellegrino) e anzi molti esperti falconieri insistono che per ottenere un buon girfalco da caccia sia fondamentale il lavoro di muscolamento e di esperienza diretta sulla preda durante il primo anno di età quando sta ancora sviluppando, oltre che la muscolatura, il particolare temperamento nella caccia.
I falchi tendono a standardizzare con il tempo le modalità di attacco con le quali ottengono più successi, mentre da giovani possiedono una maggiore plasticità mentale; per i pellegrini questa finestra di tempo è generalmente più ampia rispetto ai girfalchi, che maturano più velocemente e possono essere riproduttivi già al secondo anno di età.
Il girfalco ha bisogno di un esercizio costante per mantenere la potente muscolatura perchè, come per gli accipiter, perde tonicità e vigore più velocemente rispetto ad esempio al falco pellegrino.
Generalmente ha anche bisogno di più spazio per cacciare perché la potenza di volo è così sviluppata e la sua determinazione così radicata che può inseguire orizzontalmente una preda per chilometri prima di catturarla o di decidere di abbandonare e tornare dal falconiere.
Adattato ai climi rigidi e secchi, può diventare piuttosto problematico gestire un girfalco quando vive in climi caldi e umidi in quanto sviluppa una particolare vulnerabilità a patologie quali la tricomoniasi, l’aspergillosi e, data la sua mole, il bumblefoot.
Tutti elementi che vanno considerati prima di accostare la magnificenza del falco dei re.
Lara Flisi
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